⁶³. 𝘊𝘢𝘵𝘦𝘯𝘦

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Da quando erano entrati all'interno di una delle casette preposte alle Rievocazioni, nessuno dei tre aveva osato proferire parola. Elsinore si era compressa su una delle pareti, lasciando che la sua candida figura avvolta dai veli si mimetizzasse col biancore del muro. Erano passati un paio di minuti, che i due Sorveglianti avevano impiegato per controllare dalla serratura che la Madama Superiora non stesse stazionando nel viale. Florian pensò che probabilmente per Elsinore, rinchiusa con due uomini che non stavano facendo altro che verificare di essere completamente da soli, la situazione dovesse essere terrificante.

– Finalmente se n'è andata – annunciò Willas, sollevandosi dalla sua posizione in ginocchio accanto alla porta. Ian poté constatare quanto il ragazzo fosse alto almeno mezzo metro in più rispetto a Elsinore. Quell'effetto di contrasto lo avrebbe anche fatto sorridere, se non avesse notato la ragazza turbarsene.

– Ottimo – gli rispose, allentando la tensione nelle dita. Si accasciò su una delle sedie al centro della stanza, nella zona dove di solito compariva la parete olografica delle Rievocazioni. Willas si sedette sul pavimento accanto a lui, incrociando sgraziatamente le gambe.

Elsinore, intanto, continuava a spalmarsi sulla parete, cercando di mettere la maggiore distanza possibile tra lei e loro. Florian stirò le labbra in un sorriso amaro, cercando di reggere il confronto con gli occhi impauriti della ragazza.

– So che non ti fidi di noi – disse, posando i gomiti sulle ginocchia. – Ma non vogliamo farti del male.

La Levatrice Spirituale non ne sembrò affatto convinta. Nascose le mani dietro alla schiena, comprimendole contro il muro. Willas diresse un cipiglio dubbioso verso Florian, ma lui si sforzò di ignorarlo. Mettendo da parte ogni possibile cautela, si sfilò il casco rosso dalla testa, percependo i propri ricci castani esplodere all'esterno, liberi e scarmigliati.

– Non sono un Sorvegliante. Ti ricordi di me? – le chiese, sentendosi tremare. Osservò la telecamera nell'angolo nella stanza, affondando le unghie nel palmo. Nonostante non stessero praticando una cerimonia di Rievocazione, l'idea che qualcuno stesse registrando quella conversazione non riusciva ad abbandonarlo.

Elsinore annuì, rendendo nuovamente visibili le proprie mani, che gli sembrarono un po' più rilassate. Florian, per una volta, fu contento che le sue cicatrici da ustione lo rendessero estremamente riconoscibile. La vide osservare per qualche istante il suo volto tumefatto, sul quale campeggiava ancora il sangue rappreso per via del naso rotto da Jonas.

– Io e te abbiamo fatto una Rievocazione insieme, due mesi fa. Tu mi parlasti... Mi mostrasti quello che ti avevano fatto alla lingua.

Florian percepì un masso farsi strada nel petto, appesantendolo. Avrebbe voluto scusarsi, discolparsi per la propria vigliaccheria. Tuttavia sapeva che niente lo avrebbe giustificato. – Mi dispiace –, si ritrovò a dire, senza avere il coraggio di aggiungere altro. Di non aver approfondito. Di non essere tornato a salvarti.

La ragazza lo osservò comprensiva, quasi leggendogli nella mente. – Non fa nulla – disse, a gesti. – Nessuno mi aveva mai neanche chiesto perché non potessi parlare.

Ian rimase in silenzio, riflettendo su quelle parole. L'idea che a quella minuscola ragazza bastasse un semplice interessamento per sopperire alla mancanza di calore umano gli fece provare un profondo sconforto. In qualche modo gli ricordò una versione più giovane di Eddie. Strinse ancora i pugni, concentrandosi su quel lieve dolore per distrarsi dal bruciore che gli stava infiammando gli occhi.

– Siamo qui perché vorremmo il tuo aiuto – riuscì a dirle, prima di smarrirsi. Odiò essere tornato da lei per un motivo tanto strumentale, ma si costrinse a ignorare anche quel sentimento. – La tua Superiora ha detto che ricevete le comunicazioni radio su un canale privato. Avrai sentito della fuga di un Disallineato dall'ospedale, poco fa, e della sua aggressione a un medico. Sono stato io.

