Capitolo 16 (prima parte)

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Sono in macchina con Mike, da sola. Che cosa posso dirgli?

Non sarebbe educato chiedergli se mi ha fatta stalkerare dalle ragazze di Pala e Tomic per scoprire dove lavoro, ma è lì che continua a martellare il mio pensiero.

«Conoscevi già l'Oasi?» mormoro. Alzare la voce mi risulta complicato, come se sciupassi la magia dell'essere insieme a lui.

«Non l'avevo mai sentita nominare prima di stasera. Non sapevo che ti avrei incontrata anche lì.» Mantiene lo sguardo fisso sulla strada continuando a guidare, ma le sue labbra si incurvano in un sorriso.

«Sai, credevo che...» Le parole rimangono sospese nell'aria, ad aleggiare come un tasto che rimane giù e la cui nota risuona.

Anche Mike fa per parlare, ma richiude la bocca come se anche lui ci avesse ripensato.

Sono seduta al suo fianco e non ho niente da dirgli. Sono un totale disastro.

«Questo secondo lavoro è più interessante» rompe il silenzio, con tono gentile. «Rispetto all'altro. È qui che avevi combinato qualcosa?»

Si riferisce al mio messaggio della settimana scorsa. «Sì, be', io... credevo di sì, ma a parte la sgridata non mi è più successo nulla. Temevo che mi avrebbero mandata via.»

«Che puoi aver fatto di tanto grave?» Il suo tono è tranquillo, anche se intravedo una punta di curiosità. Riesce a mettermi a mio agio. Ha una voce piacevole, che conoscevo grazie alle interviste, ma sentirla mentre parla con me è tutta un'altra cosa.

«La cantante mi ha convinta a suonare una cosa che ho scritto io. Non sono riuscita a chiedere il permesso, perché il manager era arrivato tardi. Ho scoperto che non avrei potuto e che avrei dovuto rispettare la scaletta.»

«Scrivi musica?» mi chiede, sorpreso.

«È così strano?»

«Immagino i compositori di pianoforte come degli uomini sessantenni, non come... insomma, non come te.»

Non so come replicare alla sua considerazione. Cosa posso dire per non sembrare stupida?

Mike accenna un altro sorriso. «Non volevo offenderti.»

Ora è il mio turno di sorridere, stordita dal fatto di essere qui con lui a parlargli con naturalezza. «Ma no, figurati, non sono offesa. Ci ha pensato il manager una settimana fa. Credimi, ci vuole ben altro per offendermi.» Non riesco a credere di star parlando dei miei problemi all'Oasi proprio con Mike.

Imbocca viale Giuseppe Verdi, che porta dritto nel mio quartiere, e scocca un'occhiata al Gps sul telefono.

«Come mai siete venuti stasera?» gli chiedo, con più coraggio di quanto avrei mai pensato di possedere.

«Eh... Pala sta cercando un posto per chiedere alla ragazza di sposarlo. Non dirlo in giro, però.»

«Non lo dirò a nessuno.»

Sorride ancora. I sorrisi di Mike sono meravigliosi e li sto vedendo solo io! «Niko ha pensato bene di farci andare lì perché conosce il proprietario. Mi hanno trascinato, io volevo stare a casa con Whisky. Mi ha anche guardato male quando me ne sono andato.»

Mi dispiace per il suo cagnolino, ricordo i suoi occhioni abbacchiati quando l'ho fatto spaventare all'Osteria.

«E non c'entra niente con il fatto che le ragazze sono venute la settimana scorsa all'altro ristorante?» Dovevo chiedermelo, mi sto tenendo il dubbio da metà serata.

Rimane in silenzio, l'ho colto con le mani nella marmellata. Quindi volevano conoscermi? Erano venute lì solo per me?

«Scusale, Lavinia, saranno state inopportune» sussurra.

«Non ero lì, quindi non so se lo sono state.»

«Mi dispiace. I ragazzi... be', si stanno facendo troppe fantasie sul nostro incontro al tuo ristorante.»

Cosa? I giocatori della Vulnus pensano che tra me e Mike possa esserci qualcosa?

«Gliene hai parlato?»

«Capita di parlare di quando incontriamo i tifosi. Ma... accidenti!» esclama, lanciando un'occhiata al cruscotto.

«Che succede?»

«Qualcosa non va con la macchina» risponde, accostando a un lato del viale alberato. Scende e controlla in basso scuotendo la testa. Poi si avvicina anche al cofano e lo solleva per verificare se si è rotto qualcosa.

