Capitolo 3 - Mister Maniaco

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Belle

Mi allontano per portarlo fuori, nella casetta dove sono gli attrezzi, lontano da occhi e orecchie indiscrete.

Non posso credere che sia lui! Non posso credere che sia qui. Non riesco a capacitarmi del fatto che il coglione che ieri ci ha provato con me in quella discoteca è il figlio dell'uomo con cui sta mia madre.

Ormai, per quanto non mi faccia piacere, in qualche modo, con Liam, siamo diventati una famiglia. Il che fa di questo imbecille il mio fratellastro, il che mi fa pensare che sarò costretta a vederlo spesso. Tipo ai pranzi domenicali, o alle feste comandate.

Dio, si può essere più sfortunate di così?

Lo lascio entrare e chiudo la porta, riprendendo a camminare per oltrepassarlo, con il fare di chi è sicuro di sé perché sa il fatto suo, muovendomi come se fossi la padrona, in questa casa.

«Ma guarda un po' chi si rivede! Ciao, Mister Maniaco.»

«Mister Maniaco?»

Il suo volto è perplesso, le sue mani sono appoggiate ai fianchi.

«Mi hai toccato il culo!» gli rammento, arrabbiata, cercando di non urlare troppo.

«Ero ubriaco. E comunque avevo le mani sui tuoi fianchi, non sul culo. Volevo soltanto ballare!» si difende, con scarsi risultati.

«Sì, come no. Dì piuttosto che volevi rimorchiarmi con quei modi da troglodita tipici di voi uomini» ringhio sul suo viso, avvicinandomi un po' troppo a lui.

«Dio, quanto sei esagerata!» esclama, portandosi una mano in testa, come a toccarsi i capelli. «Ma ti ascolti? Scrollati di dosso tutta questa acidità, bella.»

«Bella?» ripeto, totalmente incredula.

È in torto marcio e risponde pure, il signorino! Invece di chiedere scusa. Puah, tutti uguali questi uomini!

«Senti, non ho voglia di stare qui a litigare con te, chiaro? E, comunque, se proprio vogliamo dirlo, quello incazzato, qui, dovrei essere io. Mi hai fatto la doccia con quella dannata birra» mi ricorda e io sorrido.

«Beh, mi è sembrato il minimo. Non lamentarti, sarebbe potuta andarti molto peggio!»

«Davvero? E come, sentiamo» rilancia, provocandomi fino all'inverosimile.

Mi avvicino ancora di più, minacciosa.

I nostri volti sono vicini. Troppo, vicini.

«Avrei potuto castrarti, carino. Ah, no, giusto, che sciocca!» vado avanti, teatrale «Non puoi togliere a qualcuno qualcosa che non ha, no?»

Il suo volto cambia, i suoi occhi diventano rosso fuoco,

Stavolta è lui a fare un passo, parlandomi a distanza troppo ravvicinata.

«Mi stai dando del senza palle?»

«Perché le hai?» fingo di chiedere, prendendolo in giro, e approfittandone per mettere distanza tra noi. «Un uomo con le palle ci avrebbe provato con me in maniera galante, non come hai fatto tu.»

«Ti ho già detto che ero ubriaco. Cristo, sei veramente insopportabile!» impreca, allargando le braccia. «Senti che cosa vuoi per smetterla con questa storia, eh? Vuoi le mie scuse? È questo che vuoi?

Beh, scusa, miss Ce l'ho solo io» va avanti, mentre io sgrano gli occhi, «non volevo offenderti coi miei modi da troglodita» conclude, rimarcando l'ultima parola, scimmiottando il modo in cui l'ho pronunciata io, poco fa.

Mi incazzo di nuovo, stavolta seriamente.

Mi avvicino ancora, puntandogli un dito contro.

«Senti un po', rosso dei miei stivali...»

«Ma sì, vai avanti, continua. Hai altri complimenti, per caso?»

«È il colore dei tuoi capelli, idiota, non è mica un'offesa!»

«È il modo in cui lo dici, carina» ripete, scimmiottando di nuovo la mia voce.

Sbuffo, alzando gli occhi al cielo.

«Senti, chiudiamola qui, ok? Fingo che le tue scuse siano sentite e le accetto, va bene? Ignoriamoci e vedrai che questo pranzo passerà in fretta.»

Faccio per sorpassarlo e andare via, ma lui mi blocca, afferrandomi per il polso.

«Eh no, bella, non te la caverai così» dice, spingendomi per farmi ritornare dov'ero.

«Mi hai fatto passare per un pervertito, hai fatto una scenata da pazza, nemmeno ti avessi molestata. Mi hai versato la birra in testa, chiamato Pippi Calzelunghe a mo' di presa in giro e, non contenta, quando per caso, e con mio grande dispiacere, ci rincontriamo, fai tutto questo casino?

No, cara, adesso voglio io delle scuse.»

«Prego?»

«Hai sentito bene!» insiste il bifolco.

«Te lo puoi scordare, carino» ripeto ancora, provando ad imitare il suo tono di voce che ha sforzato per imitare me.

