Capitolo XXII

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Capitolo XXII

ՑՑՑ


                                        Quando Joshua raggiunge Lime House, è ormai buio pesto e se ne accorge solo una volta che la DLR, la linea della metropolitana che da Deptford Bridge l'ha portato lì, è uscita dal tunnel sotterraneo per salire in superficie. Non appena scende dal treno si rende conto che le strade sono ormai quasi deserte e che, le uniche fonti di luce, sono dei lampioni che segnano la strada verso il porto. Joshua rallenta il passo, ammirando la tranquillità con cui le barchette ormeggiate ondeggiano a ritmo delle onde e tenta, in qualche modo, di trovare quella stessa tranquillità, anche se sa di non poterci riuscire pure provandoci con tutte le sue forze.

Sono successe troppe cose, nelle ultime ore – e negli ultimi giorni, ed è stanco morto. Avrebbe voluto andare a casa a riposare, ma sa già che, di dormire, non se ne parlerà per molto tempo. Dalle bugie di Maria – raccontate per nobili motivi, certo, ma pur sempre bugie, alla morte del padre di Fred, fino alla consapevolezza di aver sfidato Morgen e di aver tradito la sua promessa di non parlare mai di lui con nessuno, Joshua non ha idea di cosa lo aspetterà, eppure si sente sorprendentemente tranquillo.

«Quando hai molta paura a volte non la senti nemmeno», gli ha detto sua nonna, una volta, parlando di quei pazzi che si buttano con il paracadute, aprendolo a pochi metri da terra, incapaci di comprendere persino il pericolo, forse spinti dall'adrenalina che a volte è in grado di annullare tutto il resto.

Chissà come deve essere sentirsi così. Eppure, chissà, forse è proprio adrenalina che brucia come benzina per via della paura, quella che sente ora.

Passa accanto ad una libreria fatta con delle scatole di legno, a forma di orologio a cucù. È molto piccola e, accanto all'anta che permette di aprirla, c'è scritto Se prendi uno dei libri, ricorda di lasciarne uno tuo per gli altri. Ce ne sono tante di mini-librerie, in giro per Londra, ma non ne ha mai vista una cosa ben conservata. Si vede che gli abitanti del quartiere sono molto affezionati a quell'oggetto. Motivo per cui lo trattano così bene.

Guarda la strada, un ragazzo in bicicletta che va nella direzione opposta alla sua, sulla pista ciclabile, e che suona il campanello quando raggiunge un incrocio, forse per avvisare eventuali automobilisti del suo passaggio.

Alza la testa e vede la metro passare di nuovo sulla sopraelevata che costeggia il porto. Si gira ancora e guarda un ponte che porta verso un parco. Una volta è andato lì per correre, rinunciando poi qualche giorno dopo per pigrizia.

Sta divagando. Non riesce a concentrarsi sul vero motivo per cui è lì e, allo stesso tempo, su quelle cose che non vuole dire a Robin.

Morgen è parte di lui, ma anche della signora Soria e, Robin, non ha nessuna ragione per essere coinvolto in questa storia. Anzi, è già abbastanza parte di tutto, e Joshua non ha alcuna intenzione di renderlo protagonista di questa storia a cui, dopo questa chiacchierata con lui, vuole mettere un punto.

Non gli importa più delle conseguenze, vuole delle risposte. Vuole arrivare al nocciolo, vuole scoprire da sé quello che è successo a Janine e perché, ma senza coinvolgere Robin. L'obiettivo di quella chiacchierata sarà uno solo: persuaderlo nel mettersi da parte, perché le cose stanno diventando pericolose, soprattutto per lui.

Se è vero quello che ha detto la signora Soria, Robin è in pericolo. Così come lo era il padre di Fred, e che è morto e, anche se Joshua vorrebbe credere che non sia per mano di Morgen, sa che non può ignorare la possibilità che invece sia stato proprio lui l'artefice di quella tragedia familiare. Sa che non può ignorare il fatto che Morgen ha il potere di controllare coloro che sceglie, ed è il fatto di non sapere in alcun modo come contrastarlo che lo spaventa di più.

