Capitolo 16 (seconda parte)

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Le cingo le spalle con un braccio, cercando di scaldarla. Non credevo che avrei avuto un incidente come una ruota bucata, e ancora non riesco a capire come possa essere accaduto, sono sempre attento alla guida e la strada non era messa così male.

Lavinia si lascia stringere, forse confortata dal fatto che non la sto lasciando da sola in piena notte. Con quello che raccontano nei giornali, non avrei la coscienza a posto se dovessi piantarla qui per aspettare che qualcuno recuperi la mia Mercedes.

«Suoni bene» le dico, giusto perché altrimenti il silenzio, unito al freddo della notte, inizia a pesare. Non so se mi capiterà di nuovo di parlarci a tu per tu, devo approfittarne.

«Grazie» sussurra. «Ho ancora molto da imparare.»

«Studi musica?»

«Vorrei. È per questo che faccio due lavori. Se riesco a mettere abbastanza da parte per il Conservatorio, potrei iscrivermi già il prossimo anno.»

«Non possono pagartelo i tuoi?»

Sospira, continuando a camminare. Non accelera il passo, però, come avrebbe fatto se l'avessi indispettita. È tranquilla, sembra rasserenata dalla mia sola presenza al suo fianco.

«Mio padre se n'è andato di casa quattro anni fa» mi spiega. «Un giorno ha fatto le valigie e se ne è andato. I miei non avevano litigato, non c'erano problemi... Ma abbiamo scoperto che aveva un'amante segreta e che aveva persino avuto un figlio da lei. È stato un duro colpo. Ha preferito la sua nuova famiglia, tagliando i ponti con noi. Ho temuto di dover interrompere le lezioni di piano. Mia madre non lavorava e ha dovuto inventarsi da zero, così si è messa in gioco. In uno schiocco di dita ha visto la sua vita quotidiana crollare intorno a lei... Diciamo che ha un lavoro modesto, che non potrebbe mai coprire le spese del Conservatorio. Così ci sto pensando io, da me, con le mie forze. Ho iniziato all'Osteria tre estati fa, mi tenevano solo durante la stagione estiva, perché c'era effettivamente più lavoro e serviva personale... Ora che ho finito scuola sono rimasta.»

Sembra che lo voglia precisare, come a rassicurarmi sul fatto che è maggiorenne e che non devo preoccuparmi della sua età. L'ho lasciata parlare, anche se ogni tanto le sue frasi erano in sospeso come se desiderasse che fossi io a interromperla per porle delle domande. Ma ho preferito ascoltare la sua versione senza intervenire, osservando l'espressione corrucciata del viso e i lineamenti delicati infervorati dal racconto. Ogni tanto mi rivolge lo sguardo e arrossisce, non fa altro che infiammarsi quando i suoi occhi incrociano i miei. La trovo adorabile.

Il suo discorso mi ha colpito nel profondo. Al suo posto, non avrei saputo come reagire a un padre che per propria volontà sparisce dalla vita di un figlio.

«Mi dispiace, dev'essere dura» le dico.

«Lo è stato soprattutto all'inizio. Per fortuna io e mia madre abbiamo un buon equilibrio e non rischiamo di finire in mezzo a una strada... ma se voglio studiare, devo impegnarmi.»

Mi piace questa sua forza di volontà, mi piace ascoltare la sua voce. Persino il refolo d'aria che esce dalla sua bocca è irresistibile.

Questo significa una sola cosa: Lavinia mi piace più di quanto sia disposto ad ammettere.

«Posso farti una domanda?» mi chiede. Arrossisce di nuovo e io sorrido del suo imbarazzo. Chissà quanto sarà stata a disagio quando mezza squadra si è presentata al suo ristorante!

«Certo che puoi.»

«L'anno scorso, cioè, a maggio... ti è successo qualcosa durante i playoff Scudetto?» Abbassa il viso fissando i piedi che procedono passo dopo passo.

«Perché me lo chiedi?»

«Perché... ecco, insomma, io... avevo la sensazione che qualcosa non andasse. Non vorrei dirtelo, ma hai giocato male, molto al di sotto delle tue capacità. Ho pensato che ci fosse qualcosa dietro.»

Se ne è accorta. Lavinia si è accorta che non stavo bene.

Cerco di organizzare una risposta, perché è una domanda complicata.

«Non devi rispondermi per forza» mi dice. «Non sono nessuno perché tu ti confidi con me.»

