⁸⁹. 𝘙𝘪𝘤𝘢𝘥𝘶𝘵𝘢

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La stanza per le Rievocazioni aveva un soffitto che si arrotondava verso l'alto, facendola assomigliare alla cupola di una chiesa. Addossati alle pareti c'erano dei macchinari argentati che le ricordarono quelli della fabbrica di InfanTech, anche se molti di essi sembravano essere tanto antichi quanto malfunzionanti.

Mauryce Davis aveva un fisico smunto e nervoso, e se ne stava seduto a braccia conserte su una sedia di metallo. Dianne lo fissò a denti stretti. È colpa tua se sono finita in quella clinica. Rimase immobile sullo stipite della porta, dietro alla quale Nicholas era rimasto ad attenderla. Nonostante lo psichiatra non fosse stato particolarmente entusiasta all'idea di farle condurre l'interrogatorio da sola, non avrebbero potuto fare altrimenti.

L'uomo si alzò in piedi, gioviale. Indossava un completo formale color panna, che contrastava elegantemente con la sua pelle scura. Sui lati delle tempie portava delle basette leggermente ingrigite, che guizzarono verso l'alto quando il suo volto si aprì in un sorriso affabile. Dianne lo vide squadrarla da capo a piedi, famelico. Nonostante indossasse una quantità spropositata di veli, si sentì comunque nuda.

– Ti stavo aspettando – le disse, avvicinandosi contento. Le scostò una garza dal viso, sbirciandola meglio. Un cipiglio dubbioso gli si incastonò tra le sopracciglia.

– Non sei Clare –, continuò. Lasciò la mano a ciondolare accanto alla sua cintura, improvvisamente titubante. – Ci conosciamo?

Dianne si strappò il resto dei veli dalla testa, gettandoli per terra. I suoi capelli corti esplosero all'esterno, scarmigliati e selvaggi come sempre. Davis si allontanò di qualche metro, allarmato.

– Giudica tu.

L'uomo si ritrasse un passo dopo l'altro, in una sequenza che, in un altro momento, Dianne avrebbe trovato quasi comica. Si godette i suoi sudori freddi, sin quando non lo vide sbattere alla sedia e caderci pesantemente sopra.

– Tu... – disse, tremolando. – Sapevo che eri fuggita.

– A quanto pare – gli rispose, estraendo la pistola di Riley con lentezza. L'uomo strabuzzò gli occhi, schiacciandosi sulla sedia come se avesse voluto seppellircisi. Dianne si rigirò l'arma tra le mani, silenziosa. Probabilmente non sarebbe riuscita a contrastarlo, in un eventuale corpo a corpo. Tanto valeva evitare di perdere tempo.

– Adesso risponderai ad alcune domande – sibilò, a un palmo dal suo viso. Le parve quasi di vedere, negli occhi nocciola dell'uomo, un riflesso spiritato dei propri. – Per esempio, chi sia Jonas Kersson, e perché voi due mi abbiate fatta rinchiudere in un ospedale per irrecuperabili.

Davis strinse i pugni accanto ai braccioli, indurendo la mascella. – Non risponderò a nessuna domanda, puttana sociopatica – sputò.

Dianne sentì la vista annerirsi di colpo, e, prima ancora che potesse rifletterci, colpì la fronte dell'uomo col calcio della pistola. Gli aprì una seconda bocca sul viso, un taglio frastagliato e profondo che iniziò subito a trasudare fiotti rossastri.

– Sei sicuro? – sussurrò, febbrile. – Perché io ho tutto il tempo del mondo.

L'uomo prese a ridere di gusto, indicando la propria cintura. – No, non lo hai. Ho fatto una richiesta d'emergenza appena ho capito che non eri Clare. La scorta d'élite del Presidente sarà qui tra pochi minuti – disse, spavaldo. – Addio, Levatrice.

***

– Non ci posso credere. Si stanno ritirando.

Florian si voltò verso Ann, che aveva mormorato quelle parole a bassa voce. Erano scesi in cinque dal furgone, silenziosi come piume. Per spiare di nascosto la facciata dell'edificio, inizialmente, ma poi soprattutto per osservare da vicino l'inaspettato ripiegamento della scorta del Presidente.

Willas si accovacciò sulle loro teste, facendogli scudo con la sua altezza. – Perché se ne vanno? – chiese, dando voce alla domanda che ognuno di loro, probabilmente, si stava ponendo.

