15- Piccole Rivelazioni

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Blivius mi sta guardando da dieci minuti senza aprire bocca, gli ho raccontato di ieri sera, dell'uscita fatta con Davor e del bacio e lui ancora non ha detto una parola.

«Bliv allora?» sbuffo stanca.

«Ti piace?» resto un tantino sorpresa dalla sua domanda. Io non lo so se mi piace, non so perché ieri l'ho baciato, semplicemente mi sembrava giusto farlo.

«Non lo so» ammetto con voce bassa.

Lo vedo annuire e passarsi una mano tra i capelli rosa «Io credo che, forse adesso non è il momento adatto per avere un ragazzo» le sue parole mi feriscono, non credevo avesse detto ciò. Cosa vuol dire che non è il momento adatto? E poi nessuno ha detto che lui sia il mio ragazzo.

«Ti ho appena detto che non so neanche se mi piaccia e tu mi parli di un ipotetica relazione?»

Si passa le mani sul viso stanco e caccia un respiro pesante, lo vedo mentre si alza e si accomoda al mio fianco, una sua mano finisce sul mio viso e lo sfiora delicatamente «Aly, ti sto solo dicendo che credo che in questo momento tu debba pensare a te stessa e a nessun altro. Davor, è un ragazzo complicato e -aggrotta le sopracciglia- ...non credo sia la persona adatta a te, lui non potrà mai capirti a pieno e aiutarti» so che ogni cosa che fa o dice Blivius la fa per il mio bene, ma decido lo stesso di alzarmi stizzita e di staccare le sue mani da me.

«Devo andare» dico in modo freddo senza dargli il tempo di rispondere, e mi avvio verso casa mia.

Perché lui non può capirmi? Solo perché sono una persona ferita? È così che Blivius mi vede?
Mi vede come uno stupido oggetto rotto che prova a ricomporre ogni giorno fallendo miseramente? E pensa che Davor non sia in grado di affrontare tutto ciò?

Io ieri sono stata bene con Davor, sembrava capirmi a pieno e la sua promessa mi rimbomba in testa da ieri sera.

Io merito di essere felice, merito di poter stare bene, merito di poter vivere come tutte le ragazze della mia età. Io merito tutto questo.

Continuo a camminare scalciando qualche sasso di qua e di là, quando sento il rombo di una moto al mio fianco, mi volto a guardare chi sia e un sorriso rassicurante è pronto ad accogliere i miei occhi.

Davor è fermo sulla sua moto e mi sta guardando come solo lui sa fare, sento il suo sguardo perforarmi l'anima e in imbarazzo abbasso lo sguardo sul terreno.

«Sali -non è un ordine il suo- ti accompagno a casa» decido di non farmelo ripetere una seconda volta, voglio stare in sua compagnia.

Salgo in sella e aggrappo le mie braccia intorno alla sua vita, lo sento ripartire e chiudo gli occhi appoggiando la testa sulla sua schiena. L'aria fresca mi scompiglia i capelli e un brivido mi invade il corpo.

Solo quando lo sento fermarsi apro gli occhi, ma noto che non ci troviamo fuori casa mia «Non dovevi accompagnarmi a casa?» chiedo scendendo dalla moto.

«Sì, ma ho pensato che bere una cioccolata calda ti avrebbe fatto bene» indica la caffetteria alla sua destra e sorride.

Lo seguo in silenzio, il posto è piccolo ma accogliente, ci sono solo un paio di clienti intenti a bere il loro caffè caldo, Davor mi chiede di prendere posto e poi si avvia alla cassa per ordinare due cioccolate calde.

Mi siedo ad un tavolo vicino alla vetrata, appoggio la borsa per terra e guardo fuori, le strade sono deserte, credo sia colpa del freddo improvviso che è arrivato.

Decido di spostare la mia attenzione a Davor, lo vedo mentre sorride alla signora dietro al bancone, come si scosta i capelli dalla fronte e poi prende il portafogli dalla tasca posteriore dei jeans chiari, guardo ogni suoi minimo movimento e d'un tratto le parole di Blivius si fanno spazio nella mia mente "Non credo sia la persona adatta a te, lui non potrà mai capirti a pieno e aiutarti"

Eppure quando il moro mi raggiunge e si accomoda di fronte a me, con un sorriso pronto a rassicurarmi a me sembra più che giusto.

Lo vedo mentre si toglie il solito giubbotto di pelle che indossa, restando solo con una maglia nera a maniche lunghe, appoggia i gomiti sul tavolo e la testa sulle mani intrecciate e punta i suoi occhi nei miei.

Mi sento in imbarazzo, è sempre così con lui, da quando l'ho conosciuto. I suoi occhi riescono a farmi sentire così piccola, riesco a sentire le mie guance colorarsi di rosso e un piccolo sorriso si forma sulle labbra di Davor.

Ad interrompere la nostra battaglia di sguardi è la cameriera, che ci porta le nostre ordinazioni e va via. Non parliamo per un po', io mi concentro sulla mia cioccolata calda e lo stesso fa Davor. Ma nonostante siamo in silenzio, non c'è imbarazzo tra noi in questo momento.

