Capitolo XVI

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Capitolo XVI

ՑՑՑ


     C'è qualcosa, nella sicurezza che Robin ha mostrato prima di varcare la soglia di quella biblioteca, che ha colpito Joshua nel profondo.

   Il suo coraggio, più di ogni altra cosa; una componente che non credeva nemmeno gli appartenesse, e invece...

   Joshua cerca di raccontare a se stesso che, se il figlio della signora Soria ci riesce, pur vedendo i morti da così poco, è solo perché è abbastanza adulto da poter quasi accettare quel destino e, dunque, agisce, non resta arpionato di fronte a un muro di protezione – Joshua si racconta anche che è avvantaggiato dal fatto che sua madre gli ha insegnato, anche solo involontariamente, a non vedere quel fatto in maniera del tutto negativa. Pure se Joshua lo sa, che il rapporto tra Robin e Maria non è dei migliori. Sono tutte bugie che cerca di appiccicarsi nella sua testa, come se fossero carta da parati pronta a nascondere la verità dei fatti, ovvero che l'altro ragazzo è più propenso al cambiamento, e lui invece è quello che resta sempre dov'è. Che se infila una variante nella sua vita, è solo per fare qualcosa, non per altro. Non studia perché vuole diventare un chimico, ma è una materia che gli riesce facile, dunque ha scelto il percorso universitario che meno lo mette sotto pressione. Non lavora perché ha chissà quali intenzioni future – tipo vivere da solo e sostenersi, comprare quello che vuole. Lo fa solo perché quelle azioni gli danno una parvenza di normalità – ma cos'è, davvero, la normalità, specie se non ti senti comunque tale?

   È una domanda che ha iniziato ad attanagliarlo da quando Robin è entrato nella sua vita e, sebbene non voglia ammetterlo, è quasi invidioso di come stia riuscendo a gestire quella situazione; di come sia in grado di prendere decisioni, magari a volte anche assurde o sbagliate, ma per lo meno lo fa. Si butta. Si mette in gioco.

   Se sbaglia fa' niente, ne proverà un'altra. Chi se ne frega.

   Lui no. Sta fermo e vede gli altri andare avanti, cercare di diventare quello che hanno sempre sognato. Ma Joshua cosa sogna, in verità? Ha sempre spostato quella domanda a un dopo che non sa collocare nella linea temporale che gli appartiene. Il suo dopo è rappresentato dalla perdita del dono e dunque la speranza di non vivere più con quel fardello? Eppure con Janine è riuscito quasi a scendere a patti con quella stranezza che fa di lui ciò che è. Un passo avanti gigantesco, che però forse non lo è abbastanza da mettere in dubbio le sue reali priorità, quelle vere, autentiche, che fanno parte della vita di tutti i giorni.

   Joshua non ha niente di niente tra le mani, a parte la voglia di ricominciare e, se avesse scelto di farlo prima, quando il dono era qualcosa di molto più lontano – estraneo, e solo per sua volontà, forse ora non sarebbe in questa situazione di stallo.

   Si sente piccolo come una formica in mezzo a una Londra troppo caotica.

   Hanno imboccato Midland Road, e già si vedono imponenti la stazione di King's Cross e, più vicina, la British Library, di certo meno squallida e curata della Cat & Mouse. Joshua vede chiaramente Janine rapita da quella visione, come se fosse un sogno ad occhi aperti. In verità ogni cosa che si sofferma a guardare lo sembra. Dalle strade, ai negozi, fino ai mezzi di trasporto – poco fa ha indicato un autobus rosso a due piani, con il sorriso genuino di una ragazzina che lo vede per la prima volta dal vivo, e poi... e poi la gente.

   «So che non possono vedermi, ma è bello incontrare tanti volti nuovi», ammette ad alta voce, e a Joshua scappa una risata, prima di lanciare uno sguardo verso Robin, che gli restituisce un'occhiata complice e quasi intenerita, sebbene stia cercando di nasconderlo dietro un volto un po' tirato. Il solito personaggio cool che gli riesce sempre malissimo.

