⁸⁵. 𝘛𝘳𝘢𝘵𝘵𝘢𝘵𝘪𝘷𝘦

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Camminarono per tutta la notte, accompagnati solo dal debole fruscio del vento e dal pallore della Luna. Seguendo le direttive di Riley, non si fermarono neanche un istante, nonostante il freddo pungente e le vesciche che gli martoriavano i talloni. Dianne aveva recuperato un vecchio vestito dalla sacca di Nicholas, assieme a un paio di scarpe troppo grandi per lei. L'agonia del suo viaggio non si era mitigata di molto, ma perlomeno aveva evitato di congelarsi le dita.

I primi colori dell'alba le sembrarono un miracolo. Il cielo si rischiarò una pennellata di luce alla volta, permettendole di scorgere la tenue traccia delle loro impronte. Per sicurezza, avevano proseguito all'interno della foresta e non sul terriccio argilloso del fiume, finendo per allungare il loro cammino di un paio d'ore.

Seguendo il bagliore del nuovo giorno, si ritrovarono infine di fronte a un'alta parete rocciosa, la stessa che avevano intravisto all'interno dell'ologramma di Martinez. Senza quella mappa, pensò, probabilmente avrebbero creduto di essere al capolinea.

– A sinistra – disse Nicholas. Nonostante stesse continuando a incedere, sembrava comunque aver raggiunto il limite delle proprie forze.

Si fecero strada tra dei rovi appuntiti, cresciuti nelle intercapedini delle rocce. Camminarono sin quando non furono sbalzati all'improvviso sulla strada, rotolando fuori dalla foresta come ciottoli scheggiati. Il contatto con l'asfalto fu duro quanto inatteso, e Dianne si ritrovò con un ginocchio sbucciato. Maledì ancora una volta quei vestiti troppo leggeri, quasi rimpiangendo la tuta blu da operaia della Memories.

Nicholas atterrò con meno clangore, scuotendosi via la ghiaia dai pantaloni. Le rivolse uno sguardo gentile, mutandolo però subito in un cipiglio allarmato. La tirò di colpo verso lo sterrato, e Dianne ebbe solo il tempo di muovere un passo, prima di percepire il ronzio sferzante di un camion semisospeso.

– C'è mancato poco – disse lo psichiatra, sospirando. Lei saggiò la propria pelle ruvida, accapponata dai brividi dell'energia statica.

– Dobbiamo stare attenti. Questa è una delle vie di rifornimento per la capitale; passeranno molti mezzi, in entrata o in uscita. Non dobbiamo assolutamente farci vedere.

Dianne si sistemò meglio l'abito, contrariata. – O magari potremmo approfittarne.

Nicholas la osservò, stringendo con forza un ramo accanto al suo viso. – Che intendi?

– È semplice – sogghignò lei. – Saliremo su un camion. È l'unico modo per attraversare la dogana ed entrare inosservati in città.

Lui corrugò la fronte. – Dimentichi che siamo dei fuggitivi, Dianne. Guarda come siamo vestiti. Chiunque conosca un po' la zona capirà immediatamente che siamo evasi da Larkhall, e a quel punto gli basterà fare una telefonata per consegnarci.

Lei non ribatté nulla, e raccattò un oggetto nero da una delle sue tasche. Seppur l'avesse trascinata con sé fino a quel momento, la pistola di Riley le sembrò sconosciuta quanto la prima volta.

– E tu dimentichi che abbiamo questa, Nick. – Fece fare uno scatto secco all'arma, caricandola come lui le aveva insegnato. – Sono sicura che sarà un ottimo deterrente.

***

Se ne stava accasciata a un lato della banchina, con lo stesso vestito leggero che indossava quando erano fuggiti. Il colore del tessuto, un azzurro tenue, era un chiaro indizio del luogo dal quale proveniva, e la troppa pelle esposta continuava a metterla fastidiosamente a disagio. Nicholas se ne stava a venti metri da lei, nascosto nel folto della vegetazione. Dianne scrutò il punto in cui l'aveva visto arretrare, senza riuscire a individuare alcun segno della sua presenza.

Strizzò gli occhi, osservando il lembo più lontano della strada, dove le corsie si snodavano in un'ampia curva. Non passò molto prima che sentisse una lieve vibrazione sotto ai piedi, e vedesse un grosso camion affacciarsi sulla carreggiata deserta, procedendo a rilento nella sua direzione.

