³⁰. 𝘊𝘰𝘯𝘵𝘢𝘵𝘵𝘰

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Eddie terminò il racconto, senza curarsi di nascondere una certa malinconia.

– Su questa pista? – gli chiese Rein.

– Già. Proprio là – rispose Eddie, indicando un punto poco più avanti.

– Da quel giorno ho iniziato a smettere di respingerlo. All'inizio mi dicevo che farci amicizia sarebbe stato più utile alla convivenza, ma in realtà non mi dispiaceva affatto avere una sorta di "fratello" maggiore. Ci ho messo tanto a capirlo. Però una volta Florian mi ha detto che non era colpa mia, ma del modo in cui ci hanno fatti crescere in Accademia. –

Rein sembrò riflettere su quelle parole. – Probabilmente aveva ragione. L'Accademia ci ha preparati solo alla sopravvivenza. Una volta un ragazzino mi ha rubato le matite e io mi sono messo a piangere... L'insegnante ha rimproverato me. –

Eddie immaginò un Rein bambino che piangeva, e la cosa gli fece tenerezza. Si trattenne dall'impulso di dargli una pacca sulla spalla, cercando di passare oltre.

– Già, l'Accademia è stata una vera merda. –

Rein lo fissò dubbioso, scosso da quelle parole. – Un'altra cosa che non mi hai detto è perché tu te ne sia andato dai dormitori – disse seriamente.

– Oggi hai deciso di farmi un interrogatorio? – Eddie protestò dando un calcio leggero sul fianco dell'amico. Rein finse di accasciarsi a terra, facendolo sorridere divertito.

– Non posso raccontartelo un'altra volta? – gli chiese.

Gli parve che sul viso di Rein passasse un'ombra scura, ma forse fu solo una sua impressione. Il ragazzo riprese subito il proprio atteggiamento scanzonato. – O me lo dici, o facciamo un'altra gara. –

– Ricattatore –, gli rispose. – E va bene. –

Eddie si sedette un po' meglio sulla pista gommata, allungando le gambe dalla loro posizione incrociata, per evitare di farle addormentare.

– Innanzitutto, non mi piaceva quell'ambiente militaresco. Nei dormitori per gli orfani ogni attività era scandita al minuto. Sveglia alle sei, pranzo alle dodici, luci spente alle ventuno. Niente oggetti personali, niente contatti con gli altri al di fuori dello studio. E poi facevamo di continuo dei test fisici e medici. C'era un dottore con degli occhialetti sottili che mi teneva sempre il fiato sul collo. –

A quelle parole, Rein sembrò agitarsi leggermente. – Va' avanti –, gli disse.

Eddie lo guardò perplesso, ma poi continuò. – Avrei potuto sopportare tutto questo, ma poi successero delle cose. Un ragazzo fu picchiato da altri LaBo invidiosi perché aveva un fratello, e ovviamente gli altri dei dormitori erano tutti figli unici. Un altro confessò di avere dei dubbi sul culto del Reset, e i professori gli fecero fare un giuramento in classe, mettendolo in ginocchio. E poi un'altra cosa. –

Rein lo fissò teso come una corda di violino. – Cosa? – chiese, con gli occhi spalancati. Eddie si stupì di quell'insistenza, nonostante sapesse che lui stesso si sarebbe incuriosito allo stesso modo. Si strinse le mani, cercando di trovare la forza per raccontare.

– Quando avevo tredici anni mi piaceva una ragazzina di nome Lynn. Era timida, buona e ingenua fino all'eccesso. Una volta confessò a un'amica che sognava di avere dei figli, nonostante sapesse quanto fosse infattibile. La sua amica ebbe la brillante idea di raccontarlo a uno dei Pre che ci sorvegliavano nei dormitori, e lui avvicinò Lynn fino a farci amicizia. In seguito seppi che l'aveva costretta ad avere rapporti, illudendola che l'avrebbe "curata" dalla sterilità. Due giorni dopo me ne andai. –

Eddie ammutolì di colpo, e Rein non ribatté. Per un po' stettero in silenzio, fissando qualunque altra cosa non fossero i rispettivi visi. Eddie asciugò una goccia leggera di sudore che gli stava facendo capolino sulla fronte, non avrebbe saputo dire se per la corsa o per il disagio che stava provando.

