Capitolo 2 - Questa si chiama sfiga!

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Duncan

Mi sveglio all'improvviso, sudato e con la testa che fa un male cane.

Tasto nel letto per cercare il cellulare e alla fine lo ritrovo sotto al cuscino.

Ieri quella serata in discoteca è stata delirante. Ho fatto il coglione con una tipa che mi ha versato la birra in testa. Perfida stronza!

Avevo bevuto, certo, ma non tanto da essere completamente ubriaco. Ero brillo, e ricordo quasi tutto quello che è successo.

Mi alzo dal letto traballante e mi dirigo in cucina per mangiare qualcosa al volo e prendere un'aspirina.

Agguanto i biscotti di fibre dalla dispensa e afferro dal frigo la bottiglia di latte, controllando che non sia scaduto.

Mi accorgo solo in quel momento, però, che sono in ritardo per l'appuntamento con mio padre e la sua nuova compagna.

«Cazzo!» impreco, ficcandomi in bocca con voracità un paio di biscotti.

Lascio perdere il latte e corro in camera per prendere il necessario, poi volo al bagno per fare una doccia a velocità supersonica, sperando di non deludere l'unica persona che mi sia rimasta al mondo.

***

In auto, mentre guido verso Villa Jonson, ordino al sistema dell'auto di telefonare a Diego, il mio migliore amico.

Ho bisogno che mi ragguagli sulla nottata appena passata.

Non ho bevuto chissà quanto, solo che non sono sicuro di ricordare ogni cosa. Spero di non aver fatto danni!

«Ehilà, ubriacone! Passata la sbornia?» esordisce, prendendomi in giro.

«Ero solo brillo, Diego. Comunque... a parte lo scontro con quella stronza patentata ho fatto altri danni?» chiedo, guardando lo specchietto retrovisore per aggiustarmi i capelli.

Ride, mentre io controllo l'ora per sapere quanto manca all'arrivo.

«Beh, no. Ti sei solo beccato quella birra in testa e le risate di mezzo locale.

Ad ogni modo non puoi più comportanti come un ragazzino, Duncan. Sveglia, hai 30 anni. Cose così sono da liceale, o al massimo sono ammissibili ai tempi del college.

Mi è sembrato di rivedere tuo cugino Jeremy.»

Sorrido, scuotendo il capo e mordendomi il labbro.

Una volta mio zio Lewis lasciò a casa con me e Diego suo figlio, mio cugino Jeremy, che all'epoca aveva sedici anni.

Noi non eravamo così più grandi di lui. Insomma... non tanto da avere la testa sulle spalle. Lo facemmo ubriacare e lui si mise a correre fuori villa Jonson, importunando tutte le donne che passavano di lì, giovani e vecchie. Fu un vero spasso.

«Hai ragione, Diego, sono stato un vero coglione. Nemmeno me lo ricordo perché ho iniziato a bere» confesso, spremendo le meningi come alla ricerca di quel frammento nella mia mente.

Sento sospirare Diego vistosamente, il mio sguardo cambia, la sua voce si incupisce.

«È stato per via di tua madre, Duncan. Cioè... eri teso per questo incontro con la nuova compagna di tuo padre.

Ti sei messo a sproloquiare sul perché, in un anno e mezzo che stanno insieme, hai sempre accampato scuse per non conoscerla, rimandando l'inevitabile.

Temi che vedere tuo padre accanto a un'altra donna possa ferirti, nonostante siano passati secoli da quando tua madre è morta.»

Sospiro anch'io, forte, come se avessi trattenuto il fiato ad ogni sua parola.

Mia madre è morta che io avevo solo otto anni, una vita fa, in pratica. Mio padre si è preso cura di me, concentrandosi solo sulla mia vita e annullando, quasi, la sua.

Dopo tutti questi anni, ovviamente, sono contento che sia andato avanti, riprendendo a vivere e trovando qualcuno da amare, solo che... non lo so, ho paura che mi faccia strano. Che mi faccia male.

«Amico, ci sei?» chiede Diego e la sua voce risuona potente nell'abitacolo dell'auto.

«Ehm, sì, amico, sì. Ci sono. Ero solo sovrappensiero. Quello che ti ho detto, in effetti, è quello che penso, ma... devo gettare alle spalle tutte queste mie pippe mentali e concentrarmi solo sulla felicità di papà. Sono quasi arrivato a casa sua, per la cronaca. Stavo per fare tardi all'appuntamento. La sbornia non mi ha fatto svegliare.»

«Ne sono contento, davvero. Mi raccomando, sii forte e prova a pensare solo al futuro, d'ora in avanti, ok?»

«Sì, ok.»

«Ci sentiamo, Dun.»

«Ciao, Diego.»

La telefonata si interrompe e io sbuffo, provando a scrollarmi di dosso questa assurda tensione.

A momenti arriverò da mio padre, conoscerò la splendida donna di cui si è innamorato e ogni cosa andrà a posto. Esattamente come deve andare.

