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Mancavano ancora dieci minuti alle ventidue, l'orario in cui sperava di trovare il suo contatto disponibile a ricevere una telefonata. Il vento freddo dell'area esterna le stava frustando il viso, ma Yae non ci fece troppo caso. Spero che Iris non ti abbia fatto cambiare abitudini, si disse, tenendo nervosamente la sua nuova carta ID in mano.

Era passato qualche giorno da quando il Leader del Lethe, Oliver Krassnerr, le aveva fornito quella carta per comunicare con la sua "amica rimasta all'allevamento", cioè con Eve. Ovviamente lui non sapeva che la ragazza non avrebbe potuto ricevere alcuna telefonata, confinata com'era nella Stanza Bianca. Eppure, Yae aveva compreso che quella ID avrebbe potuto permetterle di aggiungere dei tasselli alla propria missione, se solo fosse riuscita a sfruttarla con astuzia.

Sapere di aver abbandonato Eve nelle grinfie della dottoressa Svart le stava consumando il cuore. Ogni notte Yae aspettava il sonno girandosi di continuo, finendo per avvilupparsi nelle coperte madide di sudore. Puntualmente sentiva la voce di Ann, che dormiva nel letto sopra al suo, intimarle di "piantarla di fare l'anguilla".

Ancora non aveva capito perché quella ragazza non la soffrisse. Una volta aveva provato a chiederlo a sua nonna Liese, con la quale condividevano la stanza. L'anziana si era limitata a sorriderle maliziosamente, tornando poi dai suoi animali nell'allevamento al chiuso del Lethe.

Yae non si trovava male a convivere con loro, e anche gli allenamenti fisici procedevano senza intoppi. Tuttavia, l'opportunità datale dal Leader di contattare "casa" aveva continuato a tormentarla. Sapeva benissimo che qualunque sua ipotetica conversazione sarebbe stata intercettata dai Risveglisti. Non attendevano altro che lei si tradisse, rivelandogli di non essere affatto fuggita da un allevamento. Si sentiva osservata ovunque andasse, e non riusciva a fidarsi di nessuno.

Nonostante ciò, dopo averci riflettuto molto, alla fine aveva architettato perlomeno un modo per aggirare il problema dell'intercettazione. Così, quel giorno, aveva raggiunto in fretta il primo punto utile che fosse esterno all'area del Lethe, pronta a portare a compimento la propria idea.

Due minuti, si disse. Yae guardò l'orologio che aveva al polso, regalatole da Liese. Era un ritrovato d'altri tempi, con un cinturino di cuoio marrone e un quadrante tondo che riluceva debolmente. Le lancette continuavano a ticchettare, trascinandosi pigre verso la lineetta successiva.

Nei suoi venticinque anni di vita non aveva mai visto nulla del genere. Liese si era fatta una grassa risata quando lei gli aveva chiesto come si leggesse l'ora, salvo poi scoprire che la ragazza non stesse affatto scherzando. Quella volta, Yae si era domandata ancora una volta quanti anni avesse l'anziana.

Un minuto. Attorno a lei si trovavano alti torrioni intarsiati in mille modi, resi spettrali dalla notte di petrolio. Su di essi sembravano esserci delle belle decorazioni, per quanto riuscisse a vedere con la luce fioca della sua carta ID. L'ologramma col numero già composto – che aveva mandato a memoria molto tempo prima – fluttuava debolmente di fronte al suo viso, colorando il buio penetrante di un verde bottiglia. Yae pensò che il suo viso, in quel momento, probabilmente appariva simile a un'inquietante maschera del teatro .

Le ventidue, lesse sul suo orologio analogico. La lancetta dei secondi sorpassò il dodici, e Yae fece scorrere il polpastrello a mezz'aria per avviare la telefonata. Poté sentire il suo cuore scalpitare nella gabbia toracica, e dei brividi d'ansia colpirle il corpo a ondate.

La comunicazione partì, producendo un rumore sordo e ritmico. Sta squillando. Yae non aveva dubbi sul numero di contatto, ma non si sapeva mai.

