⁸³. 𝘘𝘶𝘢𝘵𝘵𝘳𝘰 𝘨𝘪𝘰𝘳𝘯𝘪

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La piazza era stracolma di persone, attirate verso il palchetto come formiche su una carcassa. In piedi sul legno marcito, Oliver Krassner gesticolava per richiamare i propri fuchi al silenzio, simile a un'ape regina dal volto mite. Un po' alla volta, gli anziani, i pochi Pre e i LaBo abbassarono il volume dei propri chiacchiericci, sino a quando lo spiazzo non fu pervaso solo da un filo di elettrica quiete.

Yae si strinse nella felpa, sentendo l'aria fremere attorno a sé. Da quando si trovava nel Lethe, non era mai capitato che il Leader indicesse un'assemblea tanto urgente o tanto estesa. Tuttavia, a giudicare dai visi curiosi che scorse attorno a lei, quella visione non doveva essere consueta neanche per i ribelli della roccaforte.

L'ambiente era freddo come al solito, sferzato dai mulinelli dell'impianto di aerazione interna. Seth, poco lontano da lei, starnutì sommessamente, contraendo poi il viso in un'espressione turbata. Nonostante lui e gli altri LaBo pendessero dalle labbra di Krassner, non era difficile immaginare cosa gli frullasse per la testa. Guerra. Era quello l'unico motivo per il quale il Leader avrebbe mai potuto convocare la totalità dei suoi cittadini.

Anche Jay e Dev sembravano leggermente a disagio. Nascosto nei loro sguardi, però, Yae trovò anche un barlume di adrenalina, che donava alle loro iridi delle sfumature più accese. In fondo si preparano a questo momento da tutta la vita. Cercò gli occhi grigi di Florian in mezzo alla folla, trovandoli intenti a fare la stessa cosa. Dietro alla sua montatura appannata lesse la propria stessa conclusione: se siamo arrivati a questo è solo a causa nostra.

Il domino messo in moto dalla loro confessione aveva portato a un'attenta e paranoica analisi dell'edificio del Laboratorio, durata un'intera settimana. Yae sapeva che non le sarebbe giunto nulla dalla zona nella quale era rinchiusa Eve, eppure ciò non le aveva impedito di sperare di sentire la sua voce. In compenso, lei e Ann avevano udito il dottor Jonas parlare più volte fuori dall'area schermata, dunque alla portata delle loro orecchie. Ed era stato proprio uno di quei dialoghi a metterle in allarme, mentre stavano stravaccate in un angolo della sezione Comunicazioni.

L'uomo, ignaro di essere sotto controllo, durante una telefonata aveva fatto riferimento a un'imminente visita al Laboratorio da parte del Presidente Abramizde. L'interlocutore che aveva raccolto quelle parole si chiamava Luis Mondego, che Klaus, utilizzando i suoi contatti nella Chiesa, aveva scoperto essere un medico impiegato presso la clinica psichiatrica di Larkhall. Jonas aveva esordito rimproverando aspramente Mondego per "aver fatto fuggire quella donna", in seguito a un incendio tutt'altro che fortuito nella struttura.

Dopo quella telefonata, Ann le aveva rivolto un'espressione interrogativa. Tuttavia, Yae non aveva saputo affatto come spiegarle quella situazione. Non sapeva a quale donna si riferissero, né conosceva il dottor Mondego o la clinica di Larkhall. Aveva proseguito ad ascoltare in silenzio, coi nervi a fior di pelle, riequilibrandosi solo nei momenti in cui Ann le aveva sfiorato distrattamente le mani.

Anche in quel momento, nella piazza, la mano di Ann cercò la sua, stringendola nonostante fosse madida di nervosismo. Yae si odiò per quel suo sprazzo d'ansia, e sperò che la ragazza non se ne curasse.

– Ci siamo – disse Ann, accennando al Leader sul palchetto. Lei le rivolse un sorriso tirato, mettendosi subito in ascolto.

– Cari amici e concittadini... Sembra che ormai io non possa nascondervi più nulla – esordì Krassner, con una punta di divertimento. Nonostante non stesse parlando in un microfono, la sua voce risultava udibile ovunque.

– Il rifugio è piccolo, e le notizie corrono veloci. Dunque, prima che vi giungano alle orecchie informazioni inesatte, ho deciso di essere franco con voi, e di comunicarvi l'esito della piccola indagine che io e alcuni dei vostri fratelli abbiamo svolto nell'ultima settimana.

I cittadini lo fissarono in attesa, tremolando all'unisono.

– Pare che il nostro buon Presidente nutra degli interessi per un certo Laboratorio. Un Laboratorio dove, per una serie di motivazioni, Abramizde non può permettersi un'eccessiva sicurezza. E questo, ovviamente, gioca a nostro favore. Inoltre, grazie al contributo di un'importante persona tra di voi, siamo a conoscenza sia della planimetria di questo luogo, sia della composizione del suo organico.

