VI. Spinnen

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N E B E L

VI.

Spinnen



Un ragno.

Un maledetto ragno in bilico nell'angolo tra la parete e il soffitto gli faceva compagnia da giorni. Era di piccole dimensioni, ma anche se stava steso sul letto Richard riusciva a distinguere perfettamente le sue otto zampe sottili. A volte spariva, allora lui si guardava intorno per cercare di capire dove fosse andato. Guardava anche sotto il letto, sotto la scrivania, dietro le tende, ma non riusciva mai a trovarlo. La ragnatela attendeva il suo ritorno e Richard con lei.

Prima o poi avrebbe dovuto ammazzarlo.

Tutto sommato gli stava simpatico, ma non sopportava le sue sparizioni, il fatto che avesse la capacità di essere dappertutto e da nessuna parte e di ricomparire dopo a proprio piacimento. Quel ragno aveva una strana influenza su di lui. Forse perché le cose che non si vedono preoccupano più di quelle visibili.

Richard si poggiò l'avambraccio sugli occhi e solo così smise di guardarlo. La musicassetta di Led Zeppelin III era ormai finita, ma lui ci aveva fatto caso a stento e non si era tolto le cuffie. Neanche la musica riusciva a condurre i suoi pensieri lontano da Verena. Dopo più di tre giorni dal loro litigio era ancora turbato e cercava di uscire dalla propria stanza il meno possibile pur di non incontrarla.

Stava rinunciando anche a bere il latte. Nella sua testa suonava come una sorta di dispetto. Anche se di tanto in tanto piombava una voglia spropositata, che gli faceva prudere le mani.

(Ma era stato bravo, aveva resistito alla tentazione ogni volta che si era presentata).

Era difficile starsene buono in stanza tutto il tempo. Di solito associava il luogo del letto a due singole azioni, dormire e scopare, ma in quel preciso letto non aveva mai portato a termine nulla, se non si contavano le poche volte in cui era riuscito ad assopirsi o a farsi una sega, con l'unica compagnia del ragnetto. Perciò l'avversione per i letti si era triplicata. In quei giorni l'unico compito del suo era – in teoria – assorbire la rabbia.

Non era sicuro che stesse funzionando. Richard se ne stava lì a pensare a Verena e basta.

Avrebbe dovuto arrendersi e uscire da quel guscio di risentimento, prima o poi, anche perché il suo corpo iniziava a ribellarsi. Non era fatto per essere forzato all'immobilità, non con i vari tic nervosi che ne conseguivano. Tra tutti, quello di grattarsi parti del corpo casuali, talvolta lasciandosi dei segni rossi che sparivano dopo qualche ora. Lo faceva senza neanche rendersene conto, come se le mani non gli appartenessero.

Proprio allora si grattò nella piega di un ginocchio. Poi decise di alzarsi. Se c'era una cosa che poteva fare senza imbattersi in Verena era andare in giro per la città. Sgranchirsi le gambe, respirare.

Farmi assumere da qualcuno magari, aggiunse tra sé. Come cazzo lo pago il prossimo affitto altrimenti?

E il pensiero che più lo pressava: non posso deludere anche lui, gli ho promesso che poteva fidarsi.

Guardò fuori dalla finestra per capire come vestirsi, in base al clima. Era un pomeriggio nuvoloso e ventilato, l'ennesimo.

Richard sbuffò. Mille giorni di nuvole e nemmeno uno di sole.




Rimise piede in casa verso le sei del pomeriggio. Ciondolò fino al palazzo – un solo appartamento per piano, e non aveva ancora capito chi ci abitasse negli altri due – così come aveva fatto per tutta la strada del ritorno, distratto e anche un po' gongolante, con una sigaretta tra le labbra. Era persino finito più volte sulla zona ciclabile del marciapiede senza accorgersene, rischiando di essere investito.

Doveva aver avuto un'allucinazione a causa dell'insonnia, si stava ripetendo.

Era andato a parlare con quelli del Musikant e gli avevano concesso una possibilità. Una prova di una settimana. E uno stipendio discreto, se le cose fossero andate in porto.

Un miracolo.

Richard si sottovalutava a tal punto che in un primo istante non aveva creduto alle proprie orecchie. Aveva cercato così tanto da aver perso le speranze. Da pensare che il problema fosse lui.

Il cameriere in un pub non era di certo il lavoro dei suoi sogni; tuttavia, complice l'ambiente underground, sembrava tutto sommato un buon punto di partenza.

Proprio come aveva detto lei.

