Capitolo 4 (seconda parte)

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Mi accovaccio per cercare di calmare Whisky, che si è spaventato per l'esplosione di piatti sparsi ovunque sul pavimento.

«Su, su, non è niente.» Gli accarezzo il muso, grattandolo dietro le orecchie, e lui si nasconde dietro di me spiando di sottecchi la cameriera che ha generato il disastro.

«Io... mi dispiace, scusatemi» la sento balbettare alle mie spalle, arrancando delle scuse.

Interviene un uomo, che ha tutta l'aria di essere il capo, e guida me e Niko attraverso i tavoli del salone principale per farci accomodare in disparte. Mi assicura che Whisky può restare, così sistemo il suo guinzaglio attorno alla mia sedia e vado a lavarmi le mani.

Appena torno, trovo Whisky spalmato sulle piastrelle marroncine del ristorante, che mi guarda intristito.

«Va tutto bene, non è colpa tua, qui ci puoi stare» gli dico, cercando di tirarlo su di morale.

«Ci hanno portato i menù.» Niko me ne passa uno. Stasera è stranamente silenzioso, aver discusso con Sasha deve averlo spezzato più di una sonora sconfitta contro una squadra di bassa classifica.

«Insomma, vuoi dirmi che è successo?» gli chiedo, dopo aver deciso che prenderò un semplice primo.

«Dice che mi preoccupo troppo, che devo stare tranquillo, giocare e bla bla bla.» Mima con le mani una bocca che parla, con una smorfia infastidita. «Cazzo, ho perso il posto da titolare e non capisce quanto è importante!»

«Ma sì che lo capisce» ribatto. «Sasha conosce il basket, sa che sono cose che possono succedere.»

«Sembri mio padre» commenta lui, abbassando il mento. «Mi ha detto esattamente la stessa cosa. Bah.»

«Che devo dirti? Che hai ragione tu?»

«Magari.»

Accenno un sorriso amaro. «Senza offesa, Niko, cerca di ragionare lucidamente: Ethan non può giocare sempre in campionato, c'è la regola sugli italiani. Colucci dovrà far ruotare gli stranieri, no? Non può tenere fuori te, sei uno dei pochi italiani che abbiamo.»

«Significa che in Eurocup giocherò di meno, no?»

«Non so, ma non credo.»

Preferisco non riferirgli il quadro generale che il coach ha svelato a me e Teo. Capisco cosa intendeva: è ancora immaturo per avere un ruolo da leader all'interno dello spogliatoio se reagisce così all'arrivo di un nuovo compagno nel suo ruolo.

Potrei dirgli che sarò io quello a giocare di meno, ma così sposterei il fulcro del discorso da lui a me e non servirebbe a niente.

Niko si chiude in un silenzio strano, che non riesco ad attribuirgli neanche ora che lo vedo, mentre apre un pacchetto di grissini e inizia a sgranocchiarne uno.

«Sta tornando» mormora.

«Chi?»

«La cameriera più imbranata del pianeta.»

Mi volto e la vedo, soffermandomi a guardare la sua camminata incerta, come se si vergognasse di aver creato tanto trambusto al nostro arrivo. Indossa una camicia bianca e un paio di jeans scuri, coperti dal grembiule rosso vinaccia legato attorno alla vita.

Si mordicchia il labbro, nervosa, e quando ci raggiunge ha un momento di esitazione.

«Vi chiedo scusa per prima, mi sono scivolati i piatti» dice, con lo sguardo basso.

«Faccio sempre questo effetto alle donne» scherza Niko, facendo ridere sia me sia lei.

La ragazza – dalla targhetta sulla camicia si chiama Lavinia – solleva il mento e incontra il suo sguardo, poi il mio. Ha degli occhi neri dal taglio allungato, dello stesso colore dei capelli raccolti in una coda dietro la nuca, la bocca rosea e sottile e... non avrà più di ventidue-ventitré anni.

Capisco se è imbarazzata, probabilmente ci avrà riconosciuti all'istante.

La indico Whisky. «Puoi portare una ciotola d'acqua al mio amico?»

«Ma certo.»

Lui drizza le orecchie e la coda: ha intuito che stiamo parlando di lui. Non inizia a scodinzolare perché è ancora provato, ma almeno non ha più quell'aria abbacchiata di poco fa.

«E per voi?»