Parlerà con Robin, sì. Poi domani andrà in quella maledetta biblioteca e farà quello che deve, allontanando il libro che permette a Janine di muoversi in modo che nemmeno lei possa ostacolarlo.

Ha creato lui quel caos, e lui lo sistemerà.

«Ehi», lo saluta Robin, non appena raggiunge l'entrata del cinema – luogo in cui ha smesso di andare da tantissimo tempo, perché spesso disturbato da visioni che solo ora comincia un po' a sopportare – e a comprendere.

Gli scappa un mezzo sorriso, quando lo vede, ed è grato che sia lì, sano e salvo, e che Morgen non gli abbia fatto niente. Forse non ancora, ma almeno per adesso è tutto intero. Ignaro di quello che sta succedendo, ma intero.

«Ehi», risponde e, prima che possa dire qualunque cosa, si zittisce e non riesce più a parlare. Vorrebbe dire che è colpa dell'ombra che vede riflessa dietro di sé, attraverso gli occhi di Robin, che ha dimenticato di non guardare direttamente, ma non è così. La presenza di Morgen non è più un incubo, è diventata la realtà dei fatti con cui forse sta iniziando a scendere a patti e ha compreso la natura del suo dono solo ora che probabilmente ha scelto di giocarsi l'unica carta che gli è rimasta a disposizione.

Il faccia a faccia con quello specchio.

Di fronte a quella prospettiva persino il riflesso dell'ombra scura che lo segue ovunque diventa semplicemente un'ombra e nulla più.

«Vuoi... vuoi allontanarti da qui?», chiede Robin, guardandosi intorno, e Joshua nota che un gruppo di persone si sta avvicinando all'entrata del cinema, segno che sta iniziando uno spettacolo e quindi tra poco quella strada dapprima deserta si riempirà di gente.

«Lo preferirei, se a sta bene», risponde, e forse è la prima volta in vita sua che chiede un parere non perché non sa cosa fare, ma per premura che anche lui si senta a suo agio. O per i sensi di colpa per aver messo in pericolo la sua vita.

«C'è un parco vicino al porto; c'è qualche lampione qua e là, quindi non è proprio al buio. Mi sembra un buon posto per parlare.»

«Lo penso anche io», approva e, affiancandolo, torna a percorrere la stessa strada che ha fatto all'arrivo, ma a ritroso. Superano un piccolo incrocio, poi affiancano delle villette a schiera tipicamente Londinesi e poi, girando a sinistra, imboccano il parco che poco prima Joshua ha visto, superando un cancello di metallo spalancato.

Il buio si fa più fitto, ma il silenzio è ciò che rimbomba di più. Non ci sono i suoni tipici della natura, di notte. Non c'è luce, non ci sono scoiattoli che corrono da un albero all'altro o persone che portano i cani a passeggio. Ci sono solo loro, inghiottiti dalle tenebre appena sfumate dalle luci calde dei lampioni e un velo di nebbia che li avvolge.

E poi ancora il silenzio. Quello che Joshua non sa rompere in nessun modo perché non ci riesce.

«Hai intenzione solo di camminare e basta?», gli chiede Robin, ad un tratto, e lui sobbalza, ed esce da quel mondo tutto suo in cui era entrato. Quel rifugio che lo stava allontanando dalla realtà, e in cui stava trovando del conforto.

Ma sapeva che non sarebbe durato a lungo.

Sospira. «Sarebbe fantastico, in realtà, ma so che non posso farlo. Non me lo posso permettere.»

«Joshua, che cosa è successo? Sei andato da mia madre, poi sei sparito per ore. Mi chiami e mi dici che niente va bene. Vorrei capire che cosa sta succedendo, anche se non sembri così propenso a volerne parlare.»

«Non vorrei, credimi. Eppure penso che sarebbe giusto farlo. Ho pensato per tutto il tempo, mentre ero da tua madre, alla possibilità che tu e Janine poteste approfittare della mia assenza per andare da soli in quello sgabuzzino e scoprire cosa si nasconde in quello specchio, e solo perché mi sono reso conto di avervi imposto di non andare, di prendere tempo. Come se ce ne fosse, dopotutto», si sente di dire, e sa che sta continuando ad essere enigmatico, ma solo perché non riesce a formulare quello che deve dire, nel modo in cui vorrebbe.