Magari avrebbe conosciuto gente nuova e anche qualche musicista che gli avrebbe finalmente insegnato a suonare la chitarra.

Era stato travolto da un'onda di positività. Uscire dal guscio era stata una buona idea, la rabbia si era smussata in curve più morbide.

Ma non era scomparsa, non del tutto.

Richard aprì la porta dell'appartamento e trovò Verena lì in salotto, sul divano. Lei voltò di scatto la testa verso di lui, come se avesse percepito una minaccia. O come se stesse attendendo il suo ritorno.

Gli sorrise.

Era anche quella un'allucinazione? Una scena con una venatura irreale, in effetti, una patina di luce che la accarezzava in modo strano, nei punti che più gli piacevano del suo volto. Verena aveva trovato l'angolatura perfetta per chiedergli perdono, e solo con un sorriso.

«Dove sei andato?»

Richard sbatté le palpebre. Che c'è, all'improvviso mi parli? Credi davvero che possa finire così? Avrebbe voluto ripagarla con la stessa moneta, il silenzio in cui l'aveva costretto per tre giorni. Il silenzio che era anche il gioco preferito di Sonne. Ma riuscì a restare zitto solo per un attimo – un'esitazione che lei, comunque, notò. «Ti interessa?»

«Un po' sì, lo ammetto» disse candidamente. «Ti stavo aspettando per preparare la cena.»

Lui inarcò le sopracciglia. «Wow. Dal nulla ti è passata l'incazzatura?»

La piega delle sue labbra si fece più amara. «Purtroppo non riesco a non perdonare, dopo un po'. Sono fatta così... non sai quante volte ho perdonato i miei fratelli.»

«Tu perdoni me, quindi?» fece Richard con un verso beffardo.

«Sei tu ad avermi insultata, o sbaglio?»

«Beh, tu hai fatto l'ingrata.»

Lei appoggiò un braccio alla spalliera del divano e lo guardò dritto negli occhi. Richard si sentì intimidito dalla sua determinazione. Che lui lo volesse o no, Verena aveva deciso che potevano ricominciare a parlare. Era un potere a cui lui non poteva sfuggire, mentre su Sonne non sortiva alcun effetto. Si rese conto di essere quello con la volontà più debole, in casa, schiacciato dalle voluminose individualità degli altri due inquilini. Non era abbastanza forte per contrastarli, e neanche per definire dei confini intorno a sé oltre i quali non potessero scalfirlo. Fu un pensiero deprimente.

«Mi dispiace, Richard. Spero che sia questo ciò che vuoi sentirti dire» gli disse Verena. «A te dispiace?»

Erano le scuse più assurde che avesse mai sentito. Ma erano anche un tentativo di avvicinamento: loro due, in un modo o in un altro, si avvicinavano e respingevano ad alternanza. Diventava uno schema sempre più chiaro. Adesso Verena voleva attirarlo di nuovo verso di sé, con una rinnovata forza di gravità, dopo averlo spinto alla deriva nell'iperspazio. Prima vicinissimi, straordinariamente in empatia, e poi distanti come estranei. E poi, da capo? Come potevano passare da un estremo all'altro se non con montagne russe e manovre spericolate? Gli sarebbe venuta la nausea a furia di girare intorno a lei, o di veder lei girare intorno a lui.

Era tentato di chiederle di smetterla. Aveva già vorticato troppo, non solo in quei giorni, ma nella sua vita in generale. Alti e bassi, bianchi e neri, senza alcuna stabilità.

Era meglio per lui respingerla ancora, definitivamente. La sua vita sarebbe stata soltanto messa ancora di più a soqquadro da una persona tanto lunatica.

«Verena... io non ti conosco» disse.

Lei appoggiò una guancia sul palmo della mano. «Non è una risposta alla mia domanda.»

«Non credo di potertene dare una.»

«Come vuoi» fece lei roteando gli occhi.

Richard non aggiunse altro. Lasciò la giacca di pelle sull'attaccapanni e dopodiché si rintanò nuovamente in stanza. Ancora lì, ancora imprigionato, autosegregato. Guardò in alto, verso l'angolo della parete che ormai conosceva molto bene, e vide che il ragno era sparito.




Altre due, tre, quattro musicassette. L'ultima, Master of Puppets dei Metallica, aveva il nastro così consumato da essere quasi inascoltabile. Come crawling faster- faster- faster... Sul letto Richard fingeva di reggere una chitarra elettrica e di strimpellarla a ritmo con i brani, imitando gli assoli dei vari Angus Young, Kirk Hammett, Dave Murray. Ormai li conosceva a memoria.