   Janine cammina in mezzo, tra di loro. È più attaccata a Robin, e Joshua sa il perché: è lui che tiene il libro nello zaino; è lui che ha in mano il ricettacolo che le permette di camminare per le vie di Londra senza restare per forza bloccata in un unico punto. Robin, in questo momento, è come un guardiano che sorveglia l'oggetto più prezioso di tutti: una vita racchiusa in un libro, che Joshua vorrebbe solo studiare, per capire come è successo. Come c'è riuscita, se è davvero stata lei ma, più di tutto, vuole scoprire il perché, sebbene Morgen non gli abbia chiesto un'informazione del genere.

   Eppure sente una sorta di leggerezza, ora che la bibliotecaria è libera dalle quattro mura che l'hanno tenuta prigioniera per troppo tempo. Chissà quanto, a dire il vero. Forse quella è la domanda che lo attanaglia più di ogni altra.

   «Facciamo un giro, vediamo se ti viene in mente qualcosa. Non devi per forza ricordare tutto oggi», le dice Robin, e lei annuisce sorridente, senza guardarlo. La sua attenzione è tutta concentrata sulla British Library, e si sono automaticamente fermati di fronte all'ingresso.

   Una sorta di grossa piazza costruita con gli stessi mattoni rossi dell'edificio, li accoglie appena varcata la soglia. Il verde, a differenza di molti altri luoghi tipicamente londinesi, non la contraddistingue, ma questa mancanza non le toglie il fascino quasi solenne che emana, sembrando quasi antichissima, quando ha una cinquantina d'anni. L'architettura particolare la rende unica nel suo genere, e Joshua non si è mai soffermato a guardarla sul serio – non come sta facendo ora Janine, siccome ci è passato davanti milioni di volte per andare alla stazione o, a volte, l'ha scelta come luogo di studio, grazie anche al bar interno e all'atmosfera solenne che si avverte una volta varcata la soglia, quasi indistruttibile.

   Al centro della piazza che fa da ingresso, ad accoglierli, c'è la statua di Isaac Newton, piegato su se stesso con in mano un compasso, troppo impegnato con i suoi studi per accorgersi di cosa gli succede attorno. O almeno questa è la sensazione che Joshua sente.

   «Sembra un posto gigantesco», commenta Janine.

   «Lo è. La parte più bella è lo shop interno che vende articoli a tema. Penso che ti piacerebbe», risponde Joshua e si sente quasi un padre che sta portando la figlia in giro per una città straniera per la prima volta – Londra sembra tutt'altro che il posto in cui è nato, ora come ora. Sembra così estranea o, forse, l'ha solo vissuta passivamente fino ad ora, e l'entusiasmo della ragazza è in qualche modo la causa di quel cambiamento di percezione.

   «Ci venite spesso, voi?»

   «Io ci sono stato un paio di volte», ammette Robin, alzando le spalle.

   «Io vengo a studiare qui ogni tanto, quando ho qualche esame da sostenere all'università.»

   «Tu vai all'università?», chiede Janine, quasi stupita da quel fatto e Joshua si chiede se non sia così vecchia da ricordare inconsciamente un periodo storico dove studiare non era poi così scontato. Si appunta mentalmente di controllare la data riportata sull'edizione del Piccolo Principe per capire se può essere un indizio che può indicare loro almeno un arco di tempo dove soffermarsi per le loro ricerche.

   «Sì», risponde semplicemente, con un'alzata di spalle.

   Janine apre la bocca stupita – e anche Robin sembra fare lo stesso, per una frazione di secondo. Joshua sente i loro occhi troppo addosso, così abbassa i suoi.

   «Wow, e cosa studi?», chiede la ragazza, e lui si gratta la testa imbarazzato. Non gli è mai piaciuto particolarmente parlare di sé, e gli sembra solo di sprecare tempo dietro a delle sciocchezze, ma lei è talmente genuina che gli fa quasi venire voglia di dirle tutto.