Lo osservo con attenzione, non riesco a staccare gli occhi da lui, dalla camicia arrotolata a metà braccia, dalla sua figura imponente... Mi sento una ladra a poterlo spiare mentre è così, naturale, diverso da come lo vedo durante le partite.

Ripenso alle frasi che ho ascoltato dai suoi compagni di squadra quando sono venuti all'Osteria e mi sento sprofondare. Erano venuti proprio per me e per scoprire se fossi davvero cotta di Mike. Chissà che avranno pensato nel vedermi al lavoro, chissà che cosa avrà raccontato Tomic figlio proprio a Mike...

Richiude il cofano, fa il giro della macchina e si abbassa proprio dal mio lato, studiando la fiancata. Infine, mi apre la portiera.

«Si è bucata una gomma» spiega.

«Oddio, scusami, mi dispiace.»

«Ma non è colpa tua.»

«Qui la strada ha dei punti dissestati. Se non mi avessi riportata...»

Non mi guarda, fissando la gomma incriminata, afflosciata rispetto alle altre. Mi posa una mano sulla spalla. Mi ha toccata. Mike mi ha toccato la spalla. È un tocco caldo, morbido e accogliente, come immaginavo che sarebbe stato.

«Ma no, Lavinia, non è colpa tua. Mi secca perché dovrò chiamare il carro attrezzi e spero che ci sia qualcuno sveglio a quest'ora e in mezzo alla settimana.»

Si siede all'interno, prendendo il mio posto, con le gambe allungate verso il marciapiede, e si stende indietro ad acciuffare il cellulare. Cerca un numero e fa partite la telefonata, con lo smartphone appoggiato all'orecchio e lo sguardo fisso nel mio.

Vorrei dirgli di nuovo che mi dispiace, che non volevo che la sua macchina si rovinasse per riportare a casa me, ma nei suoi occhi leggo comprensione e una sorta di calore confidenziale, come di chi vuole restituirmi calma per qualcosa di cui non ho colpa – il che è ciò che mi ha appena detto.

Rabbrividisco, perché ora le temperature sono ben diverse da quelle del giorno e non ero preparata a stare così tanto all'aperto, ferma e immobile. Mike se ne accorge, perché allunga un braccio ai sedili posteriori e prende la sua giacca, che mi passa. Lui rimane in maniche di camicia, con il tessuto che fascia bene i suoi pettorali e che è messo a dura prova dalla muscolatura tornita delle braccia. Ma sono solo dettagli che colgo en passant, perché afferro la giacca con due dita, vergognandomi al solo pensiero di indossarla – anche se era proprio ciò che mi suggeriva il suo gesto.

«Non hai freddo?» gli chiedo.

«Tu ne hai di più.»

Arrossisco, sistemandola sopra la mia. Sotto ho solo una maglia a maniche corte.

Lungo la via passa qualche rarissima macchina, per il resto attorno a noi regna la quiete di una notte tra due giorni lavorativi. Nessuno è in giro a divertirsi e chi può permettersi di fare tardi in mezzo alla settimana non passa di qui. Trascorriamo lunghi minuti senza dire niente, lui aspettando che qualcuno gli risponda, io incapace di rompere il silenzio.

Mike borbotta un'imprecazione in inglese e si stropiccia gli occhi con le dita. «Non volevo farti fare tardi, i tuoi saranno preoccupati.»

«Mia madre si alza presto la mattina, quindi va a dormire altrettanto presto. Non si preoccupa perché non la faccio mai preoccupare. Tu, piuttosto, tua moglie non si spaventa se non le fai sapere nulla?»

Tasto il terreno, perché Cornelia mi ha accennato al suo divorzio, ma io non ci credo così tanto, finché capita che la inquadrino durante le partite insieme alle altre mogli o fidanzate dei giocatori.

«No, non viviamo più insieme» mi risponde, con lo sguardo basso.

Non vivono più insieme.

Aveva ragione Cornelia. Ecco perché sui social non aveva foto insieme a lei da diverso tempo.

«Allora non facciamo preoccupare nessuno» sentenzio, calma. Starei tutta la notte qui al freddo con Mike ad aspettare un carro attrezzi che non arriverà mai. E ci starei persino senza spiccicare parola, perché non ho la minima idea di cosa potrei dire, di cosa potrei parlargli. Sembrerei stupida, più stupida di come sono già così in piedi sul marciapiede con la sua giacca addosso. A inspirare a pieni polmoni il suo odore muschiato che dalla stoffa mi accarezza le narici. Forse è un profumo, ma lo trovo adatto a lui e mi fa sentire coccolata.

