⁷⁸. 𝘍𝘶𝘰𝘤𝘰 (𝘱𝘢𝘳𝘵𝘦 2)

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Camminarono sino al gruppo affiancato al falò, al quale si erano intanto aggiunti anche Elsinore, suo padre e la festeggiata Liese. Yae non poté fare a meno di notare quanto i membri più anziani del Lethe riservassero lo stesso tipo di reverenza sia al Leader che alla nonna di Ann, che tuttavia non sembrava esserne affatto influenzata.

– Yae, cara – si sentì chiamare dall'anziana. Il suo abito arancione, simile ai drappi che costellavano la piazza, risaltava vivace sulla sua pelle bruna. Yae si voltò verso di lei, e la donna le spinse un bicchiere enorme tra le braccia.

– Mia nipote non ti ha offerto neanche un boccale? – le chiese, aggrottando la fronte. – Tremenda. Non le ho insegnato proprio niente.

Yae vide Ann alzare gli occhi al cielo, e Willas soffocare una risatina. Lo fulminò con lo sguardo, prima di rispondere alla donna.

– Non sono una gran bevitrice – ammise.

– Meglio tardi che mai – rispose Liese, mollandole la pinta in grembo. Yae osservò il boccale come si fosse trattato di un oggetto alieno, e sollevò gli occhi su Florian, cercando un appiglio. L'uomo, tuttavia, le mostrò il proprio bicchiere già vuoto per un terzo, e scrollò le spalle. "Solo per stasera", mimò con le labbra. Yae sospirò, sollevando la pinta. Solo per stasera, si ripeté in mente.

Il sapore frizzante della birra le fece arricciare il viso, attirando le risate di tutti. La musica sembrò farsi più forte, e Yae sentì lo sguardo appannarsi di colpo. Pessima mossa.

– Ottima mossa! – sentì dire a Jay, che le cinse le spalle in un abbraccio. La ragazza aveva gli occhi lucidi e le guance scarlatte; sembrava abbastanza brilla, e anche Seth e Dev parevano essere nelle stesse condizioni.

– Questi tre idioti sono già ubriachi – disse Ann, incrociando le braccia al petto. – Se qualcuno gli permettesse di bere un bicchiere ogni tanto, non sarebbero così sensibili all'alcol – continuò, rivolgendo un'occhiata al Leader, che stava chiacchierando con un uomo massiccio poco lontano da loro.

– Gli alcolici non fanno bene a chi è in addestramento – le rispose Willas, dietro di lei. Il fuoco del falò si rifletteva sulle sue iridi verdi, infiammandole a brevi riprese. Il ragazzo torreggiava su tutti loro, e il suo boccale di birra ancora pieno contrastava dorato sulla sua camicia bianca.

– Non ti rilassi mai – disse Ann, stizzita. Si rivolse a Elsinore, posandole una mano sulla spalla. – Ti prego, Elsi, porta a ballare questo ex-Sorvegliante. Non lo sopporto più.

Willas arrossì un po', ma lanciò comunque uno sguardo truce ad Ann. Lei sollevò le mani, in segno di resa. – Ho detto "ex" Sorvegliante. Ne vuoi ancora, per caso?

– Le risse dopo il dolce – disse Liese, scatenando qualche risatina. Elsinore indirizzò dei segni a Willas, e i due si allontanarono verso una panca vuota, tirandosi dietro le esclamazioni meravigliate dei LaBo.

– Allora – disse Florian, sorridendo a quella vista, – qualcuno ha già scritto qualcosa sul proprio biglietto?

– È privato – rispose Jay, imbarazzata. – Io sì! – disse invece Dev, sollevando allegramente una mano.

– Figurati – rispose Seth, canzonandolo, – tanto ogni anno scrivi sempre la stessa cosa.

Florian lo guardò incuriosito. – E cioè?

Dev sembrò spegnersi di colpo, e gettò lo sguardo sulle fiamme che danzavano sinuose. – Niente di speciale. Qualcosa sul voler vivere all'esterno.

Quelle parole malinconiche si sparsero fra loro come cenere, e Yae finì per respirarle più del dovuto. Liese batté le mani, in un vago tentativo di alleggerire l'atmosfera.