Dianne si sporse sulla strada, abbandonando la sicurezza della banchina. Il vento freddo del mattino le si infiltrò tra le ciocche, sollevandole alla rinfusa da ogni lato. Alzò le braccia con fare concitato, cercando di attirare l'attenzione dell'autista, che ora riusciva a vedere con più chiarezza. L'uomo frenò a qualche passo da lei, allarmato dalla sua presenza.

– Signorina, cosa ci fai qui? – le strillò dall'alto, abbassando il finestrino. Aveva una corona di capelli sale e pepe, e indossava una camicia di flanella spiegazzata. – Non vedi che è pericoloso?

Il ronzio del motore elettrico si fece più debole, sino ad arrestarsi del tutto. Dianne lesse "industrie Joy" su una fiancata del mezzo, e si lasciò sfuggire un sorriso.

– La mia auto mi ha abbandonata nella foresta – urlò, cercando di mettere su un'espressione affabile. – Lavoro come infermiera a Larkhall. Stavo andando verso la clinica, ma il motore si è fermato.

L'uomo le parve dubbioso, e si prese una lunga pausa per percorrerle il corpo con lo sguardo, divorando la sua pelle pezzo dopo pezzo. Dianne sentì un conato di disgusto sconquassarle le viscere.

– Quello non mi sembra un camice da infermiera – disse, indicandola con malizia. – E la strada per la clinica è dall'altro lato. Sicura che non ti serva qualcos'altro, bellezza? Potrei darti un passaggio proprio qui.

L'autista si strinse la patta dei pantaloni con una mano, mettendo su un sorriso sornione. Lei stette immobile, serrando i pugni sino a sentire le unghie scavare nei palmi. Un attimo prima che scattasse per mettergli le mani al collo, l'uomo si voltò dal lato opposto, facendo saettare le braccia in alto.

– Gentile da parte sua – disse Nicholas, puntandogli la pistola addosso. – Ora faccia il bravo e scenda.

L'uomo brizzolato non se lo fece ripetere due volte, e scivolò sgraziatamente giù dal mezzo. Dianne fece il giro del camion affiancando lo psichiatra, che le passò la pistola con cautela. Nicholas fece segno all'altro di voltarsi con le mani in alto, e, prima ancora che potesse iniziare a perquisirlo, lei gli assestò un calcio tra le gambe, facendolo accasciare sull'asfalto.

– Grazie del passaggio, testa di cazzo – sputò, ignorando gli animati rimproveri del suo compagno di fuga.

L'uomo gemette di dolore, voltando il viso quel poco che bastava per rivolgerle uno sguardo carico d'odio.

– Maledetta psicopatica – sibilò. Osservò Nicholas con più attenzione, continuando a lamentarsi. – Ho sentito parlare di voi alla radio. Un vecchio e una donna coi capelli lunghi, scappati dalla clinica. Vi prenderanno, potete giurarlo. Vi prender-

Lei gli premette la pistola tra le scapole, sentendo i suoi muscoli contrarsi sotto alla canna. Diede uno sguardo veloce a destra e a sinistra, accigliata. La strada era ancora deserta, ma di certo non potevano rischiare di farsi scoprire nel bel mezzo di quelle "trattative".

– Dimmi dov'è la tua ID. Sbrigati – disse, glaciale. Nicholas, intanto, aveva provveduto a legargli le mani dietro la schiena, e se ne stava accanto a lei con lo sguardo sporcato da un accenno di timore.

– N-nella camicia – rispose l'uomo, iniziando a tremare. Lei gli infilò una mano nella tasca, estraendo una placchetta metallizzata. Se la cacciò nel vestito senza neanche leggerla, e gli spinse più forte l'arma nella carne.

– Il camion è mappato?

– Non lo so – disse lui, stridulo. – Non so niente. L-lasciami andare, ti supplico. Non dirò a nessuno di avervi visti. Ti prego, ho una famiglia.

Lei alzò gli occhi al cielo, infastidita. Questa l'ho già sentita. – Cosa trasporti?

– E-endorfinoidi – mugolò lui, schiacciando i palmi contro il metallo del camion. – Solo quelli. Sono per una piccola consegna nella zona A.

– Bene – rispose, gioviale. Perché è proprio lì che andremo.

Dianne si tamburellò una mano sulla tasca dove aveva riposto la ID dell'uomo, fissandolo di sghembo.

– Questa la teniamo noi. Racconta a qualcuno di averci incontrati, e la tua bella famiglia ne pagherà le conseguenze. Parola di psicopatica.

L'uomo le rivolse uno sguardo terrorizzato. Lei allentò la presa sulla pistola, facendo segno a Nicholas di salire al posto del conducente. Lo psichiatra salì nell'abitacolo senza fiatare, rivolgendole un ultimo cipiglio turbato.

