¹³. 𝘖𝘶𝘳 𝘤𝘩𝘪𝘭𝘥𝘳𝘦𝘯 𝘨𝘳𝘰𝘸𝘪𝘯𝘨

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Un'ora più tardi sentì suonare il citofono. Eddie saltò su dalla sedia dove si era accasciato ad attendere Rein, e corse alla finestra per osservare il portone. Davanti a esso vide la figura ormai familiare del ragazzo, che indossava una camicia color panna e gli stessi pantaloni del giorno prima. Sembrava guardarsi attorno con fare circospetto.

Eddie prese il suo zaino dall'appendiabiti e si avviò verso l'uscita, premurandosi di scrivere una nota per Florian. Scese le scale a due a due, come aveva fatto migliaia di volte per via della sua statura.

Quando aprì il portone fu accolto dall'espressione enigmatica di Rein, che sfoggiava un sorriso gentile unito a uno sguardo truce. Il ragazzo girò immediatamente i tacchi e scese le scalette dell'ingresso, iniziando a camminare verso la strada. Eddie lo prese da una spalla, cercando di fermarlo.

– Aspetta, non sarebbe meglio parlare in casa? –

– Non preoccuparti, conosco un posto. Hai una macchina? – gli rispose, senza girarsi.

Eddie non si aspettava quella richiesta, ma decise di assecondarlo. – Sì, certo. Tu come sei arrivato qui? –

– Con la metro sospesa. Le nostre zone sono abbastanza lontane, ma ce l'ho fatta. –

– E come hai fatto a trovare casa mia? – domandò ancora Eddie, sinceramente incredulo.

Rein si fermò di scatto, e lui gli andò quasi a sbattere contro.

– Mi prendi in giro? – gli chiese, girandosi per puntargli un dito sul petto. – Letteralmente tutti sanno dove si trovi l'unico LaBo del quartiere. Mi è bastato chiedere a un paio di persone. E poi te l'ho detto ieri, sei estremamente riconoscibile. – Rein fece il gesto di toccarsi i capelli, alludendo alla lunghezza di quelli di Eddie.

– Hai finito con le domande? Dobbiamo andare – terminò, riprendendo a camminare a grandi falcate verso il parcheggio del condominio.

***

I due ragazzi salirono sull'auto, dopo che Eddie fu riuscito a individuarla, parcheggiata tra le altre identiche. Si posizionò al posto del guidatore, aggiustando lo specchietto in modo che inquadrasse per bene il lunotto posteriore. Rein si sedette al suo fianco dimenticando di mettere la cintura, cosa che Eddie fece prontamente. Lo sguardo del passeggero fu attirato dall'orribile cubo di peluche che Eddie aveva appeso allo specchietto. Prese il portachiavi in mano, sorridendo incuriosito.

– E questo cosa sarebbe? – chiese.

Eddie gettò lo zaino sui sedili posteriori. – Serve a riconoscere l'auto in mezzo alle altre. –

– Davvero di buon gusto. –

– Vuoi andare a piedi? – disse Eddie con un sorriso, fingendosi offeso. Rein alzò le mani in un gesto di scuse, continuando a ridacchiare.

Eddie disattivò la guida semi-automatica e prese il volante per fare manovra, uscendo dal parcheggio. Il pensiero di andarsene in giro con una persona della sua età, forse un primo amico, lo elettrizzava e lo metteva a disagio allo stesso tempo.

Sentiva saldarsi in lui un'ancestrale diffidenza e una voglia matta di rendersi interessante. Lo sfiorò l'idea che se non avesse detto le cose che Rein voleva sentirsi dire, il ragazzo sarebbe sparito nuovamente. La cosa gli fece provare ancora più disagio. Tuttavia, decise di mettere da parte quelle paranoie, per il momento.