***

«Figliolo! Fatti abbracciare.» Le braccia di mio padre si spalancano d'istinto e io mi ci butto in mezzo, come quando ero un bambino.

Sono stato via per un viaggio di lavoro e non ci vediamo da un bel po', quindi papà mi tiene stretto di più e io resto tra le sue braccia, prendendomi il suo affetto.

«Allora, come stai?» chiede, facendomi entrare.

Ci eravamo fermati sulla soglia della porta, impazienti di riabbracciarci.

«Bene. Tu, invece?»

«Benissimo, figliolo. Non vedo l'ora di presentarti Amelia. Vieni.»

Mi fa strada lungo il corridoio e arriviamo nell'immenso open space che unisce l'enorme cucina e il salotto.

Molte cose sono cambiate, dalla carta dai parati, ai colori, all'arredamento.

In questa casa, in realtà, ci siamo trasferiti quando mamma è morta. Papà non voleva che ogni angolo della casa che condividevamo con lei ce la ricordasse. Eppure, mi sembra tutto diverso.

Il vecchio arredamento di questa villa mi faceva sentire a casa. Adesso sembra un posto che non riconosco.

«Abbiamo cambiato qualcosa» dice, forse notando che mi sto guardando attorno. «Ti piace?»

«Sì, molto» mento, con un sorriso tirato.

Attraverso il salone e giungo a un altro corridoio, quello che porta sul giardino.

I miei occhi vengono calamitati dalle foto appese alla parete, dove un tempo campeggiavano foto in cui eravamo io lui e mamma, o lui e la mamma. Adesso, invece, ci sono foto sue con questa nuova donna, e un paio dove siamo insieme in cui io sono cresciuto e mamma era già morta.

La visione di questo cambiamento mi provoca un tuffo al cuore, così distolgo subito lo sguardo per non darlo a vedere.

Papà si avvicina e mi mette una mano sulla spalla.

«Tutto a posto?» chiede e io sorrido, mentendo ancora.

«Sì, certo. Allora? Quando me la presenti questa fantastica donna?» dico con un sorrisetto marpione e divertito e gli do, scherzosamente, un pugno sulla spalla.

Papà ride, rispondendo al colpo, e lo vedo felice, felice come non lo vedevo da un pezzo.

«È di sopra» risponde, ricomponendosi. «È con sua figlia. Ricordi che ti raccontai che aveva una figlia che faceva la modella a Parigi?» dice, facendomi segno di ritornare di là.

Lo precedo e avanzo, mentre lui si rimette al mio fianco.

«Sì» mento ancora una volta. Non è che mi piacesse molto ascoltare i racconti su questa donna, quindi la gran parte delle cose non le ho sentite veramente.

«Beh, le ha fatto una mega sorpresa e si è presentata qui. È arrivata due sere fa. Ieri ha iniziato a sistemarsi e ci ha raccontato che continuerà a lavorare qui a Los Angeles. È tornata per stare vicino ad Amelia, e poi questa città dà tante belle opportunità per una ragazza che lavora nel suo campo.»

«Ottimo» dico, continuando ad osservare la casa.

«Tesoro, scendi, per favore? Mio figlio è arrivato» urla all'improvviso mio padre, facendomi sussultare.

«Eccomi, tesoro» risponde una voce di donna adulta.

Mi volto immediatamente, sistemandomi non troppo lontano dalle scale che separano la zona giorno dalla zona notte.

Quando sento dei passi farsi più vicino, il cuore un po' trema e sembra quasi mi manchi la salivazione.

Alla fine della scalinata, i miei occhi si posano su un'avvenente donna poco più giovane di mio padre. Ha i capelli scuri e lunghi e due occhi sorridenti ed espressivi.

«Tu devi essere Duncan. Tuo padre mi ha molto parlato di te.»

Mi allunga la mano e io la afferro per presentarmi, ma poi lei, con fare materno, mi tira a sé e mi abbraccia.

«Oh, vieni qui. Non vedevo l'ora di conoscerti.»

Mi sento rigido, in quella stretta. Non che ce l'abbia con lei. Non mi ha fatto niente, anzi, è una donna bellissima, sembra molto dolce e, da ciò che mi racconta mio padre, tiene tantissimo a lui. Non potrei esserle più grato per aver dato una seconda vita all'uomo grazie al quale sono al mondo, eppure... è tutto così strano.

Quando Amelia scioglie l'abbraccio, osservo meglio i suoi occhi, da vicino. Hanno uno strano colore che dal marrone si mischia al verde. Il suo volto è disteso, simpatico.

«Sei proprio un bel ragazzone. Liam aveva ragione» dice, guardando in direzione di papà.

Ridacchio, mentre lui si avvicina a noi.

«Che ti avevo detto? È la versione di me da giovane.»

«Anche meglio» ammicca lei, facendomi scoppiare a ridere.