– Anch'io scrivo sempre la stessa cosa: "vorrei vivere sin quando vedrò Ann felice".

Ann si imbronciò, e per un istante sembrò tornare adolescente. – Dovresti smetterla con questa storia, nonna.

– Ma è vero, tesoro mio – disse l'anziana, carezzandole i capelli raccolti.

– A proposito, Liese – disse Jay, – quanti anni compi?

– Tanti – rispose lei, gongolando. – Troppi – aggiunse Ann, stringendo la nonna in una morsa. Yae sentì una lieve fitta al cuore, ricordando gli abbracci delicati di suo nonno.

L'anziana si rivolse nuovamente a Jay, ghignando. – Te lo dico solo se mi fai leggere il tuo biglietto.

La LaBo si compresse nelle spalle, a disagio. Indossava un vestito bianco con dei ricami etnici, e la sua placchetta colorata raccoglieva i bagliori delle lanterne che ciondolavano sopra di loro.

– Ho scritto "vorrei essere una ragazza" – rispose, incollando lo sguardo sui propri piedi, ancora fasciati negli anfibi militari.

– Che spreco di carta – disse Seth, sbuffando.

Gli occhi di Jay sembrarono farsi più lucidi. – Non ho chiesto il tuo parer-

– È uno spreco – continuò lui, – perché sei già una ragazza.

Yae vide un timido sorriso solcare il viso della LaBo, subito imitato da Seth e Dev, che la abbracciarono forte.

– Ora mantieni la tua promessa – disse Ann a Liese, nascondendo uno sguardo addolcito.

– E va bene – rispose l'anziana, rivolgendosi a Jay e agli altri. – Sono novantatré anni, piccola. Sono nata nel 1997.

Tutti ammutolirono. Dev si sporse all'interno del semicerchio che avevano creato, con lo sguardo pieno di meraviglia. – Vuol dire che hai visto il mondo com'era prima? Senza inquinamento, senza la Chiesa?

Liese si lasciò aiutare da Ann a sedersi su uno dei drappi posati per terra, sotto ai quali i vari LaBo avevano posizionato una serie di cuscini. Anche il resto di loro fece la stessa cosa, sistemandosi attorno al falò, ormai gremito di persone impegnate a conversare.

– Beh, quando ero piccola la Chiesa era solo un partito come gli altri, e nulla di più. Ma per il resto, mi dispiace, ragazzo. L'ambiente era già distrutto da molto prima della mia nascita. – Yae vide il suo sguardo velarsi, e la colpì il pensiero di non averla mai vista tanto abbattuta.

Liese si strinse le gambe al petto, continuando a parlare. – Io e quelli della mia generazione provammo a fare qualcosa, ma nella maggioranza dei casi i nostri gesti vennero additati come folli. Le aziende e i governi non ci ascoltarono, e l'opinione pubblica iniziò a scaricare la colpa dello scatafascio ambientale su chiunque gli capitasse a tiro. La Chiesa del Giudizio raccolse quei sentimenti, e Abramizde costruì il proprio consenso sulla frustrazione comune. Si può quasi dire che abbia seguito le leggi della domanda e dell'offerta.

Nessuno osò commentare quelle parole, e la musica riempì il silenzio che stazionava tra i loro corpi, seguendo le lingue di fuoco che saettavano in alto. La calma durò sin quando videro una figura massiccia farsi strada tra i cuscini, inginocchiandosi accanto all'anziana per porgerle un oggetto.

– Ti ho portato un brezel – disse l'uomo, gioviale. Yae lo vide osservarli perplesso, per poi abbassare la propria voce di qualche tono. – Scusa, Liese. È successo qualcosa?

La donna sbuffò lievemente, prima di riacquisire il suo solito sorriso canzonatorio. – No, Klaus. Stavo solo raccontando quanto facessero schifo gli anni venti.

L'uomo chiamato Klaus aggrottò la fronte, sedendosi sgraziatamente accanto a lei. – Allora ne avrai per ore.

Yae notò che aveva una macchia scarlatta a colorargli il cuoio capelluto, e che uno dei suoi occhi manteneva uno sguardo fisso di fronte a sé. Klaus salutò i LaBo e Ann, allungando poi il braccio per presentarsi anche a lei. Nel dare la mano a Florian, invece, gli parve assumere un'espressione smarrita.