I miei sensi sono disturbati dalla puzza di alcol che arriva da un uomo alticcio che sta vagabondando a pochi metri da noi, con una bottiglia di liquore in mano.

«Ehi, bellezza, vuoi spassartela?» mi grida. E poi lancia un fischio.

Chiudo gli occhi, fingendo di non averlo sentito. Avrà pensato che sia una prostituta, visto che sono in piedi per strada e nel cuore della notte di fronte a un'automobile.

«Cazzo» borbotta Mike. Si alza in piedi e mi stringe a sé, in una sorta di abbraccio. «Meglio se entri dentro, mi sento più tranquillo.»

«Anch'io» ammetto con un filo di voce. Avvampo su tutto il viso al solo pensiero di quanto tutta questa situazione sia imbarazzante, con Mike che deve tenermi al riparo da un molestatore. Non mi era mai capitato, né sugli autobus nel tragitto dall'Oasi, né quando torno a casa dall'Osteria.

Spia di sottecchi il tipo, continuando a tenere il cellulare all'orecchio. Ogni tanto chiude una telefonata e ne fa partire un'altra, ma sembra che non ci sia niente da fare.

Si rassegna all'ennesimo tentativo andato a vuoto.

«Forse è il caso che ti riporti a casa in qualche altro modo. Ma...» Scocca un'occhiata al punto da cui proveniva la voce dell'ubriaco. «Non me la sento di accompagnarti alla fermata di un autobus.»

Capisco cosa intende dire, anche se fino a poco fa non mi era mai capitato che qualcuno mi approcciasse in quel modo. Questa sicurezza mi aveva fatta stare tranquilla, ma stasera... non riesco a sentirmi tranquilla, né per l'ubriaco, né per il fatto di essere con Mike.

Esco di nuovo dalla sua auto, perché ormai non credo che dovrò trascorrerci altro tempo. Il freddo punzecchia il mio viso, sebbene le temperature non siano così glaciali, visto che siamo pur sempre a inizio ottobre. Ma è anche vero che ormai è quasi l'una di notte.

«Spero che ci siano almeno i taxi» mormora. Fa per cliccare sul numero dei tassisti, ma poi ci ripensa. Apre il navigatore che aveva impostato sul cellulare e guarda quanto manca a destinazione. Un bel po', visto che dice che a piedi ci vogliono almeno tre quarti d'ora. «Ti va di fare due passi?»

Vuole riaccompagnarmi a piedi fino a casa?

«E poi che fai, ritorni qui da solo?» gli chiedo. Certo che vorrei, la mia risposta sarebbe sempre sì. Ma non posso costringerlo a trascorrere altro tempo insieme a me, sarebbe più veloce chiamare un taxi.

«Lavinia, c'è una differenza tra me e te.» Fa scorrere la mano accanto a sé, indicandosi, poi la rivolge verso di me. Lui è pur sempre un uomo di due metri con spalle large e una muscolatura delle braccia allenata. Potrebbe tener testa a un assalitore in un corpo a corpo, mentre io sono una ragazza esile di un metro e sessantacinque.

«Va bene.» Accetto la proposta, così si sporge nell'automobile per prendere le chiavi della macchina, un altro mazzo – immagino che siano quelle di casa – e il portafoglio.

«Scusami» dice, infilando una mano nella tasca interna della giacca, aprendola di poco davanti a me. Ci fa scivolare dentro il portafoglio e le chiavi di casa, facendo attenzione a non sfiorarmi, visto che il mio seno è a pochissimi centimetri dalle sue dita. Tengo per me l'imbarazzo all'idea che è stato così vicino a potermi toccare per sbaglio, mentre invece è stato attento a non crearmi altro disagio.

Gli rivolgo un sorriso, rabbrividendo ancora per il freddo, mentre ci incamminiamo. Non so quanto ci vorrà davvero per arrivare, perché non ho mai percorso questo tragitto a piedi, ma vorrei protrarre questo momento con lui in eterno.

Spazio autrice
Finalmente abbiamo il primissimo incontro tra Mike e Lavinia da soli. Quanto vi sono piaciuti? Perché lo so, so che vi sono piaciuti <3

Sappiate che la seconda parte del capitolo è carina quanto questa (almeno lo spero, perché questo capitolo è uno dei miei preferiti). E che vi piacerà tantissimo!

Baci a tutti,
Snowtulip.

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