Quando il semaforo divenne rosso, ne approfittò per dare un'occhiata al navigatore olografico impostato da Rein, controllando di aver preso la strada giusta. Con la coda dell'occhio lo vide sul sedile del passeggero mentre osservava fuori, con un'aria preoccupata.

La città sembrava più grigia del solito, anche se quel giorno non aveva piovuto e il cielo era azzurro. Tuttavia, le persone sembravano avere qualcosa di diverso, come se non fossero state realmente presenti. Probabilmente anche Rein stava notando il vuoto nei loro sguardi.

Eddie si schiarì la voce e il ragazzo si rivolse verso di lui, facendolo imbarazzare leggermente per averlo distratto. Tanto per fare qualcosa legò i capelli, aspettando che al semaforo scattasse il verde.

Sapeva che la coda di cavallo metteva in risalto il suo naso storto, soprattutto di profilo, ma in quel momento aveva bisogno di qualcosa da fare. Non aveva il coraggio di chiedere a Rein cosa stesse pensando; il ragazzo tuttavia, sembrò leggergli la mente.

– Sembrano fantasmi – disse. Eddie capì immediatamente che si stava riferendo alle persone. Non fece in tempo a rispondergli, che il passeggero cambiò discorso.

– Come mai tieni i capelli così lunghi? Sembrano scomodi, anche se ti stanno bene. –

Eddie cercò di sorvolare sul complimento. – Mi piacciono così. È come li portavano i "metallari" – rispose, passando le dita nella coda per eliminare eventuali nodi. Il semaforo scattò e lui fece ripartire l'auto, gettando un'altra occhiata al navigatore.

– Cioè? – chiese Rein. Il suo sguardo sembrava sinceramente confuso.

– Le persone che ascoltavano la musica metal. Di quella ne avrai sentito parlare, almeno. –

Rein parve perdersi nei propri pensieri, e rivolse di nuovo lo sguardo fuori dal finestrino. – Dove abito io non si ascolta molta musica – rispose laconicamente. – Puoi farmela sentire tu – continuò, cambiando discorso.

Eddie sentì una fiammella di entusiasmo accenderglisi nel petto: non aveva mai fatto ascoltare le proprie canzoni ad altri che a Florian. Si mise subito a frugare nel cruscotto per trovare il CD giusto.

– Esistono ancora? – disse Rein, indicando il CD con una delle sue dita sottili.

Eddie lo ignorò e aprì la custodia con delicatezza, introducendo il disco nel lettore artigianale che aveva collegato all'impianto audio. Spinse un paio di tasti sul piccolo dispositivo, e il CD partì inondando l'abitacolo col suono di una batteria sferzante. Eddie passò all'ultima traccia, e la musica si fece più intensa.

I due stettero in silenzio ad ascoltare. Rein fissava il lettore come rapito, dimentico delle persone che continuavano a camminare come zombie all'esterno. Eddie ogni tanto cantava qualche strofa sottovoce, salvo poi ricordarsi di essere in compagnia, e passare a un lieve fischiettio. La voce del cantante gli graffiava le orecchie, e il suono delle chitarre gli rimbombava nella gabbia toracica. Continuò a guidare, fingendo disinteresse.

Quando la canzone finì estrasse delicatamente il CD dal lettore, tenendolo in equilibrio con una mano sola. Ripose il disco e attese che Rein dicesse qualcosa. Lo guardò di sbieco, e notò che aveva gli occhi puntati verso il lettore, come ipnotizzato.

– Allora? Ti è piaciuta? – gli chiese, grattandosi il naso. Temeva la risposta, ma era sin troppo curioso di sentirla.

– Molto – rispose Rein, semplicemente.

Eddie continuò a fissarlo, e pensò che la sua espressione quasi scioccata lo facesse sembrare più vulnerabile di come adorava mostrarsi di consueto. Prese quella reazione come una piccola vittoria personale, ma non si arrese a quella risposta così scarna.

– Argomenta, per favore – gli disse, sfoggiando lui stesso un po' della spavalderia che Rein sembrava aver perso.