– Scusa se te l'ho fatto raccontare – disse Rein, continuando a far vagare lo sguardo. – Alla sede di Reinario queste cose non succedevano. Non credevo che a Malthesia fosse così. –

– Non potevi saperlo. Sta' tranquillo – rispose Eddie. A un certo livello si sentì più leggero: non aveva mai raccontato quella storia a nessuno, neanche a Florian.

Rein lasciò per un momento che quelle parole si depositassero in lui. Eddie lo vide contrarre la mascella, lanciandogli un'occhiata indecifrabile. – Quindi a te piacciono... – iniziò a dire.

La domanda di Rein fu interrotta da un suono perforante che spezzò il silenzio attorno a loro. La sua carta ID, rimasta al sicuro nella tasca della felpa, aveva iniziato a illuminarsi insistentemente, come accadeva ogni qual volta ci fosse un contatto in arrivo. L'ologramma della cornetta verde fluttuò fuori dalla tasca, rimanendo celato per metà dal tessuto.

Rein sembrò infastidito. – Chi diavolo è a quest'ora? – disse, tirando fuori la sua ID. Fissò per un momento lo schermo, titubante. – Numero sconosciuto. –

Eddie si avvicinò incuriosito. – E se fosse qualcuno che ha decifrato i nostri messaggi nei videogiochi? –

Rein si grattò una guancia, pensieroso. – Potrebbe essere. Magari vuole tastare il terreno, prima di venire al punto d'incontro. –

– E allora accetta! –

Rein non se lo fece dire due volte, e premette col polpastrello il tasto verde a mezz'aria di fronte a lui.

Davanti ai due ragazzi si stagliò uno schermo bianco con su delle scritte.

– È una chat –, disse Eddie. I due LaBo iniziarono a leggere.

Ho trovato il tuo messaggio. Chi sei? – diceva la prima riga, colorata in un blu che feriva gli occhi.

Rein si affrettò a rispondere.

Siamo due LaBo, e speriamo che lo sia anche tu. Numero di matricola?

Il cursore sullo schermo lampeggiò a intermittenza, digitando una serie di cifre di fronte agli occhi apprensivi dei due ragazzi.

21678102 – scrisse.

– È una vera matricola dell'Accademia – disse Eddie, incredulo.

Ora i vostri –, scrisse il cursore.

I due digitarono i propri identificativi in fretta, attendendo trepidanti. L'altro LaBo non rispose, quindi Eddie cercò di incalzarlo.

Come ti chiami? Abiti a Malthesia? – scrisse.

– Non tartassarlo – disse Rein, rimproverandolo. Tuttavia anche lui rimase a fissare lo schermo, senza distogliere lo sguardo di un millimetro.

Sono Emma. Sì. – Il cursore dipinse subito altre parole. – Perché avete lasciato quel messaggio cifrato?

I due si voltarono per guardarsi, concordando una risposta.

Per parlare dell'otto –, scrissero. Erano sicuri che la ragazza avrebbe capito che si riferissero al numero in più sul Quadrante, evento taciuto da chiunque ormai da ben due mesi.

Le scritte sullo schermo lampeggiarono qualche secondo a vuoto. – Va bene –, scrisse la LaBo poco dopo.

Eddie guardò entusiasta l'amico, e quest'ultimo ricambiò il suo sentimento apparentemente con meno trasporto. Rein si sveltì a scrivere la risposta.

Il luogo e l'ora sono indicati nel messaggio. Quando sarai libera?

Domenica, a una settimana da oggi. –

Rein sembrò sudare freddo. – Allora ci vediamo al punto d'incontro –, scrisse.

– Aspetta –, gli disse Eddie, togliendogli la ID dalle mani. Si raggomitolò a scrivere qualcosa convulsamente, ignorando le proteste di Rein.

Hai mai partecipato a una maratona qui a Malthesia?

Il cursore si interruppe un momento, ma poi scrisse un laconico "sì".

Qual era il numero della tua pettorina? – continuò a chiedere, febbrilmente.

Emma rispose quasi subito. – 73.

Eddie sentì una fiammella di agitazione bruciargli nel petto. – Lo sapevo – disse all'amico.

Rein non fece commenti, e stette in silenzio sin quando non interruppero la conversazione. Prese la sua ID dalle mani dell'amico, riponendola di nuovo al sicuro nella propria felpa. Eddie lesse nel suo sguardo una certa preoccupazione, e si affrettò a rassicurarlo.

– Ci ha dato la matricola, non avrebbe potuto prenderla altrove – gli disse, sperando di aver fugato un po' dei suoi dubbi. Tuttavia, l'amico sembrava ancora con la testa tra le nuvole.

