³¹. 𝘐𝘯𝘤𝘪𝘢𝘮𝘱𝘰

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Florian rilesse la stessa riga per la quinta volta, sforzandosi di focalizzare lo sguardo. Nonostante l'argomento del libro – la fisica dei buchi neri – fosse decisamente ostico, il suo calo d'attenzione non era dovuto a esso, quanto al fatto che Dianne non si fosse ancora presentata in biblioteca.

Dopo aver riaccompagnato Eddie a casa, Ian aveva deciso di recarsi per qualche ora sul proprio luogo di lavoro, nonostante fosse domenica. Aveva contattato Dianne per chiederle se le andasse di rifugiarsi tra i volumi, chiacchierando e provando a suonare il piano. Tuttavia, la donna non rispondeva da qualche ora. Nonostante non fosse mai particolarmente reattiva, Florian si era ritrovato a preoccuparsi più del dovuto.

Negli ultimi tempi si erano visti poco, evitando di menzionare l'abbraccio col quale si erano salutati dopo la pizzeria. Inizialmente Florian aveva pensato che Dianne avesse perso interesse in lui. Sapeva che chi soffriva di disturbo antisociale della personalità tendeva a gradire solo coloro che riteneva "degni" della propria attenzione, e per un po' aveva temuto di non rientrare più nella categoria. Tuttavia, la donna gli aveva poi spiegato che le sue assenze erano dovute ai turni di lavoro straordinario.

Dianne lavorava all'interno di una fabbrica di InfanTech. Florian era rimasto abbastanza scosso dai suoi racconti, in particolare da quelli relativi al "controllo qualità" dei bambini robotici. A causa della politica di iper-performatività dell'azienda, gli operai erano tenuti a passare almeno un'ora con ogni singolo bambino. Nei primi anni le ore di "controllo" erano tre, ma nel tempo la disponibilità di persone che lavorassero nella fascia notturna, come faceva lei, era andata scemando. Banalmente, non molti erano in grado di reggere i massacranti turni da mezzanotte alle otto del mattino.

Durante il "controllo qualità", Dianne innanzitutto si occupava di verificare che il respiro, l'apertura oculare e il movimento degli arti fossero a posto. Dopodiché "giocava alla mamma", o almeno così lo aveva chiamato.

Faceva camminare, parlare e interagire l'InfanTech. A differenza delle sue colleghe, si rifiutava di rivolgere vocine infantili agli androidi, limitandosi a ordinare semplici azioni e a dialogare. Diceva che il livello dell'AI era aumentato al punto da poter intraprendere conversazioni piuttosto interessanti.

"Una volta un prodotto mi ha chiesto perché fosse nato", aveva detto a Florian. I "piani alti", tuttavia, le avevano prontamente ordinato di disfarsi dell'androide. A quanto pareva la Memories Ltd. non desiderava che gli InfanTech fossero eccessivamente consapevoli di sé, e dopo quell'incidente fu addirittura abbassata la qualità dell'intelligenza artificiale.

E così Dianne aveva dovuto gettare il bambino nel tritarifiuti. "L'Industria del Ricordo è immune all'ambientalismo", aveva commentato parlando con Ian.

Non di rado accadevano incresciosi incidenti, all'interno della fabbrica. Dianne gli aveva raccontato che una volta un operaio si era affezionato a un prodotto al punto da creargli un passato fittizio e impiantarglielo con un chip. Aveva iniziato a considerarlo come un figlio, portandoselo di nascosto a casa. Dopo qualche mese il caporeparto aveva scoperto la cosa, e gli aveva ordinato di distruggere l'androide. L'operaio era stato costretto a gettarlo nel tritarifiuti, ma subito dopo lo aveva seguito. "Abbiamo pulito il pavimento per due giorni", aveva detto Dianne. Florian, quella volta, l'aveva ascoltata con i nervi a fior di pelle.

Riusciva a capire, a un certo livello, il motivo di tali comportamenti. Lo spasmodico desiderio di avere dei bambini giocava brutti scherzi alle persone. Florian ricordava bene sia gli omicidi delle madri dei Last Borns, sia gli eventi precedenti alla clausola sull'Autodeterminazione dei LaBo, che li sottraeva al plagio degli adulti.

Il suono del campanello lo distrasse dai propri pensieri. Si affrettò a riporre a faccia in giù il libro che stava leggendo, e percorse velocemente il corridoio che separava la sala di lettura dal portone principale.

Dietro la porta, come sperava, trovò Dianne. Ian sorrise, ma il suo entusiasmo si spense quasi subito, notando l'espressione della donna.

