⁶⁴. 𝘎𝘭𝘪𝘵𝘤𝘩

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Il buio smise di nasconderlo al mondo, scoprendo a poco a poco le punte aguzze dei suoi pensieri, scogli svelati dalla bassa marea. Tutto sommato, la nottata era passata meglio della precedente. Il sonno lo aveva colto incassandosi nel suo petto come un macigno, ed Eddie aveva dormito sin quando le luci artificiali non si erano nuovamente insinuate tra le sue ciglia disordinate.

Si diede qualche istante per prendere coscienza di se stesso, e soprattutto per realizzare come il soffitto di fronte ai suoi occhi non fosse, ancora una volta, quello della sua camera. Il terzo giorno in gabbia.

Le sue palpebre si richiusero, lasciando che i flash dei pensieri avuti la sera prima si stampassero sul retro di esse. Ricordava che da quando Xander l'aveva riportato nella sua stanza, si era girato e rigirato tra le lenzuola, sentendole attorcigliarsi attorno al proprio corpo madido. Le parole di Iris gli erano rimbombate nel cranio, usandolo come cassa di risonanza: "ti chiedo solo di rifletterci a fondo, capostipite". Anche in quel momento, quella parola che lei gli aveva cucito addosso stava riuscendo a farlo tremare.

Capostipite. Secondo Iris, lui sarebbe dovuto diventare il nuovo patriarca dell'umanità. La donna, assecondando il suo contorto spettro morale, aveva persino detto che Eve "un giorno l'avrebbe ringraziata". Riflettendo, Eddie era stato colpito dall'inquietante idea che Eve non fosse affatto conscia di star vivendo in una gabbia. Probabilmente l'avevano indottrinata al punto da farle credere che la sua condizione fosse un privilegio. Pretendono che lei insegni umanità agli esseri umani, e non la trattano come tale. Vogliono che lei fornisca empatia al mondo, e loro non ne hanno per lei.

Si sollevò di scatto, mettendosi seduto. Non gli era mai capitato di sentirsi ricolmo d'odio appena sveglio. Era come essere ancora sporco dopo aver fatto una doccia. Una vena solitaria gli pulsò sulla tempia, urlando al suo posto. Avrebbe voluto esplodere come una supernova, trasudare dalle pareti sottoforma di particelle senza vita. Tuttavia, nonostante avesse riflettuto molto su Rein e sul suo gesto, non si sarebbe mai spinto a desiderare la morte: non avrebbe dato a Iris quella soddisfazione. Deve pagare per ciò che ha fatto a Florian. Per ciò che ha fatto a tutti quanti.

Irretito da quel pensiero, sentì delle lacrime nervose pizzicargli gli occhi, e di riflesso affondò le unghie nei polpacci. Il bruciore aiutò la sua coscienza a tornargli nel corpo, trascinandola al suo interno con uno strattone. Si ritrovò a pensare a Ian, alle sue cicatrici. Probabilmente è così che si sentiva.

Aveva sempre osservato la depressione del suo co-abitante come uno spettatore seduto su degli spalti. Non ne avevano mai parlato apertamente, ma a Florian bastava che Eddie lo sostenesse da lontano, illuminandolo abbastanza da mantenere definiti i contorni delle sue ombre. E lui aveva tacitamente accettato quel ruolo, proponendogli di guardare un film quando sembrava disallineato, distraendolo dalle sue allucinazioni, chiedendogli di provare ad arricciargli i capelli con la spazzola, e ridendo a crepapelle per il risultato. Ogni tanto, dopo quei momenti insieme, Florian faceva capolino sullo stipite della sua porta, sollevando timidamente una mano per richiamare la sua attenzione. "Grazie", gli diceva, senza aggiungere altro.

Eddie osservò la porta della propria prigione, scardinandola con lo sguardo. Per la prima volta, era lui quello i cui pensieri si stavano facendo troppo pesanti per essere sostenuti da una sola persona. Gli sembrò di non aver mai compreso davvero Ian, di non aver mai conosciuto alcun dolore simile a quello che l'uomo aveva inscritto sulla pelle. Almeno sino a quel momento.