Dopo qualche interminabile secondo, sentì rispondere una voce maschile. – Pronto? – disse.

Lei si sentì trafiggere da una miriade di aghi appuntiti. Si schiarì la voce, resa rauca dal freddo. Di certo il giorno dopo ne avrebbe pagato le conseguenze con un bel raffreddore.

– Hermes.

Dall'altro capo le rispose solo silenzio. Le sembrò di udire il suono di un respiro mozzato, ma non ne fu tanto sicura.

– Sei tu? – chiese Hermes, incredulo.

– Sì.

– Sono mesi che ti cerco.

– Lo so – rispose lei, prontamente. – Ma non mi troverai. Ormai sono lontana dall'allevamento.

Yae immaginò l'espressione perplessa del ragazzo a quelle parole. Non chiedermi nulla, ti prego. Tuttavia sapeva che sarebbe stato impossibile.

– Allevamento –, disse lui.

– Sì. Lo so che i nostri manager lo hanno sempre chiamato "impianto", ma rimane comunque un allevamento in cui si macellano degli animali innocenti.

Yae rispose in un solo fiato, seguendo il copione che aveva inventato nei giorni precedenti. Non chiedermi altro, ti supplico.

– Ma non è questo l'importante – proseguì lei, senza dargli il tempo di ribattere. – Puoi parlare o c'è qualcuno con te?

– Sono da solo – rispose lui, senza ulteriori domande. Sembrava aver afferrato di doverle dare corda con la storia dell'allevamento. – Lei non è qui.

Iris non è con lui, si disse Yae. Ora chiedimelo tu, ti prego. Chiedimelo.

– E tu, puoi parlare? – disse lui, incredibilmente. Lei si sentì invadere dal peso di quel miracolo. Non avrebbe dovuto sollevare ancor di più i sospetti di chi era in ascolto.

– Certo, quant'è vero che ti batto a scacchi.

Era una menzogna. Yae aveva vinto contro di lui solo un paio di volte. Sperò che Hermes comprendesse il messaggio, e si affrettò velocemente a proseguire.

– Ricordi la nostra promessa? – gli disse, fiduciosa. Sapeva che non poteva averla dimenticata.

Qualche anno prima, quando lei era entrata nel Progetto, i due avevano stretto una sincera amicizia, che scorreva sotterranea alle loro mansioni nel Laboratorio. Il loro rapporto fraterno era come la vena d'acqua di un fiume silenzioso, che ogni tanto trovava uno spazio fra i sassi per uscire allo scoperto. Erano entrambi completamente soli, e sulla stessa lunghezza d'onda.

Presto Yae aveva iniziato a notare quanto la dottoressa Svart sfruttasse il ragazzo, e una volta si era persino spinta a difenderlo in sua presenza. Iris l'aveva aspramente punita, finendo per declassarla nelle sue mansioni. A Yae non era importato: almeno era riuscita a dirne quattro alla dottoressa. Allora era una ragazzina idealista, e ancora non aveva compreso quanto quella donna potesse essere spietata.

Hermes in seguito l'aveva presa da parte, ringraziandola per averlo difeso. "Promettimi che sarai sempre dalla mia parte", le aveva detto. A Yae era sembrato triste e vulnerabile. "Certo", gli aveva risposto. "E tu dalla mia".

Hermes stette un momento in silenzio. – Certo che la ricordo.

Yae sentì l'adrenalina irrorarle le vene, e le sue gambe iniziarono a tremare.

– Devi aiutarmi – riuscì a sputare, vacillando. Udì la propria voce provenire da un sogno lontano. – Devi far fuggire la mia amica Eve. Sei l'unico che potrebbe essere d'accordo con me. Dimmi che lo sei.

Hermes rispose con una prontezza inaspettata.

– Lo sono.

Lei sentì mancarle il fiato. Avrebbe voluto che quelle due parole le bastassero.

– Dimostramelo.

