16. The Picture of Dorian Gray

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Quel sabato ero sola: mio padre si era concesso un weekend di relax con la sua ultima conquista e i miei fratelli erano fuori. Non sapevo quando sarebbero tornati, ma mi godevo quella rara pace seduta sul divano.

Una vecchia edizione de Il ritratto di Dorian Gray giaceva sulle mie ginocchia. Le parole mi cullavano con dolcezza.

La quiete venne rotta dal rumore della serratura e dalle voci che sopraggiunsero subito dopo.

Il cuore capitombolò nel mio petto, battendo all'impazzata quando riconobbi la sua, di voce: Blake.

Odiavo trovarlo a casa mia, sentirlo nel mio ambiente.

Dopo la discussione avvenuta prima della festa, non ci eravamo più rivolti la parola. A scuola lui aveva mantenuto il suo solito atteggiamento arrogante e io avevo fatto di tutto pur di mantenere le distanze.

Anche George mi aveva evitata, ma sapevo che avrei dovuto parlargli perché, alla fine dei conti, lui non poteva sapere che un contatto del genere mi avrebbe infastidita.

Così avevo pranzato in giardino in quei giorni, così da evitare i due ragazzi come la peste e Caroline mi aveva fatto compagnia, raccontandomi della famosa festa che avevo saltato e che era riuscita a convincere Victor: gli avrebbe concesso un appuntamento solo quando io sarei uscita con lei.

Era fiera del suo obiettivo, ma io ancora non me la sentivo di essere normale e, quando quella mattina mi aveva offerto di uscire la sera stessa per andare ad una festa, avevo declinato prontamente.

Blake, Victor e Vincent entrarono in salotto e quest'ultimo mi squadrò con attenzione.

«Perché non stai facendo niente?»

Deglutii rumorosamente, sentendomi immediatamente a disagio.

Gli occhi di Blake scorsero la mia figura, soffermandosi un po' troppo sulla spalla che il maglione lasciava scoperto; indossavo vestiti del tutto anonimi: dei jeans che mi cascavano in vita in quanto troppo larghi e un maglione infeltrito, anch'esso di qualche taglia di troppo.

Sollevai gli occhiali da lettura sul naso. Victor sogghignò, sorpassando nostro fratello per raggiungermi.

«Che leggi?» Mi prese il libro di mano, sollevandolo fino ad averlo sotto il naso. «Che stronzata!»

La sua risata sguaiata mi fece rabbrividire, mostrò la copertina mangiucchiata dal tempo a Vincent e Blake.

Il primo ghignò leggermente, con chissà cosa in mente; lo sguardo di Blake vacillò per un istante, talmente breve che fui l'unica a notarlo, successivamente ridacchiò come gli altri due.

A pochi metri da Victor giaceva un secchio ricolmo d'acqua sporca con il quale qualche ora prima avevo lavato il pavimento del salotto.

Lui lo guardò. E io capii subito le sue intenzioni.

Le sue doti da giocatore di basket si palesarono nel momento in cui prese la mira e fece un tiro libero usando come canestro il secchio e come palla il mio amato romanzo.

Poi si avvicinò e ribaltò tutta l'acqua, fulminandomi con lo sguardo quando sussultai.

Gli occhi mi si riempirono di lacrime, annebbiandomi la vista.

Lo odiavo, lo odiavo così tanto.

Il libro giaceva a terra fradicio, le pagine piegate dal peso dell'acqua che le stava lentamente sbriciolando.

Nonostante l'avessi pagato pochi soldi ad un mercatino delle pulci, sentii il mio cuore spezzarsi e una lacrima solitaria cadde sul mio volto arrossato.

«Pulisci» ordinò mio fratello, prima di uscire dal salotto a accompagnato dal gemello.

Blake rimase fermo ad osservare il danno compiuto, io non riuscivo a distogliere lo sguardo dal libro... Perché non riuscivano a non farmi del male, una volta tanto?

Solo allora notai che Blake teneva un bicchiere di carta in mano. Tolse il tappo di carta e mi mostrò cosa conteneva: un frullato rosa, probabilmente alla fragola dall'odore che emanava.

«Vuoi?» Mi sfuggii un sorriso.

I suoi occhi mi guardarono maliziosi. Fece un solo passo e credetti che, forse, anche lui era in grado di essere gentile ogni tanto; poi lasciò cadere il bicchiere sul libro, sporcando anche il pavimento intorno.

Sapevo che l'aveva fatto di proposito, lo leggevo nei suoi occhi che mi guardavano provocatori, in attesa di una reazione.

Mi alzai e andai verso il disastro appena combinato: se il libro fino a pochi secondi prima era recuperabile, mi accorsi in quel momento che era decisamente andato distrutto.

Per colpa di Blake.