– Certo, sì. – Rein parve tornare di nuovo alla realtà. – È proprio lei, quindi? La ragazza della maratona? – continuò.

– Il numero della pettorina corrisponde – disse Eddie, alzando le spalle.

– È un numero semplice da indovinare. –

Eddie sbuffò. – Anche se non fosse chi dice di essere, all'appuntamento saremo in due. Siamo allenati, veloci, abbiamo fatto autodifesa in Accademia. Non può accaderci nulla di male. –

– Non hai tutti i torti – disse Rein. Tuttavia, la sua espressione rimase leggermente tesa.

– Che hai? – gli chiese Eddie, posandogli una mano sulla spalla.

Rein quasi si ritrasse da quel contatto. – Nulla –, disse. – Sono solo un po' in ansia. Non credevo che qualcuno avrebbe risposto davvero. –

Eddie allargò le braccia. – Ed è solo la prima di tante. Vedrai che troveremo anche altri Fratelli, e riusciremo a mantenere viva la memoria dell'Incidente del Quadrante. La Chiesa non ha proibito le associazioni non ufficiali, quindi per ora non c'è nulla da temere. Va bene? –

Rein gli diede finalmente corda, facendo un mezzo sorriso. – Va bene. – Sembrò esitare un momento, prima di proseguire.

– Emma è davvero un bel nome. Secondo te sarà ancora carina come la ricordi tu? Con quei capelli lunghissimi... – Rein parlò senza guardarlo, abbassandosi ad aggiustare un laccio allentato della scarpa.

Eddie aggrottò la fronte. – Non saprei. Sono passati quasi tre anni, magari è diventata calva. –

Rein alzò gli occhi su di lui, senza riuscire a trattenere una risata. – Hai la capacità di dire le cose più cretine mantenendo una faccia di bronzo. –

Eddie si passò una mano sotto alla folta chioma, mimando un breve inchino. – È la mia specialità. –

L'altro LaBo si rilassò leggermente, e parve strozzare con un sorriso qualcosa che era in procinto di dire. Eddie fu felice di averlo finalmente rincuorato. Fece vagare il proprio sguardo tra gli attrezzi abbandonati dell'impianto sportivo, con la vernice rossa sgualcita al punto da metterne in risalto l'ossatura d'acciaio. Fu contento di notare che nessuno degli altri adulti presenti – ne contò tre – sembrasse essersi accorto del loro breve scambio tramite ologramma. Meglio così, si disse.

Poco dopo i due si posizionarono di nuovo sulla linea di partenza, pronti a cimentarsi in un'altra gara.

– Che vinca il migliore – disse Eddie.

– Grazie –, rispose Rein.

Non gli diede neanche il tempo di protestare, che già era scattato in avanti. Dopo qualche minuto di polpacci di marmo e fiato freddo condensato, Rein tagliò ancora una volta la linea del traguardo.

– Sei una dannata gazzella – disse Eddie, cercando di mantenere la voce ferma, senza spezzare il fiato.

– Torna in palestra, scimmione – rispose l'amico, già pronto a darsela a gambe dopo quell'appellativo.

Come previsto, Eddie puntò i piedi per iniziare a inseguirlo, salvo essere interrotto da un applauso proveniente dagli spalti a qualche metro da loro.

– Forza Reddie! – sentì dire.

Seduto sui gradoni di cemento stava il suo co-abitante, imbacuccato in un giubbotto di panno e coi capelli umidi che spuntavano tra le falde di una grossa sciarpa. Aveva in mano un ombrello ad aria compressa, che faceva scivolare sulla propria cupola invisibile le gocce della pioggia che avevano iniziato a cadere. In effetti, i due si erano concentrati così tanto sulla gara da non essersi accorti delle lievi stille che gli bagnavano i vestiti.

Eddie si rallegrò, avvicinandosi a Ian per salutarlo con una pacca.