Prende le nostre ordinazioni e ci chiede ancora scusa, prima di darci le spalle e tornare sui suoi passi.

«Almeno è carina» commenta Niko.

«Ed è stata gentile» aggiungo, allungando lo sguardo verso Whisky, ancora spalmato sul pavimento.

«Sarà solo una tifosa che non pensava di trovarci qui.» Ricomincia a sgranocchiare il grissino, guardandosi intorno. Questo ristorante è semplice, con tovaglie di stoffa a quadri e un'atmosfera che fa pensare di essere a cena dai nonni invece che in un posto sconosciuto. «Non credo che i ragazzi ci siano mai venuti.»

«Non sembra un posto che frequenteremmo di solito» gli dico. In genere evitiamo i luoghi modesti, perché le percentuali di essere disturbati e di non riuscire a mangiare in pace si alzano notevolmente. «Però mi è stato consigliato, volevo provare.»

«Il profumo sembra buono.» Accenna alla cucina, da cui sta sbucando di nuovo la cameriera carina e impacciata con una ciotola per cani. La tiene con la punta delle dita e avanza lentamente, come se temesse di rovesciare l'acqua come poco fa ha fatto con i piatti.

Whisky si avvicina per annusarla, e devo richiamarlo perché si sta per strusciare su di lei. È fin troppo affettuoso, tanto da aver già dimenticato che si è preso un bello spavento proprio a causa sua.

Infila il muso nella ciotola inzuppandosi e mi guarda con aria festosa. Inizia persino a scodinzolare.

«Buono, facciamo una passeggiata quando avrò mangiato anche io» gli dico per calmarlo e lui, ubbidiente, si rimette giù pancia a terra. Se non fossi al tavolo di un ristorante, mi siederei accanto a lui per coccolarlo.

La ragazza ci porta anche il vino, che apre davanti a noi con movimenti rapidi e sciolti. Per quanto sia giovane, sembra che abbia sempre compiuto questi gesti – piccolo spettacolo riservato a noi. Ce lo versa nei bicchieri, prima di lasciare la bottiglia sul tavolo e occuparsi della nuova clientela.

«Quanti anni avrà?» chiedo a Niko.

«Boh, forse una ventina. Non più di me.»

«Tu ne hai ventiquattro.»

«Quindi non ne ha più di me.»

Accenno una risata, a cui lui però non dà seguito.

«Ancora non hai divorziato e già vuoi provarci con un'altra?» mi chiede.

«Punto uno: sto divorziando ed è un divorzio che vogliamo da entrambe le parti. Punto due: non ci voglio provare con lei. Punto tre: mi sembra che si comporti in modo maturo per la sua età.»

«Solo perché sa usare un cavatappi?» Ora ha l'aria scanzonata di sempre. «Puoi dirlo che vuoi usare il tuo cavatappi nella sua bottiglia, non ti giudico.»

«Basta una ragazza a farti dimenticare Sasha?» lo schernisco io. Per quanto tra me e Audrey sia finita, non ho la smania di mettermi di nuovo in gioco. Figuriamoci con lui pronto a sparare volgarità alla prima occasione utile.

«Non l'ho dimenticata.» Abbassa il viso, punto sul vivo. «Mi scoccia, non riesce a capire il mio punto di vista.»

«Io capisco il tuo punto di vista e ti dico che te la sei presa troppo. Sia per Sasha sia perché Ethan giocherà al tuo posto.»

«La mia quasi moglie non capisce il mio punto di vista e per te me la prendo troppo?»

«Sì. La prendi troppo sul personale quando si tratta del basket.»

«Forse perché è personale, no?»

Non rispondo. Per Niko è personale. Per lui la Vulnus non è solo la squadra per cui gioca. La sua fidanzata tifa Vulnus da quando è nata, lui stesso è cresciuto con il biancoverde sulla pelle. Suo padre e il suo futuro suocero hanno giocato qui e lui vuole fare meglio di quanto abbiano fatto loro.

«Se posso darti un consiglio, prova a fartelo scivolare. Scusati con Sasha...»

«Ma io non devo scusarmi.»

«Fammi parlare.»

Siamo interrotti di nuovo dalla cameriera, che ci porta i nostri piatti fumanti e li sistema ognuno al proprio posto davanti a noi. Gnocchi al ragù, il piatto del giorno. E dal profumino che emanano sembrano deliziosi.

