⁸². 𝘚𝘦𝘵𝘵𝘦 𝘨𝘪𝘰𝘳𝘯𝘪

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Cos'hai in mente, Eddie?

Era quella la domanda che risuonava nel petto di Saryu, a ogni nuova occhiata che riservava alla scena che le si stava dispiegando davanti agli occhi. Un dubbio, un accigliamento, mentre dal buio della sala di controllo spiava la prima conversazione concessa da Iris ai due prigionieri. Ancora separati da un vetro, ancora legati da un filo invisibile.

– Il tuo colore preferito? – stava chiedendo Eve, con una sfumatura briosa nella voce. Sembrava tornata a un'asettica normalità, come se solo qualche giorno prima non avessero dovuto iniettarle un sedativo per impedirle di strappare a uno a uno tutti i suoi disegni. La visione di Eve accasciata per terra a piangere probabilmente doveva aver sconvolto la dottoressa Svart più del dovuto, se si era permessa di tornare sui propri passi, concedendo al ragazzo di interagire nuovamente con lei. Da che ricordasse, Saryu non aveva mai visto Iris rettificare una propria decisione.

– Il verde, direi. Quello dell'erba in primavera, come su Wilderness.

Eve lo guardò confusa.

– È un videogioco al quale giocavo prima –, aggiunse Eddie.

"Prima", pensò Saryu. Prima del rapimento. Prima della prigionia.

– Hai mai giocato a qualche videogioco? – passò a chiederle il ragazzo, evitando di soffermarsi su quel concetto di "precedenza".

– No, mai – rispose lei prevedibilmente.

Ascoltandoli parlare in quel modo, in un botta e risposta di domande smozzicate, Saryu non poté far altro che pensare a quanto tutto quello assomigliasse a una bellissima e sfavillante farsa. A quanto Eddie stesse girando abilmente attorno alle domande scomode, scansandole una per una. Come fossero state labili flutti d'acqua, e non quei pesanti macigni che rendevano palese la reclusione di Eve. In lui c'era un che di impostato, di irreale. La rabbia, lo sdegno, il rammarico che aveva visto esalare dalla sua pelle sembravano averlo abbandonato in blocco. Al loro posto pareva si fosse stabilizzato solo un velo di banale cortesia, una gentilezza affilata quanto un punteruolo da ghiaccio.

Se Iris stesse o meno credendo a quella recita, non lo dava affatto a vedere. La dottoressa Svart se ne stava accanto a lei con un'espressione assente, come di consueto affiancata da Jonas. Ogni tanto l'uomo indirizzava a Saryu delle occhiatacce al vetriolo; probabilmente, nonostante fosse riuscito a convincere Iris di allontanarla da Eddie, non gli andava comunque giù che le avesse permesso di assistere ai colloqui tra i due reclusi.

– Non mi hai ancora detto quale sia il tuo colore preferito – disse Eddie a Eve, sorridendole con dolcezza. I suoi capelli sembravano essere cresciuti un po' sulle punte, e adesso grattavano sulla cicatrice che gli attraversava la nuca, nascondendola come un'incisione segreta.

– Mi piacciono un po' tutti – rispose la ragazza, senza rifletterci troppo. – Se l'arcobaleno fosse un colore, sarebbe quello.

Saryu pensò all'ironia celata sotto quella risposta, dal momento che Eve aveva pochissime occasioni di osservare colori che non fossero il bianco, se non quando dalla sala di controllo le mandavano i video che volevano guardasse, la conoscenza di cui volevano si infarcisse. Ogni sua finestra sul mondo era scelta, calcolata, infiocchettata dalle mani sapienti di Iris. Non c'era alcun margine di scoperta, alcuna sorpresa o novità che potesse stuzzicarle l'intelletto, spingerla a rimescolare i propri schemi di pensiero o ad aggiungerne di nuovi.