Yae vide alcuni visi girarsi verso di lei, e sentì le guance scottarle di rimando.

– Per tutte queste ragioni, io, Liese e gli altri membri del Consiglio abbiamo deciso di cogliere questa occasione per fare la nostra mossa decisiva ai danni della Chiesa del Giudizio.

La folla cominciò a mormorare, senza tuttavia staccare gli occhi da Krassner. L'uomo stette in silenzio per un istante, gustandosi quella reazione.

– Vi siete preparati per anni, giorno dopo giorno. Ora ciò che avete imparato potrà finalmente essere messo a frutto – continuò, compiaciuto. – Siete forti, veloci, determinati. Ma soprattutto, possedete qualcosa che là sopra non hanno mai posseduto: la libertà.

Qualcuno iniziò a esultare e a fischiare, accendendo drappelli di confusione qui e là. Krassner non se ne curò affatto, proseguendo a dispiegare il proprio discorso come un ragno con la sua tela.

– È arrivato il momento di urlare questa parola anche in superficie. È arrivato il momento di mostrare loro cosa significhi vivere senza paura e senza costrizioni. È arrivato il momento di distruggere la Chiesa del Giudizio.

Nonostante avesse proferito quelle parole con una calma cristallina, la folla esplose in un boato entusiasta. Yae si sentì trascinare dall'euforia generale, e si ritrovò ad applaudire senza rifletterci. In uno sprazzo di lucidità, notò qualche viso anziano stillare delle lacrime, suggellando le parole del Leader. Osservò persino una LaBo sedersi a terra, forse sopraffatta dall'emozione. La ragazza fu subito circondata da una coltre di Fratelli in tenuta militare, pronti a darle una mano a tirarsi in piedi.

Seppur a una prima occhiata l'intera scena le avesse ricordato una recita teatrale, non poté negare la profonda autenticità che quelle reazioni le trasmisero. Sino a quel momento non si era mai davvero resa conto di quanto quelle persone si sentissero compresse, di quanto desiderassero evadere da quella roccaforte, diventata anche la loro tomba. Di quanto molti di loro si sentissero come quei "ratti in gabbia" descritti da Ann a suo tempo. E Krassner, di conseguenza, era il loro indecifrabile pifferaio magico.

Sebbene l'avesse osservato interagire con i cittadini sia al poligono che alla festa di Liese, non aveva mai realizzato quanto la veste di "leader" gli calzasse a pennello. L'atteggiamento che i ribelli gli riservavano era colmo di rispetto, al pari di quello che riservavano a Liese e agli altri anziani del Consiglio. Tuttavia, nei suoi confronti c'era un qualcosa di viscerale, una morbosità che traboccava di promesse che l'uomo aveva rinfocolato in loro per anni, attizzando le loro braci ogni qualvolta sembrassero in procinto di spegnersi.

Fu in quel momento che lo comprese appieno. Quello degli afflitti cittadini del Lethe era più che un addestramento fisico, più che un allineamento ideologico: il Leader li aveva addestrati a sperare.

Yae poté sentire quella speranza infiltrarsi dentro di lei come un agente patogeno, facendole gonfiare lo stomaco di urla non sue. La massa di corpi le spingeva addosso, incitandola, torcendola verso quel nuovo e sfavillante traguardo. Un traguardo composto non solo dalla caduta della Chiesa del Giudizio, ma anche dalla fragile, innocente, fertile carne di Eve. E, in mezzo a quelle urla assordanti, in mezzo a quegli occhi affilati, il suo corpo parlò prima della sua mente, e le sue ginocchia cedettero su loro stesse.

Ann fu la prima ad accorgersene, nonostante diverse persone si fossero voltate, probabilmente convinte che il suo mancamento fosse dovuto a una scarica di adrenalina. Yae sollevò uno sguardo implorante sulla ragazza, che per fortuna fu inteso con successo. Ann la sollevò di peso dal pavimento, passandosi un suo braccio sulle spalle robuste. L'ultima cosa che Yae riuscì a scorgere in mezzo alla calca furono gli occhi cinerei di Florian, che la seguirono preoccupati sin fuori la piazza.

L'imboccatura delle scale d'emergenza sembrava essere lontana anni luce dalle urla esagitate che si erano lasciate alle spalle. Yae sentì il freddo del pavimento riportarla alla realtà un pezzo alla volta, e chiuse gli occhi per concentrarsi sul proprio respiro. Quando li riaprì, il viso color notte di Ann si stagliava di fronte al suo, con le sopracciglia inarcate.

– Che succede? – le chiese, accovacciandosi meglio. Nei suoi occhi Yae riuscì a scorgere ancora quella cieca euforia che aveva visto dipinta negli sguardi degli altri.