   «Ingegneria chimica», risponde, «Ma sono attualmente al primo anno, nulla di che.»

   Robin lo squadra da capo a piedi, annuendo in un gesto di approvazione. «Accidenti, Joshua. Sei tipo un genio o cosa?»

   «Credo siano finiti i tempi in cui chi fa una materia del genere viene per forza associato ad un genio e... non mi sento esattamente un asso, ecco.»

   «Fantastico, chissà se anche io ho studiato qualcosa all'università quando ero viva!», esclama Janine, poi si volta verso Robin. «E tu? Anche tu studi?»

   «Sì, ma sono al mio ultimo anno di liceo. Se tutto va bene quest'anno, forse, la scampo.»

   «In che senso?»

   Robin sospira e alza le mani. «Diciamo che, a differenza di Joshua, non sono proprio una cima. Vado avanti solo perché i miei mi pagano una retta stratosferica, credo. In una scuola normale non sarei andato tanto lontano, mi sa», dice, e non sembra per nulla imbarazzato da quel fatto, piuttosto divertito e Joshua, vedendolo così, non riesce a trattenere uno sbuffo divertito.

   Ci sono tante cose di Robin che non conosce e, da quando ha saputo che ama giocare a D&D, lo ha immaginato come una specie di nerd a cui piace pure studiare. Eppure deve rivedere completamente le sue deduzioni sul suo conto.

   Sarebbe molto semplice instaurare una conversazione con lui visto che si è mostrato spesso propenso alla comunicazione colloquiale, eppure Joshua ha una sorta di blocco, quando si parla di lui. Forse perché è il figlio della signora Soria, forse perché in qualche modo lo ha messo in mezzo a una storia in cui nemmeno lui vorrebbe far parte...

   «Magari ero così anche io», prova Janine e Robin ride.

   «Non ci credo, sei troppo un topo di biblioteca per essere una che non ama studiare.»

   «Beh, non ho avuto di meglio da fare nel corso del tempo che ho passato da sola in quella biblioteca. Leggere era l'unico modo per non impazzire di noia», risponde lei, con un sospiro, e i suoi occhi si abbassano, tornando probabilmente a quei momenti di solitudine che ha dovuto riempire come poteva.

   «Quanto tempo pensi di aver passato lì dentro?», le chiede e lei scuote la testa, senza alzare lo sguardo.

   «Non lo so. Non so quantificare i minuti – le ore, che ho passato lì dentro. Possono essere anni, come secoli, chissà. So solo che sembravano non finire mai», risponde, poi si volta verso la biblioteca e la indica. «Mi sembra familiare, comunque», prosegue, anche se è palesemente un modo per cambiare argomento. «Forse ci sono stata da viva, chi lo sa.»

   «Io ho una teoria: se eri in una libreria qualcosa deve pur significare, no? Magari eri una studentessa, e quindi qui ci sei venuta per forza.», chiede Robin, rivolgendosi a Joshua, e alza gli occhi al cielo, pensieroso.

   «È una biblioteca, alla fine, ma la peculiarità di questa in particolare è lo stile architettonico che, sono sincero, è ciò che la differenzia da tutte le altre. Almeno qui a Londra.»

   «Quindi possiamo dire che se le è familiare, magari ci ha passato del tempo?», domanda ancora l'altro ragazzo, e Joshua annuisce, trovando quella domanda abbastanza pertinente per gli standard di Robin, che batte le mani, come se avesse appena trovato il santo Graal.

   «Possiamo dirlo, sì.» Joshua quasi si sorprende di se stesso per non aver smontato l'ennesima teoria dell'altro ragazzo che, soddisfatto, si rivolge a Janine.

   «Che ne pensi?»

   «Non saprei. Mi è familiare, è vero, ma non così tanto da poter affermare che ci sono stata.»