«Non avremmo mai fatto nulla senza di te. Janine è stata categorica. È iniziato con te e finisce con te. Dopotutto sei tu che hai avuto il compito di aiutarla, no?»

«Tu pensi davvero che quello specchio ci darà delle risposte, Robin? Pensi veramente che una volta che lo avremo davanti tutto sarà più chiaro?», chiede, e non è una domanda retorica, vorrebbe davvero da lui quella risposta. Perché non ha idea di cosa lo aspetta, sa solo che è l'unico modo per capirci qualcosa. Se lo specchio non è stato vittima dell'incendio, un motivo ci deve essere. Non può credere che, in quella storia, quell'oggetto non abbia alcun valore.

Se davvero Janine è morta bruciata, Joshua pensa che in qualche modo lo specchio sia il motivo per cui è successo.

Solo... non sa il perché. E l'unico modo per scoprirlo è proprio andare lì.

Stavolta è Robin a sospirare. Si ferma in mezzo al sentiero, sotto un lampione e Joshua fa lo stesso, aspettando di ascoltare cosa ha da dirgli.

«I tuoi dubbi sono legittimi e io non ho le risposte che cerchi, ma padre Richard mi ha detto che gli specchi servono, in certi casi, a stabilire un collegamento tra due mondi che, normalmente, non possono coesistere. Nel nostro caso quello dei vivi e quello dei morti. O almeno questo è ciò che crede lui, perché la morte di Janine è ancora un mistero, eppure è uno spirito intrappolato in un libro, prigioniera di una biblioteca che nascondere un segreto che nessuno conosceva, prima di ora. Quante possibilità sono che le due cose non siano collegate?»

«È quello che credo anche io, ma... se Janine ha perso la vita per colpa dello specchio, perché noi dovremmo impicciarci in una faccenda come questa e sperare di uscirne vivi? Se non ce l'ha fatta lei...»

Robin sembra pensarci su e, stavolta, non lo accusa di essere un disfattista e Joshua ne è sollevato. Non sta cercando di dissuaderlo a non andare lì perché non vuole che le cose evolvano, ma perché vuole affrontarle da solo senza mettere in pericolo nessuno.

«Noi però siamo pronti. Magari lei non lo era.»

«Non possiamo saperlo», risponde, immediatamente, e Robin alza le sopracciglia, spiazzato. «Non possiamo sapere se la Janine in vita era al corrente di cosa sia quello specchio e quale potere nasconda. E se invece fosse stata implicata in qualcosa? E se invece fosse morta perché ha ostacolato i piani di chi è nello specchio?»

Robin si congela sul posto e, squadrandolo per un attimo da capo a piedi, lo guarda poi sospettoso. «Nessuno ha mai parlato di qualcuno che è nello specchio. Joshua, tu sai qualcosa che io non so?», chiede, e quella vena di fiducia che svanisce un po' Joshua la può vedere e percepire perfettamente nei suoi occhi.

Robin è impulsivo, a volte incapace di esprimere le emozioni come dovrebbe. A volte è invadente, a volte cerca di sembrare ciò che non è, a volte ostenta un coraggio che non è del tutto suo ma, sicuramente, Robin non è stupido.

«Ho solo pensato che fosse così. Uno specchio è un oggetto, impossibile che agisca senza qualcuno che lo comanda, no?»

«Ha senso, ma non sappiamo se sia effettivamente così e, lo sai anche tu, l'unico modo per capirci qualcosa è andare lì e indagare.»

«E lo faremo», promette, e annuisce, perché quella bugia è troppo grande per crederci anche solo un po', e ha bisogno di convincersi che quella è la verità. Ma non lo è. O almeno in parte. Lui indagherà sullo specchio, lui andrà a scoprire cosa si cela dentro quell'oggetto, lui farà di tutto per porre fine a quell'incubo. «Ma non oggi.»

