⁶². 𝘉𝘢𝘳𝘭𝘶𝘮𝘦

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Florian era certo di non aver mai visto nessuno muoversi in quel modo, così come era certo che avrebbe ricordato la sequenza delle azioni compiute da Willas per molti anni a venire.

Quando la porta si era aperta, il ragazzo era scattato in piedi come una molla, e in poche grandi falcate aveva raggiunto l'infermiere sullo stipite, tirandolo dentro alla stanza. La porta si era richiusa con un tonfo, e Willas aveva premuto contro la schiena dell'uomo, scaraventandogli via l'aria dai polmoni. Florian era rimasto in piedi, immobile, e aveva stretto la trabacca del letto senza neanche percepirne il freddo glaciale trasmettersi alla sua carne.

Il tutto era durato pochi secondi. L'infermiere, un anziano con una corona di capelli radi in testa, era svenuto tra le braccia di Willas, accasciandosi su se stesso sino a toccare il pavimento. Ian aveva sentito le ginocchia dell'uomo abbattersi sulle mattonelle, e la sua vista aveva traballato per un momento, non avrebbe saputo dire se per via del sangue perso, o per la scena che stava testimoniando.

L'unica cosa in grado di smuoverlo era stata la voce del ragazzo. Willas gli aveva nuovamente stretto un braccio, ridestando le ferite al di sotto, che gli avevano risposto pulsando capricciose.

– Dobbiamo andare – aveva detto il Sorvegliante, con uno sguardo ferino che, odiava ammetterlo, gli aveva causato nient'altro che timore.

Florian non se lo era fatto dire due volte. Aveva raccolto i suoi pochi oggetti in tutta fretta, abbandonando i corpi inerti di Jonas, sotto alle coperte, e dell'infermiere, rinchiuso in un sonno senza sogni.

***

La paura non lo aveva abbandonato un solo attimo, né quando erano sgusciati via furtivamente dalla porta d'emergenza, né quando si era acquattato nell'auto di Willas, comprimendosi sul sedile come se avesse voluto seppellircisi. L'unico conforto era stato la consapevolezza che nell'ospedale non era suonata alcuna sirena, permettendo a entrambi di fuggire indisturbati.

Per un momento il suo pensiero si soffermò su Jonas, che da lì a poco si sarebbe di certo risvegliato. Florian aveva letto negli occhi di quel medico un odio che non pensava qualcuno potesse provare per lui, all'infuori di se stesso. Jonas lo guardava come se avesse voluto bruciarlo, consumarlo a colpi di collera. Col ricordo di quello sguardo impresso nella mente, Ian osservò la sagoma dell'ospedale civile rimpicciolirsi nello specchietto retrovisore, sino a sparire del tutto.

Non era mai stato all'interno di un'auto elettrica in dotazione ai Sorveglianti, e fu stupito di notare come fosse identica alle normali auto dei civili. L'unica cosa che la differenziava era il tipico colore rosso, che aveva scorto sin troppe volte di ritorno dalla biblioteca, non di rado trovando proprio Willas a controllargli i documenti.

A quel pensiero, non poté fare a meno di lanciare un'occhiata al conducente, impegnato a guidare con la massima concentrazione. A un occhio esterno, sarebbero potuti sembrare un Casco Rosso e un Disallineato fresco di arresto, se non fosse che i polsi di Florian erano liberi dalle manette, anche se il dolore glieli stava comunque stringendo in una morsa.

Ormai era sera inoltrata, e i lampioni scintillavano come lingue di fuoco sulla strada deserta. Il bagliore delle loro lampade ogni tanto si rifletteva negli occhi di Willas, incastonati sotto a uno sguardo di pietra, che sferzava la strada ogni volta che vi si posava sopra.

– Yae Levin – disse a un tratto, riempiendo l'abitacolo con la sua voce. – Ed "S. K.". Hai idea di chi possano essere?

Florian gli rispose tenendo gli occhi fissi sull'asfalto, quasi temendo di trasmettere la propria colpevolezza ai passanti. – No, affatto.