– Ci conosciamo? – gli disse, lasciando che la sua presa tentennasse.

Florian gli scosse la mano, osservandolo meglio. – Non saprei.

– Hai un viso familiare – gli disse l'altro, aprendosi in un sorriso titubante. – O magari è perché siamo entrambi sin troppo riconoscibili. Ustione? – chiese, indicando il viso di Florian.

– Già – rispose lui, a disagio. Yae ancora non sapeva come l'uomo si fosse procurato quelle cicatrici; tuttavia, chiederglielo in quel momento non le sembrava affatto l'ideale, e anche Klaus si guardò bene dal farlo.

– Brutta storia – continuò l'uomo, sgranchendosi il collo. – Io me la feci nell'incendio di un ospedale di Reinario. Riuscii a tirare fuori diversi bambini dalle fiamme, ma mi cadde un dannato neon proprio qui, sulla testa, e si portò via anche l'occhio. – A quelle parole, Klaus fece ruotare la superficie della sua sclera di vetro, causando dei versi di disgusto da parte dei tre LaBo.

– Mi dispiace – rispose Florian, prendendo la parola.

– Non fa nulla – disse l'uomo. A un tratto, nel suo sguardo parve farsi strada una certa intensità, e prese ad agitarsi sulla propria seduta, scompigliando i drappi colorati.

– Adesso ricordo! Il giorno dopo l'Incidente di ottobre. Sulla strada verso Marwoleth.

Ian distese il viso. – Già, è vero. Parlammo davanti al semaforo... Mi indicasti il Quadrante. – Sembrò ponderare un dubbio per un momento, prima di proseguire.

– Ma non è pericoloso per i cittadini del Lethe farsi vedere all'esterno? – chiese infine all'uomo.

Liese sorrise, incuneandosi nella conversazione. – Lo è, in teoria. Ma Klaus è uno dei pochi fortunati a non essere ricercato, e quindi fa da nostro tramite con l'esterno. – La donna stese le gambe verso il centro del semicerchio. – Ormai sono passati tre mesi da quel giorno... Mi chiedo cosa sia stata davvero quell'anomalia del numero.

Yae sentì la schiena ghiacciarsi d'angoscia, e si trattenne dal mostrare alcuna reazione. Con la coda dell'occhio, vide Florian osservarla preoccupato.

– Chissà – disse Jay, alzando le spalle. – Fatto sta che è da ottobre che Oliver non ha un attimo di pace, con tutti i fuggitivi che abbiamo accolto dopo le sommosse.

– Chi è che sta parlando di me? – esordì il Leader, affacciandosi sopra alle loro teste con in mano una cesta piena di brezel. Li porse di sfuggita a Seth, che iniziò a distribuirli con un'aria soddisfatta.

– Eccovi qua, Liese, Klaus. Direi che è arrivato il momento di bruciare i nostri bigliettini, prima che i nostri ospiti tracannino tutte le riserve di birra fino all'anno prossimo. Ma prima mi piacerebbe impiegarli in un bel lento.

Krassnerr indicò col pollice delle sagome in lontananza, e Yae notò che si trattava di Willas ed Elsinore, che se ne stavano seduti su una panca isolata, osservando placidamente il brulicare della piazza.

– Serve una canzone romantica. Se quello spilungone non chiede a mia figlia di danzare entro cinque minuti, giuro che lo faccio risalire in superficie a calci.

Ann scoppiò in una risata, e anche gli altri fecero lo stesso. Solo Liese sembrò mantenere un'espressione indecifrabile, e Yae notò il suo sguardo slittare a più riprese tra il Leader e sua figlia.

– Posso chiedere a Daniel e agli altri di suonare qualcosa – disse Seth, accennando ai ragazzi che strimpellavano i loro strumenti musicali ormai da mezz'ora.

– Ho un'idea migliore – disse Krassnerr, indossando uno sguardo furbo. – So che tra noi c'è un ottimo pianista – continuò, dando una pacca sulla spalla a Florian.

Lui sembrò impallidire, e si compresse sulla seduta di tessuto colorato. – Non ricordavo di averlo detto.