Fu una distrazione momentanea, che gli infuse una grande dose di adrenalina.

Ma verso le nove un brontolio dello stomaco lo costrinse a evadere di nuovo dalla stanza. Verena doveva essersi chiusa in camera sua, perché non la incontrò. In compenso, in cucina trovò Sonne che finiva il suo piatto di tonno in scatola e insalata mista. Era seduto a capotavola a una tavola vuota, apparecchiata per uno. Masticava lentamente, accompagnando il cibo con una fetta di pane.

«Ceni più tardi, oggi?» gli chiese distrattamente, mentre apriva il frigo.

«Prima stavo lavorando.»

«Ottimo. Ah, a proposito, forse mi prendono a lavorare in un pub qui vicino.»

Sonne non si scompose, ma gli disse lo stesso: «Mi fa piacere.» Richard percepì un fondo di sincerità nella sua voce.

Prese un hamburger dalle sue scorte e si avvicinò alla dispensa cercando la piastra per arrostire. Almeno poteva distrarsi un altro po' parlando con il proprietario di casa. Anche se era difficile, parlare con lui, una sfida continua. «Se ci vieni qualche volta ti servo io. Prometto che non sputerò nel piatto.» Trovò la piastra tra le padelle. «Fanno un sacco di roba buona, anche una birra artigianale, e i prezzi non sono esagerati rispetto ad altri locali in zona. C'è solo un po' di casino per via della musica... e sì, lo so che sei fan del silenzio, però potresti-»

«Richard» lo interruppe lui. «Sono le nove e dieci.»

Richard rimase con la mano intorno al manico della piastra e ci mise un paio di secondi a capire dove fosse il problema. Poi si ricordò. «Senti... ho fatto tardi. Non puoi riaccendere un attimo il gas?»

«No.»

«Sei serio? Mi fai rimanere a digiuno solo perché ho sforato un po' con l'orario?»

Solo perché hai paura di una stupida fiamma?, avrebbe voluto aggiungere, forte di quell'informazione ottenuta da così poco tempo e di cui in fondo già sospettava, ma si trattenne. Non poteva dirlo. Non poteva permettersi, sapendo cosa era successo. Però la sua codardia lo faceva incazzare, anche se era legittima. Richard almeno aveva avuto coraggio dopo l'incidente. Non è che ora avesse paura di cucinare o accendere due candele.

Sonne smise per un attimo di mangiare e lo fissò. «Sei stato in camera fino ad adesso. Lo sai dal primo giorno che c'è questa regola.»

«Me ne sono dimenticato, ok?»

«Puoi sempre ordinare qualcosa a domicilio.»

Richard abbandonò di nuovo la piastra nel mobile, stizzito. «Lascia perdere. Buon appetito.»

Ed ecco che spuntava una nuova rabbia da aggiungere alla rabbia, un sentimento gelido a cui non sapeva mai come reagire. Andò in salotto, si lasciò cadere sul divano senza avere ben chiaro cosa fare e iniziò a muovere freneticamente una gamba su e giù, mentre con una mano si torturava l'orecchino al lobo destro. Si domandò se Verena e Sonne intendessero farlo impazzire.

Per la prima volta in un mese pensò di mandarli a farsi fottere e cercarsi un altro appartamento. Non era avvinghiato a nessuna ragnatela, era ancora in tempo per fuggire.

Fuggire era esattamente ciò che faceva da più di tre anni: poteva considerarsi un esperto in materia. Brema sarebbe stata solo una delle tante tappe. C'era ancora il sud della Germania da esplorare, e tutto il resto dell'Europa...

Poco importava che lì stava cominciando a sentirsi a casa – e nemmeno capiva il perché.

Ad acuire il suo disagio ci pensò Verena. In quel momento apparve in salotto, in pigiama, e si fermò accanto al divano.

Verena. Lei che aveva fatto espandere e riverberare il suo senso di appartenenza a quell'appartamento. Grazie a lei, o per colpa sua, tutto era cominciato a sembrare più giusto, più bello, più elettrizzante. Era autorizzato a maledirla.

Si sforzò di ignorarla, e come punizione il cuore prese a battergli più velocemente nel petto.

Era lì, a pochi passi da lui. Lo guardava. Non ricambiare il suo sguardo gli provocò una curiosa fitta pungente dietro le cornee. Ma resistette, puntando gli occhi sul televisore spento.

Poi, improvvisamente, Verena gli fu addosso. Salì a cavalcioni su di lui e gli piantò le braccia ai lati del collo per bloccarlo.

