Capitolo XX

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Capitolo XX

ՑՑՑ


            «Joshua...»

La signora Soria ha cambiato espressione e non solo rispetto a quella che aveva poco fa, ma è qualcosa che Joshua non ha mai visto sul viso di quella donna fino ad ora.

Ha avuto modo di pensare a lungo a quello che è successo nel corso di questi giorni, e deve molto al suo overthinking molesto, se è arrivato a una conclusione – forse la più deludente di tutte, quella che vede Maria come la bugiarda di tutta questa storia. Ha sempre avuto qualche dubbio sulla dinamica di questa storia, ma non ha mai chiesto spiegazioni e lei, comunque, gli è sempre sembrata una persona sincera e, malgrado tutto, forse pensa ancora che lo sia.

Ed è proprio l'espressione che la donna ha messo su, che glielo fa credere, perché nel corso del viaggio di andate verso casa Soria, le ha pensate tutte e tra queste c'era anche la possibilità che lei potesse negare ogni cosa e cacciarlo via. Invece no. È lì, immobile, che lo guarda e non nasconde niente dietro quegli occhi nei quali Joshua può vedere ogni cosa: dalla tristezza più profonda fino agli occhi di Morgen che si riflettono e lo fissano famelici.

Non gli importa più. Morgen può aspettare, e se vuole ottenere quello che cerca dovrà farlo ancora per un po'. Conviene a tutti, dopotutto.

A lui, a Joshua stesso, a Janine, forse inconsapevolmente anche a Robin ma forse, più di tutti, conviene a Maria.

«Io lo so benissimo cosa sta succedendo. E so benissimo che non può dirmi nulla, che non può parlarmi di lui, perché sta succedendo lo stesso a me ma... signora Soria – Maria, io... come ha potuto non dirmi almeno una parte della verità?»

«Joshua», ripete lei, e smette di guardarlo, abbassando gli occhi, che per un secondo si inumidiscono ma tornano immediatamente vigili e razionali, come sono sempre stati. «Io non so come...»

«Gliel'ho detto, le bugie. Pensava che non ci sarei mai arrivato? Credeva forse che, una volta scoperto qualcosa sul passato di Janine, io non avrei fatto i conti e capito il suo gioco? Davvero era convinta che avrei trovato il modo di farla passare oltre senza accorgermi di niente?»

«Non c'era altro modo per farlo. Non potevo dirti cosa stava accadendo e se davvero sta succedendo anche a te, allora sai di cosa parlo. E sai anche che, parlarne ancora, non migliorerà le cose», dice lei, con una calma quasi ritrovata, sebbene la sua voce tremi in preda alla paura.

«Lo so ma non posso fingere che non sia successo. Mi ha ceduto la patata bollente per non doverci pensare lei? Ha trovato un capro espiatorio diverso così che mi mettessi io nei guai al posto suo?»

«Joshua, sai benissimo che non è questo il motivo. Ho un figlio che è quasi come te, come puoi pensare che io possa metterti in pericolo per lavarmene le mani?», chiede lei, e quel tono di quasi rimprovero non lo smuove minimamente. Anzi, lo fa sentire quasi come se tutta quella conversazione stia prendendo una piega che vira verso il ridicolo. Lei sta cercando di fargli la paternale, quando è lui la vittima di tutta questa storia?

E come può nominare Robin in questo modo? Come se lei stesse cercando di proteggerlo, quando non sa nemmeno che suo figlio è coinvolto in tutto questo?

«Io voglio solo sapere la verità! Perché mi ha mandato lì? Perché non poteva pensarci lei, a Janine? Se lui l'ha coinvolta, perché non ha continuato il suo compito da sola?»

«Perché non potevo farlo e, come ti ho detto, non possiamo continuare a parlarne senza aspettarci delle conseguenze!»