– Infatti – disse il Leader, girandosi verso Yae. Lei raccolse lo sguardo torvo di Ian, mimando delle scuse a bassa voce.

– Avanti, Florian. Abbiamo anche un bel pianoforte a mezza coda, raccattato dai nostri esploratori. L'ultima ottava è completamente andata, ma per il resto è perfettamente funzionante. Ci sarà pure qualche canzone adatta al momento.

Florian assunse un'aria sconfitta, consapevole che l'uomo non avrebbe accettato un "no" come risposta. – E va bene – disse, sospirando. – Ma spero tanto che qualcuno inviti Ann a ballare.

Yae lo guardò esterrefatta, e le parve quasi di notare un lieve sorriso vendicativo increspargli le labbra.

– Ma certo – disse Krassnerr, sfoggiando un cipiglio interessato. – Andiamo, allora?

I due uomini iniziarono a muoversi verso il centro della piazza, mentre loro consumarono in fretta il proprio cibo, desiderosi di avvicinarsi a osservare. Si spostarono in massa, fendendo la calca di persone affollate vicino al falò. Yae vide i tre LaBo assieparsi attorno al vecchio pianoforte, simili ad animaletti incuriositi. Anche Willas ed Elsinore si avvicinarono, e i loro occhi pieni di silenziosi segreti le fecero provare un certo calore nel petto. Di suo, rimase a vacillare accanto ad Ann, senza avere il coraggio di rivolgerle la parola.

– Spero di non sbagliare nulla – disse Florian, sollevando il coperchio della tastiera. – Non ho mai suonato di fronte a tutta questa gente.

Le sue mani ambrate tremarono leggermente, contrastando sul bianco del pianoforte. Liese si piazzò dietro di lui, stringendogli le spalle con delicatezza.

– Non importa. Tu immagina di suonare per una sola persona.

Ian si voltò a guardarla, colpito da quelle parole. L'anziana gli rivolse un sorriso dolce, facendosi da parte.

Qualche secondo dopo, l'androne si riempì di una melodia incalzante, che fece voltare immediatamente anche gli ultimi invitati ancora impegnati a parlare. Yae puntò gli occhi su Florian, e sulle sue dita che sembravano sfiorare i tasti senza neanche premerli. Le sue mani plasmavano la musica stessa, che fluiva dai suoi polpastrelli sino a rimbombare nelle loro gabbie toraciche. L'espressione dell'uomo appariva concentrata ma al contempo remota, come se nel palcoscenico della sua mente si stesse consumando una tumultuosa lotta, destinata a rimanere senza vincitori.

Accanto a lei, Ann sfoggiava un'espressione rapita, e osservava Florian con le labbra semichiuse. I suoi occhi castani scintillavano meravigliati, e la sua intera figura sembrava in bilico verso la musica, come sul bordo di un precipizio.

Bellissima, pensò Yae. Sentì quanto quella semplice parola fosse pericolosa, ma qualcosa le permise comunque di proferirla nel buio della sua mente, abbandonandola a briglie sciolte. Sperando non fosse solo l'effetto della birra, lasciò che le loro mani si incontrassero, aggrappandosi l'una all'altra come piccole foglie d'edera.

– Ti va di ballare? – le chiese col cuore in gola.

Ann si voltò dubbiosa verso di lei, e per un attimo le sembrò in procinto di elargirle una qualche risposta sarcastica.

– Certo – rispose invece, stringendole le dita con più forza.

Si avviarono verso la pista, già costellata da coppie o da terzetti intenti a ondeggiare avvinghiati. Yae si lasciò trascinare verso un angolo vuoto, e sobbalzò quando l'altra ragazza le si accostò al corpo. Le loro stature erano simili, e le sue braccia definite da anni di allenamento le si strinsero dietro alla testa, sospingendola a fissarla nei suoi occhi di piombo.

Con un immane sforzo di volontà, riuscì a posarle le mani sui fianchi, sentendo il viso avvampare inesorabilmente. Stettero in silenzio per un po', ascoltando la musica di Florian con aria assente.

– A-allora – iniziò, sentendosi immediatamente ridicola.

