²⁰. 𝘍𝘪𝘥𝘶𝘤𝘪𝘢

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– È andata – disse Dianne, osservando la bici elettrica accasciata al suolo. Un'auto doveva esservi passata sopra, perché il telaio era completamente ammaccato, e la ruota anteriore era stata divelta e trasportata un metro più avanti.

Florian si accostò alla sua bici, sconsolato, cercando di comprendere se almeno il motore fosse salvabile. Non lo era. Fece scattare la forcella e tastò la gomma posteriore, ma sapere che era rimasta gonfia non gli fu molto d'aiuto.

– Vuoi farle la respirazione bocca a bocca? – lo schernì Dianne, perennemente con una sigaretta in mano. Florian le rivolse uno sguardo risentito, e si chiese come facesse quella donna a essere tanto lucida e pungente, nonostante fumasse endorfine sintetiche dalla mattina alla sera.

Si rialzò in piedi, dandosi una sistemata ai pantaloni stropicciati. La postazione di parcheggio delle biciclette elettriche era stata interamente spostata in avanti di qualche metro, come se un camion semi-sospeso l'avesse trascinata senza neanche vederla.

La maggior parte delle biciclette all'esterno erano rimaste intatte, ma quelle parcheggiate più vicine al cancello di Marwoleth erano tutte nelle condizioni di quella di Ian, che in quel momento maledì la propria pigrizia.

Dopo la messa in onda dell'annuncio di Abramizde, evidentemente, la maggior parte dei visitatori del cimitero doveva aver avuto la sua stessa realizzazione: il Presidente stava mentendo. Tutti coloro che il giorno prima avevano testimoniato il cambiamento del Quadrante si erano precipitati di nuovo verso la città, forse per partecipare alle nascenti rivolte. Ovviamente loro, in quanto Attenzionati, avrebbero fatto bene a tenersi lontani da qualsiasi sommossa.

Florian si disse che probabilmente le cose sarebbero andate allo stesso modo anche se il Presidente avesse annunciato un semplice malfunzionamento del Quadrante. Nessuno lo avrebbe creduto, non con tutti quei complottisti in giro, pronti a raccogliere una qualsiasi provocazione. D'altronde, tra le colorite trame che si erano diffuse negli ultimi anni, ve ne era una secondo la quale Abramizde stesso fosse in età fuori-Conclusione, seppur ancora in vita.

Continuando a osservare la sua bicicletta distrutta, Florian iniziò a chiedersi se fosse davvero opportuno tornare a casa. La zona in cui abitava era piuttosto centrale, e con tutta probabilità si sarebbe trovato di fronte lo stesso scenario del giorno prima.

Improvvisamente pensò di dover avvertire Eddie, anche se era certo che con tutti i tabelloni in giro per la città il ragazzo avesse comunque avuto occasione di sentire il comunicato. Prese la carta ID e compose il suo numero, digitandolo sulla tastiera olografica che comparve a schermo.

Come metodo di comunicazione era piuttosto scomodo, così come sistema di pagamento, soprattutto se si dimenticavano i propri codici d'accesso. Tuttavia rimaneva il mezzo più sicuro, a meno che non si decidesse di abilitare solo il riconoscimento biometrico tramite impronta, come molti anziani erano costretti a fare per via della scarsa memoria a breve termine. I furti ai loro danni, ovviamente, venivano sempre puniti duramente dai Sorveglianti.

Sul piccolo schermo olografico comparve la scritta "EDDIE", nome che aveva memorizzato in maiuscolo il suo co-abitante stesso, quando aveva deciso di darsi quel soprannome. Il collegamento si interruppe senza neanche avviarsi: doveva essere saltato un ripetitore nelle vicinanze. Florian cercò di comprimere in un angolo del proprio petto il senso di angoscia che lo stava attanagliando.

Si disse che di certo Eddie era al sicuro, e che era abbastanza forte e intelligente da potersela cavare in qualsiasi situazione. Tuttavia non poté fare a meno di continuare a preoccuparsi, e si maledì per quel sentimento quasi paterno. Ripose la carta ID in tasca, e strinse forte il manubrio deformato della bicicletta.

– Hai un figlio? – gli chiese Dianne, che lo aveva osservato agitarsi.

– No, è il mio co-abitante. Volevo sapere se fosse a casa. –

– Quanti anni ha? –

– Diciassette – rispose Florian. – È un LaBo. –

– Allora se la caverà meglio di noi – disse lei, con sufficienza.

Florian pensò che la donna non avesse tutti i torti, e cercò di convincersi di quelle parole. Inoltre, al momento aveva un problema più grosso, ovvero come fare per andarsene da lì, con la bici ridotta in quelle condizioni.

Da quando avevano ridisceso la Collina, il rumore delle sirene in lontananza si era attutito. Non si scorgevano più neanche i filamenti di fumo, che avevano visto innalzarsi verso il cielo come dita protese.

Il caldo gli stava facendo aderire il maglione nero alla pelle, e Florian asciugò il sudore che gli aveva imperlato il retro del collo, lì dove i suoi ricci stavano iniziando a posarsi per via della lunghezza. Dovrei davvero tagliare i capelli, si disse.

Un modo per andare via da lì in realtà c'era, ma si ostinò a ignorare quel pensiero. Guardò Dianne di sottecchi, chiedendosi ancora una volta se valesse la pena fidarsi di lei, e soprattutto come stesse riuscendo lei a fidarsi di lui.