– Non lo so – ammise Krassner, continuando a osservare la fila di Caschi Rossi che abbandonavano la zona a bordo delle volanti semi-sospese. – Ma non abbiamo con noi l'apparecchiatura per le intercettazioni ambientali. Non c'è il tempo di capirlo.

Il Leader si rivolse nuovamente a loro, con un guizzo ferino negli occhi. – Io dico che dovremmo solo approfittarne. O sbaglio?

Ian sentì qualche mormorio di approvazione sollevarsi dal cerchio di LaBo, assieme a quello di Klaus, che li aveva raggiunti, e dei pochi Pre che il Leader aveva scelto per quell'operazione. Percepì una bolla d'ansia gonfiarglisi dentro, ma si costrinse a tacere.

– Bene. Allora si va – concluse l'uomo. Lo vide calcarsi un casco nero sul capo, celando il proprio volto e sembrando più pericoloso del dovuto. Liese, i Pre e i LaBo fecero la stessa cosa, imbracciando le armi con foga. Anche Elsinore indossò un casco, nonostante la sua statura ne rivelasse comunque l'identità. Ian guardò le calotte scintillanti, spaesato. Senza volerlo, fu colpito dal pensiero che quelle protezioni fossero state distribuite solo a coloro che il Leader non riteneva sacrificabili.

Lui, Yae, Ann e Willas rimasero invece a volto scoperto. Osservò Seth, Jay e Dev sparire sotto alle protezioni, stringendo tenaci le proprie pistole, che sembrarono quasi dei giocattoli tra le loro mani. Nei loro sguardi non c'era traccia del timore che invece infettava il suo, e quasi li invidiò per la disinvoltura con la quale si avviarono verso l'edificio.

Si acquattarono tutti tra le auto elettriche parcheggiate, attendendo i segnali dei capigruppo. Florian concentrò lo sguardo sul Leader, riconoscibile per via di una fascia rossa che gli cingeva un braccio. L'uomo fece cenno a Yae di raggiungerlo, cosa che la ragazza fece prontamente. Sul piazzale era calato un profondo silenzio, che nullificava ogni pensiero ancor prima di formularlo.

Vide Yae accostarsi al portone d'ingresso, entrando nel campo visivo del dispositivo di riconoscimento orbitale. Il grosso occhio metallico della telecamera incastonata nel muro si rivolse verso di lei, ronzando quietamente. Le probabilità che la dottoressa Svart avesse lasciato il suo accesso attivo rasentavano lo zero, ma tanto valeva fare un tentativo.

La porta emise un clangore metallico, sbarrandosi di colpo. Il piccolo schermo digitale ebbe un guizzo rosso, che anche da quella distanza Florian riuscì a riconoscere come un avviso di "accesso negato". Krassner posò una mano sulla spalla di Yae, sfoggiando un'espressione serena. Dopodiché caricò la pistola e sparò alla maniglia.

***

Iris piombò nella stanza in pochi secondi, trafelata e fuori di sé come non l'aveva mai vista. Aveva il fiato spezzato dal panico, e i suoi lunghi capelli neri ormai le stavano irrimediabilmente appiccicati al viso.

– Edin – stridette, cercando di calmarsi. – Ragiona. Non sai cosa stai facendo.

Lui sentì i muscoli contrarsi, e si accostò ancora di più al corpo minuto di Eve. – Mi chiamo Eddie – rispose. La vide muovere dei passi incerti verso di loro, col camice bianco a strascicarle dietro. Vieni qui, pensò, fibrillando. Avvicinati di più.

Iris si allungò verso Eve, tenendo una mano alzata. La ragazza non la degnò di un solo sguardo, e continuò invece a stringergli il collo con le proprie deboli forze.

Nadine – disse la donna, spiazzandolo. – Ma fille. Tout ira bien, je vous promets.

Lui sentì un moto di ribrezzo attorcigliargli lo stomaco, e si divincolò bruscamente dalla presa di Eve. La ragazza barcollò all'indietro, mentre lui le strappava la maglia di ferro dalla mano, lasciandole un profondo graffio scarlatto sul palmo.

– Bastarda – disse in un soffio, schiacciando l'arma sul collo diafano di Iris. – Non sei sua madre più di quanto tu lo sia stata per Rein.

