Capitolo XXI

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Capitolo XXI

ՑՑՑ


                             Non ha avuto molto tempo per metabolizzare la cosa, ma ha raggiunto di corsa casa sua per cambiarsi i vestiti bagnati, e lo disturba sapere che non può andare da Fred immediatamente, sebbene dentro di sé ha paura di ciò che troverà una volta arrivato lì.

Ha sempre evitato le veglie funebri, e l'unica a cui abbiamo mai preso parte è quella del nonno e la ricorda con tristezza, ma anche con estremo terrore. Se lo ricorda ancora, il nonno, in piedi accanto alla sua bara, che lo guarda e non parla. Non ha mai spostato lo sguardo dal suo viso nemmeno per un secondo. Non ha mai guardato nemmeno la nonna, se n'è stato lì, e non gli ha permesso di vivere il proprio dolore come avrebbe voluto.

Eppure Joshua ora ci pensa al fatto che, se fosse stato ora, probabilmente, seppur riluttante, avrebbe provato a parlarci e, magari, lui gli avrebbe detto qualcosa. Ora sa che era lì in attesa che lui si avvicinasse, ma per rispetto delle sue paure non lo ah disturbato, e che era lì perché le anime a volte non passano oltre immediatamente – e a volte non lo fanno affatto ma, dopo quel giorno, Joshua il nonno non lo ha più visto, ha solo pensato e ripensato alla distanza che ha preso dal suo spirito e all'occasione persa di dirgli almeno addio per un'ultima volta. Perché forse è questo che ha, come obiettivo, il suo dono: approfittare di un'ultima possibilità di salutare qualcuno, di ascoltare qualcuno, di redimere qualcuno, anche se il nonno non aveva nulla di cui farsi perdonare.

È sempre stato buono, comprensivo, e gli manca un sacco – e manca un sacco anche alla nonna, anche se non vuole darlo a vedere.

Si ritrova ad asciugarsi una lacrima, mentre è sull'autobus che lo porterà a casa di Fred. Sono poche fermate, abitano abbastanza vicino e, fuori dal finestrino, la pioggia non smette un solo istante di bagnare le strade già grigie di Londra.

Ha paura di andare, ma non potrebbe fare altrimenti. Ha paura di vederlo, lo spettro del padre di Fred, che vaga per quella casa che ha sempre frequentato, dove lo ha sempre visto lì, seduto sulla sua poltrona, a guardare il notiziario o le partite di calcio. Ha paura di vederlo con lo sguardo spento che i morti non possono nascondere, reduci del distacco totale dal mondo terreno, che ancora in qualche modo appartiene loro.

Ciò che lo ha sempre spaventato, ma che ultimamente comincia a capire, e ad assimilare, e ad accettare, ma è ancora presto per dire che sia tutto okay, specie in una situazione come questa.

Così scende dall'autobus e si dirige verso la casa che lo aspetta, cercando di non pensare troppo, o farà dietrofront e se ne andrà, incapace di gestire tutte quelle emozioni che sente. Perché oltre a questo deve ancora assorbire quello che è successo con Maria, capire se dirlo o non dirlo a Robin – ma è chiaro che non lo farà mai, scoprire perché Morgen cercasse proprio lui e evitare che nessuno di loro si avvicini mai a quello specchio, a meno non sia l'ultima delle loro possibilità.

Prende un respiro profondo, poi preme il dito che gli pulsa sotto al polpastrello e, poco dopo, qualcuno apre.

È la signora Yazmeen, la madre di Fred, la vedova del signor Joseph. Quando lo vede malgrado tutto sorride, lo fa entrare in casa e lo abbraccia. Joshua non può far altro che ricambiare ma non riesce a ricambiare quel sorriso.

«Condoglianze, signora Nelson.»

La signora Yazmeen si poggia una mano sul cuore e, probabilmente con il magone, annuisce e basta, facendogli cenno di raggiungere il salotto e di aspettare lì.

«Se vuoi qualcosa...», riesce solo a dire, indicandogli l'angolo cottura poco lontano, ma Joshua declina con un cenno della mano e lei se ne va.

