³⁹. 𝘈𝘴𝘴𝘦𝘯𝘻𝘢

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Furono almeno in dieci a dirgli la stessa cosa. Non c'erano dubbi: abitava da solo. I suoi vicini non ricordavano Eddie, anzi, non ne avevano mai sentito parlare. La stanza nella quale il ragazzo aveva vissuto sino a quel momento era completamente vuota, intoccata come il giorno in cui gliel'aveva affittata per la prima volta, quasi cinque anni prima.

Edin Mazur, Eddie, il suo co-abitante, quel ragazzo forte, sincero, intelligente e altruista non esisteva, non era da nessuna parte. Tranne che nella sua testa.

Florian aveva continuato a camminare senza una meta, trascinando i piedi nudi sull'asfalto e osservandoli sporcarsi sempre di più, a ogni passo percorso. Conoscenti, vicini di casa, commercianti che vedeva da una vita si erano affacciati dalle loro botteghe per osservarlo vagare con lo sguardo perso nel vuoto. Sto dando spettacolo, aveva pensato una minuscola parte di lui. Tuttavia, anche quella voce era stata presto riassorbita dal turbinio della sua mente, incapace di articolare un solo pensiero razionale.

Ciò che aveva fatto da quando aveva smesso di chiedere informazioni a quando era rientrato a casa, non avrebbe saputo raccontarlo. Ricordava solo il lieve guizzo rosso del casco di un Sorvegliante, che lo raccoglieva di peso dall'asfalto e lo riportava all'indirizzo fornitogli da qualche vicino. Florian aveva sentito il proprio corpo venire depositato sulla porta dell'abitazione come un sacco di spazzatura.

Dopo un lasso di tempo interminabile, era riuscito a strisciare dentro casa. Con un'immensa fatica si era trascinato lungo il corridoio, ignorando il dolore alle piante dei piedi, nelle quali dovevano essersi incastonati dei pezzi di vetro.

Arrivò alla stanza di Eddie, gettandosi dentro di essa. In un lampo fugace, vide il proprio volto riflettersi sulle mattonelle lucide del pavimento. Ebbe quasi timore della propria immagine, intrisa di un vuoto abissale che non credeva di poter più provare.

Florian distolse velocemente lo sguardo, mettendosi a fissare il soffitto. Di norma sdraiarsi per terra lo avrebbe aiutato a essere più presente a sé stesso, ma quella volta il trucco non sembrò funzionare. Fece vagare gli occhi, osservando le pareti che lo circondavano minacciose, asfissiandolo con la loro mera presenza. La sua mente continuava ad articolare brevi pensieri che lo riscuotevano a tratti. Non è vero. Non può essere. Non è possibile.

Quei morsi di coscienza fecero inaspettatamente leva su di lui, lasciando che un barlume di lucidità affiorasse in superficie. Effettivamente una cosa del genere non era possibile. Eddie non poteva essere scomparso così. Nessuno è in grado di far sparire una persona. Ian cercò di ragionare, continuando a tenere lo sguardo fisso. Nessuno, tranne la Chiesa del Giudizio.

Quell'idea gli fece bruciare il viso all'istante. Ma certo: doveva essere andata in quel modo. In fondo lui era rimasto incosciente per un giorno intero, durante il quale avrebbero potuto fare di tutto, anche portare via i mobili dalla sua casa o compensare i suoi vicini per mantenere il silenzio. Non era così che agiva da sempre, la Chiesa?

Possono aver corrotto anche i tuoi vicini di casa. Guarda cosa fanno per rendere "piacevoli" le Conclusioni, disse una voce dentro di lui. Florian sentì la propria mente viaggiare troppo velocemente per riuscire a seguirla. Ricordi? Pagano i cittadini affinché facciano discorsi fasulli, o perché facciano presenza alle Conclusioni. In fondo è così che hai conosciuto Dianne.

Quel nome aggiunse uno strato di pesantezza alla compressione che stava già provando. Dianne. Non la sentiva dal mattino precedente, quando avrebbe dovuto incontrarla, poco prima di essere aggredito dall'uomo Disallineato. Il dolore che aveva provato per la scomparsa di Eddie lo aveva distrutto al punto da fargli dimenticare di lei. Il senso di orrore che stava già provando si acuì di colpo. Doveva contattarla. Solo che non aveva né la ID per telefonare, né la propria auto per andare da lei. L'auto l'aveva Eddie, pensò una parte di lui, cercando di non perdersi di nuovo nel baratro che quel nome avrebbe potuto aprigli sotto i piedi.

