²². 𝘈𝘱𝘦𝘪𝘳𝘰𝘧𝘰𝘣𝘪𝘢

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– Ce la siamo vista brutta – disse Dianne, che aveva compresso il suo piccolo corpo sul sedile fino a quel momento. – Come sapevi che era lui? – chiese a Florian.

Lui si voltò, incredulo. – Non hai notato che è alto due metri?

– Ero impegnata a preoccuparmi – gli rispose, spostando lo sguardo fuori dal finestrino. Da tempo si ostinava a non far aggiustare il navigatore dell'auto, quindi aveva lasciato che Florian si mettesse alla guida per poter arrivare a destinazione con più facilità.

I due parcheggiarono nel luogo indicato da Willas. Senza dire una parola, sgusciarono furtivi nelle intercapedini ai lati dei grossi palazzi malmessi, percorrendo in parallelo diverse vie principali.

Una volta giunti davanti al portone della biblioteca, Florian si diede un ultimo sguardo attorno e lo aprì. Si insinuarono all'interno, lasciandosi finalmente il pericolo alle spalle.

Arrivati nella sala principale, l'uomo si accasciò su uno dei divanetti da lettura. Dianne, invece, rimase incantata a osservare l'interno della stanza.

La sala di lettura occupava tutto il pianterreno, ed era circondata da un soppalco strapieno di libri impilati gli uni sugli altri, raggiungibili tramite delle scale a chiocciola. In fondo alla stanza stavano un caminetto annerito dal fumo e una lunga scrivania con affianco un pianoforte. Al centro vi erano diversi divani consunti, intervallati da lampade antiche che emanavano un bagliore giallastro. Le pareti erano tappezzate da librerie che straripavano di volumi mangiucchiati dai tarli, e le poche mura visibili erano riempite da dipinti di costellazioni, teschi di animali estinti e foglie sotto resina di specie botaniche ormai inesistenti.

Dianne si sedette di fronte a lui, continuando a guardarsi attorno stupita. Florian sembrò non nascondere un piccolo sorriso soddisfatto.

– Allora, che ne pensi di questo posto? – le chiese.

Lei lo guardò, abbandonando la sua espressione meravigliata. – È pieno di cose inutili – gli rispose sarcastica.

– Lo immaginavo. – Florian le sorrise di sghembo, avvicinandosi alla scrivania. Lo vide prendere in mano un grosso tomo, zeppo di foglietti colorati, e mettersi a sfogliarne delicatamente le pagine.

– Le cose inutili possono comunque essere belle. Hanno semplicemente un altro scopo. Per esempio, questo libro è un fantasy che non insegna a fare nulla, sul piano pratico. Però mi aiuta in altri modi, mi alleggerisce.

Dianne stette in silenzio, soppesando quelle parole.

– Non ho mai avuto molta occasione di leggere delle storie immaginarie. Nella nostra società si tratterebbe di un'attività classificabile come "non produttiva" – decise di rispondergli, infine.

Florian si grattò la barba rada, riflettendo. – Anche se siamo governati dal paradigma della produttività, come esseri umani abbiamo bisogno di fare alcune cose per il puro gusto di farle, o per colmare un vuoto. Per esempio, riempire una stanza di vecchi cimeli, leggere libri fantasy, inventare storie.

Lei lo osservò interessata. – Tu lo fai? – gli chiese.

– Che cosa?

– Inventare storie.

Florian sembrò esitare un momento, posando il tomo in cima alla pila infinita di libri in lettura. – Più spesso di quanto vorrei – rispose infine.

Dianne lo guardò di sottecchi. – È per questo che sei Attenzionato?

– Non proprio.

– E allora perché?

– Non mi va di parlarne.

Florian le sembrò stremato dalla sua insistenza, e lei decise di non cercare di indagare ulteriormente. Dianne sbuffò, arrotolandosi ancora un po' l'orlo dei jeans per evitare di sporcare di fango il tessuto del divano.

– Lo sai, non avrei mai accettato di venire qui, se tu non fossi stato Attenzionato. È come se avessimo lo stesso "odore" addosso. Quando so che una persona è Disallineata, la considero sempre un organismo nuovo, speciale – gli disse.