«Perché non mi hai conosciuto quando avevo la sua età» fa mio padre, pavoneggiandosi, e io ripenso al fatto che quando aveva la mia età, io ero nato da poco e lui e la mamma erano una famiglia felice.

«Ma ti ho visto in foto, no? Dà retta a me, Duncan non solo ti rende giustizia, ma ti supera di gran lunga.»

Mi fa l'occhiolino, divertendosi a giocare con mio padre, e io sorrido ancora, ricambiando, in fondo, il modo carino con cui questa donna cerca di approcciarsi a me.

«Tua figlia?» chiede papà, stringendola per un fianco, e io mi rendo conto del modo speciale in cui la guarda.

«Oh, stava finendo di sistemare alcune cose. Ma adesso la chiamo» fa rivolta a me, con uno sguardo che sembra volersi scusare per non avermela ancora presentata.

Abbozzo un sorriso mentre lei, come aveva fatto prima mio padre, urla.

«Amore, puoi venire di sotto? Voglio presentarti una persona.»

«Arrivo!» strilla di rimando una voce femminile e aggraziata.

Ci spostiamo tutti di poco, perché ci eravamo piantati davanti alle scale, e quando sento dei passi scendere velocemente, preso dalla curiosità, allungo di poco il collo per vedere che volto avrà questa modella in erba di cui mi ha parlato mio padre.

Ma quando la ragazza scende e i nostri sguardi si incontrano è esattamente un...

BOOM!

Le nostre espressioni cambiano inevitabilmente. Io sono sorpreso e un po' scioccato, mentre lei sembra innervosita. Anzi, no... maledettamente arrabbiata.

Prima che possa dire nulla, la sua mano si allunga a cercare la mia.

«Belle Rosen» dice per presentarsi, ma i suoi occhi mi fulminano.

«Duncan Jonson.»

Mi stringe la mano con forza e io non riesco a smettere di guardarla.

Dio mio! Questa si chiama sfiga!

Quante probabilità c'erano che la ragazza che ieri, da ubriaco, ho abbordato in quel locale, fosse la figlia della donna che sta con mio padre?

Per di più il nostro primo incontro è finito malissimo, visto le cose che ci siamo detti, la birra che lei mi ha rovesciato in testa e tutto il caos creato in quel locale per colpa delle mie avances non proprio galanti.

«Belle è una modella, Duncan, sai?» fa sua madre, con una punta di orgoglio. «Ha vissuto per anni in Europa, in particolare a Parigi. Ma adesso è qui ed è tornata per restare. Vero, tesoro?»

«Sì, mamma» risponde lei, glaciale, continuando a incenerirmi con quei suoi occhi scuri ed espressivi.

Approfitto per guardarla più attentamente, o meglio per farle la radiografia che ieri, visto quanto avevo bevuto, non le ho fatto.

Ho visto solo un bel culo e sono partito a razzo. Sono un uomo, cazzo, che devo fare?

«Bene, ora che siamo tutti qui...»

Sua madre parla, mentre i nostri sguardi non si lasciano, si sostengono. Il suo ancora arrabbiato, il mio che finge interesse, come se la stessi studiando, quando, in realtà, l'unica cosa che mi importa davvero è osservare bene il suo corpicino da modella.

Eppure, ora che ce l'ho di fronte, nonostante immagino abbia un corpo mozzafiato, non riesco a distaccarmi dal suo viso.

Ha i capelli scuri, leggermente mossi, con una frangetta che le incornicia perfettamente il viso.

Le labbra sono carnose, piene, di una forma da ammattirci per quanto sono belle, rosee, fatte per essere baciate.

Wooo, frena, campione, è la figlia della compagnia di tuo padre, e ti odia a morte. È off limits per te.

Continuo a esplorare questa donna, scendendo lentamente con lo sguardo sul suo corpo. Indossa un top color caramello che riempie quanto basta col suo piccolo seno e degli shorts marroni. Ha le gambe lunghe e affusolate. Bellissime.

«Allora, che ne dite?»

Sua madre conclude il discorso (di cui, per la cronaca, non ho ascoltato mezza parola) con un battito di mani.
Sposto lo sguardo verso di lei e le sorrido come un'ebete, sperando che qualcuno venga in mio soccorso perché non saprei rispondere alla sua domanda.

«Sì, mamma, va più che bene. Duncan, andiamo!» fa Belle, chiamandomi con uno schiocco di dita, come fossi un cagnolino.

«Eh?» domando, spaesato.

«Mamma proponeva, mentre lei e tuo padre si occupano del pranzo, di farti fare un giro della casa con la guida della sottoscritta. Visto che l'hanno arredata nuovamente e cambiato qualcosa...»

«Oh, sì, sì, certo.»

«Andiamo, allora?»

«Ti seguo.»

Sorrido forzatamente sia a mio padre che a sua madre e le vado dietro, preparandomi all'impossibile.

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