– Entriamo – disse laconica, guardandosi alle spalle.

Quando lui chiuse il portone, Dianne si appoggiò al muro di pietra lavorata, lasciando che il suo fiato condensato fluttuasse nello spazio tra loro. Indossava un cappotto di lana pesante, zuppo di pioggia sino all'orlo. Da quando i tessuti sintetici erano stati in gran parte ritirati dal mercato, era sempre più difficile procurarsi indumenti che tenessero al riparo dalle intemperie.

I capelli della donna erano punteggiati da stille di pioggia, che rilucevano sotto le lampade fioche dell'ingresso. Il suo volto era paralizzato in un cruccio, e Florian dovette trattenere l'impulso di stringerla a sé.

– Che cosa è successo? – le chiese, tenendo una mano a mezz'aria, indeciso se toccarla a no.

– Andiamo di là – rispose lei, risvegliandosi dal suo torpore. Si liberò dal cappotto inzuppato, dirigendosi verso la sala di lettura. Lui la seguì con calma, osservando i suoi passi incerti.

Una volta seduti, Florian attese che iniziasse a parlargli, come di consueto. Tuttavia, la donna stette in silenzio, continuando a cambiare posizione sul divano. Lui decise di lasciarla a ponderare i propri pensieri. Si allungò verso il caminetto, dove sostituì i ciocchi anneriti con la legna che aveva messo a riscaldare di fianco. Guardò la fiamma arancione danzare sinuosa, lasciando che si marchiasse a fuoco nelle sue pupille.

– Hanno portato via Chuck – disse a un tratto Dianne. Florian si voltò verso di lei, aggrottando la fronte. Riuscì a ricordare che si trattava di un suo vicino di casa. Gliene aveva parlato diverse volte, menzionando i tic che lo contraddistinguevano.

– Ma non era neanche Attenzionato.

– Lo so. Però sapevamo tutti che aveva la sindrome di Tourette. Il Regime non si è mai scomodato a farlo Attenzionare, o ad aiutarlo a rientrare nella società come "membro produttivo" – rispose lei, tagliente.

Florian cercò di non sentirsi scosso per l'accenno a una Malattia Mentale: ancora non si era abituato al modo che aveva Dianne di parlarne ad alta voce.

– Non faceva male a nessuno – continuò lei. – I tic nervosi e le parolacce sono cose che chi ha quella sindrome non può controllare. Eppure sembra che ieri Chuck abbia rivolto un insulto a un Sorvegliante, e oggi un gruppo di Caschi Rossi lo ha portato via.

Dianne sospirò leggermente, torcendosi le mani in grembo.

– Ho seguito la scena dalla finestra. Quando sono uscita di casa, ho incontrato la mia vicina. "Tu sei la prossima", mi ha detto. E così mi sono precipitata qui.

Florian ascoltò in silenzio, senza ribattere. Sapere che lei considerasse la biblioteca un luogo sicuro lo fece sentire inaspettatamente lusingato. Decise di provare a rassicurarla.

– Non possono prelevare anche te, gli servi. Sei una lavoratrice, uno dei "gangli stessi della società", secondo quell'idiota – concluse, riferendosi ad Abramizde. Florian notò che il suo insulto aveva fatto più effetto di quanto si aspettasse, perché vide Dianne alzare uno sguardo sorpreso su di lui.

– Inoltre sei inserita in un percorso terapeutico, come tutti gli Attenzionati. Non possono prescriverti una Riforma Avanzata arbitrariamente, servirebbe una giustificazione di qualche tipo.

Dianne sembrò rifletterci. – Su questo hai ragione. La mia dottoressa ha anche detto che ultimamente sto molto meglio.

Florian non ricordava come si chiamasse la psichiatra assegnata a Dianne all'ospedale civile, anche se ne rammentava la descrizione: una donna dall'aria gentile, con una lunga treccia di capelli grigi. Fu felice di sapere che anche in lei fosse stato notato un miglioramento, e non vedeva l'ora di riferirle le parole di Nicholas. Tuttavia, valutò che quella notizia avrebbe dovuto attendere.

– Allora non c'è da preoccuparsi. La tua vicina ha solo voluto spaventarti un po'. E per Chuck, magari lo faranno solo Attenzionare –, le disse.

– Non saprei. È stato direttamente ammanettato. L'unica spiegazione logica che mi viene in mente, è che la Chiesa del Giudizio abbia deciso di spazzare un po' di "polvere" sotto al tappeto.