Vide il suo volto contrarsi in uno spasmo di terrore, e se ne beò per qualche istante, furioso. Scrutò il fondo dei suoi occhi color petrolio, cercando quel barlume d'acredine che le aveva visto addosso sin troppe volte. Tuttavia, vi trovò invece solo una profonda, disarmante malinconia. Quella di una persona illuminata dalla verità, scorticata dalla sua dirompenza. Quella di una ragazzina che aveva realizzato, dopo diciassette anni, di non essere la salvatrice dell'umanità, e di aver solo rapito una bambina innocente.

Eddie si sentì vacillare, e per poco non allentò la presa. Cercò i fili mozzati del proprio odio, sporgendosi e sforzandosi per riacciuffarli.

No, si disse. Non posso fermarmi. La deve pagare. Deve morire. Per troppo tempo aveva aspettato il momento in cui le avrebbe dimostrato la fallacia del suo Progetto, il momento in cui le avrebbe finalmente messo le mani al collo. Lei che gli aveva portato via ogni cosa, che aveva scelto la direzione della sua vita da prima che nascesse. Lei che aveva sfruttato, distrutto, lacerato sin troppe persone.

Non m'importa se svanirò assieme a lei, si disse, lucido. Era così: già da quando aveva posato gli occhi sui Sorveglianti del Presidente, sapeva che non sarebbe riuscito a sopraffarli tutti per fuggire. Inoltre, una volta uccisa Iris, Jonas, Xander e i Caschi Rossi lo avrebbero di certo crivellato di pallottole, o peggio, lo avrebbero costretto a produrre forzatamente altri gameti, prima di sopprimerlo. Era un'opzione che aveva tenuto in conto. Ma, al di là della mancata fuga, tutto ciò che aveva voluto, tutto ciò che aveva architettato, iniziava e finiva con la morte di Iris, la sola cosa che avrebbe potuto prosciugare il magma ribollente del suo odio.

Eppure, non riusciva a farlo. Le sue mani si erano come paralizzate, congelate in uno spasmo di pietà. Perché, nonostante tutto, Iris su una cosa aveva avuto ragione: non avrebbe fatto del male a una mosca. Altre parole gli sovvennero in mente, più remote, più dolorose. Le parole che Rein gli aveva rivolto in auto. "Ti calpesteresti a morte pur di non fare del male agli altri. Ti annienteresti."

Eddie strizzò le palpebre, sentendo la sua mente frammentarsi. Fu solo l'acuto strillo di Eve a riportarlo alla realtà, facendolo voltare di colpo.

La ragazza si trovava stretta tra le spigolose braccia di Jonas, che nel frattempo aveva raggiunto Iris nella stanza. Assieme a lui, Eddie scorse l'imponente figura di Xander, torva come una nube temporalesca.

– Lasciala andare, Edin – disse Jonas, inflessibile. Eve si dibatté dentro la sua presa, cercando di sgusciare via da ogni lato. – Una vita per una vita. Allontanati da Amélie, o le spezzo il collo.

Lui sgranò gli occhi, seguendo l'espressione allibita di Iris. Evidentemente, per Jonas l'incolumità della dottoressa Svart era addirittura più importante della prosecuzione dell'umanità. Eddie si riscosse dal proprio torpore, allarmato dalla spietatezza del suo sguardo, che, a differenza del proprio, non lasciava adito a dubbi. Non sta fingendo. Ucciderebbe davvero una ragazza incinta.

Ebbe il tempo di un pensiero. Incrociò il viso del Presidente, ancora impietrito dietro al vetro. Dopodiché, sentirono un allarme lacerare il silenzio, e le porte della Stanza Bianca serrarsi di colpo, sigillandoli dentro.

***

– Cinque minuti e le volanti semi-sospese saranno qui – disse Mauryce Davis, sorridendo sprezzante. – Mi dispiace, signorina Smith. Saresti dovuta rimanere a marcire a Larkhall.

– Peccato che rinchiudermi non sia servito a nulla – rispose Dianne, posando una mano sullo schienale della sedia. Si avvicinò alla figura smagrita dell'uomo, sin quasi a sfiorargli il volto col proprio, ormai irrigidito in un ghigno spietato. Gli puntò la pistola alla tempia, vedendolo sussultare leggermente.

– Pensaci bene, Davis. Cinque minuti mi bastano per ucciderti. Anzi, mi bastano anche cinque secondi.