Ha tutto il tempo di aspettare che Fred arrivi, e si guarda intorno. La casa è ordinata come sempre, ma silenziosa come non lo è mai stata. La famiglia Nelson ha sempre dimostrato una certa esuberanza e non l'hanno mai nascosta, motivo per il quale Joshua ha sempre apprezzato passare del tempo con loro, sebbene non sia un grande amante delle persone rumorose – eppure, caso vuole, che chiunque entri nella sua vita in qualche modo lo è. Janine, padre Richard, Robin... non sono forse anche loro particolarmente caotici?

Gli tremano le mani al pensiero di tutto quello che è successo fino ad ora, e al fatto che a differenza di altri tempi, le sue conoscenze si siano ampliate così tanto e che, paradossalmente, tra queste vi siano anche un fantasma e un prete, qualcosa che mai avrebbe creduto potesse entrare nella sua vita.

Si guarda intorno, poi, cercando di tornare a focalizzarsi sulla casa e sui suoi componenti, e vedere le mille foto appese alle pareti raffiguranti quella famiglia da sempre così unita gli fa male al cuore. Lui non sa cosa vuol dire avere un padre e una madre, questo è vero, ma con i nonni ha sempre fatto molte cose che qualsiasi famiglia farebbe. Le gite in barca, andare al mare, fare una passeggiata, andare allo zoo. O semplicemente fare la foto di fronte a Buckingham Palace fingendo di essere i padroni di casa, o fare le foto con le sue celebrità preferite al museo di Madame Tussaud, dove il nonno lo portava sempre all'orario di chiusura, quando c'era meno gente. E, a casa di Fred, si avverte la stessa pace familiare, la stessa unione che Joshua ha provato sulla sua pelle e, allo stesso tempo, quel silenzio gli ricorda quando è morto il nonno; il vuoto che ha lasciato e la distanza che si è creata tra lui e nonna Agnes perché, alla fine di tutto, era lui che li portava ovunque e cercava di creare dei ricordi indelebili, che in effetti non se ne sono mai andati.

Si dispiace di essere cresciuto così tanto da aver messo da parte quella piccola dose di spensieratezza che suo nonno gli aveva regalato. Forse è sepolta con lui, per questo si sente sempre così maledettamente infelice.

«Sho», lo chiama Fred, e la sua voce è rauca e bassa, ma riesce comunque a sentirlo. Si volta verso la porta che dà sul corridoio e, quando lo vede, cerca di abbozzare un sorriso, mentre si alza in piedi e lo raggiunge.

Fred non perde tempo e, scoppiando a piangere, lo abbraccia. Lo stringe forte, cercando del supporto dall'unica persona incapace di dargliene fisicamente. È un disastro col contatto fisico, ma è un sollievo sapere che il suo migliore amico lo sa benissimo, come è fatto. Perché pure quando è morto nonno Bobby, è stato Fred a trasmettergli il calore di un abbraccio di cui aveva sicuramente bisogno e, stavolta, forse è lo stesso.

Forse basta esserci, chi lo sa. Non è mai stato bravo in queste cose.

«Ehi, mi dispiace tanto», si sente di dirgli, e Fred di tutta risposta lo stringe di più, e non risponde. Restano così per un po', e Joshua non sa quantificare quanto tempo sia passato quando poi si staccano e l'altro gli fa cenno di seguirlo verso il piano superiore.

«Fred», lo chiama, capendo cosa sta cercando di fare, ma non vuole nemmeno deluderlo e dirgli che non se la sente. Vuole che capisca, ma allo stesso tempo non si permetterebbe mai di ferirlo negandogli quella visita.

«Un attimo solo. Davvero, solo un attimo, ti prego», gli dice Fred, già a metà delle scale e lui, senza dire altro, sospira e lo raggiunge, salendo poi insieme, lentamente, come se farlo più veloce potesse svegliare qualcuno.

Il corridoio del piano superiore è buio, e l'unica fonte di luce è quella che viene da una camera da letto illuminata dalle candele. Joshua lo capisce perché la luce vibra e si muove, non è ferma come lo sarebbe quella di una lampadina. Sa già cosa lo aspetta, sa già cosa gli verrà chiesto, e non vuole farlo. Non ha paura, non stavolta, ma non vuole dare false speranze a nessuno. Perché lo sa bene cosa significa entrare lì, ora; sa cosa si aspetta Fred, sa cosa gli chiederà e sa che non potrà dargli le risposte che cerca.