«Joshua, lo capisco che non c'è niente di certo, ma tu pensi davvero che continuando a fingere di non aver scoperto questa cosa riusciremo a prepararci al momento in cui la fronteggeremo? Pensi davvero che il tempo ci darà delle risposte e le armi giuste per affrontare questa situazione?»

«Sì», risponde, e sa di aver appena azionato una catena di bugie che non avranno fine finché non lo convincerà a farsi da parte. Gli basta un giorno. Un giorno solo.

Robin sbuffa e lo guarda spazientito. «Janine non ricorderà nient'altro se non troviamo altri indizi che ci porteranno a qualcosa che ha fatto parte della sua vita.»

«Potremmo tornare alla British Library! Dopotutto è lì che ha ricordato qualcosa. Ha avuto il tempo di riprendersi e magari, quando se la sentirà, ci torneremo per scoprire qualcosa di più. Abbiamo qualcosa in mano, sfruttiamola prima di buttarci a capofitto in qualcosa che non conosciamo affatto.»

Cala il silenzio. E Robin non sembra del tutto convinto da quella proposta, ma Joshua è sollevato che pare ci stia pensando davvero, come se in fondo non fosse poi un'idea così cattiva. E reprime un sospiro di sollievo quando, infine, con uno sbuffo rassegnato, l'altro ragazzo acconsente con un gesto della testa.

«Potrebbe essere un'idea ma... dovremmo parlarne con Janine e...»

«Lo faremo. Domani sera andremo lì e parleremo con lei.»

«C'è la possibilità che non se la senta e che ci dica che non vuole tornare lì.»

«E allora, in quel caso, faremo a modo tuo e andremo nella stanza dello specchio per scoprire qualcosa. Okay?»

Robin ora sembra ancora più convinto, forse perché Joshua ha usato la carta giusta, ovvero quella in cui farsi da parte significa mettere in atto il piano dell'altro, coinvolgendolo.

«Va bene, ci sto. E ci sto anche al fatto che non mi hai detto che cosa è successo oggi, e sei ancora scosso, lo vedo. Però domani me lo dirai, okay? Non pretendo di voler sapere tutto, ma almeno ciò che riguarda questa cosa. Vorrei che almeno su questo... ti aprissi di più con me, anche solo per sentirti un po' meglio.» Robin sorride appena, non appena si zittisce e, quando il suo sguardo si posa altrove, forse imbarazzato all'idea di aver espresso così apertamente una volontà così intima, Joshua si rende conto che il cuore gli è salito in gola, così come il magone e, l'unica cosa che riesce a pensare, è che spera tanto di poter risolvere tutto prima che qualcun altro muoia per colpa sua.

Così annuisce, e di nuovo è gesto che serve più a convincere lui che Robin.

«Promesso. Ti dirò tutto ma, fino a quel momento, non ci pensare», lo rassicura, e riceve in cambio un altro sorriso che sa di fiducia e paura, ma allo stesso tempo di qualcos'altro.

Così accorcia le distanze che ci sono tra di loro, ormai conscio che tutto ciò che fa è dettato dalla paura che sia l'ultima azione della sua vita. Lo guarda negli occhi e, per la prima volta, non vede Morgen riflesso dietro alla sua immagine che gli viene restituita.

Sa che non è un buon segno ma finge per un attimo che la vita che conduce non abbia nulla a che fare con lui.

Robin è bloccato nelle sue ciglia, e resta così anche quando Joshua gli bacia leggermente il lato della bocca, e poi si sposta sulle labbra, in quello che è un tocco leggerissimo ma che gli lascia addosso la sensazione di aver appena vinto una battaglia contro dei demoni che lo schiacciano dentro al cuore da che ricorda.

Non appena si allontana da quel bacio, Robin resta in silenzio e Joshua ha solo voglia di sparire e scappare via da quello che ha fatto ma tutto si cancella in un mare di coriandoli che gli attutiscono la caduta, quando Robin gli prende il viso tra le mani e lo bacia davvero, trascinandolo in un posto dove non è mai stato e dove ha paura di non poter tornare mai più.