Ci saluta con un sorriso imbarazzato, poi si allontana e ricomincia a volteggiare tra i tavoli.

«Per Ethan, non sarà un problema. È forte, ma ci serve un giocatore forte. Non perché tu non lo sei o perché non lo sono io, ma perché dobbiamo darci il cambio a vicenda, no? Se uno è più stanco o fuori forma, giocano gli altri. Sta a te mettere in difficoltà il coach e convincerlo che il titolare devi essere tu.»

«Sta a me» ripete Niko, masticando con la bocca aperta. «Non posso stare in panchina, devo giocare.»

«Devi dimostrarlo a Colucci. Lo farai?»

«Non ho scelta, no?»

«E scusati con Sasha, anche se pensi di avere ragione.» Sono ancora convinto che Niko sia dalla parte del torto e che stia facendo la prima donna per niente. «Aspetta che inizi la stagione per incazzarti o per lamentarti, non puoi sapere da ora come andrà.»

«Non posso neanche essere incazzato per una sera?»

«No, non puoi. Che senso ha sfogarti con me, se quando provo a farti ragionare sei una testa dura?»

«Mi scoccia non giocare, va bene?»

«Qualcuno ti ha detto che non giocherai?»

Resta in silenzio, finendo alla svelta il piatto di fronte a sé, mentre io me la prendo con più comodo. Questo posto non è male, la cucina è buona, l'atmosfera familiare e si sta bene. Se non fosse stato per l'incidente con la cameriera, sarebbe stata la cena perfetta – escludendo Niko e la sua testardaggine.

«Se io faccio la riserva di Ethan» dice a un tratto. «Tu fai la riserva a me?»

«Penso di sì.» Sono reticente, preferisco non dirgli chiaro e tondo tutto ciò che so. «Perché?»

«Mah, non capisco. Cioè, sì, capisco che avere tanti giocatori forti sia positivo per la squadra. Ma finiremmo per pestarci i piedi a vicenda, no? Io voglio giocare, tu vuoi giocare, Ethan vorrà giocare. In quaranta minuti non c'è tempo per tutti.»

«A me basta dare il massimo quando vengo chiamato in causa» gli dico. «Che la squadra vinca è più importante del mio egoismo.»

Mi giro a cercare la cameriera e le chiedo a distanza se può portarci il conto.

«Quindi devo mettere la Vulnus sopra di me?» Niko si gratta il collo, riflettendo.

«Sai che significa, vero?»

«Che ha ragione Sasha.»

«Già.»

«Odio sia te che lei» mi dice, ridendo. «Grazie per la chiacchierata, mi è servita.»

«Ricordatelo domani in allenamento.»

Batto lo scontrino e lo porto al tavolo a cui Mike e Tomic figlio si stanno alzando infilandosi le giacche. Lo tengo su un piatto di coccio, come sempre e per tutti i tavoli. Appena li raggiungo, Mike lo afferra direttamente dalle mie mani, sfiorandomi.

Mike mi ha sfiorata.

Mi ritraggo in fretta, sperando che nessuno dei due noti il mio nuovo imbarazzo.

Tomic figlio fa per prendere il portafoglio, ma lui è più veloce e mi chiede se può pagare con la carta.

«Sì, certo.»

«Niko, porta Whisky fuori, vi raggiungo. Tu fai il bravo» dice al cagnolino e mi segue alla cassa.

Paga il conto, poi esita per un istante prima di rimettere via il portafoglio. Estrae una banconota da cinquanta euro.

«Posso darti la mancia? Almeno per il disturbo. Credo che i piatti rotti fossero per la sorpresa di averci visti.»

Se ne è accorto. Dio, che imbarazzo.

«Ma nessun disturbo. Anzi, io...» mormoro. Ho le guance infuocate e il cuore che sta saltellando all'impazzata, tanto che potrei ritrovarmelo in posto sbagliati. «Mi dispiace aver spaventato il tuo cane.»

«Tranquilla, si è già ripreso. Dai, prendili.» Mi lascia i cinquanta euro sul piattino. «Mi dispiacerebbe se dovessi pagare il danno per causa nostra. Non ceno fuori per spaventare le cameriere.»

Accenno un sorriso, ancora più imbarazzata. «Grazie. E in bocca al lupo per giovedì. Be', più in generale per il campionato.»