Florian sembrò perplesso. – Io non mi sento speciale, ma solo "rotto". Tu invece difendi il tuo Disallineamento come se non fosse sbagliato.

Dianne lo guardò tagliente. – Il Disallineamento non è sbagliato, è illegale. Sono due cose diverse. Anche se non nominiamo le Malattie Mentali o non ci lasciamo diagnosticare, io continuo a rimanere una sociopatica.

Florian sembrò chiaramente scioccato, e Dianne proruppe in una risata divertita.

– Non credo che mi darai ancora della Sorvegliante – gli disse ridendo.

Ian abbandonò il suo stupore per sorriderle a sua volta, e stese le mani di fronte a sé, forse un po' più rilassato. Lo vide esitare prima di risponderle, come se stesse decidendo di ricambiare un dono segreto.

– Sono Attenzionato perché soffro di depressione – disse infine, tutto d'un fiato. Dianne non sapeva che quella era la prima volta in tutta la sua vita che lo diceva ad alta voce.

– Tutto qui? – gli chiese, stuzzicandolo.

Lui sembrò non darle corda, e mantenne un'espressione seria.

– No. Ma è tutto ciò che riesco a dire in questo momento.

Florian si strinse i polsi e si passò una mano sul viso. Dianne finì per osservarlo, lasciandosi sfuggire una colpevole tristezza. Lui sembrò accorgersene e cambiò espressione, forse comprendendo di aver messo su una faccia sin troppo affranta. Lo vide alzarsi, probabilmente per non essere costretto a continuare quel discorso.

– Vado di sopra a fare una doccia. Stanotte dormiremo su questi divani, spero ti vada bene – le disse.

– Non ho molta scelta – rispose lei ironica, lasciando che una scintilla di malinconia trasparisse ancora dal proprio sguardo.

***

Una volta che anche lei fu uscita dalla doccia, Florian le disse di essere riuscito finalmente a contattare il suo co-abitante, che gli aveva confermato di stare bene e di avere addirittura un ospite, un LaBo incontrato il giorno prima. A Florian evidentemente non importava che qualcuno occupasse la sua stanza: il fatto che Eddie fosse in compagnia sembrava rassicurarlo ancora di più. Dianne rifletté sul tipo di rapporto fraterno che i due co-abitanti condividevano, un qualcosa che a lei invece mancava da tempo. Cercò di scacciare quel pensiero dalla testa, prima di perdersi in esso.

Dopo la doccia aveva infilato alcuni vestiti puliti, pescandoli tra quelli che Florian le aveva detto di aver riservato per i giorni in cui si recava al lavoro in bicicletta.

Il suo corpo si trovò a navigare nel maglione blu dell'uomo, anche se quell'effetto avvolgente non le dispiacque. Aveva gettato il jeans sporco di fango su uno dei divanetti, dove intanto era comparsa anche una coperta di pile, decorata con dei fiocchi di neve scoloriti.

Una volta scesa dal soppalco, trovò Florian intento ad accendere il fuoco nel caminetto. Gli si avvicinò di soppiatto, vedendolo trafficare con l'accendino e imprecare a bassa voce per lo scarso successo.

Dianne decise di spostarsi a esplorare un po' la stanza. Sfiorò con le dita le costine ruvide dei libri più antichi, temendo di sgretolarli al solo tocco. Le sembrò che fossero cristallizzati in un tempo e in uno spazio che non avevano più posto nella loro società. Quel pensiero le mise addosso una certa amarezza.

– Qui dentro sembra di stare in un altro mondo – disse alla schiena di Florian, che intanto si era seduto sul tappeto di fronte alla fiammella che aveva acceso.

Il bagliore del fuoco lo illuminava, creando dei riflessi ramati sui suoi ricci castani. Dianne sfilò una stecca Joy dal pantalone troppo largo e si accomodò accanto a lui, accendendosi la sigaretta su una piccola brace. La luce rese rossastri anche i suoi capelli, perennemente spettinati.