•••

Sa di aver detto tante bugie e, allo stesso tempo, di aver agito con tutta la buona volontà possibile, per questo non si pente nel modo più assoluto di aver detto quello che ha detto. E di aver fatto quello che ha fatto.

Non ha paura di ammettere che Robin, alla fine, sia diventato qualcosa per lui; non nasconde più a se stesso quello che prova nei riguardi degli altri, ma sa benissimo che se lo sta facendo è solo perché ha paura di non avere più la possibilità di viversi niente. Ha una sensazione orribile che gli scorre dietro la schiena, e nell'arco di poche ore sono successe tante di quelle cose che non riesce nemmeno a riordinarle.

Decide di passare al volo a casa per cambiarsi e, quando sua nonna lo vede, lo blocca sulla porta della sua camera quando sta per entrare.

«Joshua, si può sapere che cosa è successo? Sono giorni che passi da casa per qualche minuto e poi sparisci nel nulla! Lo so che non mi dovrei impicciare della tua vita, ma non mi dici più nulla! Mi parli lasciandomi dei fogliettini in giro per casa!»

Si rende conto di essere diventato una presenza sfuggevole e che, in questi ultimi tempi ha dedicato tutte le sue energie al caso di Janine e alla lotta con se stesso per comprendere chi è e cosa sta facendo, ma soprattutto per capire il suo dono e i perché che lo hanno sempre attanagliato.

«Nonna, mi dispiace molto, davvero. Sono molto preso con quella roba della signora Soria, sto cercando di uscire dal guscio e... non so, forse ci sto riuscendo, chi lo sa. Ma ho bisogno di fare. Scusami se sparisco sempre ma ti giuro che, da domani, sarà più presente», le dice, cercando di rassicurarla e dandole velocemente un bacio sulla guancia, prima di infilarsi nel bagno per darsi una lavata e cambiarsi i vestiti, per prepararsi a questa notte, quando raggiungerà la biblioteca.

«Sono felice se le cose stanno andando bene, ma non ti nascondo che le ho pensate tutte. Credevo addirittura che fossi finito in un brutto giro.» La voce di nonna Agnes si sente leggermente ovattata da dietro la porta chiusa del bagno e lui sospira, poi si toglie la maglietta con un gesto veloce e si avvicina al lavandino.

«Anche volendo non penso che nessuno mi vorrebbe in un brutto giro. Qualunque cosa significhi questa cosa», dice, poi apre il rubinetto e, quando la nonna ricomincia a parlare, Joshua non riesce a sentirla più, perché quando alza lo sguardo verso lo specchio resta impietrito e non riesce più a collegare la realtà con la fantasia.

Spalanca gli occhi, e inizia a tremare. Stringe le mani intorno al bordo del lavabo e, deglutendo, ne alza poi una verso la superficie dello specchio.

i polpastrelli toccano la lastra fredda e non sente altro che brividi.

Di fronte a lui, dall'altra parte, c'è la sua immagine riflessa ma, stavolta, è solo.

Gli occhi di Morgen non sono più dietro di lui, a guardarlo come sempre. Non c'è alcuna ombra nera dietro di lui che lo osserva, che vigila su ogni suo passo e ogni sua mossa.

L'aveva notato già prima, quando ha baciato Robin. Non ha visto nient'altro che sé stesso riflesso nei suoi occhi, eppure pensava fosse solo questione di un attimo. Che fosse solo per via del momento, che in realtà se l'era solo immaginato perché, almeno quell'attimo con lui, voleva viverlo in modo normale.

Invece no. Morgen non c'è, è sparito, e tutto ciò che Joshua riesce a pensare è che, ora, le cose sono più pericolose di quanto credesse.

•••

Si è vestito velocemente, e ha ignorato totalmente il disappunto di nonna Agnes nei riguardi dei vestiti che ha lasciato per terra e che ora dovrà raccogliere lei ma, chiedendole scusa velocemente, ha preso al volo il cellulare e la giacca, ed è scappato fuori casa.

Il buio è sceso sulle strade di Londra ormai da un po', ma Joshua ha la sensazione che tutto sia più oscuro del solito.