Tuttavia, percorrendo il binario di quel pensiero fino in fondo, Saryu dovette iniziare a ricredersi. Era vero: la vita di Eve le era stata cucita addosso senza alcun margine di movimento, un abito talmente perfetto da soffocarla. Ma, per quanto Iris avesse pianificato in lungo e in largo l'incontro della ragazza con Eddie, considerandolo poco più di un sassolino incidentale sulla sua strada, non aveva fatto i conti con la reale portata di quell'evento. Perché Iris sapeva osservare il mondo solamente attraverso il filtro del proprio sguardo, e non indossando anche le lenti altrui. E aveva pensato a Eddie come a una frase scribacchiata ai margini di una pagina, mentre per la ragazza lui rappresentava il libro intero. Un viaggio verso luoghi ignoti, in grado di farla proiettare in un presente meno grigio, in un futuro un po' più chiaro e, suo malgrado, nel nero di un passato che continuava ad artigliarle le viscere.

Anche se Eddie non sembrava intenzionato a far cenno ai disastrosi eventi del precedente incontro, quel segreto taciuto stazionava tra loro come nebbia, pronta ad accarezzarli con le proprie dita fumose. Di certo Iris doveva averlo minacciato più volte di non fare alcun riferimento al nome "Nadine" e a tutto ciò che ne conseguiva. Eppure, il ragazzo appariva davvero rilassato, come se non fosse mai accaduto nulla. Come se solo qualche giorno prima Iris non avesse provveduto a fecondare gli ovuli di Eve con i suoi gameti, prelevati tra le lacrime. Come se, avvolto nel calore del grembo di Eve, non stesse crescendo il primo frutto che l'albero avvizzito dell'umanità avesse visto da quasi vent'anni a quella parte.

Saryu si trovò a scrutarlo con un'intensità tale da farle male agli occhi. Le guance del ragazzo erano più scavate, e anche il colore della sua pelle appariva più spento, simile alla vernice di una barca erosa dalla sabbia. La camicia bianca e il pantalone color panna che gli avevano fornito stavano iniziando a stargli leggermente larghi. Saryu lo aveva visto diverse volte fare degli esercizi a corpo libero all'interno della sua cella, ma a quanto pare quel tipo di attività non era bastata affatto a compensare quelle settimane lontano dai suoi allenamenti.

In una di quelle occasioni, ricordò, i suoi movimenti le erano addirittura sembrati più fluidi e sicuri. Se non fosse che, alla successiva sessione di fisioterapia con Xander – che era comunque riuscita a spiare, sgattaiolando nella sala di controllo –, il ragazzo avesse ripreso a incespicare sui propri passi, perdendo l'equilibrio sul tappeto mobile. Se anche quella fosse una messinscena studiata a puntino, Saryu non avrebbe saputo dirlo.

Cos'hai in mente, Eddie?

– E il tuo albero preferito? – chiese il ragazzo, spezzando con la propria voce il flusso delle sue riflessioni. Lo vide schiacciare il palmo contro il vetro, dando fondo a quel gesto di fragile intimità che lei aveva sempre trovato sin troppo struggente.

– L'acero – rispose Eve, senza mancare un battito. – Quello riccio, con le foglie appuntite. E il tuo?

Eddie si richiuse in se stesso, strizzando gli occhi. – La quercia – rispose. Fu la prima volta in cui la sua maschera di pacatezza sembrò incrinarsi, lasciando che una punta di malinconia ne decorasse le finiture.

Una quercia, come quella che campeggiava al centro del rifugio di Hermes. Era stata Yae a portarcela, molto tempo prima. Quella volta, Saryu era rimasta interdetta, più che meravigliata. Nonostante esercitasse il mestiere di psicoterapeuta da una vita, per la prima volta le era sembrato di mettere davvero piede nella mente di qualcun altro, e per giunta di farlo senza permesso. Quella decadenza parlava di Hermes più di quanto avrebbero mai potuto fare mille discorsi, mille parole cavategli di bocca di sfuggita, sfruttando una giornata in cui era particolarmente loquace o vulnerabile.