L'uomo fece per sollevarsi in piedi, pronto a divincolarsi. Lei lo bloccò dandogli una sonora testata sulla fronte, nello stesso punto in cui l'aveva già colpito col calcio della pistola. La sua mente registrò a malapena il proprio dolore, così come non registrò le urla lancinanti dell'uomo, rannicchiatosi su se stesso per premersi i palmi sulla ferita.

– Uno – mormorò lei, serrandogli il mento tra il pollice e l'indice. – Perché mi hai fatta rapire?

Davis si contrasse in uno spasmo, osservandola dal basso con spregio. Tuttavia, si ostinò a rimanere in silenzio.

– Due – continuò lei, impaziente. – Che ne hai fatto del ragazzino LaBo?

L'uomo tirò la testa all'indietro. Dianne non comprese cosa stesse architettando sin quando non lo vide sputarle un grumo sui piedi. Le sottili scarpe da Levatrice Spirituale si insozzarono di sangue e saliva, contrastando col biancore del pavimento.

– Vaffanculo –, sibilò il Ministro.

Dianne sbuffò, seccata. Gli tenne la testa ferma tra le mani, stampandogli una ginocchiata sul mento. Sentì l'osso della sua mascella restituirle uno schiocco sordo, e in qualche modo la cosa le ricordò la volta in cui aveva spaccato gli specchietti dell'auto della signora Márcia.

– Tre.

***

L'allarme gli frantumò l'udito, costringendolo a stringersi le mani sulle orecchie per non venir meno. Florian si perse nella fiumana di individui in mimetica, che sporcavano di verde e nero le pareti del Laboratorio. Sentiva la testa pulsargli di dolore, e i piedi muoversi da sé tra le corsie. La sua mente si era stabilizzata su un solo, semplice pensiero: seguire Yae.

La vide svoltare a destra e poi a sinistra, accompagnata dalla figura scattante di Ann. Le rincorse incespicando i passi, con la pistola a traballare nella fondina.

– Non fate del male alla dottoressa con i capelli neri! – strillò una voce, concitata. Vide una figura sollevare un braccio, richiamando l'attenzione dei golpisti. – È un ordine! Non ferite la dottoressa Svart!

Ian registrò a malapena quelle parole, concentrandosi invece sulla parete di fronte alla quale si erano arrestati.

– È qui dietro – disse Yae, tastando il muro. – Questa è la porta che conduce alla Stanza Bianca.

La vide digitare freneticamente un codice alfanumerico su una tastiera a scomparsa. Dopodiché, la porta si aprì con uno scatto, scostandosi pesante dal muro immacolato. Florian corse dentro assieme agli altri, sentendo i loro passi pesanti rimbombare sulle mattonelle. Si ritrovarono in un'ampia stanza piena zeppa di schermi, con delle pulsantiere illuminate di un rosso tenue e delle sedie di metallo dall'aria spettrale.

Yae premette una decina di tasti in sequenza, con l'angoscia a farle fremere le dita. In men che non si dica, il suono dell'allarme cessò di lacerare i loro timpani.

Florian si concesse un sospiro, stremato. Alzò il viso verso la figura della ragazza, che si stagliava in controluce sugli schermi. Cercò di metterla a fuoco, venendo tuttavia attirato dalle piccole sagome che si muovevano all'interno dei monitor.

Diede una rapida occhiata, registrando il necessario. Dopodiché corse via dalla sala di controllo, con ogni fibra del corpo in tensione.

***

– Che sta succedendo? – disse Abramizde, fuori dalla Stanza. La sua voce gli arrivava attutita dall'interfono, per via dello stridio dell'allarme che aveva iniziato a percuotere l'intero edificio.

Eddie cercò di escludere il dolore lancinante alle orecchie, piantando i propri occhi color cielo in quelli castani di Jonas. Gli sembrò che attorno a loro non ci fosse nessun altro, che il Presidente e le sue marionette fossero scomparsi dal loro campo visivo. La luce candida della Stanza Bianca si fece accecante, inglobandoli al proprio interno. Loro, i due ragazzini vestiti da sposi, ognuno avvinghiato al proprio testimone.

Eddie realizzò che il suono era terminato solo quando udì le parole che Jonas gli rivolse, schiudendo leggermente le labbra. Il sorriso perfido in cui lo vide contrarsi gli fece accapponare la pelle.