   «È un passo. Possiamo entrare, se vuoi», continua Robin e, senza aspettare nessuna risposta, volta loro le spalle e si prepara a scendere la scalinata che li porterà all'entrata dell'edificio. Janine, saltellando sul posto presa alla sprovvista, lo segue senza pensarci due volte, troppo legata a lui per via del libro. Visibilmente impaurita all'idea che, allontanandosi troppo dal portatore del ricettacolo, possa succederle qualcosa.

   Joshua non può biasimarla ma, dentro di sé, sente che sarà una lunga ricerca che, con molta probabilità, non porterà a nulla.


ՑՑՑ


   Quando entrano all'interno della biblioteca, gli occhi di Janine sembrano due fari in mezzo ad un mare nero. Se non fosse un fantasma, probabilmente, la sua camminata lenta ed elegante sarebbe accompagnata dal lieve suono dei tacchi contro il pavimento di marmo. Si guarda intorno, estasiata e Joshua, di riflesso, fa lo stesso.

   C'è una cosa della British Library che lo ha sempre affascinato, ed è il connubio tra il moderno e l'antico; tutto intorno, l'ambiente, ha un'aria fresca e giovane; anche l'arredamento è minimalista e contraddistinto da colori chiari; è il centro stesso della struttura, invece, a mantenere un certo tono solenne, con il suo pilastro di libri antichi racchiusi con cura in una teca di vetro altissima.

   «Qualche ricordo?», chiede Joshua, avvicinandosi a Janine, e lei per un attimo sembra non averlo nemmeno ascoltato, mentre il suo sguardo è fisso al piano di sopra.

    «Possibile che io ricordi una stanza verde? Ho un vago ricordo... lontanissimo», dice, a bassa voce.

   «Se intendi una stanza con il pavimento verde, allora sì. Nei piani superiori ci sono gli archivi, che sono accessibili solo se hai un permesso speciale e sono, infatti, arredate con una moquette verde», risponde Robin, e lei socchiude gli occhi, forse nel tentativo di ricordare.

   «Sì. Ricordo una cosa del genere. Mobili marroni, sedie imbottite...»

   «Confermo, si tratta degli archivi storici. Ci sono intere sezioni dedicate ai manoscritti antichi. Forse studiavi qualcosa del genere?», chiede Joshua, e lei sembra perdere quell'alone di ricordi, che le sfugge improvvisamente dagli occhi.

    «Non lo so... so solo che mi ricordo una stanza così, ma potrei averla vista nei libri che ho letto milioni e milioni di volte.»

   «Probabile, ma non impossibile. Perché non provi ad immaginartici dentro?», chiede Robin e lei annuisce. Chiude gli occhi e incrocia le mani sotto al ventre. Incrocia anche i piedi, e sembra ancora più piccola di quanto non sia.

   «Una scrivania... poi c'è una lampada accesa su un foglio di carta.» Alza un braccio verso il nulla, poi lo abbassa a mezz'aria e mima il gesto di scrivere qualcosa. «No, è un libro; sembra così vecchio...», sospira, stringe gli occhi, scuote la testa quasi come se volesse scacciare un ricordo, poi si blocca ancora, «Ci sono dei disegni in bianco e nero e... la luce della lampada sfarfalla per un attimo.» Janine si volta. Un dito alzato a mezz'aria – l'indice, ma non è teso. È rilassato. I suoi occhi chiusi sono rivolti verso l'uscita, ma nella sua testa, forse, sta guardando alle sue spalle, all'interno della stanza verde. «Mi volto, ma non c'è nessuno. Torno a guardare il tomo e poi una mano si posa all'improvviso sulla mia spalla e... ah!», esclama, e si ritrae, impaurita. Si porta le mani al petto, e stringe il polso sinistro con la mano destra, come se si fosse appena fatta male. Apre gli occhi di scatto, con le spalle in posizione di difesa, alzate come se fosse pronta ad affrontare il peggiore dei nemici.

   Joshua si china verso di lei, preoccupato. «Che succede?»

   «Nulla», risponde lei, lapidaria, ma la voce le muore quasi in gola. Si volta e lo sguardo torna a fissarsi verso il piano di sopra, e il suo viso è cupo. «Andiamo via», continua, e si gira di nuovo.

   «Co- no! In che senso andiamo via? Janine, stavi per...» Robin cerca di fermarla, ma lei non sembra intenzionata a restare lì un minuto di più. Si volta solo un secondo a guardarli, e il suo sguardo è fosco; per la prima volta somiglia terribilmente a tutti gli altri morti che Joshua ha visto in vita sua. Sente dentro un senso di angoscia, e fa istintivamente un passo indietro, mentre invece Robin ne fa uno avanti.

   «Voglio andare via. Non so perché, ma voglio andare via. Per favore.» La supplica di Janine si spegne in un nodo alla gola e, di nuovo, torna la ragazza di sempre, dai tratti dolci e quasi disillusi.

   Joshua e Robin si guardano in silenzio, poi annuiscono.

   Joshua sa che l'altro ha già pensato che, quella reazione, ha almeno portato a qualcosa. Che un passo avanti, anche se minuscolo, lo hanno fatto. Sanno che la British Library ha avuto un ruolo nella vita di Janine e, forse, è stato importante.

   Lui, invece, pensa che sia l'ennesimo buco nell'acqua e che, in qualche modo, Janine stia mentendo e che, forse, ha ricordato qualcosa che ha troppa paura di rivelare.

   Esattamente quello che prova lui, quando sa di non poter parlare a nessuno di Morgen.

   Si incamminano così verso l'uscita, fianco a fianco, mentre la bibliotecaria è qualche passo davanti a loro, e sembra per nulla intenzionata a voltarsi. Joshua sospira, incassando quel colpo: l'ennesimo buco nell'acqua.

   Robin, invece, sorride e gli rivolge uno sguardo fin troppo ottimista per credere che abbia davvero visto qualcosa di buono in quello che è appena successo. Gli chiede tacitamente cosa accidenti lo diverta così tanto.

   «Lo so che cosa stai pensando: che non siamo arrivati a nessun punto. Invece no, qualcosa la sappiamo, ora.»

   «E sarebbe?», chiede lui, scettico e Robin non abbandona quell'espressione vittoriosa che, per un attimo, gli dà quasi fastidio.

   «Si è ricordata della biblioteca, no? Beh, quanti anni avrà? Venticinque? Trenta?»

   «Non saprei dire. Sì, forse venticinque anni?», gli concede Joshua, e Robin gli posa una mano sulla spalla, mentre lasciano la biblioteca e si ritrovano di nuovo all'esterno.

   «Dunque abbiamo una linea temporale, ora, no? Abbiamo una sorta di blocco dove Janine è esistita, giusto?»

   «Non ti sto seguendo, Robin.»

   L'altro ragazzo sospira e, posandogli una mano sulla spalla, si ferma e Joshua lo imita.

   «La British Library è stata aperta nel 1973. Dunque abbiamo un margine di tempo che va dai giorni nostri indietro fino a quel periodo. Dopotutto deve averla frequentata da viva, dico bene?»

   Joshua alza le sopracciglia, preso alla sprovvista da quell'informazione e, lanciando prima uno sguardo veloce a Janine che ora è ferma immobile a guardare il cielo, visibilmente turbata, si rivolge poi di nuovo a Robin, con una vena minuscola di ottimismo che lo fa sentire quasi padrone di una speranza.

   «Ha senso», risponde, semplicemente.

   «Lo so. Magari non è molto, ma sappiamo che è stata qui, che è successo qualcosa e che non può essere morta prima del 1973. È qualcosa.»

   «Già, è qualcosa. Hai qualche idea per scoprire di più?»

   Robin alza le spalle, come se fosse ovvio. «Andiamo da padre Richard, no?»

Fine Capitolo XVI 


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