«Buona serata, Lavinia.» Mi saluta con un sorriso.

Rimango imbambolata a fissare la porta anche dopo che è uscito.

Mike Cooper.

Ho parlato con Mike Cooper e lui mi ha chiamata per nome. Sto sognando, non può essere vero. Da quando sono finita in una fanfiction per tredicenni?

Mike, che per me è ben più di un giocatore. Non pensavo che l'avrei mai incontrato, non qui, né che ci avrei prima fatto una figuraccia e poi lui volesse "ripagare i miei danni".

È stato gentile, proprio come me lo immaginavo. Non è stato una delusione.

E giovedì neanche potrò vederlo perché dovrò suonare all'Oasi. Sto rimpiangendo di non aver chiesto un diverso giorno di prova. Non posso perdermi la partita. In realtà non ho intenzione di perdermi neanche un minuto del suo campionato, anche se quest'anno temo di essere costretta.

Le recupererò in differita, non ho grandi alternative, anche se per le amichevoli di inizio stagione dovrò rassegnarmi, perché non le trasmettono da nessuna parte.

Mike.

A malapena ricordo di aver rotto i piatti, la sgridata inevitabile di Riccardo, gli sguardi di ghiaccio di Yuri... Tutto svanisce nella mia mente e si fa sbiadito, lontano.

Sono fin troppo euforica nel salutare i nuovi commensali e nell'elencare loro i piatti del giorno, oltre a quelli nel menù, ma non ci fanno caso. Per loro sarò solo una cameriera di buon umore.

E io, invece, mi sento volare.

Finisco il turno in serenità, tanto che neanche rimango male per aver subito la ramanzina da Riccardo, quando lui mi ricorda le due ore extra di domani pomeriggio. Me le sono meritate, avrei potuto evitare la figuraccia e avrei attaccato al solito orario.

Rientro a piedi a casa, con l'aria fresca della sera a pungolarmi il viso e a tenermi sveglia, come se volesse dirmi "sì, è tutto reale e non te lo sei sognato".

Supero il portone e salgo in ascensore, poi infilo la chiave nella toppa e sono in casa. Non riesco a crederci.

Mike.

Senza neanche cambiarmi, mi butto su una delle sedie al tavolo della cucina e prendo il telefono. Che faccio? Lo scrivo nel gruppo del fanclub? Sanno che sono tifosissima di Mike, ma... non era da solo, era con Nikola Tomic. Quindi, perché non dirglielo? Saranno entusiasti di saperlo.

"Non indovinerete mai chi è venuto oggi al ristorante da me!"

"Chi?" mi chiede subito Cornelia.

"Mike e Tomic figlio!"

"Dimmi che ti sei fatta una foto, ti prego!"

Una foto... perché non ci ho pensato? Perché li ho lasciati andare via senza neanche chiedere un autografo?

"Purtroppo no. Stasera abbiamo avuto dei casini e non sono riuscita a chiedere niente."

Meglio non dire sul gruppo che ho fatto una tremenda figuraccia.

"La prossima volta ricordatelo, così la stampi e la appendi in camera!"

Nella mia cameretta ho alcune foto con i ragazzi del fanclub al Palavulnus, oltre a quella che ci siamo fatti con Alex Moore quando è passato alla nostra sede. Le ho appese alla mia lavagna di sughero, dove ho ancora gli orari dell'ultimo anno di scuola e alcuni fogli volanti per cose importanti e imminenti da ricordare.

"Troppe emozioni, Lav" mi prende in giro Gigi. "Tra il nuovo lavoro e Niko e Mike da te!"

Gli mando un'emoticon con gli occhi roteati verso l'alto. Volevo solo un briciolo di sostegno e lui pensa bene di buttarla sullo sfottò.

Dicesse quello che vuole: ho avuto una conversazione a quattr'occhi con Mike. E nessuno può togliermi questa piccola gioia.

Spazio autrice
Ed eccoci al primo incontro tra Mike e Lavinia <3 Cosa ne pensate, vi sono piaciuti?

Lavinia ha combinato un piccolo pasticcio, ma si è ripresa! E Mike è stato dolcissimo con lei, non trovate?

E che vi è parso di Niko e delle sue solite stupidaggini? XD

Baci a tutti e passate uno splendido sabato,
Snowtulip.

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