Quando entrano nella stanza sembra quasi che l'ossigenazione sia scesa vertiginosamente, perché la testa inizia a girargli. Si aggrappa allo stipite della porta, e Fred non ci fa nemmeno caso. Si avvicina di più al letto e Joshua può vederlo, ora, il signor Joseph, immobile su un letto matrimoniale, con le mani sul petto che stringono un rosario.

Molti dicono che i morti sembrano dormire, quando sono su un letto o dentro una bara, ma il padre di Fred è così dimagrito che sembra quasi poter sparire da un momento all'altro. È uno scheletro, consumato da qualcosa che sembra esserselo mangiato da dentro.

Le guance non ci sono più, il viso è affossato e secco; la pelle scura è diventata pallida, le mani scheletriche e le ossa delle clavicole sono sporgenti e spigolose.

«Fred... come...»

«Leucemia», risponde, e si siede sul letto, accanto a suo padre che Joshua non riesce a smettere di guardare. «In poco tempo ha iniziato a perdere peso, e poi ad accusare dolori alle ossa, ha iniziato a non muoversi più e poi... non c'è stato altro che hanno potuto fare. È stata fulminante, proprio come temevo.»

«Mi dispiace un sacco, davvero», dice ancora, e si rende conto di quanto quelle parole non abbiano alcun senso, specie se ripetute così tante volte, ma Joshua si sente responsabile perché sapeva che c'era quella possibilità, che il padre di Fred era una pedina pronta a crollare se avesse mai fatto parola con qualcuno dell'esistenza di Morgen, o dei suoi piani e quella conversazione con Maria non avrebbe mai dovuto avere luogo. Avrebbe dovuto tacere, mettere fine a quella storia di Janine e liberarsi della maledizione dello spirito nello specchio, senza mettere nei guai nessun altro. Se ne rende conto, se ne dispiace, vorrebbe rimediare ma non può, è colpa sua e basta. E non può dirlo a Fred, o a Robin o a Maria... non può dirlo a nessuno, dovrà tenersi dentro questo segreto per sempre, insieme a tanti altri che ormai non riesce nemmeno più a contare.

«Joshua, senti...»

«No», dice, immediatamente, perché è da quando è entrato in quella stanza che sa che sarebbe finita così e non vuole.

«Se solo potessi sapere se è felice», risponde Fred, e non lo guarda, piange forse senza nemmeno accorgersene, mentre i suoi occhi sono fissi su quelli di suo padre, immobile.

«Non funziona così, Fred, lo sai che non parlo con i morti», controbatte, e sa di essere rude, di essere infinitamente insensibile, ma non può farlo. Non può parlare con una persona che è morta per causa sua, che è morta per la sua impulsività e la sua rabbia nei confronti di Maria, che gli ha mentito e lo ha ingannato. Pur avendolo fatto per proteggere Robin, probabilmente anche lui ora in pericolo.

Si sente in trappola, si sente avvolto da una nube di terrore a quel pensiero, e Fred poi lo guarda e lui smette di respirare.

«Per favore. Lo so che non lo fai, che hai paura, ma è mio padre... ho bisogno di sapere, Sho, ti prego.»

Cosa farebbe lui al posto suo? Chiederebbe a qualcuno in grado di parlare con i morti di fargli sapere quali sono gli ultimi pensieri di una persona così vicina appena scomparsa, per l'ultima volta? Non sa se lo farebbe, è troppo coinvolto, ma si sente così responsabile che farebbe qualunque cosa pur di sentirsi meno in colpa e forse... forse vuole sentirle anche lui, le ultime parole del signor Nelson, sperando vi sia anche il suo perdono, tra queste.