Sentendo Eddie citare una quercia, Saryu fu certa di come quell'albero avesse messo radici nel suo cuore non sottoforma di pixel di un videogioco, o di fotogrammi su una pellicola di Storia Ambientale. No: la quercia alla quale si riferiva era reale, vera quanto lo erano i sentimenti che lo legavano ancora a Hermes, e che era certa legassero Hermes ancora a lui. In quel momento, si odiò per essersi fatta suggestionare abbastanza da Iris da non dire a Eddie cosa stesse accadendo nella stanza dell'ala nord. Quella che, da due settimane, ospitava la crisalide vuota di Hermes.

Nonostante avesse già rischiato molto spifferando a Eddie la fuga di Florian, non poté far altro che pentirsi di quella sua omissione. Viola, al contrario, si era spinta molto più in là di lei, arrivando a dire a Eddie che si stavano occupando di una "persona importante", anche se il ragazzo aveva finito per collegare quel riferimento a Ian. Ma Saryu sapeva che se Iris si fosse accorta di un qualche cambiamento nell'atteggiamento del LaBo, lei sarebbe stata la prima a pagarne le conseguenze. Inoltre, non essendo Hermes ancora fuori pericolo, non voleva affatto illuderlo con una fiammella di speranza fioca e strattonata dal vento.

Eddie non sapeva nulla di tutto ciò. Tuttavia, quando gli aveva rivolto quella frase laconica, "Rein non esiste più", le era sembrato meno sconvolto del previsto, seppur l'avesse poi scorto piangere nella notte, sussultando con le lenzuola tirate fino al mento. Probabilmente una parte di lui non si era ancora arresa a lasciarlo andare, nutrendo quella folle speranza col proprio amore acerbo.

Il giorno dopo il disastro, Jonas le aveva detto che, se i due ragazzi erano rimasti vivi, era solo merito di Xander. Cercando di forzare l'auto per aprirne gli sportelli, ne aveva strattonato la carcassa al punto da disallineare le figure dei due LaBo, stretti nell'abitacolo in un abbraccio mortale. Di conseguenza, quando Hermes aveva premuto il grilletto, le loro tempie erano slittate l'una lontana dall'altra, come se i loro corpi fossero stati in balia di una mareggiata. Il proiettile aveva colpito di striscio sia il cervelletto di Eddie che il lobo temporale di Hermes, facendo entrare uno in una condizione di atassia e l'altro in un sonno senza sogni.

Adesso, nella sala di controllo, Saryu sentì un'ondata di rimpianto dilaniarla. Avrebbe potuto inventarsi qualcosa, persino convincere Iris a usare Hermes come "moneta di scambio", al pari di Florian. Ma Iris, accecata dalla logica, lo aveva considerato nient'altro che un'inutile distrazione, una piccola chiosa trascurabile. Aveva sbagliato, ovviamente. Così come aveva sbagliato a interpretare i sentimenti di suo figlio, e a non accorgersi del fatto che Eddie li ricambiasse.

Saryu l'aveva scorto nei gesti più banali, nelle frasi di Hermes che lui riportava a galla con un sorriso, negli atteggiamenti spavaldi che esibiva a fatica. Come a volerlo mantenere in vita non solamente con il ricordo, ma con ogni fibra del corpo, con ogni vibrazione della propria voce.

E, riflettendo su tutto questo, fagocitando tutto questo, Saryu ebbe un'illuminazione.

Si sta comportando come lui.

Ma era ovvio. Quella messinscena di Eddie non era altro che il suo modo di imitare la scaltrezza del Messaggero. Il suo ultimo tributo a lui, un modo per non lasciarlo andare e allo stesso tempo l'unica maniera che era riuscito a escogitare per rimanere in piedi al centro dell'uragano scatenato da Iris. Se la reticenza non gli aveva offerto alcun appiglio, probabilmente aveva deciso di passare all'accondiscendenza. E, per farlo, nulla sarebbe stato meglio che seguire i passi di Hermes, come ricalcandoli sulla sabbia.