Corre verso la metropolitana e, salendo al volo quando la vede ferma sulla banchina, continua a cercare la figura di Morgen nei riflessi dei vetri, e non la trova.

Un peso enorme gli si scarica sul petto e respirare è sempre più difficile ma è più che intenzionato a non fermarsi, non ora. Non adesso che le cose sono diventate così pericolose.

Sarà dura spiegare a Janine che è da solo e che non vuole che nessuno si intrometta e che, una volta risolta quella storia, cercheranno di aiutarla a passare oltre, ma prima...

Prima deve capire che cosa ha in serbo Morgen e quali conseguenze continuerà a pagare per non aver tenuto la bocca chiusa.

Scende di corsa alla stazione di King's Cross e, zigzagando tra i passeggeri che devono salire sul vagone – per fortuna sono pochi, siccome inizia ad essere tardi, esce fuori e si incammina a passo svelto verso la Cat & Mouse, e il tragitto non è mai sembrato così lungo come oggi.

Ogni cosa sembra segnata dall'attesa e quell'attesa, dentro di sé, Joshua vuole che non finisca mai perché, a differenza di altre volte, non sta scappando via dalle sue responsabilità ma questo, inesorabilmente, significa che si sta espondendo a un pericolo troppo grande. Solo... stavolta è diverso. Stavolta ha dei motivi – delle persone per cui farlo, che valgono più della paura che prova e, alla fine, sa che qualunque cosa sceglierà di fare, purché la faccia, sarà la cosa giusta.

Si ritrova di fronte alla porta gialla della biblioteca e, stavolta, nemmeno il giallo acceso di quell'entrata riesce a tranquillizzarlo. Mette una mano sulla maniglia e la tira giù, lentamente, e poi entra chiudendosi alle spalle la sua unica via di fuga.

Come sempre regna il silenzio e, seduta al bancone, non c'è la bibliotecaria che sonnecchia. Deve essere andata già via.

Percorre la prima ala, quella che fino a qualche giorno fa era in disordine e che ora invece è ordinata e precisa. Janine deve aver messo a posto quando era sola.

Passa tra due scaffali, toccando appena i libri con i polpastrelli, cercando di deviare le sue paure altrove e concentrandosi sulla percezione di ciò che può toccare. Vuole aggrapparsi a ciò che è vivo, che esiste e che è legato alla vita.

Supera la prima ala ed entra in quella che ospita Janine. Lei è lì, seduta a terra con la schiena appoggiata alla scrivania. Si stringe le gambe al petto e fissa la finestra con aria malinconica – sola.

Forse è così che è fatto qualcuno che è solo e che sa di non essere visto.

«Janine», la chiama.

Lei si volta di scatto verso di lui, e la sua espressione avvilita si spegne lasciando spazio ad una di pura preoccupazione. Si alza in piedi di scatto e, senza lasciargli modo di dire niente, si avvicina a lui.

«Joshua! Sei qui!»

«Ehi, calmati! Che cosa è successo? Sei agitatissima!»

Janine si posa una mano sul cuore e, terrorizzata, si volta di spalle e guarda un punto fisso.

«Ha detto che non era certo che saresti venuto; ha preso il libro che mi permette di muovermi e lo ha chiuso in un cassetto. Si è portato dietro la chiave, non possiamo prenderlo! Joshua, devi fare qualcosa! Devi fermarlo!»

«Di cosa stai parlando? Janine, mi stai spaventando! Ho bisogno che mi spieghi che cosa sta succedendo!»

Janine sembra troppo scossa per dire qualcosa e, indicandogli un punto della biblioteca, comincia a tremare.

«Fermalo», dice solo e, senza forze, si lascia cadere a terra in ginocchio.

Joshua la guarda e sembra che stia perdendo tutte le forze che le sono rimaste. Così alza lo sguardo verso il punto in cui lei ha indicato e, in fondo alla stanza dove si trovano, intravedere una porta di legno appena socchiusa.

Lo sgabuzzino dello specchio.