– Lo immaginavo. Perché pensi che ti abbia lasciato un messaggio così criptico?

Lui si passò una mano tra i capelli, sentendola tremare a contatto con la cute. – Non lo so proprio. Non ho idea di quando sia entrato nella mia stanza... O entrata. Ma sembra che abbia scritto tutto piuttosto di fretta, come se avesse temuto di farsi scoprire. – Ian sentì un brivido soffiargli sulla pelle, un memento del fatto che indossasse dei vestiti sin troppo leggeri per quel clima.

Willas accolse le sue parole in silenzio. – Hai detto di conoscere una persona che potrebbe condurci nel Lethe – proseguì. – Sei sicuro che vorrà aiutarci?

– Assolutamente no.

Il ragazzo alzò un sopracciglio, perplesso. – Non hai le idee molto chiare.

Lui gli rispose piano, sorridendo con amarezza. – Non ho idee e basta.

Lentamente, Florian spostò lo sguardo a scandagliarsi le braccia, invaso da un'improvvisa necessità di sfogarsi, di darsi voce. Altrimenti, realizzò, la bolla di parole che premeva al centro del suo petto sarebbe scoppiata. E non poteva rischiare che esplodesse dall'interno.

– Poco fa mi hai chiesto se avessi tentato di uccidermi. In realtà non lo so. So solo che ho calcato troppo la mano, prima che qualcuno... Che qualcosa mi fermasse. Volevo "togliermi" dall'esistenza, come si toglierebbe un dente cariato. Poi sono andato all'ospedale per farmi ricucire, tentato dall'idea di farmi fare una RA. Ma a quel punto, sapere che avrebbero potuto cancellare tutti i miei ricordi più belli mi aveva già fatto desistere. E poi è arrivato quell'uomo, Jonas. – Florian deglutì a fatica, come mandando giù degli spilli. – Non so cosa lui o altri abbiano fatto a Eddie, ma sono dei folli se pensano che non mi opporrò.

Si interruppe di colpo, realizzando quanto provasse davvero quel rabbioso sdegno, un sentimento che non gli era mai accaduto di associare alla propria persona. Tuttavia, era solamente per Eddie se riusciva a percepire quella collera; ancora non riusciva a provarla per ciò che gli era stato inflitto sulla sua stessa pelle.

Willas lasciò che il silenzio nell'abitacolo si addensasse. Solo qualche istante dopo riuscì a rispondergli, stirando il volto in un sorriso. – Sono contento di questo. Perlomeno la determinazione non ti manca.

Lui incurvò le labbra a sua volta, malinconico. – Già. È tutto il resto a mancarmi.

Il ragazzo non riuscì a ribattere, interrotto da un ronzio che gli percosse i timpani. Il suono delle comunicazioni via radio riservate ai Caschi Rossi invase l'abitacolo, zittendo ogni possibile conversazione. Entrambi si concentrarono sull'uomo oltre l'altoparlante, che iniziò a biascicare degli ordini lapidari con la sua voce metallica. Florian la sentì insinuarsi nella sua testa, imprimendovi a fuoco ogni parola.

A tutte le volanti della capitale, avvistato un sospetto in fuga dall'ospedale civile della zona C. Si tratta di un pericoloso Disallineato, accusato di aggressione nei confronti di un medico. Il soggetto è un uomo di trent'anni alto circa un metro e settantotto. Presenta delle cicatrici da ustione sul volto e delle ferite da taglio sulle braccia. Si prega di riportare qualsiasi avvistamento e di procedere all'eventuale arresto.

Quando il messaggio si interruppe, Florian riprese a respirare, posando uno sguardo tremolante su Willas.

– A quanto pare sembri più giovane –, gli disse il Sorvegliante.

Lui lo ignorò bellamente. – Lo sapevo. Adesso incroceranno le immagini delle videocamere e troveranno quest'auto. Gli basterà guardarmi in faccia per arrestarmi. Cazzo, lo sapevo.