– Già – rispose, facendole spazio. – Come se non fosse accaduto nulla.

– Esattamente ciò che vedremo domani – gli disse lei. Florian sospirò: probabilmente sapeva, suo malgrado, che aveva perfettamente ragione.

– Anche non partecipando alle sommosse, non è difficile immaginare cosa passi per la testa di quelle persone – continuò a dirgli. – Forse non hanno mai smesso di sperare in una nuova vita.

– Probabile – rispose Florian. – Anche se è impossibile che il numero sia cambiato per colpa di un neonato. Non avrebbe il rilevatore del battito cardiaco. – L'uomo si indicò l'interno dell'avambraccio.

– Non ci avevo pensato – gli rispose. Si stupì leggermente di sé stessa per non esserci arrivata prima, e la cosa le fece provare una punta di risentimento. – Effettivamente, solo una persona alla quale fosse già stato iniettato il rilevatore dopo il 2072 avrebbe potuto far cambiare il numero – decise di rispondergli.

Florian assorbì le sue parole, con gli occhi accecati dalle lingue di fuoco che danzavano nel caminetto. – Comunque, anche se si trattasse di una persona già cresciuta, non credo che la gente farebbe dietrofront. Non sono più mossi dalla speranza per l'umanità, credo che vogliano solamente sfogare l'astio contro la Chiesa. E il fatto che il Presidente abbia negato tutto farà rivoltare anche i più dubbiosi.

Dianne osservò anch'ella le fiamme, che stavano acquisendo una colorazione bluastra per colpa di chissà quali sostanze chimiche. Diede una boccata alla sua stecca Joy, sbuffando il fumo nel caminetto.

– Io invece penso che cerchino ancora quella speranza. La possibilità di avere dei figli e di lasciare una parte di sé in eredità è una pulsione troppo primordiale per essere abbandonata, anche se illogica. Se ci riflettessero, si renderebbero conto di non poter controllare nulla di ciò che accadrà dopo la loro morte. I loro figli potrebbero rinnegarli, dimenticare i loro insegnamenti, e non lo saprebbero mai. Ma continuano a farsi uccidere per avere l'opportunità di rinnovarsi... Che paradosso. – Dianne si fece una breve risata amara. – Gli uomini hanno sempre bramato l'immortalità.

Florian sembrò attendere che quelle parole si insinuassero sotto la sua pelle.

– E tu la desideri, l'immortalità? – le chiese.

– Non l'ho mai fatto – gli rispose, sprezzante. – Mi sono abituata da tempo sia alla fine dell'umanità, che di me stessa. Non me ne potrebbe importare di meno.

Florian non si espresse, e lo vide alzarsi per stirare un po' le gambe. Nessuno dei due sembrò aver altro da dire, e stettero in silenzio per un po'.

Dianne decise di continuare a vagare nella sala, e gettò il filtro della stecca terminata tra le fiamme. Notò una sagoma tra le tende ingiallite, che danzavano sinuosamente attorno a essa, celandola alla vista. Scostando leggermente il tessuto, si trovò tra le mani un telescopio, puntato fuori dalla finestra.

Lentamente, si incurvò per far aderire il proprio occhio alla lente. Riuscì a scorgere un punto rossastro, circondato da una miriade di macchie bianche. La supergigante rossa attirò il suo sguardo come una calamita, tremolando sulla superficie del cosmo.

– Incredibile... Che cos'è? – chiese, dimenticandosi di nascondere l'entusiasmo.

– Credo di averlo lasciato sulle coordinate di Antares, la mia stella preferita. Non saprei dirtelo, non riesco spesso a guardarci dentro – rispose Ian.

Dianne si ritrasse dalla lente, fissandolo. – In che senso?

– Sono apeirofobico.

Lo guardò confusa. Notandolo, Florian seguitò a parlare. – Vuol dire che ho la fobia dell'infinito, soprattutto di quello dello Spazio. Sono riuscito pochissime volte a fissare quel nero profondo senza avere un attacco di panico – concluse, alzando le spalle.