La "A" che aveva visto prima sulla sua ID lo aveva immediatamente fatto rilassare nei confronti della donna, quasi in maniera istintiva. Nonostante ciò, era restio a chiederle un passaggio. Per sua natura tendeva a non domandare mai l'aiuto di nessuno, e indubbiamente non gli andava di fare una richiesta tanto scomoda a una persona che conosceva da un paio d'ore al massimo.

Dianne si voltò a guardarlo, sentendosi osservata. La stecca Joy che aveva fumato sino a quel momento si era consumata fra le sue mani, ma lei non sembrava averci fatto caso. Alzò un sopracciglio per rispondere al suo sguardo, e Ian si sentì leggermente in imbarazzo.

– Allora? – gli chiese, piantandogli i suoi occhi chiari in faccia.

Lui si grattò leggermente le cicatrici sul viso, prendendo tempo. Si sentì scuoiato vivo. Sa benissimo cosa voglio chiederle. Il modo di fare di quella donna aveva il fastidioso potere di innervosirlo.

– Mi stavo domandando, se non ti dispiace... Se potessi darmi un passaggio – riuscì a dire infine, senza guardarla in volto. Si sentì come un adolescente goffo, forse perché raramente aveva avuto a che fare con donne della propria età, ed era sempre andata malissimo.

Sapeva di avere la tendenza a innamorarsi molto facilmente, e aveva iniziato a comprimere il pensiero di essere in una situazione "uomo-donna" da quando aveva iniziato a parlare con Dianne all'interno del padiglione. Nonostante la trovasse piuttosto bella, per via del suo Disallineamento aveva da tempo constatato quanto fosse intorpidito nei confronti del semplice sentimento di attrazione fisica. Tuttavia, non riuscì comunque a rilassarsi del tutto.

– Ce l'hai fatta, finalmente – gli rispose Dianne, allargando le braccia. – Stavo pensando di accompagnarti da quando ho visto le condizioni di questo catorcio. –

Florian cercò di non risentirsi per quel commento.

– Però eviterei di andare verso il centro. Anzi, casa mia sarà di certo assediata da quei Caschi Rossi maledetti. Abito di fronte a una caserma – continuò lei, sbuffando seccata.

Ian si guardò automaticamente alle spalle per controllare che non ci fossero Sorveglianti in grado di sentire l'insulto di Dianne. Per fortuna non si vedeva nessuno in giro per mezzo chilometro.

– Allora, cosa proponi di fare? Io abito nella zona A, in un palazzo abbastanza centrale. Già ieri... – Ian si fermò un attimo. – ...Già ieri ho visto di tutto, appena fuori dalla mia finestra. –

Parlarne gli stava risultando stranamente liberatorio, e per un momento riuscì a dimenticare la paura che gli aveva sempre serrato lo stomaco ogni qualvolta avesse avuto pensieri "inappropriati" sul Regime.

– È semplice. Dobbiamo trovare un posto in periferia in cui stare almeno stanotte. Domani mattina le acque si saranno di nuovo calmate, proprio come oggi – disse Dianne.

Florian pensò alla quiete irreale che aveva testimoniato quella stessa mattina, appena sveglio. Ricordò i segni scomparsi dalla strada, come se i Sorveglianti si fossero messi con straccio e sapone a lavarli via per tutta la notte. Quel pensiero lo fece sorridere ironicamente, anche se fare humor nero in quel momento non gli sembrò l'ideale.

Dianne frugò in tasca ed estrasse la sua carta ID, puntandola verso l'alto e facendole fare un paio di giri in tutte le direzioni, osservando quale delle auto elettriche si stesse illuminando poco lontano.

– Eccola là – disse Dianne, tra sé e sé. – A me andrebbe bene stare in un qualsiasi casolare abbandonato. Non ho problemi – continuò, rivolgendosi nuovamente a Florian. – Non mi aspetta nessuno. –

Ian notò che, a quelle parole, la sua espressione si era fatta leggermente più mogia. All'improvviso, la donna chiamata Dianne gli sembrò fragile. Avrebbe voluto comprendere qualcosa sul suo passato, sul perché anche lei fosse Attenzionata, su come facesse a criticare il Regime senza aver paura di essere portata via.

Mentre rifletteva in silenzio su tutte quelle domande, a un tratto capì. È perché non ha nulla da perdere, pensò. Proprio come me, si ritrovò a dirsi automaticamente. Tuttavia, dovette correggersi: da cinque anni a quella parte anche lui aveva ottenuto qualcosa da perdere.

Florian fece un sorriso triste a sé stesso, e strinse la sua ID nella tasca del cappotto, trattenendosi dal tirarla fuori di nuovo per provare a ricontattare Eddie.

Sentì i bordi acuminati dell'acciaio scavargli un solco nel palmo, e usò quel lieve dolore per riacquisire coscienza di sé. Prese un lungo respiro e si rivolse di nuovo a Dianne, insieme alla quale aveva iniziato a camminare verso l'auto, anche se lei non si era curata di controllare se lui la stesse seguendo o no.

– Credo che non ci sarà bisogno di alcun casolare – le disse, posando una mano sul tettuccio dell'auto elettrica. – Conosco un posto dove non ci troverà nessuno. –

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