Non riesce a pensare razionalmente, non riesce a tener conto dei pericoli che potrebbe incontrare e forse, proprio per questo, le sue gambe iniziano a muoversi verso quella direzione, e lui non ha nessuna intenzione di fermarsi. Accorcia la distanza con passi svelti e ampi e, quando arriva di fronte alla porta, si blocca.

La stanza di fronte a lui è quasi completamente buia, stretta e lunga; solo una piccola luce illumina i contorni dei mille oggetti che si trovano al suo interno: una luce che viene da sotto un lenzuolo che copre qualcosa.

Lo specchio, certo. Non può essere altrimenti.

Di fronte ad esso, con una mano stretta intorno al lenzuolo, c'è una figura che, quando lo vede arrivare, si volta a guardarlo con un'espressione che, in mezzo all'oscurità, Joshua riconosce come mortificata.

«Mi dispiace molto, Joshua. Mi ha detto lui di farlo.»

Joshua apre la bocca; vorrebbe dire qualcosa ma non ci riesce e tutto accade così velocemente che non riesce nemmeno a metabolizzare.

Robin, di fronte a sé, tira via il lenzuolo che, in una nuvola di polvere, scopre lo specchio e lo libera dalla sua barriera. Piccoli frammenti di pulviscolo svolazzano in giro, e restano sospesi in aria quando tutto torna di nuovo silenzioso.

Poi Robin fa un passo indietro, e guarda fisso nello specchio.

«Robin, perché?», chiede Joshua, e non riceve alcuna risposta. Robin non sembra nemmeno in sé. Tende una mano verso lo specchio e resta immobile.

Joshua fa un passo in avanti, tentando di fermarlo ma, quando una massa nera simile a una mano si attorciglia intorno al braccio dell'altro ragazzo, si blocca impaurito.

Un piccolo vento gelido si alza, e gli ferisce la faccia, come se fosse una tempesta di neve, mentre le lingue di oscurità intorno al braccio di Robin iniziano a vorticare intorno a lui, sommergendolo poi completamente, e solo in quel momento Joshua si rende conto che quella cosa non sono altro che milioni e milioni di vermi neri che si muovono velocemente creando quel movimento.

Non riesce più a vederlo.

Un istante dopo la massa nera si distacca lentamente dal corpo del giovane e inizia a formarsi una figura oscura accogliendo al suo interno tutta l'oscurità possibile, e i vermi che lo compongono continuano a muoversi con l'intento di creare una forma stabile. Gli viene da vomitare.

Joshua vede la figura tramutarsi in una sagoma umana fatta solo di ombre e, quando questa sembra ormai completa, Robin cade a terra su un lato, con un tonfo tanto forte che lo fa sussultare per la paura.

«Robin!» Fa per avvicinarsi, ma la figura nera lo blocca parandosi di fronte a lui con una velocità che non ha mai visto prima.

I suoi occhi sono due scintille bianche, le sue mani, ora alzate sulla sua testa, sono tentacoli che colano pece.

«Non così in fretta, Joshua!», dice la figura, e Joshua riconoscerebbe quella voce persino nel caos di una città affollata.

«Morgen», mormora, e sul volto senza espressione del demone si apre un sorriso malvagio e soddisfatto.

«E infine eccoci qui», risponde Morgen e, solo ora, Joshua si rende conto che è bloccato, incapace di muoversi, persino incapace di respirare. Ha il cuore che gli batte sotto al palato, una paura folle di morire e che mai avrebbe pensato di provare e, più di tutto, terrorizzato all'idea che Robin sia già morto, e l'unica cosa che riesce a pensare è che sia successo tutto per colpa sua.

«Che cosa... che cosa gli hai fatto?», chiede, e gli occhi si posano sulla sagoma immobile di Robin, steso a terra, di cui riesce a vedere solo la schiena.

«Niente di niente! Ha fatto tutto da solo. È stata una vera sorpresa trovare lui, invece che te. Ero convinto che, dopo la chiacchierata con la medium e la visita a casa del tuo amichetto, non avresti perso tempo a venire e invece...»

«È venuto qui di sua iniziativa?»