Florian vide Elsinore sgranare gli occhi, portando poi una mano a scostarsi un ciuffo di capelli castani dal viso, sotto ai veli. Non fece in tempo a mimargli una risposta, che sentì Willas schiarirsi la voce, inserendosi nella conversazione.

– In realtà, è colpa mia se Florian è stato accusato di aggressione. Ma era necessario, e non me ne pento.

Ian osservò le fiamme che aveva osservato un'ora prima accendersi nuovamente negli occhi verdi di Willas, che si piantarono in quelli color autunno di Elsinore. La Levatrice parve guardarlo con un misto di timore e curiosità, probabilmente confusa dal fatto che il ragazzo stesse ancora indossando il casco. Florian gli fece il gesto di levarselo, e Willas acconsentì, rivelando un sorriso imbarazzato. I suoi ricci corvini, rasati sui lati, guizzarono fuori allo stesso modo di quelli di Ian.

Il timore nello sguardo di Elsinore sembrò attenuarsi, e a Florian parve persino di notare un lieve rossore farsi strada sotto ai suoi veli. Rifletté su come quei due giovani, quasi coetanei, si fossero trovati a servire la Chiesa del Giudizio, seppur occupando mansioni differenti. Entrambi assorbiti dalla grande macchina dittatoriale, consumati dai suoi asettici ingranaggi.

Anche la ragazza decise di fare lo stesso, scostando almeno i veli che le fasciavano il capo e il viso. Il caschetto di capelli castano chiaro sembrava essersi allungato un po' sulle punte, rispetto all'ultima volta in cui Florian l'aveva vista. I due si studiarono in silenzio per qualche istante, guardinghi.

E lui? – domandò Elsinore, indicando Willas. – È davvero un Sorvegliante?

– Che sta dicendo? – chiese il ragazzo, che non conosceva il linguaggio dei segni. Florian notò il suo viso ammantarsi di disagio per essere stato tagliato fuori da quella conversazione.

– Chiede se tu sia realmente un Sorvegliante.

Willas si sgranchì il collo, portando una mano a grattarsi il retro della nuca. Prese un grosso respiro, prima di replicare. – Non più, ormai.

Nessuno rispose a quelle parole. Sia lui che Elsinore le lasciarono ad aleggiare nella stanza, meditando sulla loro cristallina gravità.

Perché vi serve il mio aiuto? – chiese a un tratto la Levatrice, spezzando il silenzio. Quasi come se avesse ricordato solo in quel momento il motivo della loro visita, Florian si riscosse, trafitto da una punta improvvisa di angoscia.

– Vorremmo che tu ci conducessi nel Lethe – le disse, osservando la sua espressione esterrefatta rispondergli a quelle parole. Florian si lanciò a raccontarle tutto ciò che era successo in quelle due folli giornate. Le disse di come fosse stato aggredito da un passante Disallineato, risvegliandosi in ospedale dopo un giorno intero. Di come il suo co-abitante LaBo fosse stato rapito da un'associazione misteriosa, che a quanto pare aveva pianificato di fargli credere di aver immaginato l'esistenza stessa del ragazzo, così come di quella di un'altra persona importante per lui. Florian non si dilungò sulla questione di Dianne, ancora inquietato dal fatto che S. K. non avesse affatto menzionato la donna, nel proprio biglietto.

Parlò anche delle parole di Viktor, del proprio tormento, della decisione di non sottoporsi ad alcuna RA, osteggiata dal medico che Willas aveva finito per tramortire. A ogni nuovo pezzo del proprio racconto, registrò il viso di Elsinore contrarsi in una varietà di espressioni. Confusione, meraviglia, compassione, paura si susseguirono progressivamente sul suo volto sincero.

Florian vide gli occhi della ragazza velarsi, mentre raccontava, per la seconda volta quel giorno, di aver tentato di togliersi la vita. Tuttavia, il suo cervello non riuscì a registrare quanto proferire quelle parole fosse fuori dalla propria zona di comfort. In quel momento aveva solo bisogno che la ragazza comprendesse ogni cosa, per quanto doloroso potesse essere. D'altronde, Elsinore aveva già assistito alla parte più debole di lui, interpretando Nadine nella Rievocazione di ottobre.

Una volta terminato il racconto, si sentì come un fiume prosciugato sino all'ultima goccia. Le acque torbide che aveva riversato all'interno della stanza restarono a fluttuare tra loro, ancor più gravi delle parole proferite da Willas poco prima. Ian si sentì stremato, e si avviò alla conclusione del proprio discorso.