– E siamo a due – rispose Willas, continuando a guidare, mentre Ian si era accasciato sul sedile, asciugandosi la fronte. Incredibilmente, il ragazzo sembrava non aver perso affatto la calma.

– Sta' tranquillo. Innanzitutto sei arrivato all'ospedale in ambulanza, e penseranno che tu sia fuggito a piedi. Quindi ti cercheranno nei paraggi. Inoltre non c'erano telecamere sulle scale d'emergenza, e dubito immaginerebbero mai che tu sia salito su una volante del Corpo.

Willas si sporse leggermente verso di lui, iniziando ad armeggiare col cruscotto. Il coperchio si aprì, rivelando una pila di divise nere ancora confezionate, con un casco rosso incastrato in mezzo a esse.

Il ragazzo gli rivolse un sorriso sbilenco, lanciandogli un'occhiata furba. – E poi, nessuno riuscirà a guardarti in faccia. Perché da quest'auto scenderanno due Sorveglianti.

***

Il cimitero di Marwoleth era esattamente come lo ricordava, immerso in un'aura di immutabilità che lo rendeva simile a un quadro dai colori spenti. In alto, alcune nuvole gravide di temporale avevano iniziato a sporgersi minacciose sullo stuolo di lapidi e cappelle funerarie.

Le mani di Florian erano intirizzite dal gelo, con le nocche nere simili a lividi, che contrastavano sulla sua pelle ambrata. L'aria umida dell'imminente pioggia continuava a infiltrarsi nel casco che Willas gli aveva calcato addosso. Il ragazzo camminava davanti a lui, destreggiandosi tra gli stretti vicoli densi di nomi e date.

La divisa da Sorvegliante era tremendamente scomoda, e stringeva sulle garze rendendogli rigide le giunture. Florian cercava di tenere il passo di Willas, facendo saettare gli occhi in ogni direzione. Cosa sto facendo, continuava a cantilenarsi, posando un piede dietro l'altro. Gli sembrava quasi di riuscire a scorgere dei Sorveglianti spuntare da ogni anfratto, pronti a smascherarlo e a portarlo via.

Nella sua marcia verso il patibolo, sentì le proprie gambe arrestarsi, seguendo il barlume di riconoscimento che gli si era affacciato alla memoria. Florian consultò un'ultima volta la mappa olografica ricevuta dal custode, la prima persona che erano riusciti a ingannare col suo travestimento. Fissando il punto che segnalava la loro posizione, Ian posò una mano sulla spalla di Willas, che si voltò con uno sguardo interrogativo.

– Da questa parte –, gli disse.

I due Sorveglianti superarono un monumento incrostato di muschio, rappresentante un angelo in procinto di infilzare un grosso serpente. Oltre una delle sue ali sbeccate, Florian riconobbe lo stesso chiosco dove più di due mesi prima aveva fatto la conoscenza della persona che stava cercando.

Nulla gli assicurava che avrebbe ritrovato Elsinore esattamente dove l'aveva lasciata, in balia della Madama Levatrice che le faceva da custode. Ma la ragazza era l'unica persona che Florian conoscesse a poterlo condurre verso il Lethe.

Il volto di quella giovane Levatrice Spirituale gli era sovvenuto sin da quando, sdraiato sul letto dell'ospedale, aveva posato gli occhi sul messaggio di S. K. Florian aveva subito rammentato le parole della Madama scorbutica che gli aveva presentato Elsinore, il giorno dopo l'Incidente del Quadrante: "sulla strada del Lethe ha ritrovato la via della luce, e ha deciso di privarsi della lingua malefica che le aveva fatto raccontare quelle menzogne".

Florian ricordava come i dubbi provati in quel momento, riguardo alla possibilità che Elsinore avesse subito delle violenze da Abramizde, avessero fatto passare in secondo piano quelle informazioni. Aveva finito per dimenticarle, suo malgrado, almeno sin quando S. K. non gli aveva comunicato che per trovare Eddie avrebbe dovuto servirsi del misterioso rifugio chiamato Lethe.