«Non ho forzato nessuno, se è quello che credi. Anche volendo, chiuso in quello specchio, non avrei potuto fare di più, no? Quando è arrivato qui, così vicino a me, l'ho persuaso a togliere quel lenzuolo. Sai, da dentro non potevo, gli stupidi guardiani continuano a tenermi chiuso lì dentro ma, se vengo liberato da fuori, tutto cambia.» Morgen rivolge un fugace sguardo a Robin e poi torna a guardare Joshua. «Gli devo molto. Tu non saresti stato così facile da persuadere, in effetti», dice.

«Che cosa gli hai detto?»

«Che se non avesse fatto quello che dicevo ti avrei ucciso. Non serve inventarsi chissà che e, il tuo fidanzato, ha scelto di non scherzare col fuoco. Pur non sapendo niente di me ha scelto comunque di non rischiare. Non posso che rispettarlo e rispiarmiarlo, almeno per ora. Ha fatto il suo dovere, ed è stato così facile! Sai cosa non hai fatto tu, invece, Joshua? Quello che ti ho chiesto di fare! Hai voluto giocare al detective, trovare risposte a domande che non ti riguardano, quando il tuo unico obiettivo era scoprire come lei» Morgen alza un braccio verso la porta dello sgabuzzino e schiocca le dita; Janine compare accanto a lui, con il libro accanto a sé e il demone lo prende immediatamente tra le mani. «È riuscita a infilare la sua anima qui dentro!», continua, e Joshua riesce a girare gli occhi verso Janine, che ricambia, terrorizzata, immobile come lui, poggiata a terra con un cumulo di lenzuola sgualcite, priva di forze. la vede guardare in direzione di Robin e spalancare gli occhi, sconvolta. La vede abbassare lo sguardo, mortificata.

Come se fosse colpa sua.

No, non lo è! Se c'è qualcuno che ha delle colpe quello è lui. Avrebbe dovuto affrontare quel compito da solo, senza coinvolgere nessuno. Non sarebbe dovuto andare a casa di Maria, quel giorno, e lasciarsi coinvolgere in quella storia. Avrebbe dovuto continuare a vivere quella vita triste e schiacciata da quel dono, ma almeno ora sarebbero tutti al sicuro.

«Non ricorda niente», risponde, tentando di giustificare il fatto che non ha scoperto quello che gli ha chiesto. «E solo lei sa come è accaduto.»

«Joshua, che succede? Robin...», inizia Janine, ma Morgen la zittisce fronteggiandola.

«Dunque è vero che non ricordi nulla. Non ricordi come sei morta? Il perché? Non ricordi lo specchio, la biblioteca ma, soprattutto, non ti ricordi di me?», chiede e lei, guardandolo confusa, scuote debolmente la testa in un diniego, ma i suoi occhi sembrano sprofondare da qualche parte. Forse nei ricordi? Forse in un tentativo goffo di ricordare per difendersi?

Morgen resta in silenzio per qualche secondo, poi reclina la testa all'indietro e scoppia in una fragorosa e distorta risata senza entusiasmo; i vermi che compongono il suo viso creano un ghigno malefico che a stento Joshua riesce a sopportare alla vista.

«L'hai uccisa tu?», chiede Joshua, e Morgen blocca la sua risata e lo guarda.

«Non esattamente ma... dato che lei non ricorda niente, ci penso io a rispolverarle la memoria e, visto che cercavi delle risposte, farò in modo che possa vederlo anche tu.»

«Che intendi dire?», domanda, prima di sentire una forza invisibile premergli le spalle e sbatterlo a terra con forza. Si ritrova sdraiato contro la sua volontà – Janine accanto a lui, che si guarda intorno, confusa.

Morgen li sovrasta, fluttuando sulle loro teste, in una nube oscura che sputa lingue nere come una nuvola carica di fulmini e pioggia. Passa una mano davanti ai loro visi e, l'ultima cosa che Joshua può vedere, è il suo ghigno inquietante.

«Buonanotte, Joshua. Ci vediamo nel passato!» 


Fine

Ci vediamo nel volume due ♥


[Questo Capitolo partecipa al COWT13 (M2) Indetto da Lande di Fandom con il prompt "Vermi"]

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