Capitolo XIX

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Capitolo XIX

ՑՑՑ


                             «Cosa dovremmo fare, ora? Abbiamo scoperto forse cosa e come è successo, qual è il prossimo passo? Hai qualche idea, Joshua?»

La voce di Robin è un'eco lontano, ora, mentre il vento freddo di Londra gli ferisce la faccia come farebbe la falce affilata di un oscuro mietitore, e il caos cittadino pare condensato tutto in una nube ovattata che lo circonda. Joshua non ha nessuna risposta a quelle domande, sebbene sia cosciente che non sia questa la verità. Perché lui sa benissimo cosa dovranno fare ora, e sa benissimo che ogni passo li porterà dritti in una trappola mortale che Morgen ha preparato per loro e più va avanti più si convince di essere incastrato in una ragnatela ben tessuta da abili mani capaci di farlo nel modo più meschino possibile.

Lo sa sin dall'inizio che, aver accettato quell'incarico, non ha fatto altro che infilarlo in un mare di guai; e Robin con lui. Non avrebbe mai voluto questo, e non lo vuole neppure ora, ma è completamente immerso in un mare di melma nera che lo sta sommergendo ogni istante di più.

Janine ha smesso di parlare da quando hanno scoperto che è morta bruciata, o almeno è l'ipotesi più probabile e, prima di poter dare voce a quello a cui sta pensando, non riesce a togliersi dalla testa altre domande che non può in alcun modo rivolgere a nessuno.

Perché sono venuti a conoscenza solo ora dell'incendio? Perché Janine è ancora lì, e a differenza di altri spiriti, è legata ad un oggetto? Perché Morgen vuole così tanto scoprire come ha fatto?

Sono queste le risposte che cerca, ma sa anche che nessuno potrà dargliele, e non vuole mettere in pericolo Robin per questo.

«Joshua?»

«Non lo so!», sbotta, e l'altro ragazzo sembra scattare a quella reazione, «Non so cosa fare. L'unica soluzione che reputo logica sarebbe quella di andare nel retro della biblioteca e scoprire se questo specchio c'è davvero, ma non è un rischio che voglio correre. Anzi, che vogliamo correre. È troppo pericoloso», risponde, e Robin fa per aprire la bocca e replicare, ma Janine fa un passo avanti.

«Sono d'accordo con lui. Se quello specchio ha a che fare con la mia morte, significa che è pericoloso. Non potete andare, nessuno dei due! Se c'è qualcuno che può farlo, quella sono io.»

«Non ci pensare nemmeno! Non sappiamo niente riguardo a quell'oggetto e quel poco che abbiamo dedotto mi convince sempre di più che non dobbiamo agire di impulso.»

Robin si fa sfuggire una risatina ironica. «Non che cambi rispetto ad una tua normale decisione!»

«Stavolta è diverso», risponde Joshua, e non raccoglie quella provocazione. Questa volta non ne va della sua paura di fallire, ma di quella che loro due possano morire per colpa di qualcosa che lui non può nemmeno nominare.O controllare.

Anche se Janine è già morta, non vuole vederla sparire. Non prima di aver scoperto qualcosa di più, perché ora che sa che Morgen c'entra qualcosa anche con lei - perché è così, e nessuno lo convincerà del contrario - sa di dover essere più cauto di prima.

Anche se Robin non sarà d'accordo. Anche se questo dovesse significare che lo odierà a morte.

«Quindi? Se non volete indagare sullo specchio da vicino, che altro possiamo fare?»

«Ho bisogno di parlare con tua madre, e tu dovresti chiedere a padre Richard qualche dettaglio in più sugli specchi e il loro legame con la morte.»

Robin non sembra convinto. Si morde il labbro inferiore, guardandosi intorno come se solo quel gesto potesse aiutarlo a trovare una soluzione diversa, e Joshua sa benissimo che l'unica che gli frulla per la testa è quella che lui non approva. Poi però annuisce, e questo lo tranquillizza. Mandarlo da padre Richard significa scoprire qualcosa di più, ma anche prendere tempo prima di capire cosa fare.

«Io cosa farò intanto?», chiede Janine, poi, e Joshua sa già che lasciarla tornare alla biblioteca è una pessima idea. Sa che tenterà il tutto per tutto per trovare un modo di entrare nello sgabuzzino della biblioteca e trovarsi a tu per tu con lo specchio; sa che vuole sapere, che l'idea di essere morta in quel modo orribile la sta ossessionando e che forse, tra loro, è quella che ha più bisogno di risposte. Anche solo per capire chi è. Chi è stata.

«Vai con Robin. Ascoltare quello che ha da dire padre Richard potrebbe aiutarti a ricordare. Ci sentiamo più tardi», dice, e fa per andare via, ma Robin lo blocca prendendolo per un braccio. Quando si gira a guardarlo non può non notare una sorta di preoccupazione sul suo viso.