Come comune cittadino, non aveva alcuna speranza di trovare da solo un luogo del genere. Le storie sulla roccaforte dei "fuoriusciti" serpeggiavano da sempre nei discorsi dei suoi conoscenti, e gli era anche capitato di udire approvazione per l'ideologia Risveglista, propugnata dal sedicente leader dell'opposizione alla Chiesa, Oliver Krassnerr. Tuttavia, escluso Willas, i suoi conoscenti non erano più persone di cui si potesse fidare. Ricevere aiuto da una sconosciuta rimaneva la sua unica speranza.

Rispetto all'ultima volta in cui era stato lì, il chiosco appariva deserto, privo delle Levatrici Spirituali che vi aveva scorto inginocchiate sul pavimento, in atteggiamento di preghiera. Delle foglie secche si muovevano pigramente, compiendo delle contorte spirali e rendendo l'ambiente ancora più spettrale.

– Sei sicuro che sia questo il posto? – chiese Willas.

– Sì. Era qui.

– Non c'è nessuno. Dove altro potremmo cercarla?

Florian stette in silenzio, riflettendo. Con un movimento legnoso, pizzicò la mappa olografica, alla ricerca delle basse casette che ospitavano le cerimonie di Rievocazione. Le sue iridi grigie, unica parte di lui ancora visibile, guizzarono veloci sullo schermo tremolante. Fece cenno a Willas di seguirlo, e si incamminò nuovamente tra i corridoi striminziti.

Anche i piccoli edifici anonimi per le Rievocazioni erano come li ricordava. I viali che conducevano a essi erano immacolati, punteggiati da fiori finti e pietrisco verde acqua. Il candore di quella zona contrastava di molto col resto di Marwoleth, con le sue accozzaglie di icone religiose e di tumuli pacchianamente decorati.

I due Sorveglianti iniziarono ad aggirarsi di fronte alle case, camminando di fianco. L'unico rumore che Ian riusciva a sentire era quello del manganello elettrificato che pendeva al fianco di Willas; uno strumento che, con suo grande sollievo, il ragazzo non aveva potuto fornirgli assieme alla divisa.

Florian sentì un sospiro riverberarsi nel casco, tornandogli sul viso come un boomerang. Tra gli sbuffi della condensa, riuscì a scorgere un gruppo di persone rivolgersi nella loro direzione. Le Levatrici Spirituali si fecero largo in un turbinio di veli, apparentemente senza curarsi del freddo pungente. Ian ne contò almeno una ventina, impegnate a marciare tra le villette a schiera con in mano delle ghirlande di fiori sintetici. Quell'improvvisa esplosione di bianco gli fece sobbalzare il cuore, ma si costrinse a rimanere indifferente.

– Olyvia, metti due corone nell'S23. Zara, Claire, ne voglio cinque nell'A07.

La Madama superiora in testa al drappello si rivolse arcigna ad alcune ragazze, direzionandole verso i loculi come spostando delle pedine su una scacchiera. Florian riconobbe la donna dalle cicatrici sulle braccia, che un paio di mesi prima l'avevano quasi illuso che potesse essergli affine. Bastò l'acredine della sua voce a ricordargli, invece, il trattamento degradante che quella Madama Levatrice gli aveva riservato.

Dopo aver rivolto un breve cenno a Willas, iniziò a camminare verso il gruppo, sentendo il petto pulsare d'affanno. Giunse in fretta dalla Superiora, ancora intenta a strillare ordini a destra e a manca. Florian si schiarì la voce, e di tutta risposta la donna sobbalzò, stupita di trovarsi alle spalle due Sorveglianti. La vide scrutare preoccupata la figura longilinea di Willas, prima di aggiustarsi meglio i veli attorno al viso, leggermente arrossato dal freddo.

– Agenti – disse, ammantando il proprio tono di deferenza, – cosa posso fare per voi?

Florian fece per parlare, ma fu battuto sul tempo da Willas. – Cerchiamo una ragazza, una Levatrice Spirituale. Dovremmo farle alcune domande.