«Ormai me ne frego un bel po' delle conseguenze. Mi sono ritrovato in una storia più grande di me, quando l'unica cosa che volevo era smettere di vedere gente morta. invece mi sono fidato di lei, le ho dato la mia massima fiducia, pensando che un compito come quello potesse davvero aiutarmi a superare la cosa. Invece no! Le cose sono andate anche peggio. Stanno andando anche peggio! Continuano a sprofondare, e non riesco a mettere insieme gli ultimi tasselli per capire qual è il motivo per cui mi ha usato in questo modo!», sbotta, infine, e si alza in piedi. Batte una mano sul tavolo e Maria sussulta, indietreggiando leggermente, impaurita da quella reazione. Non l'ha mai vista così esposta e forse lui non si è nemmeno mai riconosciuto in quel tipo di ribattuta. Ma non ha tempo per stupirsi, sa che là fuori ci sono Janine e Robin che aspettano solo un suo segnale, e sa di averli spediti da padre Richard solo per allontanarli dalla biblioteca e non permettere loro di fare niente di avventato.

Niente di ciò che farebbe anche lui, se solo vedere quello specchio potesse dargli delle risposte. Le stesse che Maria non sembra intenzionata a dargli.

«Ci sono molte cose che non posso dirti, come ce ne sono molte che tu non puoi dire a me.»

«Ma è tutto strettamente collegato, giusto? Il fatto che lui sia in contatto con lei, significa che è stata lei a mandarlo da me. È lei che ha creato una connessione, prendendo il primo disperato col suo stesso dono per risolvere la cosa.»

«Non è andata affatto così, Joshua. Quello che è successo lo sai bene anche tu, se ci pensi bene. L'incontro con tua nonna, io che le do il bigliettino, lui e poi Janine. Sono tutte cose che erano state già decise, e non da me. Io non avrei fatto niente di tutto questo se non fosse stato per un unico motivo. L'ho fatto, e so di aver sbagliato, ma non avevo scelta. Lo sai che non avevo scelta.» Il viso di Maria crolla di nuovo, e la sua maschera impenetrabile cade per la seconda volta. Gli occhi le si riempiono ancora di lacrime, ma stavolta non ce la fa a tenere insieme i pezzi. Così le lascia scorrere e basta, ma Joshua è troppo arrabbiato per smetterla lì, per comprendere che sono già andati oltre, che le conseguenze stavolta saranno distruttive. Solo che è stufo di scappare e di prendere ordini, di indagare su qualcosa che ha un fine diverso da quello che Janine vorrebbe, ignara del fatto che due persone la stanno usando per lo scopo di un demone venuto da chissà dove.

«Mi ha mandato nella tana del mostro», dice, con un filo di voce e si siede di nuovo sulla sedia, lasciandosi cadere, esausto.

«Sarebbe arrivato comunque, prima o poi. Ti cercava, voleva te, e ti ha trovato. Io gli ho solo reso le cose più semplici, ma il resto spettava a te.»

«Perché? Perché voleva proprio me? Perché tentarle tutte pur di trovarmi?», chiede, e non gli importa più davvero di niente, né delle conseguenze né tantomeno del dolore che sente per essere stato usato in questo modo. Lo sa che Maria non aveva scelta, così come non ne ha lui, altrimenti Morgen distruggerà ogni cosa che ama. Ha usato anche lui Robin come aiuto per arrivare prima al suo scopo, ma mai avrebbe pensato di averlo messo in un guaio simile o, peggio ancora, che sua madre lo avrebbe fatto per prima, anche se inconsapevolmente, proprio come è stato per lui.

Janine e Robin sono le uniche vittime di tutta questa storia, e se ne rammarica, e vorrebbe rimediare a tutto, ma non ha idea di come fare.

«Non posso dirtelo», risponde Maria, ancora in lacrime.

Joshua si fa in avanti con la schiena, verso di lei, e perde ogni riverenza. È andato lì con lo scopo di ricevere delle risposte e vuole averle ora, perché non ha più le forze per sostenere il peso di quelle responsabilità né tantomeno di quella vita che gli ha portato sempre e solo esperienze di cui aver paura e poi chiudersi in una bolla, dove non è mai davvero protetto.

