⁹⁰. 𝘍𝘢𝘯𝘵𝘢𝘴𝘮𝘪

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Nadine stava seduta per terra, curva sui suoi disegni come al solito. Il pavimento era completamente disseminato di fogli, sparsi senza un ordine preciso. Di fronte a lei, uno dei primi modelli di olovisione diffondeva a bassissimo volume un episodio di un cartone animato, uno dei pochi approvati dall'odioso partito della Chiesa del Giudizio. Florian storse il naso, forzandosi a riconcentrare lo sguardo sui disegni della bambina.

Nonostante avesse solo otto anni, era incredibilmente brava. Non solo era capace di produrre dei ritratti molto somiglianti, ma riusciva anche a inventare di sana pianta oggetti, animali e mondi fantastici. Era grato di aver ricevuto in dono una sorellina tanto brillante, ed era sicuro che da grande sarebbe diventata una famosa artista.

Florian si spostò a osservarsi nello specchio accanto alla porta, inciampando sul borsone della scuola di danza che Nadine aveva lasciato come sempre a ostruire il passaggio.

- Stellina - la chiamò, sbirciando il suo viso paffuto, - qualche giorno mi farai cadere per terra, con questa trappola.

Lei non gli rispose, e lui si infagottò nella giacca di jeans, sbuffando. Quando era concentrata, sua sorella dimenticava anche di respirare.

- Mamma e papà sono al lavoro, e sto uscendo anch'io. Fra poco passerà Mel a prenderti, non farti trovare ancora a disegnare.

Ian si ravviò i ricci con le dita, sospirando. Amélie diceva sempre che avrebbe dovuto tagliarli, ma a lui piaceva come quella matassa di capelli gli nascondesse il viso. Piuttosto, avrebbe preferito che lei ci affondasse le dita dentro, o che ci stampasse un bacio sopra.

- Io vado, Nadine, ci vediamo più tardi. Hai capito?

Sua sorella sollevò il viso verso di lui, sorridendogli interrogativa. Florian scosse la testa, rassegnato. Non ha ascoltato una sola parola.

Aprì la porta di casa con lentezza, gettandole un ultimo sguardo addolcito. Un pensiero gli attraversò la mente, fugace come una cometa.

Darei la vita per te.

***

Luce.

Il pavimento sotto di lui era talmente bianco. Limpido e pulito e luminoso. La sua superficie proseguiva in una linea ordinata, che sembrava valicare le pareti per espandersi all'infinito. Eppure, gli parve di osservare tutto quel candore con un filtro impostato sul negativo. Come se in quella stanza fossero stati riversati litri e litri d'inchiostro, imbrattandola assieme alle pareti della sua coscienza.

Buio.

Una volta, Florian aveva letto ciò che sarebbe successo al corpo umano se fosse "caduto" dentro a un buco nero. Ovviamente, il suo inconscio si era subito sbizzarrito a confezionargli un incubo su misura. In quel sogno, i suoi piedi erano i primi a stirarsi verso il basso. Poi toccava ai polpacci, allo stomaco, al petto. La sua carne veniva distesa fino al cedimento, disintegrandosi atomo dopo atomo. Tuttavia, pur sapendo che nella realtà non sarebbe stato possibile, nel sogno rimaneva lucido sino all'ultimo secondo. Moriva solamente quando realizzava che non avrebbe potuto fare altrimenti.

Luce.

"Il dolore e la coscienza del dolore non sempre coincidono", gli aveva detto una volta Nicholas. Lo aveva affermato con uno dei suoi sorrisi pacifici, spiegandogli come il primo passo verso la guarigione consista spesso nella consapevolezza di stare soffrendo. Una cosa che Ian non era mai riuscito a incollarsi bene addosso. Perché svelare la propria sofferenza significava realizzare di non meritarla, e questo non poteva permetterselo. Non quando doveva pagare pegno per non essere riuscito a salvare Nadine e Amélie. E avrebbe preferito cadere in un vero buco nero, piuttosto che affrontare quello che aveva al centro del petto.

Non avrebbe mai immaginato di dover fare le due cose assieme.

Buio.

Tra i buchi neri e lo Spazio aperto, aveva sempre avuto un rapporto difficile con il buio. Non si era mai fidato delle ombre, soprattutto di quelle provenienti dalla sua mente. Eppure, in quel momento, fu la luce a terrorizzarlo. La luce che investe, che straripa dentro agli occhi sino a farli sanguinare. Il chiarore della verità, forte come l'esplosione di mille soli.

Luce.