La donna fece saettare i propri occhi anche su Florian, che trattenne il fiato. – Ma certo. Di chi si tratta?

– È una giovane molto esile di corporatura. Si chiama Elsinore.

A quelle parole, l'espressione sul viso della donna si fece imperscrutabile. Rivolse un gesto alle donne dietro di lei, che arretrarono di qualche passo. Per la maggior parte si dispersero verso le proprie destinazioni; ne rimasero immobili solo una manciata, sull'attenti come degli alberi troppo piantati nel terreno.

– Signori, non so proprio come scusarmi – iniziò la Madama, riducendo la propria voce a un sussurro. – Purtroppo mi è stato dato l'ordine di non far parlare Elsinore con nessuno.

Ian indirizzò un'occhiata preoccupata a Willas, che rimase impassibile. – E quale sarebbe il motivo? – chiese.

La Madama si accostò a loro, parlando ancora più sommessamente. – Sono ordini del Presidente in persona.

Florian strinse i pugni, sentendo gli avambracci guizzare sotto alla scomoda divisa da Sorvegliante. Lo sapevo. Quella ragazza aveva davvero subito qualcosa dal Presidente della Chiesa del Giudizio, e non era affatto una mitomane, come la donna aveva sostenuto prima della Rievocazione. Ian si pentì amaramente di non aver indagato più a fondo. Tuttavia, col subbuglio provocato dall'Incidente del Quadrante, non gli era più capitato di ripensare a quella storia. Poté percepire i sensi di colpa aggiungersi all'adrenalina, cauterizzando pericolosamente il suo buon senso.

– È stato proprio lui a mandarci qui – gli uscì, ancor prima di riuscire a realizzarlo. – Il Presidente vorrebbe accertarsi della lealtà della ragazza. Avrà sentito parlare delle recenti... Purghe di Disallineati.

La donna sgranò gli occhi. – Credevo che quel termine fosse proibito.

Florian si morse un labbro, continuando. – Infatti. Ma utilizzarlo tra persone fidate non lo è.

Sentendo quelle parole, l'espressione della Madama mutò leggermente. – Il Presidente... Lui mi considera una persona fidata?

– Senz'altro – disse Willas, reggendogli il gioco. – Un membro della sua cerchia ristretta.

Florian vide la Madama gonfiare il petto d'orgoglio, inebriata. Prima che l'effetto di quelle parole potesse svanire, si affrettò a continuare. – Abramizde vorrebbe appurare che nessuno di sospetto si sia avvicinato alla ragazza negli ultimi tempi. Con tutti questi arresti, la situazione sta degenerando rapidamente.

– Sì, ne sono a conoscenza – disse la donna. – Riceviamo le notizie sul canale privato. Proprio poco fa è fuggito uno squilibrato dall'ospedale civile.

Florian sentì il terreno trascinarlo con sé. Dovette fare appello a tutta la propria forza per riuscire a proseguire, senza permettere alla donna di notare il panico che lo stava attraversando in brevi ondate.

– Esatto. È proprio per difendere Elsinore da individui del genere che vorremmo accertarci della sua integrità. Le faremo solo qualche domanda, utilizzando anche un poligrafo, se necessario. – Si avvicinò a lei, bisbigliando. – Sappiamo che non può parlare.

La donna gli rivolse un'occhiata indecifrabile. Menzionare il mutismo di Elsinore era di certo stato un azzardo; tuttavia, dimostrare di esserne già a conoscenza forse gli sarebbe valsa la sua fiducia.

Quasi come se gli avesse letto nel pensiero, la Madama annuì lievemente col capo. Ian la vide farsi da parte, liberando la strada tra loro e il piccolo gruppo di Levatrici rimasto ritto alle sue spalle. Con un breve gesto, la Superiora scostò dalla prima fila le ragazze più alte, rivelando una figura minuta, che si nascondeva tra le altre come un animale spaventato.

– Elsinore – disse, – questi agenti vorrebbero parlarti.


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