«Dài, Richard, basta tenere il broncio.»

«Ma che diavolo fai?» protestò, provando a divincolarsi. «Spostati!»

Lei rise, di una deliziosa risata cristallina. «Giuro che non mi muovo da qui finché non facciamo pace.»

Richard non aveva vie di fuga. Avrebbe dovuto spintonarla o farla cadere a terra per alzarsi. Si dimenò ancora, un altro paio di tentativi, ma lei strinse ancora di più le gambe alle sue. Percepì chiaramente lo sfregare dei loro pantaloni e solo allora realizzò quanto fosse caldo il corpo di Verena. Solo allora cedette e la guardò in faccia.

Il suo volto era così vicino che poté scoprire nuovi dettagli. Nei suoi occhi, un principio violento di vita – una brama di nascere, di nutrirsi, di godere della propria esistenza. I capelli le pendevano sulle guance e sfioravano il suo petto. L'aveva catturato così, come una tarantola, aggrovigliandosi a lui con tutte le zampe. Qualcosa gli suggeriva che adesso gli avrebbe staccato la testa a morsi. L'istinto non mentiva: in lei dimorava un'oscurità primordiale. Né buona né cattiva, soltanto imperscrutabile.

«Sei arrabbiato perché non ho cucinato i Maultaschen anche per te?» lo schernì giocosamente, premendo ancora di più le mani sulla spalliera del divano. «Giuro che la prossima volta li preparo io. Sono molto più buoni fatti in casa.»

Richard incrociò le braccia e distolse lo sguardo. «Perché non vai a farli ora, così la smetti di rompere le palle a me?»

«Che caratterino, mamma mia. Più fai così, più non me ne vado» ribatté lei. Allungò sinuosamente il collo verso di lui per incontrare di nuovo i suoi occhi, e nel movimento altri capelli le precipitarono sul seno. «E poi davvero ti sto rompendo le palle?»

«Stai limitando la mia libertà personale.»

Verena ridacchiò. «Poverino. Ah, e comunque dovrei essere io quella arrabbiata. Dovevi essere tu il mio medico e invece è stato Sonne a curarmi il taglio. Presenterò una lettera di lamentela.»

Richard provò ancora una volta a divincolarsi, quantomeno per sottrarsi al suo sguardo, al suo viso pieno di malizia. «L'amorevole Sonne, quello che ti avrebbe cacciato di casa se non fosse stato per quel coglione dell'altro inquilino!»

«Perché, ora vuoi per caso che vada via? Non vuoi vedermi mai più?»

Lo stava mettendo alle strette, con quelle provocazioni. Non riusciva neanche a dire di sì, a dirle vattene a fanculo e sparisci dalla mia vita, perché il suo corpo, il suo corpo agile e rovente, lo distraeva. Il punto in cui i loro bacini si incontravano, su tutto. Punto di focalizzazione e di origine. Gli faceva desiderare, contro ogni previsione, di stringerla ancora di più a sé, con una pressione aggressiva, fino a che non fossero collassati l'uno sull'altra privi di forze.

Richard girò la testa ancora un po' a destra, nonostante sapesse che era impossibile sfuggirle. Verena lo stava sovrastando, era diventata lo spazio intorno a lui, una bolla delimitata dalle sue braccia che sbarravano il passaggio. Adesso, con il volto distante, il collo era proprio a portata della sua bocca, più esposto che mai. Forse l'avrebbe azzannato.

La visuale la attirò subito. Lì, su quella porzione di pelle tesa, dove scorre il sangue nella giugulare, Verena gli posò un bacio.

Richard sentì un brivido colargli lungo le membra.

Verena alzò la testa per vedere la sua reazione, con un nuovo mezzo sorriso. «Ne vuoi un altro?»

Lui tornò a guardarla negli occhi, animato da una certa disperazione. Sì. No. Lei non attese la sua risposta. Si abbassò di nuovo sul suo collo e lasciò una scia di baci lenti e morbidi dalla cavità della clavicola fino alla mandibola, nel punto in cui si lega al lobo dell'orecchio. Tra le sue labbra finì anche l'orecchino. Sulla pelle di Richard, un sottilissimo velo di saliva, dov'era stato accarezzato con la punta della lingua.

Dopo quell'assaggio d'estasi, Richard si arrese. Le afferrò la nuca con una mano e premette le labbra di Verena contro le proprie.