Il mondo va in rovina.

Le persone muoiono.

Nadine è qui davanti a me.

La verità è la verità.

E non puoi rigettarla solo perché non ti piace.

La ragazza si spostò al rallentatore. I suoi capelli mossi rotearono assieme a lei, circondando il suo corpo scheletrico. I suoi occhi erano chiari, di un grigio che era più cenere inerte che nube temporalesca.

Florian sentì la psiche avere uno spasmo, contraendosi come un cuore in sistole. Vide sbocciare dal nulla un'immagine fumosa di sua sorella, la solita allucinazione che ormai lo accompagnava da una vita.

Due Nadine.

La bambina vestita di ombre sorrise serenamente, sovrapponendosi alla sua controparte reale. La indicò, la carezzò. Le prese la mano, avvolgendola tra le piccole dita fatte di niente. Dopodiché si dissolse sotto ai suoi occhi, svanendo rapida com'era arrivata.

I passi che mosse gli sembrarono vibrare nelle gambe di qualcun altro. Non fu il suo braccio a tremare in avanti. Non fu la sua mano a tastare il vuoto. Non furono i suoi polpastrelli a fendere l'aria, percorrendo timorosamente lo spazio tra lui e la ragazza. Gli parve quasi di disincarnarsi verso di lei, coi nervi tesi come corde di violino. Ogni cellula di lui impegnata a captare qualcosa, qualsiasi cosa, che potesse confermargli che la persona che aveva davanti non era un fantasma, un ricordo, un'allucinazione. Che quella Nadine dagli occhi cinerei come i suoi era un essere umano in carne e ossa.

Florian la sfiorò.

Era solida. Tangibile. Reale.

Viva.

Non può essere viva.

Buio.

Non emise un solo suono. Le sue gambe vacillarono, e le sue unghie si aggrapparono alle spalle del ragazzo che si era precipitato accanto a lui per sorreggerlo. Non si curò di vedere chi fosse. Non si curò di non fargli del male.

Qualcosa emerse dall'oscurità, incuneandosi nella sua coscienza. Urla di ogni tipo, che biascicarono parole concitate e ordini che riuscì a stento ad afferrare.

"Curate la ferita del ragazzo". "Non uccidete Iris Svart". "Sedate la ragazza". "Separatele dagli altri".

E, più forte delle altre, una voce familiare.

"Non toccate Amélie".

Florian si voltò. I suoi occhi incrociarono quelli di Jonas Kersson, che scalpitava come un ossesso tra le braccia di due soldati. L'uomo che lo aveva aggredito in ospedale, e che Willas aveva tramortito.

Jonas lo guardò con odio, senza che quel sentimento potesse giungere alla sua percezione ovattata. Poi si protese verso una figura accovacciata a terra, bianca come il pavimento, nera come la pece.

Florian incontrò le iridi d'inchiostro di Amélie. Vide il suo camice bianco, vide i soldati che le mettevano le manette, premurandosi di non ferirla.

La squadra del Lethe non aveva trovato fotografie della dottoressa Svart. Il Leader aveva detto che era stata molto brava a non lasciare le proprie tracce in giro. E così, durante una delle riunioni precedenti al raid, Yae non aveva potuto far altro che descriverla.

"Ha i capelli lisci e neri", gli aveva detto. "I suoi occhi sono talmente scuri da nascondere le pupille. Indosserà di sicuro un camice. E potete star certi che dove sarà Eve, ci sarà anche lei".

Eve. La ragazza fertile. La cavia.

La ragazza che la dottoressa Svart teneva chiusa nella Stanza Bianca da diciassette anni.

Florian guardò Nadine. Guardò Amélie.

Buio.

Buio.

Buio.

Spegniti

Spegniti

Spegniti

Che

qualcuno

mi

spenga.

(Puoi farlo tu stesso.)

Posso? Davvero?

(Ma certo. L'interruttore è qui.)

Le sue mani si riplasmarono attorno alla pistola.

Era fredda. Era un sollievo.

Allora vado, Nadine.

(Va bene. Buonanotte, Ian.)

Buonanotte, stellina.


- Ian!

No.

- Ian!

Non voglio.

- Ti prego, ti prego.

Lasciami in pace.

- Guardami, ti supplico.

Non posso.

- Ci sono qua io. Apri gli occhi. Sono insieme a te.

Non sei reale.

- Aiutatemi a tenerlo fermo.

Niente di tutto ciò è reale.

- Ti aiuto io, sta' tranquillo. Mi chiamo Willas.

- Willas? Sei quel Sorvegliante che...