Strinsi i denti, provando a contenere il fiume di emozioni che mi travolse all'impazzata, poi mi voltai e gli scagliai il mio povero libro contro, colpendolo in pieno petto e sporcando la sua maglietta bianca.

Non reagì in alcun modo, mi guardò interessato e stette in silenzio. «Sei proprio stronzo» mormorai con voce flebile. «Io? Non Victor?» Scossi il capo.

«Con lui ci sono abituata... e poi l'acqua è rimediabile... ma questo...» annaspai in cerca d'aria, obbligandomi a trattenere le lacrime che mi pizzicavano gli occhi fastidiosamente.

Qualche giorno prima ci teneva tanto a tornare amici e non aveva senso che si comportasse in quel modo.

Afferrai il libro ai suoi piedi e lo accarezzai, imbrattandomi le mani di acqua saponata e frullato.

Rimandai giù tutte le emozioni, non volevo mostrarmi sempre così debole.

Blake continuò a fissarmi con un ghigno stampato sul viso. «Sei veramente lunatico» borbottai, mettendomi in piedi.

«Ho deciso che se vuoi odiarmi almeno devi avere delle motivazioni.»

La tentazione di assestargli un pugno sul naso divenne forte, ma sapevo bene, io meglio di chiunque altro, che la violenza non era la via giusta. Non lo era mai.

«Sparisci» ordinai, rimettendo in piedi il secchio capovolto da mio fratello e preparandomi a ripulire tutto da capo.

«Stai tornando viva» commentò con tono divertito, cosa che mi diede a dir poco sui nervi.

Come osava trattarmi in quel modo?

«Non è affar tuo come sono» replicai, lasciandolo solo in salotto per prendere uno straccio.

Non lo trovai più. L'unica traccia rimasta era il frullato sul pavimento.

Udii la sua risata sopraggiungere dal piano di sopra, segno che aveva raggiunto i miei fratelli.

Così mi concessi qualche lacrima prima di rimettermi al lavoro con lo sguardo puntato sul libro, ormai da buttare.

Il portone d'ingresso sbatté e io mi allarmai, voltandomi di scatto.

«Papà...» mormorai, sistemando il maglione sulla spalla.

Da programma, sarebbe dovuto tornare il giorno seguente nel tardo pomeriggio; ma aveva anticipato... forse era successo qualcosa con la sua amica.

Lui guardò il disastro a terra con occhi disgustati, «È caduto del frullato e stavo pulendo...» spiegai.

Si avvicinò a me e mi spinse in ginocchio davanti al secchio, ora ricolmo di acqua ancora pulita.

Si abbassò per afferrarmi i capelli, quasi con dolcezza.

«Sei stata tu?» disse, lanciando una breve occhiata al frullato. Annuii.

Sapevo che una delle regole in casa Williams era che io mi prendessi la colpa al posto dei miei fratelli.

Mio padre mi accarezzò la fronte con la mano libera, prima di buttarmi la testa con violenza dentro l'acqua.

Non ero preparata, dunque ingoiai un po' di acqua saponata e, quando mi tirò su la testa, dopo interminabili secondi, gli occhi mi bruciavano, così come la gola. Tossicchiai piano per non farmi sentire dai ragazzi al piano di sopra.

Mio padre mi mollò e io mi accasciai sul pavimento.

«Finisci» ordinò, prima di andarsene calpestando il mio libro. La sua scarpa ne strappò la copertina.

Mi passai il palmo sugli occhi, provando ad eliminare i residui di sapone come meglio potei e tornai a pulire in silenzio.

Quando sentii i passi dei miei fratelli e di Blake sulle scale, mi costrinsi a restare con la testa china. Il sapone mi pizzicava la pelle e sapevo di avere i capelli leggermente bagnati, oltre alla faccia sconvolta e agli occhi arrossati.

Entrarono in salotto e si sedettero sul divano per guardare la televisione.

«Spostati» disse burbero Victor. «Sto finendo di pulire» sussurrai in risposta, la gola a fuoco. «Non me ne frega un cazzo» controbatté lui.

Mi alzai sulle gambe doloranti a causa dell'impatto di poco prima e del tempo passato chinata.

Un'altra regola della casa era che non mi era permesso pulire in maniera comoda: i pavimenti dovevano essere lavati a mano, la lavastoviglie mi era preclusa, così come la lavatrice. Tutto era fatto per farmi soffrire.

Gli occhi di Blake mi seguirono mentre trascinavo il secchio fuori dalla stanza con gli occhi semichiusi.

Buttai il libro nella spazzatura con un dolore al petto non indifferente, ma sapevo che non importava.

Avrei sopportato, ancora e ancora.

L'unico commento che mi viene per questo capitolo è: quanto sono stronzi Blake, Vincent e Victor? Che ne pensate?

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