Dianne si sentì quasi in colpa per aver guardato nel telescopio con sufficienza. Lasciò lo strumento, nascondendolo di nuovo tra le tende, e si avvicinò a lui.

– Perché Antares è la tua stella preferita? – gli chiese, cercando di cambiare discorso.

– È una storia lunga.

– Abbiamo tempo da perdere ­– gli disse, sedendosi di fronte a lui.

Ian inspirò a fondo. La luce del caminetto proiettava le loro ombre sul fondo della stanza, distorcendole e avvinghiandole contro la loro volontà. Lo vide posare la testa sullo schienale del divano, chiudendo gli occhi.

– Qualche anno fa, qui in biblioteca, mi trovai tra le mani un libro di scienze. Tra le pagine dedicate all'astronomia c'era un piccolo riquadro in cui venivano confrontati alcuni corpi celesti. La Terra era un puntino insignificante, e affianco a lei c'erano il Sole, Sirio, Rigel e Antares. Accanto a tutti i nomi vidi la relativa "sfera", ma accanto ad Antares non c'era nulla.

Florian fece una pausa, aprendo gli occhi sulle costellazioni che aveva dipinto sul soffitto.

– Rimasi a guardare l'immagine per un po', prima di capire che in realtà tutto lo sfondo rappresentava Antares. Mi spaventai, e chiusi subito il libro. La supergigante "anti-Ares", contrapposta ad Ares, il pianeta Marte, che era anche il nome del dio della guerra in antichità. Una stella centinaia di volte più grande del nostro Sole, e chissà quante migliaia di volte più estesa della Terra. Da allora mi sono sempre sentito nell'ombra di Antares. Capii quanto noi esseri umani siamo insignificanti. E se siamo il pulviscolo dell'Universo, è più facile accettare che saremo spazzati via, no?

Ian non attese una risposta, e a Dianne sembrò che non riuscisse più a fermarsi.

– Questi pensieri mi hanno sempre aiutato ad accettare il Regime senza sperare che potesse cambiare qualcosa. "Quindi è fatta? Posso davvero mollare e non succederà nulla?", mi chiedevo. La tranquillità d'animo degli ignavi. Ma in questi due giorni ho compreso che quella non era pace, ma rassegnazione. La stessa che proviamo tutti, ogni giorno in cui ignoriamo la spazzatura sulla spiaggia.

Interruppe il proprio discorso, spostando lo sguardo su di lei. Per la prima volta, Dianne si sentì scrutata.

– "Vivere e lasciarsi esistere": ho capito la differenza. E ho deciso di voler vivere –, concluse.

Si sentì prosciugata di ogni possibile risposta. Le sue guance avvamparono, non avrebbe saputo dire se perché scossa dalle parole di lui, o per il fatto che avesse ripescato la frase che lei stessa gli aveva detto qualche ora prima.

Il discorso di Florian le fece provare un calore inaspettato, e provò a rifugiarcisi dentro senza permettergli di bruciarla. Riuscì a percepire la terribile bellezza di quelle fiamme, rimanendone affascinata, più che spaventata. Le stesse fiamme che, chissà quanto tempo prima e per quale ragione, avevano lambito il viso di quell'uomo, lasciandolo esposto al dolore.

Dianne si avvicinò al divanetto dov'era seduto, come guidata da una forza esterna. Con grande stupore di entrambi posò una mano sulla sua, che stava col palmo aperto verso l'alto.

Le dita screpolate di lui rimasero immobili per un momento, come artigli dispiegati contro il mondo. Florian sembrò far trascorrere il tempo di un pensiero, forse di un dubbio, e poi richiuse le dita attorno alle sue, saldando insieme i loro palmi freddi, aggrappandosi alla sua pelle.

Stettero così, in silenzio, rigidi come tronchi ma consapevoli di aver trovato un'anima simile alla propria, e colmi del sollievo che quel pensiero gli fece provare.



● Angolino bonus ●

Quell'immagine esiste davvero. Si trovava sul mio libro di Scienze Naturali delle scuole superiori. A suo tempo, mi fece lo stesso effetto che ha fatto a Florian nella storia, meno le considerazioni sulla dittatura.

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