Saryu ebbe un brivido, immobilizzandosi. Vide Jonas lanciarle uno sguardo dubbioso, incuriosito da quella sua rigidità. Tanto per fare qualcosa, si sciolse la treccia, gettandosi i capelli sulla schiena come un manto di neve. Quando l'uomo riportò il viso sugli schermi, si permise di tornare a tremare, e a pensare. A ripetersi quella sola e unica domanda.

Fino a che punto ricalcherai i suoi passi?

– Dottoressa Svart.

I tre nella sala di controllo ebbero un sussulto, udendo la voce tonante di Xander. L'uomo se ne stava sullo stipite della porta, oscurando la luce del corridoio con la propria mole. A una prima occhiata sarebbe potuto sembrare solido e imperscrutabile come sempre, ma Saryu aveva imparato a riconoscere quel baluginio di concitata irrequietezza che ogni tanto gli faceva oscillare lo sguardo.

Iris si voltò pigramente verso di lui, con i bagliori degli schermi a scolorirle la pelle diafana. Negli ultimi tempi sembrava essere invecchiata di colpo, sfibrata da una stanchezza che le crepava il viso in tanti piccoli frammenti.

– Cosa c'è? – chiese all'uomo, portando le dita a stropicciarsi le palpebre.

Xander si accigliò. – Il Presidente la vuole al telefono.

Se Iris si innervosì, non lo diede affatto a vedere. Così come non fece trasparire alcun sentimento dopo aver concluso quella telefonata, quando tornò nella sala di controllo, intimando a lei e a Jonas di raggiungerla nella stanza delle riunioni. Lì trovarono i membri del Laboratorio al gran completo: Xander, Viola, l'infermiera Leslie e persino Eileen e Grisha, che nel Laboratorio si occupavano solo della logistica. Le sedie vuote di Yae e di Hermes risaltavano silenziose tra loro.

– Buonasera a tutti – disse Iris. – Suppongo sappiate che ho ricevuto una telefonata da Abramizde. Ebbene, sembra che il Presidente non sia affatto contento del nostro operato.

La donna si interruppe, posando gli occhi a scandagliare ognuno di loro. Nonostante apparisse più vulnerabile del solito, il suo sguardo aveva comunque il potere di spellarla viva.

– A quanto pare, non gli sono andate giù le modalità di fecondazione che abbiamo scelto per Eve. Abramizde voleva che i due ragazzi si riproducessero alla vecchia maniera.

Non seppe se a turbarla fu il modo in cui Iris lo disse, sfumando il suo tono come calcando con un carboncino, o il nudo significato che quelle parole portavano con loro.

Iris si strinse le dita in grembo, agitandole nervosamente. – Io non sono affatto d'accordo, e immagino non lo siate neanche voi. Eve è troppo fragile per una cosa del genere, oltre che impreparata. Ma Karl ritiene che il seme della nuova umanità debba essere piantato dalla mano della natura, e non da quella della scienza.

Nessuno osò fiatare. Approfittando di quel silenzio, Iris continuò.

– Gli ho detto che ormai quel che è fatto è fatto, e che Eve porta già in grembo un feto che abbiamo fecondato artificialmente. Ma, se vogliamo continuare a ricevere il patrocinio della Chiesa del Giudizio, dovremo pianificare le prossime gravidanze tenendo conto di questa indicazione.

Saryu rabbrividì. Le prossime gravidanze.

– In vista di ciò, il nostro primo passo sarà quello di far avvicinare fisicamente i due capostipiti. Karl ha chiesto di assistere al più presto a una delle loro conversazioni, e l'ho convinto a fissare una visita fra sette giorni.

Qualche viso nella sala riunioni si accese di confusione, dal momento che uno di quei colloqui era appena terminato, e non vi era alcun motivo di non accogliere il Presidente già da subito. Tuttavia, Saryu riuscì a cogliere le implicazioni di quelle parole: Iris aveva convinto il Presidente a rimandare la visita perché lui non sapeva affatto che Eddie ed Eve si parlassero solo attraverso un vetro. E di certo quel dettaglio non avrebbe ricevuto la sua approvazione, finendo per apparirgli soltanto come un'emanazione delle paranoie di Iris.