Entra definitivamente nella stanza, staccandosi dalla porta sulla quale è rimasto appoggiato tutto il tempo, in bilico tra il voler andare via e l'impossibilità di farlo. Fred lo guarda, in attesa che accada qualcosa, e Joshua gira intorno al letto, raggiungendo l'altro lato, vicino al comodino su cui è appoggiata un'altra foto di famiglia che gli fa salire il magone. Distoglie lo sguardo dalla foto e poi torna a guardare il signor Joseph, che sembra quasi più magro di quanto non fosse. La sua espressione neutra ha un accenno di serenità, ma Joshua non sa dire se si tratti di una morte priva di faccende in sospeso o se sia semplicemente una serenità data dalle sofferenze che sono cessate.

Alza poi lo sguardo e si guarda intorno, alla ricerca dello spirito; non sa bene come permettere loro di manifestarsi, sono sempre stati loro ad andare da lui e, di tutta risposta, lui li ha sempre ignorati. Così si concentra, cercando di manifestare quell'anima, senza sapere minimamente come si faccia.

Eppure c'è qualcosa che non va, nell'aria. Quando un morto compare tra le folle o accanto a lui sull'autobus o chissà in quale altro luogo, lui lo sa. Avverte la presenza, avverte i suoi occhi addosso, avverte quell'energia diversa che non appartiene a questo mondo ma, ora come ora, non sente niente. Non c'è nessuna sensazione sotto i polpastrelli, non c'è il gelo che gli fa alzare i peli sulle braccia o che gli fa venire i brividi lungo la schiena. Non c'è quel cerchio alla testa che gli stringe le meningi o quella sensazione di vuoto sotto i piedi.

Non c'è niente. Niente di niente.

E per la prima volta in vita sua Joshua si sente deluso e basta.

«Joshua?»

«Non c'è», risponde, semplicemente, guardando Fred e aggrottando le sopracciglia.

«Cosa?»

«Non c'è, Fred. Lo spirito di tuo padre... non c'è.»

«No... no, non è possibile. Ci deve essere! Tu li vedi! Hai visto tuo nonno, hai visto quella signora al supermercato, hai visto la tizia morta sulle rotaie! Li hai visti! Tutti! Devi poter vedere anche lui!»

«Fred, te l'ho detto, non funziona così», dice, con un filo di voce e tenta di avvicinarsi al suo migliore amico, che lo scansa, sconvolto.

«No, no, no, no! Non è possibile. Tu... mi stai dicendo una bugia. Cosa ti ha detto? Che l'ho deluso? Che non è felice della vita che ha fatto? Che non vuole che io diventi quello che voglio? Cosa? Cosa ti ha detto di così sconvolgente da non poterlo ripetere?»

«Non mi ha detto niente perché non posso vederlo.»

«Non è possibile!», ripete Fred, poi comincia a piangere, ma di rabbia. «Anzi, sai che ti dico? Che è possibile, perché è evidente che questa roba degli spiriti è solo una cazzata che ti sei inventato per non vivere, perché sei un sociopatico di merda e non hai voglia di fare niente! Così ti sei inventato la cazzata di vedere i morti e l'hai detta a tutte quelle persone che poi, quando serve, ti dicono poverino! Invece no, ora so la verità, tu sei un cazzo di bugiardo! Perché se fosse stato vero, tu ora... adesso tu... mio padre...»

Fred si blocca e, senza dire nient'altro, cade per terra e piange disperato, senza più un briciolo di forza per sostenere quella situazione. Non è facile, Joshua lo sa e pure se quelle parole l'hanno ferito, sa che sono solo parole vomitate con rabbia e senza pensare.

Si china su di lui che stavolta non lo scansa ma anzi accoglie il suo goffo abbraccio, e nasconde il viso nella sua spalla.

«Scusa, non volevo dire quelle cose», bisbiglia Fred e lui sbuffa via una risata.