Avrebbe voluto avere Florian lì con sé, a tenergli insieme i pezzi. E poi sarebbe toccato a lui, per una volta: si sarebbe affacciato nella sua disordinatissima stanza, prorompendo in un timido "grazie". Ma lui non era lì, e l'inconsapevolezza della sua sorte si aggiungeva agli strati di odio, bruciandolo sin dentro le ossa.

Con un gesto fulmineo, Eddie scansò le coperte dal proprio corpo, osservandosi le braccia scoppiare all'interno della maglietta troppo stretta che gli avevano dato. Gli parve quasi di vedere il dolore scorrergli sulla pelle e sui vestiti, imbrattandoli con la propria consistenza viscosa. Non poteva rimanere in quello stato: aveva assolutamente bisogno di liberarsi di quella mole di sentimenti negativi.

Senza preoccuparsi che qualcuno lo stesse osservando, si sdraiò a pancia in giù sul letto, rotolando di sbieco con un movimento sgraziato. Incurvò le gambe verso l'alto, ingoiando la nausea dovuta alle vertigini. Si ritrovò a fissare il pavimento, allungando le mani verso di esso. Tenendo gli occhi serrati, provò a fare una flessione sulle braccia, sporgendo il resto del corpo a strapiombo sul materasso. Uno. La sensazione era familiare, e dal momento che non era in piedi, i danni al suo equilibrio non sembravano neanche infastidirlo troppo. Sentì i muscoli risvegliarsi dal torpore, guizzando sull'attenti. Due.

Lentamente, un millimetro alla volta, provò ad aprire gli occhi. Il pavimento sotto al letto era immacolato, al pari del resto della stanza. Sollevandosi e abbassandosi, gli sembrò che un secondo cuore gli stesse percorrendo la trachea, tuttavia non si arrestò. Voleva sentire i muscoli incendiarsi, e assieme a loro il disprezzo che ne alimentava l'energia.

Tra una flessione e l'altra, finì per notare un dettaglio, nascosto dalle pieghe delle lenzuola. La rete del materasso, sotto al letto, si intersecava in fitte maglie di fil di ferro, incastonate le une alle altre. Tuttavia, una di esse sembrava sporgere leggermente dal proprio tracciato, rivolgendosi aguzza verso il terreno.

Interruppe di colpo i propri sollevamenti, mantenendo le braccia ritte contro le mattonelle candide. I suoi occhi blu si fissarono verso quell'artiglio disomogeneo, tremolando. I muscoli delle braccia continuavano a pulsargli, con le vene in rilievo simili a corsi d'acqua in piena. Un lampo gli attraversò la mente, e senza lasciar trasparire alcuna emozione, riprese a fare le proprie flessioni, aggiungendo dei brevi tocchi sulle spalle ogni qualvolta si trovasse in posizione di riposo.

Quarantotto. La sua mano destra si spostò leggermente verso il materasso, cercando il fil di ferro senza guardare.

Quarantanove. La mano sinistra incontrò la sporgenza, ed Eddie cercò di rallentare la discesa per avere il tempo di saldarvi le dita. Andiamo.

Cinquanta. Sentì l'acciaio graffiargli i polpastrelli, scavando nei calli che si era provocato in anni di sollevamento pesi. Gli sembrò che una delle cerniere avesse ceduto, tuttavia non si arrischiò a tirare ulteriormente, e si risollevò sul letto, gettando le gambe a toccare il pavimento.

Con la coda dell'occhio fissò la telecamera, che se ne stava silenziosa in un angolo della stanza. L'angoscia continuava a fargli vibrare il petto; tuttavia non aveva udito alcuna voce richiamarlo dall'interfono, o intimargli di rimettersi al proprio posto. Era improbabile che non ci fosse nessuno nella sala di controllo: sapeva sin troppo bene quanto Iris fosse prudente. L'unica soluzione era che i suoi movimenti fossero passati inosservati.