– S. K. ha detto che devo cercare questa Yae Levin nel Lethe. E tu sei l'unica persona che io conosca a poterne sapere l'ubicazione.

Florian ricordò brevemente alla ragazza della conversazione avuta con la Superiora, un paio di mesi prima, quando la donna aveva menzionato il Lethe e la supposta "mitomania" di Elsinore. Ricordare quell'episodio ad alta voce gli fece provare una certa affinità con la ragazza, che come lui era stata costretta a incollarsi addosso una Malattia Mentale che non le apparteneva.

Senza aggiungere altro, decise di farle la domanda che si stava tenendo dentro da quando erano entrati. Contraendo la mascella, fissò la piccola Levatrice, che intanto si era seduta composta a qualche metro da lui.

– Tu sai dove si trovi? – le chiese, a fatica. – Potresti portarci lì?

Elsinore fissò il pavimento, richiudendosi in un momentaneo immobilismo. Dalla sua risposta sembrò passare un'eternità, ma la ragazza infine annuì, in un gesto che poté comprendere anche Willas.

Sì, so da dove si entra, – disse, – ma non posso accompagnarvi.

Florian tradusse le sue parole anche per il Sorvegliante, affrettandosi poi a rispondere.

– È per via di quella donna?

La ragazza annuì nuovamente. – Mi controlla. Devo essere sempre disponibile per il Presidente, a qualsiasi ora. Ho provato ad andarmene decine di volte, ma mi hanno sempre ripresa.

Florian percepì una lama arroventata scavargli nel petto, e sentì la sua mente fare uno sforzo immane per distaccarsi quanto bastava da riuscire a mantenere la calma.

– Non preoccuparti – disse Willas, lucido. – Ci inventeremo qualcosa. Le diremo che abbiamo bisogno di interrogarti in centrale, o che necessitiamo di farti parlare con un superiore. Al di là del fatto che tu voglia aiutarci o meno, ti porteremo via da qui.

Ian ascoltò quelle parole annuendo con forza, stupito da come non fosse stato necessario accordarsi su una cosa del genere. Ancora una volta, tirò un silenzioso sospiro di sollievo all'idea di avere una persona come Willas dalla propria parte.

Elsinore rispose al ragazzo mettendo su un sorriso malinconico. – Non è così semplice. Non posso andare da nessuna parte senza che loro lo sappiano. Abramizde mi ha fatto --------.

Florian aggrottò la fronte, confuso. – Potresti ripetere, per favore?

La ragazza sospirò, disegnando delle lettere di fronte a loro, come aveva fatto due mesi prima con Florian.

M-A-P-P-A-R-E, scrisse. Anche Willas lesse i segni a mezz'aria, e si voltò verso Ian con uno sguardo inorridito. Mappare, pensò Ian. Le hanno messo un geolocalizzatore. Come a un cane.

Elsinore continuò a parlare, incurante degli sguardi atterriti dei due uomini di fronte a lei. – Non posso toglierlo. A differenza del microchip del braccio, non so dove si trovi. Lui mi disse che una volta iniettato si sarebbe mosso da sé all'interno del mio corpo, così non avrei mai potuto farci nulla.

Florian ripeté a fatica quelle parole anche per Willas, e lo vide alterarsi sempre di più, come in un filmato al rallentatore. Il Sorvegliante si alzò in piedi rabbiosamente, e per un istante ebbe il timore che avrebbe battuto la nuca al soffitto.

– Te lo toglierò io.

Entrambi si zittirono, osservandolo increduli. Fu Florian a parlare per primo. – Come?

Willas sembrò abbandonare lo sdegno in favore di un lieve imbarazzo, con tutti quegli occhi a osservarlo. Si stropicciò il viso, prima di indicare l'arma che portava al fianco. – Con questo. Oltre a dare la scossa, ha anche altre funzioni.

Il ragazzo estrasse il manganello dalla cintola, facendolo scattare abilmente con un paio di gesti. La prima volta Ian ne vide uscire una lama, la seconda ne osservò la superficie interna illuminarsi di verde.

Dopo quella breve dimostrazione, Willas proseguì. – L'ho sempre utilizzato esclusivamente come metal detector, per verificare che le persone da noi fermate ai posti di blocco non avessero con sé coltelli o altre armi bianche. Prima dell'Incidente del Quadrante non sapevo ci fosse una lama all'interno, né che fosse in grado di dare la scossa.