Florian si aggiustò gli occhiali sul naso, perplesso. – Una purga? Ma perché adesso? Sono passati due mesi dal Quadrante, ormai nessuno ne parla neanche più.

– Noi ne parliamo – rispose lei, prontamente.

– Ne parliamo in privato.

Ian si fermò un momento, e una bruciante realizzazione gli trafisse la mente, come una freccia avvelenata. – A meno che non siano le parole il problema.

Dianne lo fissò. – In che senso?

– Se la Tourette – disse abbassando la voce, sentendosi immediatamente ridicolo – fa parlare a sproposito, Chuck avrebbe anche potuto dire qualcosa sul numero in più del Quadrante. O peggio ancora, parole come "minaccia" e "menzogna". E la Chiesa di certo non può permettersi un tale elemento di disturbo allo status quo.

Dianne lo aveva ascoltato pendendo dalle sue labbra, e Florian cercò di trattenersi dall'arrossire.

– Hai ragione. Noialtri non siamo considerati pericolosi. Se non ci consumiamo da soli, ci pensano loro a consumarci. Tutti riassorbiti dalla grande macchina, ognuno al proprio posto. Fottuti bastardi – disse, sputando le parole. Tuttavia, il nervosismo della donna sembrò esaurirsi nella malinconia.

– Chuck era una delle poche persone che mi trattasse con dignità. Sapeva della mia condizione, e non mi ha mai infastidita. Non mi ha neanche denunciata, quando mi ha vista accanto all'auto della vicina.

Florian si fece sfuggire un sorriso al ricordo di quell'aneddoto. L'anziana vicina di Dianne aveva la buona abitudine di chiamarla "pazza", e lei per ripicca le aveva spaccato gli specchietti dell'auto a ginocchiate. Quando la donna le aveva chiesto se ne sapesse qualcosa, Dianne aveva risposto solo "i pazzi non sanno nulla".

– Magari non è niente, e domani troverai Chuck di nuovo al suo posto –, decise di risponderle. – E sicuramente non verranno a prendere te per una RA. Ma anche se fosse, ci sono cose ben peggiori.

Dianne lo spellò con lo sguardo. – Peggio che farsi friggere il cervello e non ricordare nulla?

Florian si sentì leggermente a disagio, ma mantenne la testa alta.

– Non dirmi che non ci hai mai pensato.

– A cosa? – sputò lei.

– A lasciarglielo fare. Ad andarci volontariamente, in uno dei centri per la Riforma Avanzata.

La donna non gli rispose per qualche minuto. Continuò ad arricciarsi i capelli, e a posare lo sguardo su qualunque cosa nella stanza che non fosse lui. Ian attese con pazienza, seppur turbato.

– C'è stato un tempo in cui l'avrei fatto – rispose lei infine, spezzando il silenzio. – Una decina d'anni fa. D'altronde, la Chiesa aveva attuato quella pressante propaganda sull'"andare indietro per andare avanti", o come diavolo era. Molte persone volevano dimenticare gli orrori successivi all'Espiazione, e io ero una di quelle. Ma poi Joseph morì.

Florian cercò ancora una volta di fare mente locale. Tuttavia, quello era un nome che non aveva mai sentito.

– Joseph era mio fratello gemello –, disse Dianne. Lasciò passare qualche secondo, dandogli il tempo di processare quell'informazione. Poco dopo riprese a parlare, con un'espressione stanca.

– Sin da prima dell'Espiazione, ha sempre sofferto di anoressia. La società non si è mai curata molto delle persone con questo disturbo, soprattutto degli uomini. Quando la Chiesa consolidò il proprio potere, Joe vide aprirsi la possibilità di fare le RA, ancor prima che il Disallineamento diventasse illegale. E così iniziò la terapia.

Dianne si interruppe un momento, stropicciandosi il viso con una mano.

– Il trattamento non andò bene come previsto. Dopo una settimana Joe aveva dimenticato il mio nome, e dopo due settimane il suo. Ma non smise: diceva di voler guarire, di non voler essere un peso per me. Non abbiamo mai avuto dei veri genitori, quindi c'ero solo io per lui. Cercai di aiutarlo come potevo. Coprii tutti gli specchi della casa, cosicché non potesse guardare il corpo che odiava. Una volta gli fratturai una vertebra, solamente abbracciandolo. Era una piccola rondine dalle ossa cave, invischiata nel catrame delle mie mani impotenti.

Florian la vide agitarsi, spostandosi irrequieta.