«Deve dirmelo, e non me ne andrò finché non succederà», dichiara, ed è disposto a farlo davvero.

«Non posso perché non lo so. E dico sul serio. Sono andata in quella libreria leggendo delle strane storie che giravano intorno ad essa e, quando sono arrivata, ho trovato Janine.»

«Che anno era?», chiede, perché vuole sapere tutto; perché è l'unico modo per ricollegare i pezzi.

«Il 2011. Non aveva mai parlato con nessuno. Sono stata la prima persona che è riuscita a vederla e, quando mi ha detto di non ricordare nulla, ho davvero preso a cuore la sua storia per poterla aiutare, cominciando a fare qualche ricerca, scoprendo poi cosa c'è nascosto in quella biblioteca. Ed è stato allora che lui è arrivato.»

«Come?»

«Joshua, stiamo andando troppo oltre», dice lei, e si guarda intorno, impaurita, come se Morgen potesse comparire da un momento all'altro dalla parete e divorarla viva.

«Voglio sapere come. Non ha importanza quello che succederà, io voglio e devo sapere!»

Maria prende un grosso respiro, asciugandosi le lacrime. Continua a guardarsi intorno, guardinga e, quando sembra aver trovato un poco di tranquillità, forse conscia che per ora non accadrà niente, lo guarda. Joshua può vedere, nel riflesso dei suoi occhi lucidi, ancora Morgen che lo guarda.

Sa che sta ascoltando, ma non gli importa.

«Sono entrata nello sgabuzzino dove si trova lo specchio. È bastato questo a generare il caos. Da quel momento sono stata invitata ad allontanarmi ma, allo stesso tempo, di cercarti e mandarti da lui. Non so i motivi, so solo le mie, di ragioni per cui l'ho fatto, e lo dico con rammarico, ma se tornassi indietro lo farei ancora... e so di risultare egoista, ma è tutto per i miei interessi se l'ho fatto.»

«Quali interessi?»

Lei svicola. «Mi ha detto che non ti avrebbe fatto del male, quindi non sarebbe successo niente a te, non avrei dovuto sentirmi in colpa nel caso fallissi.»

«Quali interessi?», domanda di nuovo, stavolta più deciso e, quando il silenzio torna ancora a dominare l'aria, Maria sembra ormai rassegnata a quel gioco a cui stanno giocando: quello dell'onestà. Forse lo sapeva che prima o poi sarebbe andato lì a chiedere cosa fosse successo e perché, forse sapeva che un giorno avrebbe dovuto tirare fuori la verità senza omettere niente. E Joshua capisce il perché, quando lei poi infine risponde.

«Avrebbe fatto del male a Robin se io non lo avessi fatto, e io non potevo permetterglielo... ci ha già allontanati per qualche ragione, da quando è successo io e lui non parliamo praticamente più, ma preferisco questo a perderlo. È mio figlio, e qualunque cosa sia una minaccia per lui, lo è anche per me, e io devo proteggerlo», spiega, infine, e Joshua un po' se lo aspettava che la ragione fosse quella. Dopotutto non ha forse taciuto tutto questo tempo per paura di perdere delle persone, quando Morgen gli ha fatto le stesse minacce?

Non ha forse accettato di tenersi tutto dentro fino ad ora, per lo stesso motivo?

Dovrebbe dirle di Robin. Dovrebbe dirle che vede i morti anche lui e che forse, questa cosa, è proprio una delle maledizioni di Morgen. Nessuno acquisisce un dono simile così tardi, lo ha detto anche Maria, quando si sono visti quel giorno in cui Robin era seduto al pianoforte. E... non è forse stato lo stesso giorno in cui Morgen gli si è presentato dietro alla sua immagine riflessa nello specchio del bagno?