Notando l'espressione sofferente del Sorvegliante, Florian ricordò della volta in cui lo aveva fermato, mentre si stava recando in periferia con Dianne. Suo malgrado, ebbe pena per lui.

– Ma una volta trovato, come faremo a estrarglielo? Non riusciremo a evitare di fare un disastro. Ci sarà sangue ovunque.

Elsinore sembrò leggermente turbata a quelle parole, e lui quasi si pentì di averle proferite.

Willas cominciò a camminare in tondo, irrequieto. – Che altre opzioni abbiamo? Se non glielo togliamo, sarà costretta a rimanere qui per sempre.

Florian lo interruppe, sollevandosi di scatto dalla sedia. – Ma non possiamo rischiare di farla morire dissanguata, Willas. Non potresti azionare una scossa lieve, mandando il chip in corto circuito?

Il ragazzo si arrestò di fronte a lui, gesticolando. – Non posso mandarlo in corto senza uno shock oltre i settantamila volt. Vuoi che finisca come te un paio di giorni fa?

– Non sei un chirurgo. Dobbiamo trovare un'altra soluzione.

– Posso farcela, ti dico. – Willas sembrava sempre più agitato. – Ho seguito corsi di anatomia, in addestramento. In qualche modo farò. Ma non possiamo lasciarla in balia di quel folle, Ian!

Prima ancora che lui potesse ribattere, videro Elsinore alzarsi dalla sua sedia, frapponendosi tra loro allargando le braccia. La sua figura era incredibilmente ridotta, eppure il suo sguardo deciso ebbe il potere di interrompere di colpo la discussione. Florian vide il suo caschetto castano miele ondeggiare leggermente, e la sua bocca aprirsi, mostrando la lingua mozzata per metà. La ragazza parlò, raggelando l'aria intorno a sé.

– A-e-e –, disse. Nonostante la mancanza delle consonanti, compresero entrambi. Va bene.

Quando i due si furono calmati, Elsinore si spostò, sedendosi nuovamente. Florian avrebbe voluto posarle una mano sulla spalla, cercando di confortarla. Tuttavia, sapeva che non sarebbe stato l'ideale, avendo notato la diffidenza che nutriva nei confronti degli uomini.

– È troppo pericoloso – disse un'ultima volta, premendosi i polpastrelli sulle tempie. Gli sembrava di non dormire e di non mangiare da ore, tenuto in piedi solo da un'impietosa adrenalina.

È la mia condizione – disse la ragazza, tornando a parlare in linguaggio dei segni. – Toglietemi questo chip, e vi accompagnerò. Avete la mia parola.

Florian sospirò esasperato, e tradusse le parole di Elsinore anche per Willas. A un certo livello la comprendeva: probabilmente non si era mai avvicinata così tanto a una fuga concreta quanto in quel momento, ed era disposta a correre tutti i rischi del caso, non avendo nulla da perdere. Tranne la vita.

Senza avere ulteriormente la forza di ribattere, Ian vide il Sorvegliante avvicinarsi a lei, porgendole la mano.

– Affare fatto.

La ragazza gliela strinse, osservandolo dal basso. Sembrava più grande dei suoi diciotto anni, e Florian si chiese sino a che punto il dolore l'avesse costretta a maturare nello spazio di poco tempo.

Prima che Willas passasse a sondare la figura di Elsinore col metal detector, alla ricerca del chip, Ian si arrischiò a esprimere un dubbio, che si insinuò prepotentemente nei suoi pensieri, facendolo vacillare come non aveva fatto sino a quel momento.

– Hai detto che ci accompagnerai all'entrata del Lethe... Ma chi ci assicura che i Risveglisti di Krassnerr ci permetteranno di passare? – chiese, turbato. Anche Willas sembrò pensarci solo allora, e Florian lo vide girarsi verso di lui, registrando la nota di panico che gli aveva sporcato la voce.

Elsinore si guardò le braccia, che aveva iniziato a scoprire. Su di esse riposavano una serie di lividi viola e gialli, galassie di dolore che le scurivano la pelle. Alzò uno sguardo deciso su di lui, cercando gli occhi che Florian aveva distolto, alla vista delle contusioni. La Levatrice Spirituale mosse le mani lentamente, parlando nella propria lingua.

Non preoccuparti –, disse, – lasceranno entrare sua figlia.


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