- Non parlare adesso. Dammi una mano.

Delle dita gli si strinsero attorno, strappandogli via la pistola. Altre dita gli avevano impedito di premere a fondo il grilletto, qualche secondo prima. Qualcuno aveva intrecciato le mani alle sue, frapponendosi tra lui e il liberatorio abbraccio della morte. Qualcuno che aveva rischiato di abbracciarla al suo posto.

Interruttore spento.

- Florian. Puoi aprire gli occhi, per favore? - disse la voce. Aveva un tono gentile e pacato, e una piccolissima parte di lui avrebbe solo voluto dargli ascolto. Ma aprire gli occhi avrebbe significato rendere tutto quello reale. E non poteva risvegliare quel dolore, non senza desiderare di addormentarsi per sempre.

- Blu - sussurrò la voce, sollevandosi dall'oscurità. - Il tuo colore preferito è il blu. Come il cielo appena dopo il tramonto, come il mare visto dall'alto.

Blu.

- La password della cassetta di sicurezza è il mio compleanno, anche se tu pensi che io non lo sappia. La tua canzone preferita è "Disintegration".

Qualcosa si mosse in lui.

- Hai letto più di mille libri. Sei bravissimo in cucina. E so che vorresti avere un cane, anche se una volta mi hai detto che ti bastava avere me. E io ti ho colpito con una ciabatta.

La voce continuò a sussurrargli delle parole, sempre più vicina.

- La tua stella preferita è Antares, anche se non riesci a guardarla. Capisci le persone alla prima occhiata, persino quando non vorresti farlo. Sei la persona più buona che conosca. Sei la persona migliore che conosca. Quindi, ti scongiuro, guardami negli occhi. Ho bisogno che torni da me, e che torni da te stesso - disse. - Perché sei la mia famiglia - aggiunse, titubante.

Tornare da te stesso.

Florian aprì gli occhi.

Eddie stava accovacciato accanto a lui, e gli stava serrando le mani con le proprie. La sua stretta era forte, eppure allo stesso tempo incredibilmente delicata. Aveva la pelle percorsa da sottili strisce rossastre, lì dove lui l'aveva graffiato nel tentativo di scacciarlo via. Erano entrambi seduti sul grande pavimento color neve, circondati da una serie di figure che incombevano su di loro. Ian riconobbe Willas, con in mano ancora lo spray cicatrizzante col quale aveva verosimilmente interrotto l'emorragia di Eddie. Più in là rivide il viso ostile di Jonas, immobilizzato da un paio di soldati nascosti dai loro caschi.

Nadine era addormentata accanto ad Amélie, che intanto era stata ammanettata. Si trovava a diversi metri da loro, in ginocchio e con lo sguardo basso. Tra i due gruppi stava uno spesso vetro trasparente, che divideva la stanza come il fiotto di una cascata.

Non poteva pensare a loro, adesso, o avrebbe rischiato di impazzire. Decise di concentrare ogni barlume di coscienza su Eddie, accogliendo le parole mozzate che gli stava rivolgendo.

- Sapevo che ce l'avresti fatta - disse il ragazzo, abbracciandolo forte. Lui si fece ricomporre dal calore di quel contatto, e la vista di una lunga cicatrice sulla sua nuca lo risvegliò ulteriormente. Sembrava profonda e dolorosa; doveva essere quello il motivo del suo inaspettato taglio di capelli. Passò le dita sopra quella traccia in rilievo, sentendosi soffocare.

- Eddie...

- Lo so. Ma ormai è passata - rispose Eddie. Ian sentì la sua voce affievolirsi, e la sua stretta intensificarsi di rimando.

- Sei venuto a prendermi - mormorò, tenue. Anche senza guardarlo in volto, Ian comprese che stava piangendo.

Non avrebbe voluto seguirlo in quella parata di sofferenza, eppure non riuscì a farne a meno. Le lacrime si riversarono sulla camicia azzurra del ragazzo, decorandola una goccia scura alla volta. Eddie si accucciò contro di lui e iniziò a tremare, rilasciando la tensione che aveva accumulato sino a quel momento. Nonostante fosse più piazzato di lui, sembrò farsi piccolo piccolo tra le sue braccia. Come un bambino.

Florian tremò assieme a lui, dilaniato da una marea di emozioni. Non gli importò di essere al centro delle attenzioni di tutti, non più. Adesso era il suo turno di essere forte. Adesso era il suo turno di proteggerlo dal dolore.

- Certo - gli sussurrò, addolcendosi. - Certo che sono venuto a prenderti.

