24.4

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«Non vedo l'ora di arrivare a casa e buttarmi a capofitto sul letto, non voglio nemmeno perder tempo a pranzare.» Mi lamento dopo una noiosa ed estenuante giornata scolastica.

«Come fai a dirlo? Io sto morendo di fame, cavolo.» Mi risponde Brianna mentre raggiungiamo la fermata dell'autobus.

Mostro la tessera di abbonamento al conducente e facendomi largo tra la gente mi dirigo verso il fondo dell'autobus con Brianna attaccata allo zaino.

Ho ancora lo sguardo fisso sui miei piedi quando fermandomi per aver trovato il punto meno affollato, noto Ben seduto.

Di fianco a lui i nostri amici, Rafael, Joseph e Angel.

Mi nota anche lui e sfoggiando un sorriso smagliante ci fa segno di avvicinarci e prendere posto accanto a lui.

Libera il posto che stava occupando, permettendo a Brianna di sedersi e stringendo la mia mano con la sua, mi avvicina al suo corpo per farmi accomodare tra le sue gambe.

Sfilo il giubbino perché qui dentro inizia a fare caldo, e Ben ne approfitta subito per far scorrere le sue mani sul mio ventre piatto, adesso privo di ostacoli.

Mi volto a guardarlo con la coda dell'occhio per pregarlo di fermarsi, oppure di non fermarsi affatto, e Dio...

Se i suoi occhi potessero parlare, sarebbero fuoco ardente.

E sto quasi per baciarlo quando delle risate alle nostre spalle bloccano ogni mio movimento.

«Eh cazzo ragazzi prendetevi una stanza, ci son bambine di fronte a voi, che son ancora piccole e potrebbero scandalizzarsi.» Scherza Rafael interrompendo il nostro momento.

«Ehi io non sono una bambina.» Si difende Brianna.

Sorrido inevitabilmente.

«Sei sempre il solito Rafael.» Dico, allontanandomi da Ben, e questa interruzione non deve esser affatto piaciuta al ragazzo imbronciato sotto le mie gambe perché lo sento borbottare un «appena scendo facciamo i conti.» con tono minaccioso all'orecchio di Rafael, che adesso ha perso il suo sorriso soddisfatto.

Ben era sceso alla sua fermata a Trapani, mentre io e Brianna eravamo tornate a casa a Locogrande.

Avevo appena finito di completare i compiti per domani seduta sul letto, dentro la mia camera, quando il telefono prese a squillare.

«Ceni a casa mia stasera? Alyssa e Duncan vorrebbero uscire insieme dopocena.» Chiede Ben non appena rispondo al telefono.

«Oh.» Blocco i miei movimenti sorpresa.

«Che c'è?» Dice, per studiare la mia reazione, e sono più che sicura che uno sguardo infastidito adesso aleggi sul suo volto.

«Non vorrei dar fastidio, magari a tuo padre.» Lascio la frase in sospeso.

«Mio padre non ha mai mangiato nessuno, e mia madre ti adora già. Dai Riley.» Scherza.

«Ok.» Accetto, pentendomi un attimo dopo dell'invito appena accettato.

Quella mattina il tempo sembrava non voler scorrere più, i secondi sembravano minuti ed minuti sembravano esser ore.

Con il morale sotto i piedi scendo giù in cucina.

Il pranzo come previsto era stato disastroso, col capo chino a spilucchiare ciò che avevo nel piatto, in silenzio, evitando lo sguardo di mio padre.

Sandy Cohen continuava ad evitarmi per la storia di Ben, accennando di tanto in tanto qualche parola in mia presenza.

Mia madre continuava a guardarmi con sguardo amorevole per migliorare il mio stato d'animo.

Nessun fiato, nessun sorriso allegro, di quelli che coinvolgo anche gli occhi.

Nulla, ed io sono troppo nervosa per quello che mi aspetta questa sera.

«Stasera non aspettatemi per cena, i genitori di Ben mi hanno invitata, mi riaccompagneranno loro a casa.» Ed è la prima frase, così lunga, che dico oggi.

Mio padre solleva il capo dal suo piatto, Seth sussulta beccato mentre lanciava una pallina di pane verso il cane seduto ai piedi del tavolo.

«Oh.» Soltanto una parola. «Ok tesoro.» Mia madre è l'unica a rispondermi.

E prima che mio padre possa anche solo pensare di dire qualcosa, con un cenno del capo mi alzo dal mio posto e raggiungo in fretta camera mia.

Sospiro, facendo scivolare la schiena sulla porta appena chiusa.

Credo di aver persino iniziato a sonnecchiare quando in lontananza il ronzio della vibrazione di un cellulare mi fa ridestare dal mio stato di confusione.

Scatto verso il cellulare, staccandomi dalla porta, la mia schiena chiede pietà, in sottofondo ancora la lieve melodia di una canzone, devo aver lasciato accesa la radio quando son scesa per pranzo.

«Pronto.» Gracchio.

«Riley, patata. Sto salendo a prendere il primo autobus, sei pronta te? Così non sei sola per strada e ti faccio compagnia, dato che son liberoOh Ben.

Sorrido.

«Oh, s-si pronta.» Balbetto.

«Riley,» Sussurra con tono di rimprovero. «Corri a prepararti, l'autobus è appena arrivato, sto salendo, un'ora e son da te.»

«Ti amo.» Sussurro dolcemente.

«Anch'io patata. Anch'io.» Sussurra anche lui, staccando la telefonata.

E mentirei se dicessi che il mio umore non è nettamente migliorato.

Corro a sistemarmi con un sorriso splendente sulle labbra.

Soffio un po' col fono i miei capelli per sistemarli, metto un filo di eyeliner per definire il taglio degli occhi e sono pronta.

Scendo giù per le scale quasi correndo, urlo un saluto a mia madre e sono fuori casa diretta alla fermata dell'autobus.

Lo intravedo tra i sedili dell'autobus, salgo, saluto il conducente e mi dirigo a passo svelto verso lui, che mi sorride.

«Ciao amore.» Mi butto su di lui, stringendolo tra le mie braccia.

Ricopro il suo volto di piccoli baci, provocando le sue risate.

«Ti sono mancato piccola?» Chiede, con quel fantastico sorriso ancora sulle sue labbra.

«Da morire.» Ammetto posando le mie labbra sulle sue.  

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