«Ho passato un periodo difficile» semplifico. «E... Be', mi ha fatto stare male.»

Lavinia mi guarda, pendendo dalle mie labbra. «Mi dispiace, Mike. Spero che tu ora stia meglio.» Schiude la bocca come per parlare di nuovo, ma non lo fa.

«Stavo vivendo una sorta di apatia» continuo. «Si rifletteva anche in campo e negli allenamenti... Per questo giocavo male.»

«Apatia» ripete con un filo di voce. Riflette per qualche secondo, cercando una spiegazione. Sembra trovarla, perché mi guarda di nuovo, con la bocca rivolta verso il basso e lo sguardo corrucciato. «Era... era depressione?»

«Credo di no, ma ci sono stato molto vicino.»

«Oh, io... mi dispiace, non dovevi parlarmene per forza.» Ha gli occhi lucidi, ho la sensazione che conosca cosa si prova, che forse l'ha vissuto addirittura in prima persona, con tutto il trambusto che è capitato nella sua vita.

Mi fermo e la stringo a me, accarezzandole la schiena con calore. Vorrei trasmetterle che va tutto bene e che camminare con lei in questa strada fredda e illuminata dai lampioni mi fa stare bene. Che la sua presenza al mio fianco mi infonde una sorta di serenità che non riesco a spiegare.

«Ne parlo perché me lo sono messo alle spalle» sussurro. «Non preoccuparti.»

La verità è che sono riuscito a tirarlo fuori solo con Teo. Ma con Lavinia mi sento così in pace che potrei raccontarle ogni mio segreto e confidare nella sua comprensione.

«L'hai vissuta anche tu?» le chiedo.

Scuote la testa, sciogliendo l'abbraccio, e riprende a camminare. «Mia madre. Io ho sempre trovato qualcosa che mi facesse stare bene e che mi permettesse di non abbandonarmi alla sua spirale negativa.»

Questa ragazza è molto più forte di quanto si potrebbe pensare vedendola dall'esterno. A ogni sua parola mi sento sempre più attratto da lei, non c'è nulla che non mi piaccia in Lavinia. A partire da come mi fa stare, fino al suo modo di porsi con me, delicato e distaccato, come se temesse di risultare troppo invadente. Non tutti i tifosi – o le tifose – sarebbero così accorti.

«Hai trovato un modo per tirarti su?» Mi guarda di nuovo, forse con un po' di coraggio in più per via delle nostre confessioni.

«Non proprio. I ragazzi si sono accorti di come stavo, ma non hanno voluto intromettersi, non sapevano come aiutarmi... Diciamo che adesso è soprattutto grazie a loro se sto bene e non ho la sensazione che la mia vita cada a pezzi. Ora appena ne hanno l'occasione mi coinvolgono in qualsiasi cosa, persino nel cercare un locale per Pala e la sua ragazza!»

Lavinia sorride, arrossendo. Starà pensando che siano stati complici del nostro incontro di questa sera. Ma non lo dice e continua a camminare al mio fianco.

«Stare con loro mi fa bene, sono delle brave persone. Se solo me ne fossi accorto prima, magari...» Ho un nodo alla gola, fatico a parlare e a dirle ciò che penso. Ma lo faccio, perché lei si è aperta con me in totale sincerità. «Magari avrei divorziato prima e sarei stato meglio. Mi sarei accorto che il problema principale derivava dal mio matrimonio, che era diventato una routine fredda, in cui nessuno dei due provava più niente per l'altro. Audrey non mi incoraggiava, non mi sosteneva, c'è stato un periodo in cui a malapena parlavamo... E si trattava sempre di nostro figlio. Forse la vera ragione per cui non sono stato veramente male è stato lui. Abbiamo un bel legame.»

«Gli compri i fumetti» sorride Lavinia. Si è scossa appena quando ho accennato al mio matrimonio e al mio divorzio, ma non ha commentato. Altro punto a suo favore: è discreta e non si impiccia della mia situazione sentimentale – anche se io mi sono esposto per vedere come avrebbe reagito. E lei ha avuto la delicatezza di non insistere, né di interrompermi per saperne di più. Ha preferito citare i fumetti per Liam. «È una bella cosa quando c'è un legame così solido.»

«Già. Ho iniziato a leggerli per lui. Gli piacciono i supereroi, quindi ho pensato che poteva essere una buona idea. Così ho imparato l'italiano in fretta... e lo parlo anche con te.»