L'idea di doversi recare a controllare se Dianne stesse bene iniziò a farlo tremare. Tuttavia, l'adrenalina si saldò immediatamente al timore, quello di ciò che avrebbe potuto trovare. Il pensiero che anche lei potesse essere scomparsa nel nulla lo accarezzò come una voce diabolica. Nonostante ciò, l'avere improvvisamente uno scopo lo spinse a mettersi in piedi, seppur a fatica. Vide il proprio corpo alzarsi, simile a un automa, e poi uscire dalla stanza vuota di Eddie per infilarsi delle scarpe e prendere le proprie cose.

Florian uscì di casa quasi senza averne consapevolezza, incapace di comprendere se fosse il mondo attorno a lui a essersi congelato nel tempo, o la sua stessa anima.

***

Ci mise un'ora e mezza per arrivare a casa di lei. Sbagliò strada più e più volte, tornando confusamente sui propri passi. Cercò di ignorare le persone che lo guardavano esterrefatte a ogni angolo dei marciapiedi, evitandolo come se il suo dolore avesse potuto contagiarle.

Di fronte al condominio c'era una calma irreale. La caserma dei Sorveglianti si stagliava silenziosa e imponente come di consueto, occupando i tre quarti della visuale di Florian. Odiava l'architettura promossa dalla Chiesa del Giudizio, con quei palazzi grigi e impersonali. L'edificio sembrava un ruvido blocco di marmo che nessuno si era impegnato a modellare in una forma.

Florian si accostò al vecchio portone di ferro, cercando convulsamente il nome di Dianne sul citofono. Non lo trovò. Tuttavia, non si fece allarmare troppo da quella scoperta: effettivamente non si era mai avvicinato a tal punto al portone, non poteva sapere se il nome non ci fosse stato già da prima. In fondo, Dianne non amava la gente che abitava nei suoi dintorni, o la gente in generale. Cercare di non farsi importunare togliendo il proprio nome da lì era una cosa che lei avrebbe fatto.

Una donna lo distolse dai suoi pensieri entrandogli nella visuale, con le mani che stringevano un paio di buste di tessuto. Sembrava essere piuttosto anziana, e aveva una corona di capelli bianchi solcata da un cappello di lana consunto. Gli lanciò un'occhiata confusa, aggrottando la fronte, prima di passare la ID nel lettore ottico e di sgusciare dentro l'androne, coi movimenti impacciati dal suo carico.

Florian si riscosse dal suo torpore, fiutando un'occasione. – Mi scusi – disse alla donna, mantenendo il portone aperto con un braccio.

Lei lo squadrò dalla testa ai piedi, registrando attentamente ogni dettaglio. Osservò la sua figura tremolante, le cicatrici sul suo volto e soprattutto l'espressione sconvolta che doveva aver stampata in faccia. Ian era consapevole che non si sarebbe fidata di lui, ma decise comunque di farle la domanda che lo stava consumando.

– Saprebbe dirmi dove si trova Dianne? – le chiese, cercando di non far trasparire il panico nella sua voce.

Lei lo guardò dritto in volto, curva verso i propri acquisti. I suoi occhi castani scintillarono arcigni.

– Non conosco nessuno con quel nome – rispose. Si affrettò a raccogliere nuovamente le buste dal pavimento, allungando già un passo verso l'ascensore.

Florian si trovò a sbarrarle la strada con un braccio, sentendosi folle anche solo per aver pensato di farlo. Cosa stai facendo? Disse una voce nella sua mente. Sei pazzo. Ti denuncerà. Tuttavia, percepì quanto quella mancanza di cautela gli fosse necessaria, in quel momento. Qualcosa era cambiato in lui, dal giorno del Quadrante. Anche se la Chiesa aveva imposto il silenzio alla popolazione, anche se lui in quanto Attenzionato avrebbe dovuto evitare di esporsi, non poté fare a meno di sbarrare la via a quell'anziana. Per cercare un barlume di Dianne, un luccichio di ciò a cui teneva. "Vivere, e non solo lasciarsi esistere": era un qualcosa che gli aveva insegnato proprio lei.

– La prego – continuò. Sentì quanto la propria voce si fosse fatta supplichevole. – È una donna con gli occhi chiari e i capelli castani e ricci, alta circa un metro e sessantasette. Abita qui da molti anni, lavora in una fabbrica di InfanTech.