«Tre mesi fa i miei genitori mi hanno cacciato di casa, ripudiandomi come figlio» la sua voce mi fa alzare gli occhi verso di lui, lo guardo mentre il suo sguardo è fisso sulla cioccolata che ha tra le mani.

Cosa sta facendo?

«Perché mi dici questo?» decido di chiedergli.

Per qualche secondo punta i suoi occhi verso di me «Ieri sera tu mi hai raccontato di tua madre e, credo sia giusto raccontarti qualcosa di me» sorride appena giusto per incoraggiare più se stesso che me. Poi spostando il suo sguardo altrove continua a parlare.

«Prima di arrivare qui, ero una persona diversa, ero quel tipo di ragazzo che si caccia nei guai ogni giorno, che beve, fuma e fa cose che un ragazzino della propria età non dovrebbero fare» non so perché ma sento il mio cuore accelerare «Tutto è iniziato a quindici anni, ho conosciuto persone diverse che mi hanno portato a fare determinate cose. I miei genitori hanno sofferto molto nel vedere il loro unico figlio cadere così in basso, hanno provato ad aiutarmi e quando hanno visto che non c'era nulla da fare, mio padre ha deciso di mandarmi a casa di suo fratello, chiedendogli di aiutarmi.»

Ecco perché vive con Ermes, mi sono sempre domandata come mai vivesse con suo cugino ma non pensavo ci fosse qualcosa di serio dietro.

«Posso chiederti perché ti hanno mandato da tuo zio? -la mia voce esce bassa- cioè, lui cosa può fare che loro non abbiano già fatto?»

Non vedo un senso a tutto ciò.

Davor fa un sorriso amaro «Il padre di Ermes è un poliziotto» dice ovvio ma io continuo a non capire, vedendo la mia espressione confusa continua «Hanno pensato che vivendo con lui avrei smesso di fare determinate cose.»

«E hai smesso?» chiedo di getto con la gola secca. Non so di cosa sta parlando, ma mi ritrovo a sperare che mi dica di sì.

Gli occhi di Davor vagano senza una meta ben precisa, e quando finalmente si puntano nei miei provo a leggerli ma è come se avessero un velo davanti che me lo impedisce.

«Ci sto provando» la sua voce è bassa e trema appena.

Non gli chiedo altro, non mi sento nella posizione di poterlo fare. Io che non gli ho mai parlato espressamente di quello che ho dentro, di mio padre, di quello che mi fa, di tutte le volte che ho desiderato che la mia vita finisse. Non ho il diritto di fargli domande.

Nessuno dei due dice nulla, entrambi ci concentriamo sulle nostre cioccolate calde e con i nostri pensieri che ci attanagliano la mente, che ci fanno impazzire e ci logorano dall'interno.

Il silenzio viene interrotte dopo minuti interminabili dalla voce di Davor che dice di andare, in silenzio, come un robot prendo la borsa e lo seguo all'esterno mentre il vento freddo mi sfiora la pelle e inizio a tremare come una foglia.

«Metti questo» la sua voce decisa mi costringe ad alzare lo sguardo verso lui, il braccio proteso verso me con il giubbotto di pelle tra le mani, gli occhi distratti e le guance leggermente arrossate, non so se sia per il freddo o per il gesto che ha appena fatto.

Decido di accettare la sua giacca e mi stringo in essa, il profumo di cannella invade le mie narici e l'immagine di me e Davor di ieri sera mentre ci sfioriamo le labbra mi si para davanti. La scaccio via scuotendo la testa e salgo in sella.

Quando arriviamo a casa mia vedo le luci accese e capisco che mio padre è qui, porgo la giacca a Davor e lo ringrazio.

«Non ringraziarmi» biascica appena.

Non so cosa dire, sento le labbra seccarsi e ci passo la lingua sopra per inumidirle, gli occhi di Davor si puntano su di esse e ripete il mio stesso gesto con sguardo strano. Ma poi sospira pesantemente e si passa una mano dietro al capo «Ci vediamo a scuola» vorrei fermarlo, non so neanche perché, ma non voglio tornare in casa da mio padre, preferisco stare con lui.

Ma ovviamente non lo faccio, «Ci vediamo a scuola» ripeto le sue stesse parole e mi dirigo in casa e quando vedo le solite bottiglie poste per terra vuote e il solito filmino in TV mi rendo conto che il mostro è ritornato.
È stato via qualche giorno in più, ma infine è tornato, perché lui torna sempre.

🤡🤡🤡

SCIAO!

Allora ho messo il clown, perché è quello che sono, non aggiorno da tantissimo. E vi chiedo scusa.

Comunque, in questo capitolo abbiamo scoperto qualcosina di Davor finalmente, in più Allyson forse sta iniziando a provare un minimo per lui.

Non so cosa dire, spero solo che il capitolo vi sia piaciuto e che continuate a leggere la mia storia nonostante ci metta una vita ogni volta a pubblicare.

Grazie di cuore a tutti coloro che sono ancora qui.

Instagram: iamsaravincenti

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