¹⁹. 𝘝𝘦𝘵𝘳𝘪

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Erano arrivati a casa poco dopo. Prima di attraversare il portone Eddie aveva ricevuto una telefonata da Florian, finalmente con successo.

Il ragazzo aveva borbottato qualcosa sul fatto che il suo co-abitante fosse già al sicuro, e aveva comunicato a Rein che, se avesse voluto, gli avrebbe prestato un letto per quella sera, citando il prevedibile disservizio della metro sospesa. Rein aveva accettato senza fare tanti complimenti.

Da quando erano entrati in casa si erano parlati poco, ed Eddie era sparito da qualche parte senza neanche mostrargli dove avrebbe potuto accomodarsi. Rein era rimasto sullo stipite della porta della cucina, che a quanto pareva fungeva anche da salotto. Aveva percepito il bisogno di doversi recare dall'altro ragazzo per dirgli qualcosa, qualsiasi cosa. Ma si sentiva altrettanto confuso, incapace di processare gli avvenimenti di quel pomeriggio.

Cinque minuti dopo il ragazzo era rispuntato, e Rein aveva notato quanto i suoi occhi fossero rossi e gonfi. Non riuscì a dire nulla. Eddie gli rivolse uno sguardo di sfuggita e poi si mise a vagare all'interno della casa, abbassando tutte le serrande a fisarmonica in modo da non dover osservare l'esterno. Rein lo lasciò fare, sedendosi su un divanetto consunto che trovò in quella che doveva essere la cucina.

Mentre osservava il disordine che regnava sul piano cottura, vide di nuovo la figura di Eddie stagliarsi sullo stipite. Stava spostando il peso da una gamba all'altra, irrequieto.

– Posso chiederti un favore? – gli domandò.

Rein rimase spiazzato. – Certo. –

– Aiutami con questa ferita –, rispose il ragazzo.

Eddie si sfilò la felpa con un solo movimento, facendoci passare la testa in mezzo. Si voltò di spalle, e Rein vide un lungo taglio dividergli in due il dorso, ancora sanguinante per via della frizione col tessuto. Ricordò la smorfia di dolore che Eddie aveva fatto mentre rianimava il Pre, e si alzò per aiutarlo, senza dire nulla.

Il ragazzo si accasciò su una delle sedie della cucina, posando sul tavolo il materiale per disinfettare. Legò in fretta i capelli in uno chignon spettinato, permettendogli di osservare meglio.

Rein prese il cotone e ci versò sopra un po' d'alcol, premendolo sulla ferita. La cute era diafana e lucida, arrossata leggermente nella zona del taglio. Rein vide il muscolo della spalla contrarsi per il bruciore, e non poté fare a meno di sentirsi a disagio alla vista della sua pelle nuda. Quel pensiero gli fece avvampare il viso all'istante, e per sbaglio calcò il cotone sul taglio con troppa forza.

– Ahia – disse Eddie.

Rein continuò a pulire la ferita, cercando di distrarsi tramite quei semplici movimenti meccanici. Quando ebbe finito, sbucciò il grande cerotto adesivo e glielo attaccò sulla schiena, premendo delicatamente per farlo aderire bene. Quel gesto, tuttavia, lo turbò nuovamente. Rein decise di iniziare a parlare con Eddie, anche solo per esorcizzare quelle sgradevoli sensazioni.

– Perché lo hai fatto? – gli chiese di punto in bianco, osservandolo mentre si rinfilava la felpa.

– Fatto cosa? – rispose il ragazzo, sparendo sotto al tessuto.

– Entrare in quel negozio. –

– Perché no? –

Rein si sentì disorientato. – Non è una risposta – disse infine.

Il ragazzo sbuffò e smise di dargli le spalle, alzandosi per stravaccarsi sul divanetto. Posò i gomiti sulle ginocchia, osservandolo dal basso.

– Non c'era nessun motivo per non farlo. Come LaBo mettiamo sempre la nostra forza e la nostra conoscenza al servizio degli altri. – La sua risposta gli sembrò leggermente risentita.

– Lo facciamo perché ci viene imposto, non perché vogliamo. Perché è il nostro ruolo in società. Ma non vuol dire che tu debba farlo anche quando non sei obbligato, soprattutto se ti ritrovi ad aiutare dei Pre ingrati bastardi. –

Eddie si mise la testa tra le mani. – Va bene, non c'entra l'essere un LaBo. Li ho aiutati perché volevo e potevo farlo. Tutto qui. Non m'importa che quel ragazzo mi abbia trattato male, non potevo saperlo mentre lo portavo via. Ma questo non me ne fa pentire. –

Rein si accasciò sulla sedia lasciata libera da Eddie. – Ti sei anche ferito. –

– Lo so. Non mi importa lo stesso. –

– Cosa ci guadagni a fare così? –

Eddie alzò uno sguardo incredulo su di lui. – Perché dovrei guadagnarci qualcosa? Non ti capisco. –

– È gente inutile e nociva, che non ti darà mai niente in cambio. –

– Non voglio niente in cambio. –

Rein era stremato. – Allora sei un ingenuo. –

– E tu sei senza cuore. – sfuggì a Eddie. Sembrò guardarlo stupendosi delle proprie stesse parole, forse pentendosi di averle proferite. Rein gli rivolse uno sguardo ferito, e uscì in fretta dalla stanza.