Lei sorride, con lo sguardo basso e gli occhi lucidi. Si è intenerita fino a commuoversi?

«Ho detto qualcosa che non va?»

«Stavo pensando a mio padre» risponde, sempre con lo sguardo puntato sul marciapiede. «Ho iniziato a tifare la Vulnus perché guardavo le partite insieme a lui. Poi se n'è andato e a me è rimasta la squadra. Cioè... mi è rimasto l'affetto per i colori, per i giocatori... Non lo collego più a lui, anche se mia madre per parecchio tempo ha tentato di impedirmi di vedere le partite perché gli ricordavano la sua presenza in casa. Scusami, non c'entra niente, mi stavi raccontando di tuo figlio.»

«In realtà ho finito.» Le accarezzo di nuovo la schiena e lei solleva lo sguardo puntandolo nel mio. I suoi occhi scuri sono dolci, mi guarda come se fossi tutto ciò che desidera sul pianeta, ma non osasse dirlo né muoversi di un passo verso di me. È una sensazione strana, perché anch'io mi sento così nei suoi confronti.

«È assurdo essere qui con te» sussurra. «Cioè, io... non so se l'hai capito, ma sei il mio giocatore preferito.»

«L'avevo intuito.»

E ora ho il sospetto di non essere solo questo per Lavinia. Se fosse stata solo una mia tifosa, avremmo parlato di tutt'altro. Delle partite, delle aspettative della Vulnus, dei miei compagni di squadra... Invece i nostri discorsi sono stati più sul lato umano e personale.

«Mi dispiace per il tuo cane, non volevo spaventarlo» dice, tornando all'episodio del nostro primo incontro. «Ma sei sbucato di punto in bianco nel ristorante e mi hai presa in contropiede.»

«Sta bene, non è stato nulla di catastrofico» la rassicuro. «Sarà più offeso con me perché ancora non sono rientrato. Mi sta mangiando le ciabatte, ne sono certo.»

Lavinia ride, sinceramente divertita, e a me viene voglia ancor di più di stringerla in un altro abbraccio.

Ci inoltriamo in un quartiere con palazzine di almeno sei piani, strade larghe e insegne di negozi quasi tutte spente.

«Non manca molto» dice lei. «Sono in questa zona.»

«Sembra un bel posto.»

«È un posto come un altro.»

Si ferma poco dopo davanti a un portone. È rifinito in nero, una luce campeggia in alto e all'interno si vedono le scale che conducono agli appartamenti. Siamo arrivati.

«Be', Mike... grazie per la camminata» mormora, come se temesse che dal primo piano si affacciasse qualche anziana signora per origliare. Esita, prima di entrare, ma anche io sono bloccato sul posto.

Cosa dovrei dire? Che dovrei fare? Baciarla? Mi sembra così fuori luogo, anche se è ciò che vorrei. Non posso lasciarla rientrare e non sapere quando la vedrò di nuovo.

Si volta per rientrare in casa, ma le afferro la mano.

«Quali sono le sere in cui lavori all'Oasi del Palato?» le chiedo.

Rimane interdetta dalla mia domanda, non se l'aspettava. «Il lunedì e il giovedì, perché?»

«Posso riaccompagnarti a casa le prossime volte? Non mi sento tranquillo. Non dopo quel simpaticone.»

Arrossisce violentemente, illuminata dalla lampada sopra il portone. Dopo tutti i nostri discorsi, se ne sarà dimenticata, ma io no. Non posso dimenticare quell'idiota che l'ha scambiata per una donna che non è. «Non vorrei che ti prendessi questo disturbo, insomma... Stasera ci hai rimesso una gomma!»

Ride, forse per il nervoso, e fa ridere anche me.

«La prossima volta le controllo prima di uscire di casa. Dai, Lavinia.»

«Ehm, ok, Mike. Va bene.»

Ci salutiamo con un bacio sulla guancia, poi la guardo sparire all'interno e girare in un corridoio del palazzo, prima di ritornare sui miei passi verso la macchina con un sorriso da imbecille stampato in faccia.

Spazio autrice
Quanto sono a cuoricino i vostri occhi? Tanto? Lo sapevo!

Il capitolo 16 è tutto così, pieno di momenti che ci fanno sognare (sì, mi includo anche io... perché come si fa, sono dolcissimi) <3

Vi aspetto sabato con la terza parte e, se volete fangirlare, i commenti sono sempre aperti ;)

Baci a tutti,
Snowtulip.

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