Non seppe descrivere la sensazione che sopraggiunse. Nel momento esatto in cui quel contatto si compì, qualcosa gli si spaccò nel ventre. Non aveva a che fare con l'adrenalina, e nemmeno con l'elettricità che lo caratterizzava. Fu più come un risveglio, un flusso di eccitazione fuoriuscito da quella spaccatura dapprima assente.

Non aveva provato nulla del genere neanche la prima volta che aveva baciato qualcuno.

Verena risucchiò la sua rabbia e riversò in lui la libidine, la fame, l'oscurità e tutto ciò che faceva intimamente parte di lei.

Una parte di Richard ne fu spaventata.

Quella più frenetica e impaziente, invece, le strinse i capelli e le fece piegare leggermente la testa per baciarla meglio, scontrandosi con la sua lingua.

Divenne presto una questione di urgenza. Le mani arrancarono a cercare i corpi, i bacini sfregarono come pietre focaie. In verità, la tarantola erano loro due insieme. Otto arti, bocche fameliche. Richard infilò un braccio sotto la sua maglia di flanella per esplorare la sua pelle, Verena liberò un ansito. Le sfiorò un seno, nudo sotto il tessuto, mentre con l'altra mano le strinse il culo, senza smettere di baciarla. Era più soffice di quello che sembrava, ma anche elastica, tutta fasci di muscoli e forme longilinee. In un angolo del suo cervello, Richard stava ringraziando la risma di dei in cui non credeva per avergli dato la possibilità di vivere quel momento.

La foga gli fece venire un'erezione quasi dolorosa.

Gli venne una strana voglia di vedersi all'esterno, di vedere come i loro due corpi si stessero incastrando l'uno sull'altro. Dovevano sembrare belli. Giovani, dissoluti e scattanti.

Guardò per un istante oltre le spalle di Verena e si accorse di essere effettivamente osservato.

Si staccò di colpo da lei. Sonne era lì, sotto l'arco della cucina, da chissà quanto tempo. Li stava scrutando con un'espressione glaciale – in parte, solo in minima parte, incuriosita.

«Ma che fai, guardi?» proruppe Richard, con un tono di voce un po' troppo alto e adirato.

Verena ricadde seduta accanto a lui, sciogliendolo dalla trappola che gli aveva teso, ma non disse nulla.

E nemmeno Sonne. Riservò un'ultima occhiata affilata a lei e poi passò loro davanti per raggiungere la propria stanza. Li superò e si chiuse ancora una volta a chiave dietro la porta.

La cosa peggiore fu che Verena sorrise, tra sé e sé, immersa in pensieri che lui non poteva leggere. Una reazione che, per assurdo, la fece apparire ancor più aliena. Richard si estraniò. Sorridere, cosa c'era da sorridere? Gli ultimi residui di rabbia lo spinsero ad alzarsi dal divano e ad allontanarsi repentinamente da quel quadro surreale. Non sentì neanche lei che gli chiedeva: «Dove vai?»

Voi siete folli.

(O lo sono io?)

Provò una punta di imbarazzo per se stesso: perché l'eccitazione non era svanita, nonostante tutto. Non riusciva a capire se fosse sbagliato oppure no, se dovesse vergognarsi oppure no delle palpitazioni che stavano sopraggiungendo, all'idea che Sonne li avesse guardati – contemplati – in una circostanza tanto voluttuosa.

Aveva creduto a lungo che fosse finito, il tempo della vergogna.

Tornò in camera con più frustrazione di prima, ed ebbe l'istinto immediato di volgersi verso la ragnatela.

Spalancò gli occhi. Non sapeva né come né quando, ma i ragni erano diventati due.

O lo erano sempre stati e lui si era fatto ingannare.

Adesso zampettavano vicini sul muro e Richard, colto da un impulso fulmineo, gli lanciò una ciabatta contro, tramortendoli entrambi.






Note d'autrice:

Eccoci, eccoci, con un altro piccolo-grande punto di svolta :3 Che ve n'è sembrato di questo bacio? Era nell'aria, mi sa. Così come era nell'aria un'altra interruzione di Sonne. Lo sa anche Verena, che lui è onnipresente lol Tra l'altro, abbiamo nuove informazioni anche per quanto riguarda il suo rapporto con Richard. Come sempre, sono curiosa di conoscere le vostre idee in merito ♥

Il titolo del capitolo, Spinnen, significa ragni. Per fortuna Richard non è aracnofobico come la sottoscritta.

Probabilmente ho dimenticato di dire qualcosa, ma adesso corro a cenare che sono ancora a digiuno, quindi... a giovedì prossimo ♥

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