– Sono venuto a prenderti – disse l'uomo, scompigliandogli i capelli e sottraendosi al suo mezzo abbraccio. – Spostati, sei sudatissimo. –

– Ciao, Ian – disse Rein, salutandolo educatamente. – Che sarebbe "Reddie"? –

Florian sorrise, unendo gli indici delle proprie mani. – È una contrazione di "Rein" ed "Eddie". Non posso di certo mettermi a tifare per uno solo di voi due. –

Rein sembrò leggermente imbarazzato, mentre Eddie si scansò dal suo co-abitante, fingendo di offendersi. – Ah, sì? Ricordami un po', chi è che abita con te da quasi cinque anni? –

L'uomo continuò a ghignare, lasciando che si creassero delle piccole fossette tra la sua barba incolta e le cicatrici. – Rein però mi ha procurato quella musicassetta che cercavo da tempo. –

Il ragazzo sbuffò. – E in cambio ti ha scardinato uno specchietto dell'auto elettrica. –

– Non dire assurdità – disse Florian, alzando gli occhi al cielo. Si rivolse all'altro LaBo, posandogli delicatamente una mano sulla spalla. – Rein, non ascoltarlo, è il suo orgoglio che parla. Non devi preoccuparti per la nostra auto, si può benissimo riparare. L'importante è che impari a guidare per bene. Anzi, se vuoi fermarti da noi puoi approfittarne per fare pratica con me affianco. Stasera ordinerò delle pizze, dicono addirittura che ci metteranno del vero pomodoro non stampato in 3D. –

Gli occhi di Rein sembrarono brillare per un momento, tuttavia si spensero poco dopo. – Non posso, mi spiace. La mia tutrice vuole che io sia a casa per l'ora di cena. –

– Peccato – disse Florian. Sembrò studiare attentamente quello sguardo rammaricato.

– Pizza! – rispose Eddie, sfregandosi le mani. – Si festeggia qualcosa? Ci farai conoscere la tua bella? –

Florian si aggiustò gli occhiali sul naso, nascondendo tra i riccioli ribelli il proprio viso arrossito. – Meglio. Nicholas ha detto che presto potrebbero togliermi dallo status di Attenzionato. –

A quelle parole Eddie si illuminò, cingendo il proprio co-abitante in una forte stretta, nonostante fossero entrambi bagnati come stracci. – È la notizia più bella del mondo –, gli disse.

Eddie aveva serrato Florian in quella morsa talmente in fretta da non accorgersi di avervi trascinato anche Rein. Nonostante il lieve "mollami" proveniente dal ragazzo, decise di non lasciarlo andare. Era contento di condividere quella felicità anche con lui. Le loro mani si sfiorarono dietro i ricci castani di Florian, ed Eddie vide il flebile sorriso dell'amico fare capolino in quel groviglio di membra.

Eddie chiuse gli occhi, decidendo di percepire quel calore solamente col proprio corpo. Quando si scostò, infine, notò che gli occhi di Florian si erano fatti leggermente più lucidi.

Poco dopo salutò Rein, vedendolo sparire oltre il cancello della pista d'atletica, non senza un certo dispiacere.

Una volta recuperati i propri vestiti dagli spogliatoi, Eddie si diresse all'auto elettrica, saltando sul sedile del passeggero. Con una mano toccò il cubo di peluche attaccato allo specchietto, mentre con l'altra tastò l'interno dello zaino, cercando un elastico per capelli.

– Che stanchezza – disse a Florian, che stava infilando la chiave nella toppa. Fece al suo co-abitante una sintesi del contatto avuto via chat con la LaBo di nome Emma, e lo vide trattenersi dal fargli mille raccomandazioni in vista del loro incontro. Anche Florian raccontò la propria giornata, soffermandosi brevemente sul colloquio avuto col proprio psichiatra.

Ian fermò l'auto al semaforo, evitando di guardare il Quadrante. Le stecche Joy stavano nel cruscotto, intoccate ormai da qualche giorno. Eddie non avrebbe potuto essere più felice anche di quello.

– Tu e Rein vi trovate molto bene, vero? – gli chiese a un tratto Ian, sorridendo tranquillo.

Eddie incrociò le braccia dietro la testa, sgranchendosi le spalle. – Certo, perché me lo chiedi? –

– Così – disse l'uomo, continuando a tenere gli occhi fissi sulla strada. – Lo consideri il tuo migliore amico? – continuò.

Che hanno tutti oggi, con questi interrogatori? Pensò Eddie.

– Meglio, lo considero un fratello – disse. Ripensò alla figura di Rein filare veloce sulla pista da corsa, e provò di nuovo un debole formicolio in fondo allo stomaco. Non vedo l'ora di mangiare quella pizza, si disse.

Quando al semaforo scattò il verde, il suo co-abitante ripartì senza fare ulteriori commenti. A Eddie parve per un attimo di vederlo lanciargli qualche occhiata furtiva, sorridendo leggermente sotto ai baffi.

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