Spinse l'uomo verso il folto della foresta, legandolo a un albero. Se anche fosse riuscito a liberarsi e a rotolare sulla carreggiata per farsi notare, quella mossa sarebbe stata sin troppo pericolosa per lui, essendo quella una strada molto trafficata. Poco male.

Accanto a lei, Nicholas guidava con gli occhi incollati alla strada. Da quando erano partiti, non aveva proferito parola, nonostante di tanto in tanto le lanciasse degli sguardi preoccupati.

Infastidita da quelle attenzioni, Dianne si mise a frugare nel cruscotto, trovando una collezione di stecche Joy fumate per metà, un'olografia sfarfallante di una donna, centocinquanta expia in contanti e un coltellino svizzero aperto sul cavatappi.

Si intascò immediatamente il denaro, rigirandosi poi il coltello tra le mani. Nicholas la sbirciò con la coda dell'occhio, esalando un respiro mozzato.

Lei si voltò verso di lui, inarcando le sopracciglia. – Si può sapere che cos'hai?

– Nulla – disse lui, sarcastico. – Mi stavo solo chiedendo in che modo userai quel coltello nelle prossime trattative.

Dianne portò lo sguardo sulla piccola lama, osservandola scintillare sotto i primi raggi del mattino. Allora è questo il suo problema.

– Non possiamo prendercela sempre comoda con tutti.

– Sarà – ribatté lui. – Ma la prossima volta lascia parlare me, per favore. E niente calci.

Dianne non rispose, e prese a saggiare le curve del panorama, che continuava a srotolarsi tacitamente attorno a loro. Lo stradone montano aveva iniziato a lasciare il posto ai primi edifici grigi della capitale, che si stagliavano sull'orizzonte come rocce appuntite. A quella vista, non poté fare a meno di provare un'ondata di sollievo. Mai avrebbe pensato che quella discarica di Malthesia le avrebbe provocato un sentimento del genere.

Scorsero in lontananza una decina di camion e furgoni biancastri, anch'essi stracolmi di merci da consegnare in città. Presto avrebbero dovuto superare i controlli in entrata, facendo sgusciare la ID dell'autista accanto alla colonnina preposta a scannerizzare i documenti. Dianne ricordava bene quella dogana, con le torrette stracolme di Sorveglianti: in fondo, era a causa loro se a quindici anni la sua fuga si era dovuta consumare entro i confini della capitale.

– Dovresti nasconderti dietro – le disse Nicholas, già abbandonato il piede di guerra. – Se ci controllassero, io potrei passare per – lesse la ID dell'autista – "Arthur Smith". Ma tu...

– Ho capito, sì – disse lei, alzando le mani. Si sollevò dal proprio sedile deteriorato, scavalcando con una smorfia la miriade di bottiglie di vetro sparse per terra.

Nicholas le passò la sacca di vestiti a tentoni, senza distogliere gli occhi dalla strada. – Ha il tuo stesso cognome. Un parente?

Dianne si sedette tra le cianfrusaglie, imprecando per via del ginocchio sbucciato. – Tutti gli orfani sono parenti – rispose. Rifletté brevemente sull'idea che quell'autista potesse aver fatto parte della sua infanzia, magari nelle vesti di uno dei bulli che tormentavano suo fratello Joseph. Mentre cercava un ulteriore motivo per odiarlo, le sovvennero alcune delle parole che l'uomo aveva pronunciato durante la loro conversazione, e un'idea le illuminò la mente.

– Passami il coltello – disse a Nicholas.

– Perché? – rispose lui, diffidente.

Lei sbuffò e si allungò verso i sedili, tastando il tessuto sino a trovare l'oggetto. Lo strinse brevemente tra le dita, prima di dispiegarne la lama e iniziare ad agire. Raccolse una bottiglia di vetro da terra, tenendola in equilibrio tra le ginocchia per osservare il proprio operato.

Quando ebbe finito, si puntellò sulle dita dei piedi per sporgersi verso lo specchietto, in modo che Nicholas potesse osservare. Lo psichiatra sollevò il viso, fissando il suo riflesso a bocca aperta.

– Ecco fatto. Adesso non siamo più "un vecchio e una donna coi capelli lunghi". Anche se come parrucchiera sono pessima – disse Dianne, passandosi le dita sulla testa per far cadere le ultime ciocche.

Nicholas non si arrischiò a fare commenti. Continuò a guidare in silenzio verso la dogana, rischiarando un angolo dello specchietto col suo sorriso rugoso.







Angolino

Ecco una Di con il look da fuggitiva :3 (sempre bona)

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