– Sino ad allora, saggeremo la situazione con Edin, e ci prepareremo ad accogliere la delegazione ufficiale del Presidente, svolgendo i nostri compiti come al solito.

Jonas annuì con convinzione, e anche un altro paio di teste fecero lo stesso. Saryu si chiese se il barlume negli occhi di Xander fosse davvero disapprovazione, o se stesse semplicemente proiettando i propri sentimenti sulle iridi castane dell'uomo. Anche Viola sembrò leggermente a disagio, e si mosse sulla sedia strisciandone i piedi metallici sul pavimento immacolato.

– Non ho altro da dire – concluse Iris, sospirando. E su quello, Saryu fu d'accordo.

***

Una settimana, si disse. Una settimana prima di accogliere di nuovo Karl Abramizde all'interno del Laboratorio. Non vedeva il Presidente da quando aveva parlato con Eddie, spifferandogli tutta la verità sul Progetto Stanza Bianca. Ma adesso sarebbe stato tutto diverso. Avrebbero rimosso il vetro, avrebbero permesso a Eddie e a Eve di avvicinarsi ancora di più, in vista di qualcosa di tanto sbagliato da faticare persino a descriverlo. Come se la dignità di Eddie non fosse già stata lacerata abbastanza, come se la libertà di Eve non fosse già stata crivellata di colpi.

Una settimana. Saryu si ripeté quelle due parole in testa, sfiorando distrattamente le lenzuola della stanza nell'ala nord. Il ragazzo che vi giaceva al di sotto non aveva più alcun ciuffo di capelli sulla fiancata sinistra del cranio, e respirava aiutato da dei tubicini, che si snodavano fuori dalle sue narici come due serpi fameliche. Se non avesse visto l'olo-schermo al lato del letto palpitare di vita, avrebbe giurato che il suo fosse un sonno definitivo. Eppure, Hermes era rimasto avvinghiato all'esistenza, tenace come un filo d'erba tra le crepe dell'asfalto.

Una settimana. Chissà se prima di quel momento sarebbe riuscita a fare qualcosa. A sgattaiolare nella stanza per la fisioterapia, a urlare qualcosa a Eddie in codice morse. A metterlo in guardia. A iniettargli il siero per la sterilizzazione, che si era procurata con così tanta fatica e che riposava silenzioso nella tasca accanto al suo cuore, nascosto tanto al sicuro quanto in bella vista.

Saryu si sedette sul bordo del materasso, attorcigliando le dita a quelle del ragazzo che da anni considerava suo figlio. Lo aveva capito solo di recente, qualche istante dopo averlo creduto perso per sempre. Perché lo aveva visto crescere, tra i corridoi del Laboratorio. Lo aveva visto venire bistrattato da Iris, ignorato da Jonas, supportato da Yae. Lo aveva visto ridere, piangere, disegnare, correre libero, rintanarsi in un videogioco o in un luogo abbandonato. Lo aveva visto porre la vita e la libertà su una bilancia, scegliendo fatalmente quest'ultima.

Suo figlio, Hermes. Anzi, "Rein". Forse un nome del genere riusciva a calzargli persino meglio. Rein, rain, pioggia mutevole in grado di rinfrescare o di distruggere, la differenza tra stille e stilettate.

Saryu sciolse le dita da quelle di Hermes, sollevandosi a fatica dal materasso troppo morbido. Gli sprimacciò il cuscino dietro alla testa, spostandogli le braccia e le gambe per evitare le piaghe da decubito. Più tardi avrebbe pensato anche alla pomata lenitiva, ma per ora doveva tornare nell'ala sud, e a quell'altra risma di problemi.

Gli posò una carezza delicata sul volto, soffocando la solita lacrima. – Buonanotte, Rein –, sussurrò.

La luce nella stanza si era già spenta quando le ciglia del ragazzo ebbero un fremito.

Un passo dopo l'altro nel corridoio, Saryu continuò a ripetersi due parole come un mantra.

Una settimana.

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