– Nulla – le rispose, sforzandosi di sorridere. – Ho solo avuto un calo di pressione. Troppa gente accalcata.

Ann la scrutò ancora, decidendo infine di accomodarsi accanto a lei. Nonostante il freddo, indossava comunque una canottiera da allenamento, che metteva in risalto la sua muscolatura definita.

– Non penserai che io ti creda – le disse, tagliente. – Ho visto altre persone svenire, prima. E a meno che le tue ginocchia non siano al livello di quelle di mia nonna, non credo che il tuo sia stato un problema fisico.

Yae le rivolse un'espressione malinconica, sospirando. – E va bene. Forse era un attacco di panico.

Forse – le fece il verso Ann, incrociando le braccia. Sentì la sua voce addolcirsi di qualche tono, accarezzandole l'udito. – Cosa pensi che l'abbia causato?

Lei si prese un momento per rispondere. Allungò le gambe sul pavimento, rabbrividendo per il contatto con le mattonelle ghiacciate.

– Non lo so – ammise. – Tutto quell'entusiasmo mi ha spaventata. Ho immaginato i ribelli riversarsi nel Laboratorio, fare del male a Eve. Fino a ora, non avevo mai compreso quanto fossero disperati.

Yae si bloccò di colpo, mordendosi un labbro.

– Mi dispiace, non intendevo...

– No – la interruppe la ragazza. – Hai ragione, siamo dei disperati. Non devi scusarti per aver detto la verità.

Non percepì astio nelle sue parole, né rimprovero. Ann continuò a parlare, poggiando il capo sulla parete gonfia d'umidità.

– Quello che hai visto poco fa è solo ciò che succede quando a degli affamati viene data una mollica di pane. Ammetto che possa fare paura, e ti capisco. Ma abbiamo atteso questo momento troppo a lungo, abbiamo lavorato troppo duramente per non esplodere in questo modo.

La ragazza si rabbuiò, infondendo nel suo tono una certa amarezza. – Il Leader lo sapeva, e ha lasciato che ci sfogassimo. Ma non devi preoccuparti per Eve, o per tutti gli altri. Liese ha detto che Oliver non ha rivelato a nessuno i dettagli del Progetto Stanza Bianca, e che non ha intenzione di farlo. Il suo unico obiettivo resta quello di liberare tutti loro, per farli finalmente tornare a vivere in superficie. Perché lo meritano.

Yae la vide troncarsi bruscamente, soffocando il resto delle sue parole.

– Già – le disse, osservandola di sottecchi. – Lo meritate tutti.

Ann stette in silenzio, torcendosi le mani in grembo. Le vene sulle sue braccia guizzarono come torrenti in piena, e il suo sguardo si rivolse da ogni lato, meno che il suo.

– Io rimarrò qui.

Yae si girò di scatto verso di lei, scioccata. Registrò le sue spalle ricurve su loro stesse, le sue treccine scese a nasconderle il viso di sbieco.

– Che significa? – le chiese, nel panico. – Non puoi rimanere qui.

– Invece sì. Voi andrete al Laboratorio, e il piano proseguirà senza di me.

– Ma non è possibile – continuò Yae, posandole una mano sul ginocchio. – Krassner ha bisogno di te. Non può aver acconsentito.

– Non l'ha fatto – sussurrò Ann. – Ma Oliver sa di cosa sia capace mio padre, di quanto potere abbia come Ministro dell'Interno. Non ha mai smesso di cercarmi, e appena metterò piede fuori da qui, di sicuro verrà a sapere che Ann Davis è ancora viva. – Socchiuse gli occhi, sospirando. – Questo cognome è una maledizione.

– Puoi avere il mio – disse Yae, ancora prima di realizzarlo.

Ann sgranò gli occhi, e lei si sentì avvampare sino alla punta delle orecchie.

– Io... Intendevo...

– Lo so – disse Ann, sorridendo gentile. – Ma è difficile cambiare identità senza che la Chiesa lo scopra. Si dice che i chip dei Quadranti siano nominativi, e io ho ancora il mio nel braccio. Anche se mi spacciassi per tua sorella, dovremmo collegare la mia nuova ID al microchip – disse. – E poi, casomai non l'avessi notato, non ci assomigliamo per niente.

Yae rise, rilassandosi un po'. – Hai ragione – disse. – È solo che non credo che il Leader ti lascerà rimanere qui. In fondo, sei una parte fondamentale del suo piano.

Ann sbuffò, incrociando le gambe. – Il golpe proseguirebbe comunque, lo sai. Non sono poi così importante per la sua riuscita.

– Invece lo sei. Sei importante – rispose, ingoiando un groppo d'ansia. – Non solo per il golpe.

