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N E B E L

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LEBEN
di Sonne Rothberger

Epilog



[...] La neve è alta. Non nevicava così da almeno dieci anni. L'ultima volta che Brema ha visto una neve simile era ancora Repubblica Federale.

Adesso la terra è la stessa, ma il cielo no. Non saprei dire in che misura. Ho quasi temuto, stanotte, mentre cercavo di addormentarmi, che si aprisse una voragine sopra di noi da cui sarebbero piovute bestie da un altro mondo.

Sta per succedere qualcosa di epocale. O è già successo, se è epocale riunire una nazione. Vorrei che qualcuno mi desse un segno per farmi capire che d'ora in avanti le cose andranno meglio. Riconosco che a volte ho dei desideri puerili, ma chi non ha bisogno di rassicurazione, in tempi come questi? La madrepatria ha sempre una doppia faccia.

Siamo un popolo diffidente, eppure la gente oggi festeggia per le strade. Il primo anno di socialismo. I ragazzi cantano in un misto di tedesco e russo l'abbattimento dei muri, con la neve sui cappotti. Contro le banche. Contro la guerra. Di materiale per la scrittura ne avrò per decenni, e di questo sono grato: la vita non è mai stata un serbatoio tanto interessante.

Pago in panetteria del pane fresco con le monete nuove di zecca. La donna dietro il bancone mi saluta chiamandomi per nome. «Buona giornata, signor Rothberger.» Sembra di conoscersi tutti, come nel mio quartiere a Dresda quando ero bambino, dove l'unità era la comunità e non l'individuo. Se mia madre fosse qui, avrebbe amato tutto questo.

Io, nella mia eterna soglia, faccio ancora un po' fatica.

È arduo, cedersi all'altro in questo modo.

Che fare?

Mi ritirerò ancora nel mio appartamento, per avere un po' di protezione da queste costanti trasformazioni. Se la Storia mi bussa alla porta, allora le aprirò. Sarà inevitabile, a un certo punto. 

Vago senza una meta, coprendomi ancor di più con la sciarpa anche se sta spuntando il sole. Tra una mezz'ora al massimo tornerò a casa e pranzerò. Giusto il tempo di cercare qualche altra suggestione per il nuovo romanzo, in mezzo a questa neve, come se dovessi raccoglierne grano.

Nel parco di Wallanlagen hanno installato una pista di pattinaggio. Non ho mai visto le panchine così gremite. I bambini non sono mai sembrati così contenti di venire a giocare qui. È festa anche per le scuole. Nessuno lavora – è dovuta a questo, la felicità? Uno dei pochi chioschi aperti serve Pretzel caldi a una fila di adulti e ragazzini.

Eppure ad assorbire la mia attenzione è, d'improvviso, una risata.

Mi guardo intorno, cerco di capire da chi proviene. Tendo meglio le orecchie: è una risata doppia, chiara, quasi indecorosa. Appartiene a due persone che si stanno avvicinando sul sentiero, un ragazzo e una ragazza. Lei ha reclinato la testa all'indietro dall'ilarità, mentre tiene le mani in tasca. Lui le passa un braccio intorno alle spalle e con la mano libera si porta una sigaretta alla bocca. Mi domando chi abbia fatto ridere l'altro per primo, o cosa li abbia divertiti così tanto.

Li vedo, sono sempre più vicini. Incuranti del gelo, passeggiano sereni come tutti gli altri per rubarsi un po' di questa giornata. Hanno statura simile, i sorrisi larghi, soprattutto lui, una luce senza eguali nei volti. Non riesco a distogliere lo sguardo, come se qualcuno li stesse illuminando per indicarmeli.

Non hanno l'aria di essere del posto. Ma hanno l'aria delle persone che dovrebbero vivere esattamente in questo paese.

Non mi era mai capitato di pensarlo. Adesso mi supereranno, mi daranno le spalle e non li vedrò mai più. Già provo un'assurda nostalgia all'idea. Così, prendo degli appunti con la mente per non perdere il minimo dettaglio. C'è qualcosa, in loro, che eccede la normalità ed emana una vertiginosa bellezza.

Loro si fermano, sotto rami da cui pendono infiorescenze di neve.

Di fronte a me.

Si sono accorti che li stavo osservando, e ora mi osservano di rimando, incuriositi e con una velata espressione interrogativa.

Non riesco a muovermi. Rimango bloccato in queste sabbie mobili candide, dinanzi al loro giudizio. Mi ci abbandono: potrebbero dirmi qualsiasi cosa e la accetterei. Aspetto che mi parlino o che se ne vadano. I nostri sguardi si incrociano. Lui ha gli occhi azzurri di una creatura celestiale e lei d'un castano-verde che ricorda le foreste fitte del sud. Aspetto.

È questo, il segno?



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