«Lo so, non ti preoccupare ma... Fred, credimi, se avessi potuto vederlo te lo avrei detto, ma non funziona così. Non tutti restano qui, la maggior parte se ne va e lo so che tu vorresti sentirlo per un'ultima volta e ti capisco ma... se non posso vederlo significa che se n'è andato serenamente, che non ha lasciato niente in sospeso, che è felice della vita che ha condotto, della persona che ha sposato e orgoglioso di suo figlio e di tutto ciò che ha seminato e raccolto. Fa male credere che sia così, ma sarebbe stato molto peggio se io fossi stato in grado di vederlo, a queste condizioni. Vi amava, ha fatto di tutto per rendervi felici. Sa di averlo fatto pur non potendo usufruire di altro tempo insieme a voi, ma ha fatto il possibile ed è felice che sia così. Non restare significa questo... significa aver vissuto una vita felice.» Non ha mai parlato così apertamente di morte con qualcuno, nemmeno con Fred, e si sente un po' meglio a sapere che, dopotutto, è andata così per davvero. Forse il signor Nelson non ce l'ha nemmeno con lui, forse ha davvero vissuto una vita soddisfacente abbastanza da permettergli di andarsene subito, senza rimanere a guardare cosa si è lasciato indietro.

Fred sembra capire, anche se trema sotto le sue braccia che ancora lo stringono e, quando lo guarda, annuisce e si passa la manica della felpa sugli occhi per asciugarli.

Forse vedere i morti significa anche capire le emozioni di chi è rimasto e deve convivere con un vuoto incolmabile come la perdita.


•••


Ha lasciato Fred e sua madre alle cure di altri parenti che sono arrivati, raccomandandosi con il suo migliore amico di chiamarlo se avesse bisogno di lui, ricevendo come risposta un non ho bisogno di te, detto scherzosamente, ma appena è uscito da casa Nelson ha ricevuto un messaggio di ringraziamento e di scuse per quello che gli ha detto.

Ammette che, in un altro contesto, le parole che gli ha detto Fred gli avrebbero fatto male ma, in qualche modo, si è immedesimato ma, più nello specifico, non ci ha pensato più di tanto. È talmente confuso e pieno di pensieri che questo lo ha aiutato un po' a ragionare senza andare in escandescenza, senza contare che è stata una lunga giornata, tra quello che ha scoperto su Janine, il colloquio con Maria e tutto il resto, il suo cervello non riesce a collegare i pezzi.

Così, mentre raggiunge la fermata dell'autobus, tiene tra le mani il telefono e riflette su cosa vuole davvero fare ora, anche se forse una dormita gli ci vorrebbe, non prima di aver messo qualcosa sotto ai denti. Eppure non ha né fame né sonno, ha solo bisogno di scaricare tutta quella tensione e, allo stesso tempo, assicurarsi che tutto sia ancora sotto controllo.

Preme il tasto per chiamare, anche se dentro di sé vorrebbe non averlo fatto.

«Joshua? Sei tu? Che fine hai fatto?»

«Ehi Robin... scusami, è stata una lunga giornata, sono successe delle cose nel frattempo e, proprio per questo, volevo sapere se avevi programmi per questa sera. O meglio, per... tra poco», dice, guardando poi l'orologio e rendendosi conto che sono già le cinque e mezzo.

«No, no, assolutamente! Non ho nulla da fare e poi ti devo aggiornare su alcune cose. Dove sei? Ti raggiungo?»

«Vediamoci a Lime House, vicino al cinema. Mangiamo qualcosa lì e poi parliamo un po'. Janine è con te?»

«No, l'ho lasciata in biblioteca. Mi sono assicurato che il libro fosse posizionato abbastanza lontano da non permetterle di raggiungere il retro, se questo ti preoccupa.»

«Ottimo. Allora... allora a tra poco!», esclama, e sale al volo l'autobus quando questo si ferma.

«Joshua, tutto bene? Ti sento... strano. Euforico e strano.»

Joshua si blocca. Stringe la mano libera intorno al tubo di ferro al quale si è aggrappato per non cadere e, sentendo improvvisamente tutto il mondo crollargli addosso, il suo cervello sembra andare in modalità risparmio energetico.

«No. No, non va bene niente. Niente di niente. Ne parliamo dopo, okay?» Chiude la chiamata, non appena Robin gli risponde e, sedendosi su un sedile in fondo all'autobus, poggia la testa al finestrino, tentando di non sgretolarsi, sebbene si senta esattamente sull'orlo di farlo. 

Fine Capitolo XXI


[Questo capitolo partecipa al COWT13 indetto da Lande di Fandom (M3) con il prompt "Ultima Volta"]

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