Non conosceva la struttura della casa, quindi non sapeva bene dove avrebbe potuto sedersi nuovamente a rimuginare, allontanandosi dall'altro ragazzo. Ma soprattutto voleva allontanarsi dal suo sguardo candido e dal senso di colpa che stava iniziando a fargli provare.

Poco più di un'ora prima, quando Eddie si trovava all'interno del negozio, Rein aveva realizzato di colpo quanto quel ragazzo fosse diverso da lui. Quanto fosse schifosamente buono. Si era sentito nauseato, non avrebbe saputo dire se dall'ingenua sincerità di Eddie o da sé stesso. Per la prima volta nella sua vita, il suo infallibile istinto di sopravvivenza non lo aveva fatto sentire superiore, ma a disagio.

Rein trovò una stanza con un letto, e decise di sedersi lì. Fu raggiunto dopo pochi secondi da Eddie, che si sedette a sua volta accanto a lui, in silenzio. Il ragazzo si sciolse i capelli dallo chignon che aveva fatto prima, schiarendosi la voce.

– Hai trovato la tua stanza – gli disse, senza ricevere alcuna risposta. La sua coltre di capelli gli copriva convenientemente il viso, aiutandolo a celare l'imbarazzo.

– Scusami – continuò. – Non avrei dovuto dirti quelle cose. Hai ragione tu, sono stato un ingenuo. –

Rein sospirò e accettò a malincuore le sue scuse, pensando a come poter ribattere.

– Non ho mai visto nessuno comportarsi come te – disse in un soffio. – Non è come mi è stato insegnato. Scusami tu se mi è sembrato un comportamento da ingenui. –

Eddie gli sorrise lievemente, scostando i capelli. – Ero io che mi stavo scusando. –

– Ma smettila – disse Rein, rilassandosi un po'.

Eddie si lanciò a pancia in su sul letto di Florian, incrociando le braccia dietro al collo. Rein lo imitò, e si trovarono entrambi a fissare il soffitto. La penombra della camera gli permise di iniziare a scorgere dei puntini luminosi che vi erano stati dipinti.

– La costellazione dello Scorpione? – chiese, puntando un dito verso le figure.

– Già. Ian è appassionato di astronomia – rispose Eddie.

– Non l'abbiamo studiata molto, in Accademia. ­Giusto i riferimenti necessari nel caso dovessimo trovarci senza orologi. –

– Esatto. Come dice sempre il buon Presidente, "tutto ciò che potrà farci rimanere in vita". –

Rein fece un sorriso amaro. Stette in silenzio a osservare Antares, che Florian aveva dipinto leggermente più grande delle altre stelle.

– Cosa pensi che succederà domani? – chiese a un tratto, voltandosi verso Eddie.

– Non ne ho idea – rispose lui.

Sentì un sospiro provenire dal ragazzo, che aveva lo sguardo ancora fisso sul soffitto. – So solo che non vorrei rivedere quello che ho visto oggi. –

Rein non poté far altro che assentire silenziosamente.

Poco dopo Eddie saltò in piedi, facendo barcollare il materasso. – Beh, vado a prenderti un pigiama. Spero che la mia roba non ti vada troppo grande. –

– Ne dubito – disse Rein, accompagnandolo con un sorriso dubbioso fuori dalla porta.

Si alzò a sua volta, iniziando a dare un'occhiata alla curiosa stanza di Florian. Al lato del letto c'erano due mensole piene di vecchi dischi e piccoli oggetti rettangolari impilati gli uni sugli altri. Su un mobile basso riconobbe uno stereo, di quelli enormi che aveva visto solo in olografia.

C'era un armadio con un'anta aperta, al cui interno facevano capolino uno specchio sgangherato e una fitta collezione di maglioni e camicie. Su una sedia accanto vi era una pila di vestiti piegati male, che sicuramente si trovavano lì da chissà quanto tempo.

Alle pareti vide attaccati vecchi poster sbrindellati di film e opere che non aveva mai sentito, così come pagine di libri strappate dai loro originali, con delle frasi sottolineate o cerchiate.

In generale gli sembrò la stanza di un accumulatore seriale, anche se aveva il suo fascino suggestivo. In un certo senso si sentì a casa, in tutto quel disordine.

A un tratto Rein fu incuriosito da una cornice argentata, posta a faccia in giù sul comodino per celarne il contenuto. Si sedette nuovamente sul materasso, prendendola in mano. Dentro c'era una fotografia standard, diversa da quelle olografiche. Mise a fuoco l'immagine rappresentata, osservandola per qualche secondo.

Si ritrovò a sgranare gli occhi, incredulo. Sentì girare la testa, e la mano che teneva la cornice iniziò a tremargli incontrollabilmente. La fece cadere per terra, e come da un sogno lontano sentì il suono del vetro che si frantumava in mille pezzi. Non è possibile, pensò. No.

Poco dopo vide Eddie fare capolino nella stanza con una pila di vestiti in braccio.

– Cos'è stato? – gli chiese.

– Niente – rispose lui.

Con un movimento veloce, Rein nascose i vetri sotto alle scarpe.

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