Il medico serrò i palmi attorno alle tempie di Eve, pronto a ritorcerle il collo. – L'hai voluto tu – disse.

Accadde in un attimo. Eddie vide una sagoma gettarsi di lato, strappando l'esile figura di Jonas dal pavimento. Xander bloccò il medico con la propria stazza, permettendo alla ragazza di divincolarsi. Eve squarciò di striscio il proprio vestito a sbuffo, e inciampò verso lui e Iris, prendendoli alla sprovvista. La dottoressa ne approfittò per sgusciare via, annaspando in grossi respiri affannati.

– Bastardo traditore! – disse Jonas, ingabbiato e inerme tra le possenti braccia di Xander. Eddie non lo vide emettere alcun suono, eppure, chissà perché, riuscì a sentire un sottile filo di complicità legarlo a lui. Sapevo che non gli avresti permesso di ucciderla.

Iris si accasciò sul pavimento, stremata. Eve, al contrario, se ne stette immobile, girata verso la parete. Eddie le accostò una mano sulla spalla, alla ricerca di qualche ferita. La ragazza, tuttavia, si voltò di scatto verso di lui, con uno sguardo vuoto ancora incassato negli occhi. In mano aveva la stessa maglia di metallo che aveva impugnato sino a poco prima, e che lui stesso le aveva posto tra le dita.

Senza dire una parola, la ragazza gli si gettò contro, affondandogli la piccola arma ricurva nella gola.

***

– Quattro – disse Dianne, coi nervi a fior di pelle. – I numeri stanno finendo, Davis. Della tua scorta non c'è ancora traccia, e io sto perdendo la pazienza.

L'uomo emise un rantolo di dolore, tenendosi la mascella con entrambe le mani. Dianne notò con soddisfazione che gli incisivi gli erano rientrati nelle gengive. Ebbe quasi pena di quel suo aspetto. Il completo bianco che indossava si era riempito di macchie scarlatte, che lo decoravano come tanti piccoli fiori all'occhiello.

– Ti prego – biascicò l'uomo. – Non so nulla, davvero. Jonas mi ha solo chiesto di firmargli delle carte, e non mi ha detto altro. Devi credermi.

Dianne strinse il metallo della pistola tra le mani, sentendolo freddo e pesante.

– Un uomo è morto per colpa della tua firma – disse, affilata.

Pensò a Florian, ai soldi che la persona che aveva di fronte aveva dilapidato pur di ingannarlo. Alle sue braccia insanguinate mentre saliva sull'ambulanza, pronto a scivolare nel sonno della morte. Andato via, per sempre. Solo come un cane.

– Ti supplico – disse l'uomo, accavallando le parole. – Lasciami vivere, ho una figlia.

Dianne caricò il proiettile in canna, puntandogli l'arma alla testa.

– Congratulazioni – rispose. – Sono sicura che ti odia.

Cinque.

***

Nello schermo Eddie aveva i capelli tagliati corti, eppure Florian non aveva dubbi che si trattasse proprio di lui. Aveva scorto altre persone affollare il pallore abbagliante della Stanza Bianca, anche se non aveva avuto il tempo di identificarle. Gli era bastato vedere una sagoma gettarsi ad aggredire il ragazzo, per fiondarsi fuori dalla sala di controllo.

Quella ferita gli premeva addosso come fosse stata sua. A ogni nuovo passo che compiva, poteva sentirla allargarsi e versare fiotti e fiotti di sangue, prosciugando la vita del ragazzo che ormai considerava suo figlio.

Sono ancora in tempo, si disse, rischiando di scivolare per terra. Sorpassò alcune figure nel corridoio, non avrebbe saputo dire se appartenenti o meno ai suoi alleati. Nonostante Yae gli avesse dato le indicazioni per raggiungere la Stanza Bianca, quei corridoi tutti uguali gli fecero comunque girare la testa.

Andò quasi a sbattere contro una donna anziana vestita di bianco, e si fermò a qualche palmo da lei, interdetto. Aveva i capelli raccolti in una treccia candida, e gli sembrò quasi sollevata di averlo trovato. Avrebbe dovuto essere sua nemica, in quel momento, ma la sua mente era solo protesa verso Eddie e la sua ferita.