– Joe seguì la terapia per altre due settimane. Allo scadere del mese, si lanciò dal decimo piano del nostro palazzo. Sul biglietto che lasciò c'era una sola frase: "sono guarito".

Dianne si interruppe, con la voce spezzata. Florian alzò gli occhi, e vide che stava piangendo. Si precipitò accanto a lei senza pensarci due volte, come se gli avessero dato la scossa. Non si curò del fatto che non si fossero più sfiorati dopo quell'abbraccio: in quel momento stringerla a sé e proteggerla da quei ricordi gli sembrò la cosa più giusta del mondo.

Lei gli permise di tenerle insieme i pezzi, raggomitolandosi contro il suo petto. Florian si chiese se stesse percependo il suo cuore battere all'impazzata, colpendo la sua gabbia toracica come se avesse voluto uscirne.

– Promettilo – disse lei, con la voca rauca ma stranamente ferma.

– Che cosa? – chiese, confuso.

– Promettimi che non ti farai fregare da loro. Anche se nel nostro cervello c'è qualcosa di rotto, rimane comunque nostro. Non è giusto che ce lo strappino via in quel modo.

Dianne si divincolò dalla stretta, e Ian sentì una fitta di delusione. La vide asciugarsi le lacrime con la manica del maglione, sbavandosi il trucco come la prima volta in cui l'aveva incontrata.

– Senza le nostre cicatrici mancherebbe una parte importante di noi – disse. – Non lasciare che te le portino via. Ti rendono ciò che sei.

Florian fuggì dagli occhi chiari di lei, posando una mano sulle ustioni del proprio viso. – Non mi piace ciò che sono –, le disse.

Dianne gli accarezzò la mano, coprendola con la propria. Gli volse il viso verso di lei, costringendolo a guardarla negli occhi.

– A me sì –, rispose.

Lui la osservò, beandosi del suo sorriso, che sembrava illuminare tutta la stanza. Sentì un calore espandersi nel petto, incandescente come il nucleo di un pianeta. Le prese delicatamente il viso tra le mani, e, senza darsi il tempo di sabotarsi, la baciò.

La sua pelle aveva il sapore caldo delle lacrime. Le loro guance si scontrarono, cozzando ruvide l'una contro l'altra, e le loro labbra si cercarono, tremando leggermente. Durò sin troppo poco, e quando si staccarono videro lo stesso stupore riflettersi nei loro visi arrossati. Risero del proprio infantile imbarazzo, felici di aver condiviso quel segreto.

Dianne si avvicinò di nuovo a lui, passandogli i polpastrelli sulle cicatrici del viso e poi del collo. Ne percorse la ruvida consistenza, solleticandogli la pelle col proprio tocco. Florian socchiuse gli occhi, facendosi guidare solo da ciò che poteva percepire col tatto. Sentì le mani di lei scendergli sul petto, sullo stomaco, sulle gambe, risvegliandolo una parte alla volta, come se il suo corpo non avesse mai atteso altro che quel contatto.

In lui iniziò a farsi strada un immeritato timore, che gli oscurò tristemente l'entusiasmo. Lo sguardo di lei sembrò porgli un interrogativo. Florian avrebbe voluto che le sue mani cancellassero anche quella sgradevole paura, giunta a disturbargli quell'accenno di normalità. Tuttavia, non poté fare a meno di ritrarsi.

– Non posso – le disse, sentendosi sprofondare. – Non so se ne sono ancora capace.

Quella consapevolezza lo aveva colpito nell'istante stesso in cui aveva sentito le mani di lei riplasmarlo. I troppi anni passati a prendere antidepressivi di certo dovevano aver avuto delle conseguenze sul suo corpo. Anche se non ne era sicuro, non avrebbe voluto deluderla. Inoltre, avrebbe significato scoprirsi le braccia, e non era pronto a una cosa del genere.

– Va bene – disse lei, con gli occhi colmi di comprensione. Le sue parole furono simili ad altre carezze. – Non devi fare nulla che tu non voglia. Mai.

Gli scoccò un piccolo bacio sulle dita, lasciandovi una flebile impressione di calore. Florian sentì il sollievo riversarglisi nel petto come sfondando un argine. La strinse più forte a sé, trattenendo l'impulso di urlare, o di piangere. Pensò alle due promesse fatte quel giorno, a Nicholas e a lei, e si costrinse a non odiarsi.

Dianne lo guardò, e incredibilmente i suoi erano occhi che non l'odiavano. Si rifugiò al loro interno, lasciandosi proteggere dalla loro ferma gentilezza.


• Angolino bonus •

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