Dall'altro capo del telefono provenne un sospiro. – Due anni fa, la soffiata. Sono stato io.

Yae dovette fare mente locale, iniziando a far macinare i pensieri. Due anni fa. Nel 2088. Una realizzazione la colpì. La talpa, si disse. La persona che ha spifferato del Progetto alla Chiesa, e che Iris non ha mai trovato. La persona che ci ha condannati a essere asserviti ad Abramizde e ai suoi capricci.

– Perché l'hai fatto? – gli chiese. Tuttavia sentì subito quanto quella domanda fosse inutile. Lo sai perché l'ha fatto, disse una voce in fondo alla sua mente. Perché non ne poteva più. Proprio come te.

– Non volevo mandare nessun altro animale al macello –, le disse.

Yae si lasciò sfuggire un sorriso. Tipico di Hermes. Non solo aveva afferrato immediatamente di doverle dare corda sull'"allevamento" fittizio, ma riusciva anche ad aggiungere nuova linfa a quella menzogna.

– Ho capito – gli disse. – Ma è difficile trovare dei recinti sicuri.

Sperò che lui comprendesse come sotto alla parola "recinti" si nascondesse il concetto di "rifugio".

– Già – disse lui.

Passò qualche secondo, e Yae udì solamente il rumore del vento che le stava sferzando la pelle sulla guglia dove si era rannicchiata.

– La manager vuole passare alla Fase Due – disse lui. – Pensavo di portare il bestiame lì dove sei tu.

Yae ovviamente sapeva in cosa consistesse la Fase Due. Tuttavia, ebbe comunque l'impressione di non aver compreso del tutto le sue parole. Di una sola cosa era certa: avrebbe dovuto dissuaderlo a tutti i costi a recarsi con Eve nel Lethe. Non si fidava di Krassnerr, e non aveva idea di cosa il Leader dei ribelli avrebbe potuto fare alla ragazza. Cercò le parole per comunicarlo a Hermes, scartando velocemente le varie opzioni, come se stessero giocando a scacchi anche in quel momento.

– Qui non abbiamo molti recinti per accoglierlo. Dovrai trovare un'altra soluzione.

Dall'altro lato provenne un denso silenzio, pesante come un blocco di marmo. L'intervallo prima della risposta fu talmente lungo da farle chiedere se la linea non si fosse interrotta.

– Ma certo. Ho già un'idea –, disse infine lui.

Yae non seppe come interpretare quelle frasi. Tuttavia, perlomeno era riuscita a dirgli, con tutti quei giri di parole, ciò che intendeva comunicargli sin dall'inizio: "fa' fuggire Eve, ma non portarla qui". Era incredibile quanto avesse dovuto faticare per non dover dire ad alta voce quelle semplici parole.

– Va bene. Mi fido del tuo giudizio. Ora devo andare –, gli rispose. Per qualche motivo sentì una fitta al cuore. – Ti voglio bene – aggiunse, un po' titubante.

La risposta di lui arrivò dopo un attimo di esitazione. – Anch'io.

Yae interruppe la comunicazione, allontanando la scheda dall'orecchio. Fece slittare il dito sull'ologramma come tirando un cerotto. Quando le luci verdi si spensero, rimase completamente al buio. Le sagome dei piloni attorno a lei si stagliavano scure sul cosmo, nero su nero.

Lentamente, alzò il viso verso le stelle. Non ne aveva mai viste così tante, in città. Il modo in cui si addossavano le une sulle altre era molto caotico, ma allo stesso tempo la ipnotizzava. Alcune erano più brillanti, e una sola spiccava per il suo colore rossastro.

Yae sentì le gambe smettere di tremare e l'adrenalina abbandonarle il corpo, lasciandolo prosciugato. Sbuffò leggermente, senza riuscire a scorgere la nuvola del proprio fiato. Il suo sguardo si puntò sulla stella cremisi, un luminoso faro che si riflesse nelle sue iridi nocciola.




Angolino bonus

Yae - dicembre 2090

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