Dio, ma perché voglio battibeccare con questo ragazzo? Perché non la chiudo qui?

Provo a passare, ma mi blocca di nuovo.

«Non esci da qui finché non avrò sentito la parola scusa.»

Mi tiene forte e sembra intenzionato a non lasciarmi andare.

«Spero tu stia scherzando!»

«Mi vedi ridere?» ribatte lui, con aria serissima.

Rimaniamo a fissarci per qualche istante di troppo e, nonostante la rabbia, non posso fare a meno di soffermarmi sui suoi lineamenti.

Sono delicati, ma non come fosse un ragazzino. Ha l'aria da uomo molto incazzato, in questo momento, in realtà.

Porta la barba, anche se non troppo lunga. La tiene curata, così come i capelli, che gli scendono corti a incorniciargli il viso.

I suoi occhi sono di un colore che non riesco a decifrare. Sembrano verdi, ma dentro hanno delle pagliuzze, delle piccole scaglie di colore che sembrano andare nel caramello.

Le labbra sono sottili, ma al punto giusto. Anche se è difficile decifrarne la pienezza, visto che sono chiuse in una smorfia nervosa.

È alto, ben piazzato, muscoloso, ma non esageratamente.

Ha un buon profumo.

Cavolo, ho un debole per il buon profumo!

«Sto ancora aspettando» dice, riportandomi sul pianeta Terra.

Scuoto di poco il capo, come a volermi ridestare dai miei voli pindarici e, per sganciarmi da questa situazione, mi arrendo.

«D'accordo, scusa!»

Mi molla all'istante, mentre io fingo di massaggiarmi il polso.

«Bene» fa, con aria soddisfatta.

«Nonostante quello che c'è tra mia madre e tuo padre, non credere che io abbia piacere a stare in tua compagnia» dico, fulminandolo con lo sguardo.

«Tranquilla, per me vale lo stesso. Tutto, per filo e per segno.»

«Bene. Allora sopporteremo questo pranzo in silenzio, e dopo ci accorderemo per non incontrarci mai, se non in rare occasioni da cui è impossibile sganciarci tipo... non so, feste o compleanni.

Per il resto, quando ci sarai tu non verrò io e, viceversa, quando verrò io non ci sarai tu.»

«Ottimo. Mi sembra la soluzione più ragionevole» concorda, annuendo, nonostante abbia ancora il viso contrito.

«Fantastico! Almeno su una cosa siamo d'accordo» concludo e lui mi guarda nuovamente, continuando a fulminarmi.

«Oh, e nessuno dei due deve sapere che già ci conosciamo. Non vorrei dover raccontare il modo in cui è avvenuto il nostro primo incontro» dico antipatica, mentre lui sbuffa, scuotendo il capo.

«No, tranquilla, non ho alcuna intenzione di rivangare quel momento. Per mio padre e tua madre ci siamo conosciuti qui, per la prima volta.»

«Bene!»

«Perfetto!» risponde, con l'aria di chi vuole sempre avere l'ultima parola.

Rimaniamo a fissarci un istante di troppo, finché non distolgo lo sguardo.

«Io adesso vado. Se mi chiedono di te, dirò che sei rimasto in giardino» gli rendo noto e lui annuisce.

«Sì, va bene.»

Mi avvicino un'ultima volta, provocatoria.

«Spero che questo pranzo sia una delle rare occasioni in cui dovrò vedere la tua brutta faccia.»

Lui scoppia a ridere, scuotendo il capo con aria nervosa.

«Brutta faccia? Davvero. Non sembrava, prima, mentre aspettavo le tue scuse ma tu eri troppo impegnata a squadrarmi.»

Ma che ca...

«Chi avrebbe squadrato chi, scusa? Vogliamo parlare della radiografia che mi hai fatto di là, mentre ci presentavano?» gli rinfaccio.

Ho notato il modo in cui mi ha guardata. Come si è soffermato sul mio viso, prima, per poi scendere a guardarmi il corpo.

Maniaco del cazzo!

«Stavo solo studiando il mio nemico, per tua informazione. E comunque non montarti la testa, non sei nemmeno il mio tipo» minimizza, comportandosi come un ragazzino.

«Ah no? E come me lo spieghi, ieri, in discoteca?»

«Ero ubriaco, carina, te l'ho già detto. Quando bevo perdo la lucidità, ecco perché mi sono avvicinato a te. Te, un'altra, sarebbe stato lo stesso.»

«Ma certo, adesso diamo la colpa all'alcol. Dio, quanto mi fai pena!»

«Sì, fa' pure, continua a offendere.»

«Tranquillo, il tuo modo di fare ti offende da solo.

Ci vediamo dopo, purtroppo, Pippi Calzelunghe.»

Faccio per voltarmi e andare via, ma la sua voce mi raggiunge.

«A dopo, miss Ce l'ho solo io.»

Lo fulmino ancora, ma finalmente per l'ultima volta.

Non ne posso più, questo gioco mi ha stancato!

Vado via sbattendo forte la porta e provo a respirare.

Dio! Ci siamo comportati proprio come due ragazzini.

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