Quell'idea gli fece provare una scarica di adrenalina. Se avesse giocato bene le sue carte, presto avrebbe avuto un'arma con sé. Da quando era arrivato lì, aveva scandagliato la stanza in lungo e in largo, tastando ogni oggetto al suo interno, ma non aveva mai trovato nulla che potesse essergli utile. La porta si apriva con un badge che aveva visto solo al collo dei membri del Laboratorio, e non c'erano finestre.

Non sapeva bene cosa avrebbe potuto fare con quel fil di ferro, ma di certo gli sarebbe tornato utile in qualche modo. Quel piccolo segreto si accese dietro al suo sguardo, donandogli un flebile bagliore di speranza. Se l'aiuto di Saryu si fosse rivelato inconcludente, avrebbe preso altri provvedimenti.

Saryu. Non ci aveva pensato sino a quel momento, eppure quello che la dottoressa Kumar gli aveva comunicato in codice morse il giorno prima aveva contribuito a tenerlo sveglio. "Sono dalla tua parte". Cosa intendeva, con quella frase? Quando e come aveva intenzione di aiutarlo? Rein gli aveva detto che era geolocalizzato, e tra i membri del Progetto c'era quell'armadio di Xander. Fuggire sembrava un'impresa impossibile.

Come rispondendo alle sue angosce, Eddie sentì la maniglia della porta scattare, e il pannello aprirsi in uno stretto spiraglio. Senza che avesse il tempo di realizzarlo, nella stanza entrò una donna dai capelli color rame, che non riconobbe affatto. Sembrava un po' più anziana di Saryu. La squadrò a fondo, inserendola mentalmente nella risma infinita di persone che sembravano affollare quel Laboratorio. Anche lei indossava l'immancabile camice bianco, e con sé aveva un vassoio ricolmo di cibo.

La donna fece qualche passo all'interno, posando il tutto sulla scrivania. – Piacere di conoscerti, Edin. Mi chiamo Viola. Ti ho portato qualcosa da mangiare – disse, con voce tremolante.

– Sono Eddie – le rispose, un po' risentito. La voce gli uscì rauca per via delle ore di silenzio, e la schiarì con un colpo di tosse.

Viola strinse la spalliera della sedia, senza accennare a sedervisi. Eddie poté osservare una spilla fare capolino sul suo camice, decorata col logo della Chiesa del Giudizio, due mani strette di fronte alla Terra. Non ricordava di aver visto nulla del genere addosso agli altri medici. Dev'essere qui per ordine del Presidente.

La donna ignorò la sua risposta, proseguendo il proprio copione. – Quando avrai finito ti porterò a fare fisioterapia. Sarà meglio che inizi il prima possibile.

Eddie annuì con poca convinzione, gettandole qualche sguardo con la coda dell'occhio. Odiava quel viavai continuo di gente che non conosceva, ma si posò comunque il vassoio in grembo, vinto dalla fame. Osservò sconfortato le confezioni di cibo liofilizzato che lo riempivano. Perlomeno il latte di soia è ancora caldo.

La donna intanto si mise a osservare l'interno della stanza, facendo spaziare lo sguardo. Per un momento Eddie ebbe il timore che potesse scoprire la maglia del materasso che lui aveva allentato poco prima. Tuttavia, dal momento non era stato interrotto mentre la scardinava, non c'era motivo di allarmarsi. Decise di mantenere un atteggiamento vago, concentrandosi sul cibo.

Viola attese pazientemente che terminasse il proprio pasto, torcendosi le dita a fasi alterne. Ogni tanto sembrava in procinto di dire qualcosa, salvo poi lasciar cadere nuovamente gli occhi sul terreno, come se la forza di gravità ve li stesse attirando forzatamente. Quel comportamento lo lasciò alquanto perplesso. Qualcosa non quadra.

– Sarai tu a farmi fisioterapia? – le chiese a un tratto, tanto per osservare la sua reazione.

La donna sembrò riprendere coscienza di sé. – No. Se ne occuperà la dottoressa Kumar.

– Capisco – disse Eddie, vuotando una busta di legumi secchi. – Come mai Saryu non è potuta venire?