«Joshua, sei sicuro che sia la scelta giusta?»

«Di che parli?»

Robin sospira. «Quella di allontanarci così tanto dal vero posto dove dovremmo andare. Lo so che è rischioso, e so che potremmo metterci in qualche guaio, ma dobbiamo farlo, prima o poi.»

«E lo faremo», risponde, cercando di tranquillizzarlo, perché dopotutto è quello il suo piano, è quello che vorrebbe fare, ma non è il momento. Non ora. Sanno troppo poco e lui ha ancora troppe cose da capire, prima di gettarsi in quella missione così pericolosa.

«Ho la sensazione che tu stia cercando di allontanare quel momento fino a non lasciare che avvenga mai», risponde Robin e, sebbene lo abbia colpito in pieno, non ha la sensazione che sia arrabbiato con lui.

«Ti prometto che indagheremo su quello specchio, ma dobbiamo essere cauti e preparati. E se non lo saremo abbastanza ci andremo comunque. Fino a quel momento, però, ti prego di non fare cose avventate. Decideremo insieme quando e come. Okay?», cerca di rassicurarlo, e sa che in fondo Robin non ha tutti i torti, ma Joshua sa pure che non potrà rimandare per sempre quell'appuntamento in quello sgabuzzino.

ՑՑՑ

Il tragitto da Tottenham Court Road a Richmond Upon Thames risulta più lungo di quel che ricordasse, e la colpa è tutta della sua mente. Non riesce a far altro che rimuginare su tutto ciò che è successo in quelle poche ore, da quando sono entrati in quella biblioteca, fino a quando non hanno scoperto tante di quelle cose che gli hanno fatto venire il mal di testa.

È seduto su una poltrona del treno che ha preso a Waterloo Station e che è partito da cinque minuti, ma a Joshua sembra già passata un'eternità. Un gomitolo di paura e angoscia gli si è aggrovigliato in mezzo al petto, e pesa così tanto che non riesce a respirare come vorrebbe. Intorno a lui non ci sono molti passeggeri, e ha evitato di sedersi vicino al finestrino, solo per non dover vedere di nuovo Morgen affacciarsi dietro alla sua schiena, attraverso il suo riflesso. Anche se, nella parte più profonda della sua anima, Joshua vorrebbe delle risposte anche da lui, ma sa che non le riceverà.

Morgen non dà niente per niente. Ha chiesto una sola cosa, e anche se sembrano vicini all'obiettivo, la verità è che ogni cosa inizia a prendere una piega pericolosa. Più di quanto non lo fosse già prima.

Deve chiedere a Maria molte risposte, e ha paura che anche questo incontro sarà un buco nell'acqua.

Quando il treno raggiunge finalmente la sua fermata, Joshua quasi nemmeno se ne accorge. Prende al volo lo zaino da sotto il sedile e scende velocemente dal vagone. La camminata verso il complesso residenziale dei Soria non è poi così distante, eppure anche quel tragitto sembra non finire mai finché poi, quando si ritrova davanti alla porta, magicamente tutto quel tempo pare essere passato quasi in un lampo.

Ad aprire la porta non è Dolores, stavolta, ma Maria che, quando lo vede, sembra stupita da quella visita, anche se sorride e gli fa cenno di accomodarsi in casa.

«Mi scusi se non l'ho avvisata prima, ma avevo bisogno di parlarle», dice Joshua, impacciato, mentre la signora Soria si dirige quasi automaticamente nella saletta col tavolo rotondo, protagonista delle loro riunioni fino a poco tempo prima.

«Non preoccuparti, sei sempre il benvenuto. Aspettavo che tornassi ad aggiornarmi sulla tua missione», dice lei, e si siedono l'uno accanto all'altra, ma l'aria che si respira è pesante; il tempo sembra quasi che si sia fermato lì, in quella stanza, e Joshua vorrebbe solo scoprire che, alla fine, è tutto un sogno e sta per svegliarsi.

«Ci sono delle novità, e vorrei poterne discutere con lei, se non le dispiace.»

«Certo, sono qui per chiarire ogni cosa.»

Joshua non parla subito, ma passa i primi trenta secondi che precedono quel racconto a chiedersi se stia facendo la cosa giusta. Se quello che è successo e che succederà avrà delle ripercussioni sulla sua vita oppure no. Se davvero le cose cambieranno o se tutto peggiorerà inesorabilmente. Stavolta, però, non si tratta del suo solito pessimismo, ma di vero e proprio terrore. Non sa nemmeno se ha fatto bene a lasciare Robin e Janine da soli, e comincia ad aver paura che, quando si rivedranno, non saranno arrivati da nessuna parte e dovranno agire nel buio.

Prende un respiro profondo, poi si rizza sulla schiena. «Abbiamo trovato degli indizi, in questi giorni. Abbiamo scoperto delle cose su Janine, anche se questo non ci ha portati a conoscere chi era quando era viva. E più andiamo avanti, più tutto diventa nebuloso e complicato.»