Altre mani lo distrassero dalla loro stretta, posandosi delicatamente sulla sua spalla. Florian incontrò gli occhi verdi di Willas, che contrastavano lucidi col bianco che lo circondava.

- Dobbiamo andare, adesso. È tutto a posto, Ian.

Lui annuì, con la voce ancora bloccata nella gola. Si diede un attimo per ricomporsi, gettando uno sguardo fugace alle due figure ancora accasciate oltre al vetro - l'una addormentata, l'altra in ginocchio. Serrò le loro presenze in un angolo della mente: in quel momento non poteva permettersi di ricadere nel baratro. Voleva solo far uscire Eddie da lì.

Ian profuse ognuna delle sue energie per alzarsi, carezzando la schiena del LaBo. Gli strinse un braccio attorno alla spalla, allineando a fatica le loro stature. Sapeva di non poterlo sorreggere chissà quanto, eppure quel gesto parve dargli forza. I suoi occhi blu si illuminarono un po', e il suo sorriso timido lo aiutò a riacquisire anche l'ultimo barlume di lucidità.

- Usciamo da qui - gli sussurrò, cercando di sembrare più sicuro del dovuto. Eddie mosse un passo assieme a lui, salvo poi trovarsi entrambi con la strada sbarrata dalla schiena torreggiante di Willas.

Il ragazzo si era arrestato a qualche metro dalla porta, di fronte a un paio di soldati con le pistole puntate verso l'interno della Stanza.

No, non verso l'interno della Stanza, ragionò Florian. Verso di noi.

- Che significa? - chiese l'ex-Sorvegliante, alzando la voce di qualche tono. - Fateci passare!

- Posate le armi a terra - disse una delle due figure, senza abbassare la pistola. La sua voce era atona, e Ian non riuscì a capire a chi appartenesse.

D'istinto, voltò lo sguardo verso la parete trasparente che circondava un lato della Stanza Bianca, e dietro alla quale aveva visto assieparsi la marea di soldati del Lethe, prima di disallinearsi.

Li ritrovò dove li aveva lasciati, vestiti con le loro tute marroni e verdi, e con le armi spiegate contro i Sorveglianti della scorta di Abramizde. In un angolo del corridoio scorse l'appuntita figura del Presidente stesso, e il suo cuore saltò un battito. L'uomo era stato imbavagliato e ammanettato a una sedia, e sembrava fuori di sé. Tuttavia, in fondo al suo sguardo, riuscì quasi a scorgere un breve barlume di trionfo.

Uno dei soldati del Lethe aveva deciso di scoprirsi il capo, e ora guardava fisso oltre il vetro, oltre i soldati, oltre ogni cosa. Guardava oltre, e basta. Aveva una fascia rossa al braccio, e gli occhi castani come l'autunno. Nel suo sguardo riposava un muto senso di colpa, subito inglobato da qualcosa di più grande e luminoso: un ideale. Quello stesso ideale che aveva animato l'uomo che gli stava ammanettato accanto, e che aveva guidato le azioni della donna con la quale una volta Florian aveva diviso la vita.

"Mi sono abituato da tempo all'estinzione degli esseri umani. Vorrei solo che potessimo vivere il resto dei nostri giorni in libertà, fuori dalle gabbie della Chiesa del Giudizio. Non voglio il piedistallo di Abramizde, né quello di Iris Svart. Semmai, ciò che vorrei è un mondo senza piedistalli."

Bugiardo.

Oliver Krassner spinse un tasto di fronte a lui, accendendo l'interfono. Il suo sguardo caldo si piantò in quello ghiacciato di Florian, mentre la sua voce gli giungeva ovattata alle orecchie.

- Arrestate tutti quelli che sono senza casco, e chiudeteli nella Stanza Bianca - disse, senza distogliere il viso dal suo. - Uccidete gli altri.

Lui sentì il pavimento mancargli da sotto ai piedi. Una risata amara gli gorgogliò nel fondo della psiche, sbeffeggiandolo.

Povero idiota. Avresti dovuto prevederlo.

Un paio di soldati sospinsero lui, Eddie e Willas a terra, colpendoli nell'incavo delle ginocchia. Eppure, non sentì alcun dolore. Non sentì nulla.

Ebbe solo il tempo di registrare un'ultima frase, prima di serrare di nuovo ogni cosa fuori da sé. Una frase accompagnata dal sospiro affranto del Leader, che per un istante gli parve genuinamente sincero.

- Mi dispiace, Florian -, disse.

Buio.


Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro