Capitolo XVII

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Capitolo XVII

ՑՑՑ


                    Stavolta, l'incontro con padre Richard, si svolge nella sua piccola e modesta chiesetta, St. Patrick. Non è un'idea che entusiasma particolarmente Joshua, quella di varcare la soglia di un luogo sacro ma, a dire il vero, stavolta non è colpa delle sue idee religiose, ma del sogno che Morgen gli ha indotto quella volta in cui lo ha portato a quel matrimonio. Qualcosa a cui non riesce a smettere di pensare e che lo perseguita come un serpente che, lentamente, si stringe intorno alla sua gola.

Si porta una mano al collo, quando entrano dentro, con un senso di soffocamento che un po' lo fa sentire fuori luogo. Si guarda intorno: i quadri appesi ai lati delle navate laterali sono giusto una manciata; non hanno i volti cancellati col sangue e sono diversi da quelli che ricorda. Persino l'architettura della chiesa stessa è strutturata diversamente e questo, in qualche modo, lo conforta, anche se non del tutto.

«Ehi», lo chiama piano Janine, affacciandosi da dietro le sue spalle, con le mani dietro la schiena. La sua voce, paradossalmente, riecheggia nella chiesa come se fosse reale e questo la fa sembrare quasi ancora viva.

Lui si volta a guardarla e toglie immediatamente la mano dal collo, come se non volesse darle motivo di preoccuparsi per lui, e cerca di sorridere.

«Ehi.»

«Stai bene? Mi sembri turbato», dice lei, e Joshua annuisce immediatamente; sorride, ma non è un sorriso falso, è solo legato a qualcos'altro. Al fatto che, dopo la visita in biblioteca, Janine è rimasta in silenzio per tutto il tempo, senza mai dire una sola parola, né sull'accaduto né su qualunque altra cosa. Una cosa strana, vista la parlantina della ragazza.

«Sto bene. Le chiese mi mettono a disagio. Tu? Stai meglio?»

«Stai chiedendo ad un fantasma se sta bene?», ridacchia lei.

Lui sbuffa divertito, mentre Robin, poco più avanti di loro, si avvicina a una porta con sopra scritto, su un foglio A4, Sacrestia. «Magari non puoi provare dolore fisico, ma mi sei sembrata un po' spenta.»

«Ero confusa», ammette solo, poi abbassa lo sguardo. «Lo sono ancora. Non so cosa ho visto, in quella biblioteca. So solo che mi ha spaventata.»

«Non hai motivo di forzarti a ricordare. Già che si sia smosso qualcosa, è un grande passo, no?», cerca di rassicurarla, anche se sa benissimo di non essere la persona giusta, quando si tratta di confortare qualcuno. Quel ruolo preferisce lasciarlo a Robin.

Lei annuisce, ma si morde il labbro inferiore e continua a non guardarlo. «Immagino di sì ma... se è qualcosa di così brutto, perché non lo ricordo?»

«Non saprei, forse è un meccanismo di difesa. Di solito tendiamo a dimenticare le cose che ci fanno del male, no?»

«Certo, e ha senso, ma io... io non ricordo niente, solo un nome, nient'altro. Non so chi sono, o meglio, non so chi ero. Dove devo cominciare a guardare, per capirci qualcosa?», chiede lei, e Joshua si accorge di aver raggiunto Robin, quando sente la sua voce intervenire in quel discorso.

«È per questo che siamo qui», dice, poi bussa alla porta a vetri e, poco dopo, una figura nera si intravede attraverso di essa. Quando la maniglia si muove e la porta si apre, padre Richard fa capolino con addosso una camicia nera e un cardigan grigio topo; è così alto che tutti e tre alzano lo sguardo.

Il prete sorride. «Oh, ma guardate un po' chi si vede!»

«Ti ho mandato un messaggio, don! Sapevi che saremmo venuti», replica Robin.

Padre Richard ride e, senza aggiungere altro, apre di più la porta e li lascia entrare. Si ritrovano in mezzo ad un lunghissimo corridoio pieno zeppo di porte, ma ne imboccano una in fondo, su cui è inchiodata una croce di legno, con sopra Gesù fatto d'argento. Padre Richard li fa accomodare su delle sedie, perché a quanto pare si tratta del suo studio privato. Dietro alla scrivania che campeggia in fondo alla stanza c'è una libreria gigantesca, che ha gli stessi toni sbiaditi dei mobili di nonna Agnes; c'è un leggero odore di muffa, che deve venire dai vecchissimi tomi ben ordinati nella libreria, di certo manuale di teologia e chissà che altra diavoleria cattolica.

Il prete si siede sulla sua poltrona di pelle marrone e, accavallando le gambe e incrociando le mani tra loro, li invita a sedersi con un colpo di mento.

Joshua guarda Robin, che non ricambia, ma si siede immediatamente. Lui, invece, resta in piedi accanto a Janine, come se questo potesse in qualche modo renderla partecipe di una conversazione che non ha idea di dove andrà a parare.

«Padre, non siamo soli, stavolta. Abbiamo portato...», inizia a dire Robin, ma si blocca quando padre Richard alza le sopracciglia stupito, avendo probabilmente già capito a chi si stia riferendo.

«Lo spirito... è qui?», chiede, e comincia a guardarsi intorno, con le mani strette intorno ai braccioli della sua poltrona, ora visibilmente elettrizzato all'idea che un fantasma sia lì davanti a lui, e sembra quasi invidioso di non poterlo vedere.

Joshua fa un passo avanti, non prima di aver lanciato uno sguardo rassicurante a Janine che, però, non sembra aver sortito alcun effetto; lei gli restituisce due occhi confusi, con le mani strette al petto, nervosa.

«È qui, sì, ma non può vederla, padre. Per questo faremo noi da tramite per lei, ma ci serve il suo aiuto.»

«Come posso aiutarvi, dunque? Volete che provi a benedire il suo spirito?», chiede l'uomo e Joshua guarda di sfuggita un fermacarte d'argento che gli restituisce la sua immagine; trasale perdendo un paio di battiti al cuore, quando vede l'ombra di Morgen dietro di sé e, senza pensarci, sbatte le mani contro la scrivania.

«No! No... no, no, non ancora. Non è ancora il momento, perché non sa chi è! Prima di lasciarla andare dobbiamo scoprire qualcosa su di lei. Robin, non so per quale motivo, pensa che lei possa aiutarci», dice, e sembra quasi un attacco, ma l'immagine di Morgen gli ha ricordato perché stanno facendo quelle indagini. La presenza di Morgen gli ha ricordato che lui è vittima di un'altra maledizione che può spezzare solo scoprendo come Janine è riuscita a rinchiudere la propria anima in quel libro e, Joshua lo sa, non può farlo da solo.

«Ehi, Joshua, calmati», gli dice Robin, seduto ancora sulla sua sedia, quasi troppo rilassato per i suoi gusti, ma Joshua lo sa che è non è così; Robin si sta comportando normalmente, è lui quello che sta esagerando perché non ha più niente sotto controllo, e questo lo spaventa più di ogni altra cosa.

«Sono... sono calmo», risponde, e incanala aria nei polmoni, e la espelle lentamente, cercando di rilassarsi, ma è un pezzo di roccia fatto di nervi scoperti e terrore. Cerca con tutto se stesso di non guardare quel diamine di fermacarte d'argento, ma è come se la voce di Morgen, in lontananza, gli stesse dicendo che non c'è più tempo e che è sempre più deluso dal fatto che non abbia fatto nemmeno un passo avanti, per quanto Robin si ostini a dire che è invece lo hanno fatto eccome.

«Pensavo semplicemente che potessi aiutarci a unire qualche punto. Siamo stati alla British Library e Janine ha visto qualcosa. Ha avuto una specie di visione, e questo potrebbe aiutarci in qualche modo, no?»

Padre Richard annuisce, e fa scorrere gli occhi intorno alla stanza, come a cercare gli occhi dello spirito che gli hanno portato a conoscere e, per velocizzare le cose, Joshua gli indica Janine, tornando ad affiancarsi a lei.

«È lì?»

«Sì», conferma Joshua, e Janine saluta il prete alzando una mano, anche se lui non può vederla.

«Affascinante. Falla avvicinare!», continua l'uomo e, in un primo momento, lo spirito della ragazza rivolge uno sguardo interrogativo e insicuro verso Joshua e Robin, che annuiscono per incitarla a non restare lì, immobile, ma di andargli vicino.

Lei sembra deglutire una massa consistente d'aria, prima di fare qualche passo e fermarsi poi accanto a padre Richard, che sussulta.

«Sente freddo?», chiede Joshua, e l'uomo non dice niente, annuisce solo nella sua direzione. I suoi occhi neri sono sempre stati privi di scetticismo, ma stavolta sembra molto più sicuro di ciò che gli hanno raccontato. Come se, quel freddo, fosse la prova schiacciante che il mondo dei morti può davvero fondersi con quello dei vivi.

Padre Richard guarda verso la sua sinistra, dove Janine si è fermata, immobile, ancora con le mani strette al petto e, per un attimo, a Joshua sembra quasi che possa vederla, siccome la guarda.

«Puoi raccontarmi cosa hai visto?», chiede, e lei si ritrae per un attimo, come se il fatto che gli si stia rivolgendo fosse una specie di crimine, o un peccato. Joshua cerca di mettersi nei suoi panni: è passata dal non vedere nessuno, fino ad aver incontrato tre persone nel corso di pochi giorni, tra cui un prete che non ha il dono, ma che ha a che fare con la morte, in qualche modo, anche lui, a volte.

Janine annuisce e padre Richard resta solo in silenzio, poi guarda Robin.

«Dice di sì. Abbiamo provato a farle scrivere qualcosa, durante il tragitto dalla British Library a qui e, sebbene con un po' di fatica, ci riesce.»

«Allora faremo così», comincia il prete, poi apre un cassetto della sua scrivania e ne tira fuori una risma di fogli, che posa sulla scrivania; poi prende una penna particolarmente elegante, a Joshua è sembrato di vedere il suo nome scritto sopra.

Come le penne che aveva suo nonno quando esercitava e gliele regalava per fargli fare pubblicità a scuola. Abbassa lo sguardo per un attimo, e gli sfugge un sorriso a quel ricordo, che cerca subito di ributtare giù, nell'antro oscuro delle sue memorie più antiche.

Non vuole che Morgen veda anche quella parte così vulnerabile.

Padre Richard si alza in piedi e lascia il posto a Janine. Sussulta quando la sedia si muove e, a pensarci bene, si è mossa senza nessuno sopra, per lui.

«Te la senti, Janine?», chiede Joshua, e finalmente si siede anche lui accanto a Robin.

«Sarà molto lungo e faticoso, ma devo farlo», dice, e non alza gli occhi dai fogli. Tiene la penna con forza, a volte le scappa dalle mani, ma non sembra per nulla intenzionata a fermarsi. Ogni parola sembra dolorosa come un parto, ma restano tutti in religioso silenzio, a parte padre Richard che, ogni tanto, nel vedere quelle lettere comparire sul foglio quasi come per magia, si lascia sfuggire qualche «Pazzesco», o «Incredibile».

Restano così per un tempo infinito, finché la ragazza, visibilmente provata da quello sforzo, lascia la penna come si getterebbero le armi durante una resa. Il suono che l'oggetto produce contro la scrivania li risveglia tutti e, sussultando, la guardano.

«Posso?», chiede padre Richard, e lei annuisce.

«Ha detto di sì. Avremmo potuto fare da tramite, comunque, ripetendo quello che avrebbe detto a voce», fa notare Robin, ma Janine scuote la testa, nervosamente.

«Non so se sarei riuscita a dirlo a voce, Robin.»
«E forse è meglio che resti per iscritto, nel caso ci serva fare il punto per le indagini», interviene Joshua, ma l'attenzione si sposta ancora, e le parole non hanno più senso, perché gli occhi di padre Richard che si spalancano sempre di più, durante la lettura, sono l'unico elemento su cui focalizzarsi ora.

«Parli di un'ombra nera. Chi era? Non dici niente a riguardo, qui», chiede, improvvisamente.

«Non lo so. Non ricordo, so solo che ero lì e che questa presenza era costantemente alle mie spalle. E, ogni volta che mi giravo per cercarla, questa non c'era.» Janine sembra turbata, e lo è quasi come poco fa, alla biblioteca. «L'episodio nella stanza verde è l'unico che ricordo.»

Joshua ripete ciò che ha detto, e padre Richard annuisce, pensieroso, tornando spesso a leggere quelle pagine scritte con una grafia tremolante, data dallo sforzo.

«E il libro che leggevi... era un libro sulla divinazione.»

«Esatto. O almeno così mi è sembrato. Durante la lettura dei miei libri nella biblioteca dove, beh... dove vivo attualmente, ne ho letto abbastanza da poter affermare che il tomo che stavo consultando era su quel genere e, in particolar modo, sugli specchi.»

Joshua sente le spalle irrigidirsi, a quella parola. Specchi. Gli specchi, i dannati oggetti riflettenti che gli stanno rendendo la vita difficile, che hanno dato inizio a un vero e proprio incubo a occhi aperti. Stringe i pugni contro le ginocchia e Robin lo guarda immediatamente.

I loro occhi si incrociano, ma Joshua distoglie immediatamente lo sguardo, prima che Morgen possa trovarlo di nuovo, attraverso l'occhiata ignara dell'altro.

«Specchi. Ci sono così tante cose da dire sugli specchi e il loro legame con i morti, che non basterebbe una settimana per capirci qualcosa.» Padre Richard sospira frustrato, ma non lascia andare quelle pagine e continua a consultarle.

«Perché gli specchi sono così importanti, per loro?», chiede Robin e dà voce a una domanda che Joshua si pone da giorni.

«"Tutto ciò che entra a far parte della tua Vita e che suscita in Te emozioni, sta rispecchiando una parte di Te che non vuoi vedere.", o almeno questo è quello che dice la legge dello specchio. L'universo ha continuo bisogno di comunicare con noi, attraverso emozioni e azioni; lo specchio riflette il mondo, ma non esattamente lo stesso in cui ci troviamo.»

«Di che mondo parla?», chiede Joshua, e si fa avanti con la schiena, e la sente scricchiolare come una vecchia porta. Padre Richard alza finalmente gli occhi e li punta sui suoi.

«Un mondo dove gli spiriti vagano, e dove forse comandano e rubano l'energia dalla nostra dimensione per potersi nutrire e vivere per sempre.»

«Una specie di Giardino dell'Eden?», chiede Robin.

«Una specie di Inferno, più che altro», risponde padre Richard e Joshua non sembra l'unico ad aver avuto un brivido lungo la schiena. Guarda automaticamente Janine, che si è zittita nel frattempo e osserva, quasi come se non fosse lì con loro, la penna ancora immobile sulla scrivania.

«Queste sono solo teorie, che potete trovare in qualsiasi libro che parli di specchi e di esoterismo. Non c'è prova che dentro uno specchio si nasconda davvero tutto questo ma, dopotutto, Joshua ci ricorderà che non c'è prova nemmeno dell'esistenza di Dio, eppure la gente ci crede, no?» Padre Richard lo dice con affetto, ma è chiaro che ha voluto mostrargli che, dopotutto, non può essere sempre tutto logico, c'è anche la possibilità che qualcosa che non può vedere in verità esista e che sia intorno a lui.

La cosa peggiore è che non può replicare, perché lui ha visto Morgen, nello specchio, e continua a vederlo, ed è la sua prova che, quella teoria strampalata alla D&D, ha dannatamente senso.

«Che cosa facciamo, allora?», chiede Robin, e spezza quel momento di tensione ricordando loro il vero motivo per cui si trovano lì. «Dobbiamo fare ricerche sugli specchi?»

«No, non ancora», dice Padre Richard, e posa finalmente i fogli sulla scrivania. Joshua li prende immediatamente tra le mani e si ripromette che li leggerà, stanotte, prima di dormire – quando sarà al sicuro da sé stesso e potrà pensare a Morgen e alla stravagante teoria che, quell'entità che ha avvertito Janine dietro di sé quel giorno alla biblioteca, fosse proprio lui.

Avrebbe senso, si dice, dopotutto lui vuole che scopra come è riuscita a legare la sua anima a quel libro. Dopotutto forse Morgen ha sempre saputo che, prima o poi, io avrei incontrato Janine e avrei avuto la possibilità di vederla.

«Dovete capire quando e dove è morta. E, soprattutto, il perché.»

«Abbiamo solo un nome, un ritratto e ora questa informazione della biblioteca, però.»

«Sì, è vero, ma avete anche un fantasma che infesta una biblioteca da chissà quanto, no?»

«Sì, ma in che modo questo...»

«Gli archivi dell'occulto. Consultate gli archivi delle testate giornalistiche sull'occulto e cercate qualcuno che parla di una biblioteca infestata», consiglia padre Richard e Joshua guarda Robin, cercando forse una spiegazione, ma il prete prosegue. «Esistono delle sezioni, negli archivi dei quotidiani, completamente snobbate da tutti, ritenute un mucchio di fandonie. Molte di queste lo sono di certo, come avvistamenti di alieni, o gente ancora viva dopo averla seppellita vent'anni fa ma... qualcosa di vero riuscirete e a trovarlo e, magari non è molto, ma una data sul quale cominciare non sarebbe male, no?», continua l'uomo e, sebbene tutta questa storia sia assurda, sembra l'unica cosa che, per ora, possono fare e una pista da seguire.

«Janine», la chiama Joshua, e lei alza lo sguardo, sussultando, come se l'avesse svegliata da una fase REM molto intensa. «Te la senti di darci una mano?»

«Sì», risponde lei, immediatamente, anche se ha l'aria stanca e provata, ma la determinazione non ha mai lasciato il suo sguardo. «Andiamo. Voglio sapere chi sono e come sono morta.»

«E, soprattutto, perché», aggiunge Robin, in tono assorto.

E, soprattutto, che legame hai con Morgen, Janine. Questa è la cosa che più mi preme sapere, ora come ora.

Fine Capitolo XVII

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