Per un momento immaginò Dianne uscire da quel portone ogni notte con la tuta blu degli operai della Memories. La vide sgattaiolare nell'aria gelida della notte, con un cappello calcato sulla testa, incapace di racchiudere appieno i suoi voluminosi capelli, così morbidi. Immaginò le sue labbra rosse che si screpolavano col fiato condensato, le sue mani che si sfregavano l'una contro l'altra per riscaldarsi. Il bagliore di una stecca Joy accesa nel buio. Come in un domino di sofferenza, ricordò anche la volta in cui avevano giocato a lanciarsi le palle di neve proprio lì, con le sole luci sfarfallanti dei lampioni a testimoniare la loro infantile allegria. Lei abita qui, si ripeté. La sua presenza esalava da ogni dettaglio.

– Non so di chi stia parlando – sentì dire alla donna, che non distolse lo sguardo dal suo viso. – Non ci sono pazzi come Lei in questo condominio.

– Sì che lo sa – le rispose, continuando a tenere il braccio sulla porta. La sua audacia lo sconvolgeva a ogni secondo che passava. Nonostante non avesse osato toccare la donna, la percepì comunque ritrarsi da quella vicinanza, quasi come se l'avesse sfiorata con dei tizzoni ardenti.

– Se ne vada, o chiamo i Sorveglianti – disse lei, facendo un breve cenno col capo verso la caserma di fronte. Il suo sguardo sembrò riacquisire un po' di forza dopo aver menzionato i Caschi Rossi. – Stanno facendo piazza pulita di Disallineati – aggiunse, sottovoce. – E lei potrebbe benissimo essere il prossimo.

Un ricordo trafisse la mente di Ian. "Tu sei la prossima."

– La vicina alla quale lei ha rotto gli specchietti dell'auto – disse sommessamente, più a sé stesso che alla donna.

Un lampo di acredine deformò il viso dell'anziana. – Che ne sa Lei della mia auto?

Florian la ignorò, allentando leggermente la presa sul portone.

– La sua vicina che la chiamava "pazza" – continuò a dire, tra sé e sé. Ricordò l'aneddoto raccontatogli da Dianne, e le parole che l'anziana gli aveva rivolto poco prima si illuminarono di una nuova luce nella sua mente. Ha detto "non ci sono pazzi come Lei in questo condominio." Pazzi.

– Che succede, signora Grace? – disse qualcuno dietro di lui.

Florian ruotò leggermente il proprio corpo, spostando il braccio dalla sua posizione di sbarramento. Una Sorvegliante li aveva raggiunti con passo felino, evidentemente attirata dalla scena. Lui sentì il proprio busto irrigidirsi, e un sudore freddo iniziare a congelargli la schiena.

La donna aveva la giubba nera dei Caschi Rossi, ma nessun casco sulla testa. Sul fianco portava il manganello elettrificato d'ordinanza, un oggetto del quale Ian aveva fatto la conoscenza solo un paio di giorni prima. Lo guardò con occhi interrogativi, spiandolo da sotto una coltre di capelli corti che le si arricciavano leggermente sulle orecchie.

– Niente, Caposquadra Joanne. Quest'uomo se ne stava andando. Cerca una persona che non esiste.

La Caposquadra osservò Ian con crescente interesse. – Che non esiste?

Florian guardò spaesato le due donne, come se tutti i sentimenti fossero stati drenati dal suo corpo, lasciandolo come un guscio vuoto. Gli era successo un'infinità di volte: era diventato così bravo a inglobare e sopprimere i propri dolori, che a volte non facevano in tempo ad accadere che li aveva già nullificati. Tuttavia, non credeva che sarebbe riuscito a fare una magia del genere, non quella volta.

Sentì una bruciante fierezza riempirgli il vuoto nel petto, sbocciando dal nulla. Un'emozione che aveva sperimentato pochissime volte sulla propria pelle: l'istinto primordiale di proteggere ciò che gli era caro. Guardò la figura minacciosa della Sorvegliante e le parlò stringendo le mani, sentendo le unghie scavargli nei palmi.

– Sto cercando una donna di nome Dianne. Esiste, e abita qui. Al terzo piano. La sua casa affaccia sulla strada. – Florian si stupì della fermezza nella propria voce, sentendola nuova e sua allo stesso tempo.

– Al terzo piano –, disse la Sorvegliante, pensierosa.

– Sì.