Il ragazzo sospirò leggermente, rassegnandosi.

– Non lo so... Non ho mai ascoltato niente di simile. Tutta questa rabbia e questa disperazione, in una sola canzone. Per quello che sono riuscito a capire, parla dell'ambiente. – Rein sembrò cercare di ponderare la propria risposta, ritornando alla sua falsa sufficienza.

– Esattamente – rispose Eddie, soddisfatto. – Chi parla si identifica con l'ambiente, come se ne facesse parte. E anche se all'inizio crede che tutto sia spacciato, in seguito inizia a sperare che le cose possano cambiare. –

Pensò di non essere riuscito a sviscerare in maniera precisa ciò che dicesse la canzone, ma non voleva risultare troppo pesante con una spiegazione di mezz'ora.

– Già. "Vedremo i nostri bambini crescere"... – Rein indurì la mascella. – Quando è stata scritta? –

Eddie girò la custodia del CD al contrario. – Novantacinque anni fa. –

– Stai scherzando?! –

– No. I CD durano anche centinaia di anni, se tenuti bene. Questo genere di musica non si trova nel database di Neursic, e sia i dischi che i pezzi di ricambio per i lettori mi sono costati un occhio della testa – rispose Eddie. A un certo livello si sentiva orgoglioso di aver creato dal nulla tutto quell'impianto.

– Però credo che la cosa più bella sia il testo, anche se è molto triste. Non vedremo più "i nostri bambini crescere" –, aggiunse infine.

Rein aggrottò la fronte, soffermandosi a riflettere su quella frase.

La loro conversazione fu interrotta dal lieve "bip" del navigatore, che segnalò l'arrivo alla loro meta. Eddie rinunciò a continuare il discorso e scollegò l'apparecchio. Il navigatore si spense, riducendo a sottili filamenti le stradine olografiche che aveva proiettato fino a quel momento.

L'auto si era fermata in mezzo a un piazzale semi-abbandonato, ben lontano dal centro di Malthesia. Il discorso sulla musica aveva distratto Eddie abbastanza da non fargli realizzare quanto si fossero spostati dai luoghi in cui avevano visto i passanti dagli sguardi vacui. Il manto stradale sul quale si era soffermata l'auto era crepato in mille punti, e dalle fessure fuoriuscivano delle erbacce verde scuro.

Lo spiazzo era molto largo e desolato, e alti grattacieli lo contornavano con fare minaccioso. Gli esterni dei palazzi erano scrostati e decadenti, come animali che avessero interrotto a metà il proprio processo di muta. C'era qualche lampione a led che oscillava con la brezza, attaccato precariamente a dei fili elettrici. In alto, sulle facciate di un paio di grattacieli, sfarfallavano gli schermi di cinque metri che la Chiesa utilizzava per le comunicazioni unificate; da quella distanza Eddie non avrebbe saputo dire se fossero ancora funzionanti. Tutto in quell'area sembrava il rimasuglio del passaggio di un uragano.

– Siamo arrivati – disse Rein, interrompendo il silenzio nell'abitacolo. Senza aggiungere altro aprì lo sportello con un cigolio, scendendo dall'auto.

Eddie fece lo stesso. L'aria calda di quella giornata lo investì, e arrotolò le maniche della felpa per rinfrescarsi.

– Ma qui non c'è nulla – rispose. Anche se avessero voluto proseguire, la strada si interrompeva comunque.

Di tutta risposta, Rein iniziò a camminare, facendo scricchiolare sotto le suole le centinaia di pezzi di vetro che punteggiavano l'asfalto.

Eddie, osservandolo allontanarsi, pensò a quanto doverlo seguire stesse diventando una visione consueta. La cosa stava iniziando a infastidirlo leggermente. Tuttavia, senza dire nulla, prese a camminare dietro di lui, lasciando che come al solito la curiosità prevalesse sull'orgoglio.

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