Prima ancora che potesse intimarle di spostarsi, la donna si strappò un badge dal collo, lanciandoglielo di scatto. Era un oggetto piuttosto ingombrante, formato da una ID di riconoscimento e da un portachiavi a forma di cometa. Lui lo afferrò a mezz'aria, disorientato.

La sconosciuta gli rivolse un sorriso gentile. – Aprilo, quando sarà il momento – disse. Sembrò vacillare un istante, prima di aggiungere un'unica, flebile frase: – Fa' la cosa giusta.

Lui annuì, come da un altro corpo. Le sue gambe si rimisero a correre, trascinandolo via. Solo quando fu lontano, Ian si gettò un ultimo sguardo alle spalle, verso la donna dalla treccia bianca.

***

Eddie si portò le mani al collo, osservandole ricoprirsi di un sottile strato di sangue. Il suo primo istinto fu quello di sorridere. Di ridere, quasi. Di prendersi in giro da solo, sbeffeggiando la propria stupidità. Perché aveva giocato a fare la divinità, azionando il grilletto nella mente di Eve. Aveva giocato con quella roulette russa, credendo di poterla giostrare a proprio piacimento. Pensando che avrebbe potuto controllarla, sfruttarla per le proprie macchinazioni. Proprio come aveva fatto Iris per tutti quegli anni.

Eppure, Eve aveva deciso di ribellarsi a tutti i loro piani – e, di conseguenza, anche a quelli che aveva architettato lui. D'altronde, avrebbe dovuto aspettarselo: era stato lui stesso a chiederle di ucciderlo. E lei, aggredendolo con quell'arma insignificante, gli aveva dimostrato che la profondità del suo baratro poteva ancora sorprenderlo.

Che idiota sono stato, si disse, sentendosi improvvisamente debole. Abbassò le palpebre, serrando ogni respiro fuori da sé. L'ultima cosa che riuscì a udire fu lo scatto secco della porta.

***

È strano, un corpo che muore. Grottesco, quasi. L'interno si riversa all'esterno troppo rapidamente perché alcuno dei cinque sensi lo possa registrare. Si ribalta su se stesso, svuotandosi come un palloncino bucato. All'inizio lo scoppio sembra divertente, quasi una liberazione. Almeno finché qualche bambino non comincia a piangere.

Dianne lo ricordava dalle feste di compleanno all'orfanotrofio. Lei bucava quei piccoli ovali colorati con una forchetta, e Joe piangeva sempre. Un bambino e una carnefice di palloncini.

Eppure, in quel momento, non si sentì né come il bambino in lacrime, né come la bambina intenta a rovinare la festa. Guardando il cranio dell'uomo deflagrare all'indietro, non poté fare a meno di sentirsi vuota come un palloncino bucato.

***

La porta scivolò via di lato, richiudendosi dietro di lui. La sua mente febbricitante notò a malapena i due uomini al lato della stanza, così come la donna dai capelli neri accasciata sul pavimento, apparentemente semisvenuta. Con la coda dell'occhio, Florian vide diversi Risveglisti irrompere in una stanza trasparente adiacente a quella Bianca, puntando le proprie armi contro le figure che si trovavano all'interno.

Di riflesso, fece la stessa cosa con la pistola che aveva lasciato a riposare sino a quel momento, stringendola saldamente tra le dita. La ragazza che aveva aggredito Eddie se ne stava di spalle rispetto alla porta, pronta ad assestare un altro colpo. Forse sarebbe riuscito a spararle alle gambe prima che si avventasse nuovamente su di lui.

Eddie barcollò sul posto, aprendo e chiudendo gli occhi. Per qualche motivo, indossava dei vestiti eleganti, che assieme ai capelli tagliati corti lo facevano sembrare quasi un'altra persona. Florian lo osservò registrare la sua presenza un pezzo alla volta, allibito. Registrò la sua tuta mimetica, le familiari cicatrici sul volto. I capelli arruffati, gli occhiali storti. La pistola puntata alla ragazza vestita di bianco.

– Non... Farlo – disse Eddie, a mezza voce. Sembrava aver perso molto sangue, e Ian sentì gli occhi annebbiarsi. Come in automatico, si trovò a caricare l'arma.

Il ragazzo strascicò qualche passo in avanti, sin quando Ian non realizzò che aveva messo il proprio corpo a fare da scudo alla ragazza, appoggiandosi gravemente sulla canna della beretta.

– Florian, guardala. Guardala – disse, semplicemente.

E Florian la guardò.


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