La donna gli lanciò uno sguardo incuriosito, e lui si pentì immediatamente di aver chiamato la dottoressa Kumar per nome, alludendo a un qualche legame tra loro. Distolse il viso, quasi come se Viola avesse potuto leggervi i punti e le linee che Saryu gli aveva inciso sulla pelle il giorno prima.

La donna sospirò leggermente, stringendo ancora una volta la sedia accanto a sé. – Saryu ha da fare in questo momento. Si sta prendendo cura di una questione molto importante. – Eddie la vide rivolgergli uno sguardo carico di significato, immobilizzandolo sul posto. Ancora una volta, ebbe l'impressione che fosse in procinto di dirgli qualcosa.

– Di una questione importante – ripeté dopo di lei, come ipnotizzato.

– Già. – La donna sembrò richiudersi in se stessa, riflettendo. Infine continuò a parlare, abbassando la propria voce a un sussurro. – Di una persona importante.

Eddie ammutolì. Una persona. Dei frammenti dei discorsi fatti il giorno precedente gli attraversarono la mente in replay. Abramizde si era riferito a Florian chiamandolo "persona importante". Inoltre, ricordò di aver chiesto a Saryu come stesse Florian, e che lei gli aveva risposto di non essere autorizzata a comunicarglielo. Ecco perché Viola sembra così turbata. Sta contravvenendo a un ordine.

– Vuoi dire che Florian sta bene? – le chiese, sporgendosi un po' oltre il precipizio. A quel punto era certo che quella conversazione avrebbe avuto delle ripercussioni.

Viola ebbe un fremito. – Florian? – chiese, leggermente smarrita. Prima ancora che potesse continuare, la vide sussultare al suono statico della voce contrariata di Iris. – Basta così. Portalo fuori.

La donna serrò le labbra nervosamente, affrettandosi a eseguire gli ordini. Come azionando un pilota automatico, avvicinò la sedia a rotelle al letto di Eddie, permettendogli di adagiarsi sgraziatamente sopra di essa. Lui non dovette neanche impegnarsi per muovere le ruote, dal momento che la donna prese a spingerlo sino ad allontanarsi dalla stanza, senza dire una parola.

Era la prima volta che usciva senza essere portato a spalla da qualcuno, costretto a tenere gli occhi chiusi per non perdere l'equilibrio. Essere trasportato in quel modo gli permise di osservare attentamente il corridoio, guadagnando l'occasione di marchiare a fuoco ogni dettaglio nella propria mente.

L'ambiente si espandeva in una lunga corsia, simile a quella di un ospedale. I muri erano interrotti da alcune porte, bianche come la sua, anche se meno massicce. In fondo riconobbe la porta del bagno, illuminata da uno dei lucernari in cui si apriva il candido soffitto, sfortunatamente anch'esso colmo di telecamere.

Non avevano fatto neanche dieci metri, quando Eddie fu distratto da un rumore, proveniente da una delle porte, lasciata leggermente aperta. Sembrava simile a un lamento soffocato.

– Scusa – sentì dire da una voce maschile piuttosto profonda. Xander, riconobbe. Quando Viola lo ebbe trasportato qualche passo più avanti, Eddie poté osservare l'interno della stanza lasciata socchiusa.

Sembrava una sorta di infermeria, e per quei pochi secondi che riuscì a passarvi accanto, rimase interdetto. Dentro la stanza scorse l'imponente figura di Xander, intento a suturare un taglio nel sopracciglio del dottor Jonas. La barella immacolata sulla quale era seduto si era imbrattata di sangue, lo stesso che scuriva il volto tumefatto dell'uomo. Sembrava che qualcuno lo avesse preso a pugni, dipingendogli dei lividi violacei addosso. Entrambi gli uomini si accorsero del suo passaggio, e Xander si affrettò a chiudere la porta con un calcio. Viola non disse nulla, e continuò a far scivolare la sedia a rotelle lungo il corridoio.

Eddie sentì una forte vertigine strapparlo dalla propria inerzia, con l'immagine dei lividi di Jonas a ripercuotersi dietro alle palpebre.

No, si disse. C'è decisamente qualcosa che non quadra.


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