– Bene. Allora non ci resta che andare a controllare – gli rispose. – Grace, se non ti dispiace. – Fece cenno all'anziana di scansarsi di lato, per permetterle di passare. Sembrava essere piuttosto massiccia, ed era sia più muscolosa che più alta di Florian.

– Verificheremo di persona. Lei cammina davanti – disse, rivolgendosi a Ian. Qualcosa nel suo tono gli fece capire che non sarebbe stato l'ideale contrariarla. Suo malgrado, acconsentì senza ribattere.

Ian iniziò a percorrere lentamente le scale, contando le rampe nella propria mente. Le ringhiere erano lerce e arrugginite, e le mura interne dello stabile sembravano essere in procinto di accartocciarsi su sé stesse. Fitte macchie di muffa scurivano la vernice bianca, e c'era un odore di ospedale quasi più intenso di quello che aveva sentito quella stessa mattina.

Arrivato al terzo piano, si fermò davanti all'unico portone che c'era, indeciso sul da farsi. Sul lato opposto a esso, una porta di vetro dava su un ampio terrazzo dalle mattonelle sporche. Delle dita nere si allungavano su di esse, strisce di lerciume trasportate dalla pioggia che le aveva sferzate per anni.

– Dopo di Lei – disse la Caposquadra a Florian. Lui non se lo fece dire due volte, e suonò il campanello.

La porta fu aperta da un uomo sulla cinquantina, con un gatto arruffato in braccio. Sembrava molto sorpreso della loro visita, e scrutò a fondo sia l'aspetto sconvolto di Ian, sia la Sorvegliante con la sua arma in bella vista.

– Posso fare qualcosa per voi? – chiese, nervoso. Florian sentì la Caposquadra spiegargli brevemente la situazione, e ascoltò l'uomo negare che qualcun altro avesse abitato in quella casa prima di lui. Ian guardò l'interno dell'abitazione, che era perfettamente arredata e completa, e percepì le voci dei due raggiungerlo ovattati, mentre Joanne si scusava cordialmente con l'uomo per il disturbo. La donna riaccompagnò la porta, rivolgendosi a lui.

– Siamo a posto, adesso? – gli chiese. C'era qualcosa di estremamente stanco nella sua voce.

– No – si sentì dirle, ancora con un barlume di spavalderia a colorargli il tono. – Vorrei controllare anche gli altri appartamenti.

Joanne sbuffò, ma accontentò la sua richiesta.

Venti minuti più tardi avevano terminato il loro giro. Si ritrovarono nuovamente sullo stipite della porta, con lo sguardo rivolto verso la strada. Florian si accasciò su uno dei gradini all'entrata, sentendosi come oscillare sul bordo di un precipizio.

– Lei era qui. In questo palazzo – disse, a mezza voce.

– Senta, abbiamo controllato tutti gli appartamenti. Nessuno di essi è abitato da una donna di nome Dianne, e nessun inquilino sembra conoscerla. Qui non ci abita molta gente, e una persona come quella descritta da lei non passerebbe inosservata. Si metta l'anima in pace. Ultimamente anche un mio collega ha iniziato ad accusare i colpi di un Disallineamento. Sono tempi duri per tutti.

Joanne si abbassò al suo livello, facendo sfregare inavvertitamente il manganello sul cappotto lucido.

– Glielo dirò una volta sola. Ho visto sul database che Lei è Attenzionato. Vada a conferire col suo psichiatra, se vuole evitare una RA per direttissima.

Florian alzò uno sguardo incredulo sulla donna.

– Lei... Non mi arresterà adesso? – chiese, sentendosi quasi mancare.

Joanne sospirò, facendo vagare lo sguardo verso un lampione accanto a lei. – No. Ma il mio è un ordine, non un consiglio. Ora vada.

Lui si alzò dalla propria posizione come prendendo una scossa, nonostante il suo corpo traballasse ancora leggermente. Anche se la Caposquadra non lo aveva portato via, desiderò comunque fuggire da lì il prima possibile. Gli era già successo con Willas di essere lasciato andare da un Sorvegliante, e non avrebbe sprecato anche quell'occasione.

Senza fare ulteriori domande, si voltò ancora a fissare l'edificio in cui abitava Dianne, o dove avrebbe dovuto abitarvi. La confusione e l'angoscia gli strinsero le viscere in una morsa.

Rivolse un breve cenno alla Sorvegliante, che gli rispose allo stesso modo. Dopodiché si diresse a passo spedito verso lo studio di Nicholas.

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