«Che intendi dire? Cosa avete scoperto?»

Joshua si chiede se la signora Soria sia a conoscenza del fatto che quel abbiamo non sia riferito solo a lui e Janine, ma anche a Robin. Gli sembra sempre di mentire a qualcuno che in realtà conosce tutta la verità, ma sa anche che quel terrore è dato dal fatto che una bugia genera sempre questo tipo di timore.

Non può saperlo, no? Come può saperlo?

«Janine non poteva muoversi da quell'aria specifica, giusto?»

La signora Soria annuisce lentamente, ma sembra molto presa da quel discorso per dire qualunque cosa.

«Abbiamo scoperto che la sua anima è legata a un oggetto, una sorta di ricettacolo. L'oggetto in questione è un libro, una vecchia edizione de Il Piccolo Principe. Portando con me quel libro lei è in grado di muoversi, dunque può lasciare la biblioteca.»

«Oh, non ne avevo idea! E come lo hai scoperto?», chiede Maria, curiosa.

«Per caso», mente, e abbassa gli occhi, certo che quella bugia sia più che riconoscibile, per quello continua nel tentativo di non lasciarle fare alcuna domanda, «Ho letto qualche libro con una trama simile e ho pensato che potesse essere una possibilità. Quando ho visto che sulla copia de Il Piccolo Principe c'era il nome di Janine, abbiamo provato a muoverci portando il libro con noi. Ha funzionato», spiega.

«E non l'hai portata qui?»

«No, non l'ho fatto», risponde, fin troppo velocemente, «E c'è una ragione se ho preso questa decisione.»

«Joshua, mi stai spaventando», dice lei, e vorrebbe dirle che è spaventato anche lui. Che vorrebbe poter raccontare di ciò che lo tiene in scacco, di quello che tutta questa storia ha portato nella sua vita, ma non può.

Sente già il peso di Morgen sulle sue spalle.

«C'è un'altra cosa che abbiamo scoperto. Una parte della biblioteca dove lei ha trovato Janine è andata a fuoco nel 2000, per poi essere ricostruita qualche tempo dopo. La notizia non ha fatto particolare scalpore, a quanto pare, perché ne hanno parlato solo alcune testate minori.»

«E tu dove l'hai scoperto?»

«Sono andato in una libreria esoterica, che raccoglieva le testimonianze di alcune stranezze avvenute in quelle biblioteca, tra queste il fatto che ospiti un enorme specchio nel retro.»

«Cosa?»

«Lei non ne sapeva niente?», chiede Joshua, e ha quasi l'impressione che quella conversazione si stia trasformando in un interrogatorio.

«No, non ne sapevo niente. Che tipo di specchio?»

«Non lo so. Non sono ancora andato ad indagare, ma presto lo farò. Prima volevo delle risposte da lei, perché comincio a credere che tutta questa faccenda stia diventando molto pericolosa.»

«Io non credo di capire cosa...»

Non ce la fa più. Si è appena reso conto della propria totale incapacità di tenere dentro qualunque cosa, in primis le emozioni. Non ha fatto altro che crearsi resistenze per tutta la vita. Non ha fatto altro che fuggire, arginare i problemi, e i morti sono stati sempre e solo una scusa per non ammettere che il problema è dentro di lui. È un guscio che pare vuoto, al di fuori, ma dentro è un groviglio di fili che non riesce più a sostenere e districare.

Vuole sapere la verità. Vuole cambiare le cose. È in atto una rottura che non può più tenere insieme.

«L'anima di Janine è intrappolata in un libro; abbiamo scoperto da un archivio che la biblioteca è bruciata più di vent'anni fa, ed è di certo la causa della sua morte. Janine è esistita non troppo tempo fa, era in quella biblioteca da viva. Lei mi ha detto di aver mostrato a tutti il ritratto, di aver fatto ricerche, di aver provato a rimettere insieme i pezzi e ad aiutarla.» Joshua prende un altro respiro, e sa che a parlare non è più la stessa persona di prima, ma qualcuno che non vuole più fuggire, soprattutto dalle proprie paure. Alza gli occhi su quelli di Maria, e non gli importa se vedrà Morgen attraverso il suo riflesso. Lei si ritrae e sembra chiudersi in sé stessa. Non l'ha mai vista così sulla difensiva.

«Joshua, io pensavo di poter guarire il tuo cuore da tutte le voci che senti. E di poter guarire il suo... ma non ho mai...»

Joshua fa un altro respiro profondo, poi butta via l'aria e gli sembra quasi di crollare.

«Perché mi ha mentito?»  

Fine Capitolo XIX

(Questo capitolo partecipa al COWT13 (M2) indetto da Lande di Fandom con il prompt "17. Pensavo di poter guarire il tuo cuore da tutte le voci che senti (Mara Sattei – Duemilaminuti)


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