Dille qualcosa. Qualsiasi cosa. Yae posò gli occhi su Elsinore, che danzava stretta ad altre ragazze. Adocchiò anche Willas, accasciato su una sedia con aria affranta. Quella visione la intristì leggermente. Forse non è ancora pronta ad avvicinarsi così tanto a un uomo.

– Sì? – disse Ann, incalzandola. Sembrò scrutarla con aria divertita, rimanendo in attesa.

– Mi chiedevo... Mi chiedevo come fosse stata rapita Elsi, dieci anni fa.

Maledizione. Non riesco a concentrarmi.

La ragazza inarcò le sopracciglia. – Oliver le fece fare un giro in superficie, ma tornò da solo e pieno di ferite – sbuffò. – Sul serio, era questa la domanda che volevi farmi?

Yae si sentì spellare viva, e si forzò a riportare il volto tra le braccia di Ann, sbirciando le lentiggini più chiare che le punteggiavano la pelle bruna. Non le aveva mai notate.

– No – rispose. – In realtà vorrei dirti una cosa.

Ann sbuffò. – Allora dimmela.

Prese un grosso respiro, sentendosi mancare. La musica si era fatta assordante, come se la stesse ascoltando dall'interno della grancassa del pianoforte. Strozzò un conato d'ansia, prima di proseguire.

– Ho mentito. Non provengo da un allevamento – sputò. – Sono scappata da un laboratorio.

Ann allargò leggermente gli occhi, ma non smise di ondeggiare sul posto. – Lo so.

Lei si irrigidì di colpo, e fu solo merito della sua compagna di stanza se le ginocchia non le cedettero. – Cosa?

La ragazza sorrise, affranta. – Sospettavo da tempo che mentissi. D'altronde, te lo si leggeva in faccia. E poi una volta ti ho sentita parlare di un laboratorio, con Ian e Willas.

Yae si maledisse silenziosamente, percependo la propria vista periferica annebbiarsi. Fece per prendere la parola, ma l'altra la interruppe.

– Non ho detto nulla a Oliver, se è questo che ti preoccupa. Mi aveva chiesto di tenerti d'occhio, ma ho aspettato comunque che fossi tu a darmi delle spiegazioni. All'inizio le tue bugie mi riempivano di rabbia, ma poi ho capito che se hai messo in piedi delle menzogne tanto folli, devi aver avuto le tue buone ragioni.

Lei si riequilibrò a fatica, sentendo un'ondata di sollievo scioglierle le ossa. – È così. C'è davvero una ragione.

– Lo immaginavo.

Per un istante le parve di riuscire a sentire solamente lo scoppiettare disordinato dei ciocchi di legna, ormai agli sgoccioli. Senza darle il tempo di sottrarsi, Ann le posò il mento sulla spalla, parlandole a un soffio dall'orecchio. Il suo respiro la fece rabbrividire, e percepì il cuore martellarle sullo sterno.

– Non so cosa ti abbia portata qui, e non so neanche perché ti ostini a respingermi così tanto. – Ann sospirò, e per la prima volta le sembrò davvero vulnerabile. – So solo che mi piacerebbe tanto guardarti più da vicino.

Yae sentì un confine abbattersi dentro di lei, e si sorprese ad accarezzarle i capelli, senza neanche averlo comandato al proprio corpo. – Più vicino di così? – le chiese, sorridendo lievemente.

Ann si scollò dalla sua spalla, guardandola divertita. – Era una metafora – disse. – Ma possiamo sempre rimediare.

Sentì le braccia della ragazza cedere attorno al suo corpo, attirandolo a sé con uno strattone. Ann premette le proprie labbra sulle sue, dolci e morbide e piene di vita. Yae affondò con più forza la mano tra le sue treccine disordinate. Non si curò delle persone attorno a loro, né del fatto che la musica si fosse interrotta. Spense la mente, come non le accadeva da tempo, e si lasciò cullare dall'altra, che le impresse il proprio calore sulla pelle. Dopo un po' si scostarono di qualche centimetro, ridendo imbarazzate.

– Ci stanno guardando tutti – le sussurrò.

– Che importa – rispose Ann. Le prese delicatamente la mano, avvinghiando le dita alle sue.

– Allora – cantilenò, – andiamo a bruciare questi bigliettini?

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