Forse Morgen voleva che si incontrassero. Voleva che Robin si unisse a lui per cercare di salvare Janine e, in qualche modo, aiutarlo a trovare le risposte sul ricettacolo e il legame di esso con l'anima della bibliotecaria.

Non riesce a credere che tutto questo sia collegato ma, l'unica domanda rimasta senza risposta, ora, è il perché. Perché Morgen vuole lui? Perché non Maria, perché non Robin, ma vuole che sia lui a scoprire tutto questo?

«Perché proprio me?»

«Non lo so.»

«Lo sa, e non vuole dirmelo! Mi ha detto tutto, perché questo no?»

«Perché non lo so!», esclama lei, frustrata, impaurita, triste e sconvolta, e quella risposta quasi urlata lo zittisce improvvisamente. Lo lascia senza parole e senza fiato, perché si rende conto, sotto a quel dolorosissimo strato di rabbia che lo sta muovendo come una marionetta, che anche Maria ha agito vittima di Morgen e dei suoi giochi mentali, delle sue minacce e del suo potere.

«Cos'è lui? Che cosa vuole?»

«Non so nemmeno questo, Joshua... io ho solo fatto ciò che mi ha chiesto per proteggere l'unica famiglia che mi è rimasta. MI dispiace di averlo fatto, mi dispiace di averti mentito, ma come ti dicevo, se dovessi tornare indietro, lo rifarei immediatamente. Per Robin. Come tu lo faresti per tua nonna, o per chiunque hai di più caro accanto a te e... ti ho detto tutto quello che sapevo, pur conscia di ciò che questo porterà. Ti prego di capire che ora mio figlio è in pericolo tanto quanto lo sono le persone che ami. Non avremmo dovuto parlare di questo...»

«Non farà nulla a Robin.»

«Come lo sai? Non puoi saperlo!», dice lei, stizzita e Joshua, anche se non ha conosciuto l'amore infinito di una madre, in qualche modo sa riconoscerlo negli occhi di qualcuno.

«Perché io non glielo permetterò. Finirò quello che ho iniziato, gli darò quello che vuole e ci lascerà in pace. Se è me che vuole, mi avrà, e la chiuderemo qui. Fino a quel momento so che non toccherà nessuno di noi», e forse Robin, in verità, è già stato colpito dal male, quando Morgen gli ha donato quella maledizione di poter vedere i morti. Non c'è niente di peggio che questo, nella vita. «Ho solo una domanda. Quello specchio... se lei non lo avesse visto, non sarebbe successo niente?»

Maria si asciuga di nuovo gli occhi, e sembra essersi calmata, e Joshua vorrebbe sorvolare su tutto e dirle che è facile sentirsi meglio quando qualcun altro si prende responsabilità non sue per delle conseguenze che hanno origini altrove, ma non vuole infierire. È ancora troppo scosso per perdonarla, e forse non lo farà mai davvero, ma dentro di sé capisce in parte il perché abbia agito così e, allora, mette l'ira e tutto il resto da parte per un po' e cerca solo le risposte che possano in qualche modo aiutarlo a porre fine a quella storia.

«C'è un lenzuolo, che copre lo specchio. Se entri lì dentro sai di non trovarti né in questo mondo né in un altro, ma il lenzuolo crea una sorta di schermo e non permette a lui di uscire. Non totalmente, o forse le conseguenze sarebbero davvero disastrose. Ho toccato il lenzuolo, forse l'ho anche spostato per vedere cosa c'era dietro, non ricordo. So solo che, da quel momento, non c'è stato un momento in cui io non mi sia sentita osservata», conclude Maria, e Joshua sa benissimo di cosa parla: conosce quella sensazione, la sente ogni giorno addosso da quando Morgen è entrato nella sua vita; qualcosa che nemmeno vedere i morti gli ha mai fatto provare.

«Lo ha liberato?»