La ragazza si voltò verso di lei, sorpresa. Yae abbassò gli occhi, indecisa se proseguire. Senza guardarla in volto, cercò le sue mani a tentoni, annodando assieme le loro dita per darsi coraggio.

– Non tutto deve girare attorno al golpe, o attorno al Leader. Quanto sarà finita, fuggiremo via da Malthesia. Troveremo una casa tra le montagne, o ne costruiremo una. Senza il controllo della Chiesa, ognuno potrà andare dove vorrà, e sono sicura che un posto dove sia possibile coltivare del cibo esista ancora.

Yae sentì le dita di Ann stringersi alle sue, e sbirciò il suo sguardo acquoso da sotto i propri ciuffi ribelli.

– Porteremo Liese con noi, e anche Seth, Jay e chiunque vorrà venire – aggiunse. – Non devi affrontarlo per forza, Ann. Tuo padre ha smesso di avere potere su di te già vent'anni fa. Non permettergli di tornare ad averne.

Smise di parlare di colpo, prosciugata da quel discorso. Le gocce negli occhi di Ann si erano fatte più dense, e iniziarono a rotolarle disordinatamente sulle guance.

– Non è così semplice – le disse, mormorando. – Anche se lui non è quaggiù con noi, è come se ci fosse. Anche dopo tutto questo tempo, mi aspetto ancora di vederlo comparire dietro di me senza preavviso. È soffocante.

Yae fissò le sue labbra contrarsi in uno spasmo nervoso. Ann si interruppe un momento, asciugandosi una lacrima solitaria.

– A volte sento ancora le urla di mia madre mentre cercava di sfuggire alla sua rabbia. Era una donna estremamente forte, molto più di me. Metteva il rossetto sulle labbra spaccate per non farmele vedere, e quando la trovavo piegata per terra con le mani di mio padre attorno al collo, mi diceva che si stavano abbracciando.

Yae sentì quella frase conficcarsi nel suo cuore, uno spillo alla volta. La lasciò proseguire, assecondando la sua lieve volontà di darsi voce.

– È strano. Per tutti questi anni non ho fatto altro che desiderare di fuggire via da qui... E ora, invece, ne ho il terrore. – Ann sorrise mestamente. – Mia madre si vergognerebbe di avere una figlia tanto codarda.

Yae le racchiuse le dita tra le mani, piantandole uno sguardo determinato addosso.

– Non sei codarda – le disse. – È normale temere ciò che non conosciamo. Per quanto priva di significato, preferiamo sempre una rassicurante routine rispetto a un qualcosa di ignoto. Ma buttarsi fa paura solo sin quando non si compie il primo passo.

Ann allargò il proprio sorriso triste, appoggiandole la testa nell'incavo del collo. – Come il primo passo che avresti dovuto fare con me?

Lei arrossì lievemente. – Anche. Ma il punto è che usciremo all'esterno tutti insieme, e affronteremo insieme ogni ostacolo. – Appoggiò una guancia sui suoi capelli, sussurrando a mezza voce. – Qualunque cosa accadrà fra quattro giorni, non sarai da sola. Te lo prometto.

Sentì il viso di Ann agitarsi accanto a lei, e prima ancora di accorgersene, percepì il tocco delicato delle sue labbra imprimersi sulle proprie. Le sembrò quasi di sentire dei sottili filamenti di calore dipanarsi dall'ombra del suo bacio, allungandosi a riscaldarle tutto il corpo.

– Quattro giorni – disse Ann, sussurrandole addosso. – Pensavo che avremmo avuto più tempo.

– Anch'io – ammise lei, ancora intontita.

Senza preavviso, la ragazza si sollevò in piedi contro la parete, tendendole una mano fasciata da un polsino da palestra. Lei la prese timidamente, affiancandola nel corridoio in penombra. Ann le fece un sorriso sbilenco, avviandosi verso le scale d'emergenza che salivano al livello superiore.

Yae si fermò sul primo gradino, spaesata. – Dove vai? Non torniamo in piazza?

– In piazza ne avranno ancora per molto – disse l'altra, senza voltarsi. – Inizieranno a festeggiare e non la finiranno più. E poi domani Oliver vorrà di sicuro trascinarci in qualche riunione interminabile.

– Probabile – concordò lei, sollevando le spalle. – E allora?

Allora – rispose Ann, girandosi, – pensavo che sarebbe stato bello non avere rimpianti.

Yae notò che le lentiggini sulle sue guance si erano colorate di imbarazzo. La osservò senza capire, sin quando un pensiero non le si affacciò alla mente.

Oh, fu tutto quello che riuscì a elaborare. Oh.

Sentendo le proprie mani imperlarsi di euforia a ogni nuovo passo verso la loro camera, Yae continuò a ripetersi due parole come un mantra.

Quattro giorni, si disse. Solo quattro giorni.






Angolino

Una Yae e una Ann selvagge, perché ci stanno sempre.

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