«L'ho reso parte di me, in qualche modo... lo vedo negli specchi, nei vetri dei negozi e negli occhi delle persone. Non mi abbandona mai, Joshua. Mai.»

«Nemmeno a me. Non mi lascia mai», risponde, infine, e poi si alza in piedi, sospirando, conscio che da adesso dovrà spegnere il cervello e fare ciò che è giusto, ovvero allontanare il più possibile, sperando di riuscire ad annullarlo, quell'appuntamento con lo specchio. Se Morgen è in parte prigioniero di esso, allora possono tenerlo a bada così, ma deve trovare un modo per salvare Janine senza scoprire come è riuscita a sigillare la sua anima in quel libro.

Scoprirlo porterebbe solo guai, probabilmente.

Se ne va, senza dire nient'altro e, mentre sta per chiudersi la porta alle spalle, riesce a malapena a sentire ciò che Maria gli dice anzi, gli prega, dietro le spalle.

«Proteggi Robin, ti prego.»

E, malgrado tutto, ha tutte le intenzioni di farlo.

•••

Quando Joshua esce da villa Soria, scopre che ha iniziato a piovere e che, la strada di fronte alla porta, è piena di pozzanghere nel quale non vuole specchiarsi per nulla al mondo. Tutto il peso di quelle verità appena scoperte gli è appena crollata addosso come un macigno e, il suo corpo, ha deciso di non reggere il colpo, costringendolo a poggiarsi contro il muro per non cadere. Forse è un calo di zucchero o, forse, è la paura che non ha provato fino ad ora che lo sta sovrastando.

Quello che ha scoperto è fin troppo persino per le sue gambe, ma non può fermarsi – non ne ha né il diritto né il tempo, e deve riuscire a convincere Robin e Janine che lo specchio non deve essere toccato, guardato, liberato. Non può dire molto, non può dire più di quanto ha già detto poco fa a Maria. Hanno superato un limite che non può controllare, e forse Morgen, stavolta, non avrà pietà.

Non gli importa. Non ha più voglia di tacere per il terrore di non fare la cosa giusta o per rischiare di perdere tutto. Dopotutto non ha mai avuto davvero qualcosa, e ora che ha scoperto di poter gestire quel dono, in qualche modo, e di aver trovato qualcuno di importante – Robin lo è, dopotutto, lo è diventato quasi per forza di cose – vuole solo porre fine a quella storia e continuare la sua vita, la sua nuova vita, tentando di rimettere insieme le crepe e trovando delle soluzioni senza crearne sopra dei problemi.

Ha paura, ma sa di poterla affrontare. Sa che, a differenza del Joshua di qualche tempo fa, non si tirerebbe indietro.

E, mentre la pioggia incessante continua a cadere e lui si avvia deciso verso l'uscita del complesso residenziale, con un senso di coraggio dentro che mai aveva provato prima, il suo telefono squilla.

Ha paura che sia Robin e che gli stia dicendo che loro sono lì, allo specchio, e che le cose non stanno andando esattamente come credevano. Che hanno bisogno di aiuto, e che qualcosa li sta uccidendo.

L'ansia cresce nel petto, mentre tira fuori il cellulare e risponde con le mani che tremano. Non ha nemmeno guardato chi fosse, ha solo risposto e, dall'altra parte, un silenzio lungo troppi secondi precede quello che, alla fine, forse si aspettava ma che sperava non accadesse mai.

«Sho.» Una voce familiare, fin troppo e l'unica persona che lo chiama così. Fred. Joshua sente la gola seccarsi. «Mi dispiace disturbarti a quest'ora ma... mio padre è morto poco fa.»

Il pavimento crolla sotto i suoi piedi, e non sente più niente, dopo quella frase.

Nemmeno la pioggia incessante che lo investe come una cascata e gli bagna la testa, i vestiti, e gli spegne il cuore. 


Fine Capitolo XX


[Questo Capitolo partecipa al COWT13 (M2) indetto da Lande di Fandom con il prompt "Pioggia"]

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