Il Colosseo come sfondo

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Cesare rimase interdetto da quella frase: perché non poteva dargli nemmeno una possibilità?

<<Allora se dobbiamo fare un patto, facciamolo per bene. Tu stai co me tutta la sera e, se poi decidi che non me voi più vedé, sarai accontentata.>> ritrattò lui.

<<No, tutta la sera no. Facciamo mezz'ora.>> ribatté Camilla, incrociando le braccia.

<<No mezz'ora è troppo poco. Tre ore.>> disse lui.

<<Un'ora.>>

<<Due ore e mezza.>>

<<Un'ora e mezza e chiudiamo qui il discorso.>> disse Camilla, allungando la mano.

Cesare porse la sua e, prima di stringerla, disse: <<Vanno benissimo due ore.>>
Camilla non fece in tempo a ritrarre la mano che Cesare gliela strinse.

<<Avevo detto un'ora e mezza!>> urlò Camilla.

<<Oh Cami' un patto è un patto. Abbiamo detto due ore, ci siamo stretti la mano e ora devi rispettare le regole.>> disse Cesare, facendosi scappare una risatina. La ragazza non riuscì a trattenersi e, la sua espressione dura, si addolcì in un sorriso, scuotendo la testa.

<<Sono le otto e trenta minuti. Alle dieci e trenta devo essere qui.>> disse lei.

<<Già me stai a mette l'ansia. Sali e andiamo.>> disse Cesare, aprendo la macchina. Camilla fece il giro e si fermò dinanzi lo sportello, guardando in direzione del ragazzo che già aveva preso posto in macchina. I due si scrutarono attraverso il finestrino e, confuso, Cesare abbassò il vetro per chiederle: <<Perché non sali?>>

<<No, proprio non ci siamo.>> si limitò a bofonchiare lei, aprendo la portiera e prendendo posto dal lato passeggeri.

<<E mo che ho fatto?>> chiese lui.

<<Un gentiluomo apre sempre lo sportello a una donna.>> rispose lei, sciogliendosi i lunghi capelli dorati che gli ricaddero sulle spalle. Cesare guardò i fili d'oro posarsi su quelle mezze lune candide, all'apparenza morbide e delicate. Anche lui avrebbe voluto accarezzarle in quel momento.

<<Mi hai capita?>> chiese Camilla, riportandolo alla realtà.

<<Ma te sembro un gentiluomo?>> domandò lui, mettendo in moto la cinquecento.

<<No, per niente.>> rispose. Cesare, stizzito, mise la prima e partì velocemente, facendo sussultare la sua compagna di viaggio. Camilla afferrò il sedile e vi conficcò dentro le unghie curate e colorati di uno smalto rosa antico. Quel ragazzo la impauriva e incuriosiva al tempo stesso. Camilla iniziò a scrutarlo, a fissarlo, a raccogliere ogni elemento di quel pazzo sconosciuto: la sua espressione era seria mentre guidava, le rughe della fronte erano ben visibili, concentrato sulla strada; in un certo senso si sentiva al sicuro. Le labbra carnose erano serrate, rendendo la mascella squadrata rigida. Notò anche i molteplici tatuaggi visibili, presenti su quel corpo di sicuro non allenato: 'Chissà quanti altri nascosti ne avrà' pensò lei. Mollò la presa dal sedile e si rilassò visibilmente, senza staccare gli occhi da quel ragazzo di cui non conosceva neanche il nome, nonostante lui conoscesse il suo.

<<Ora che ci penso, come ti chiami? E come fai a sapere il mio nome?>> chiese, quasi saltandogli addosso.

Lui si voltò verso di lei, ritrovandola a pochi centimetri dal suo viso: <<Già me voi bacià?>> chiese lui, scatenando il rossore sulle gote candide di lei.

<<Giammai!>> rispose Camilla, rimettendosi al suo posto, incrociando le braccia e mettendo il broncio.

<<Ma come parli? Giammai. Ma che lingua è?>> la canzonò Cesare, mettendosi a ridere. Lei si voltò dall'altra parte e, guardando fuori dal finestrino, non poté far a meno di lasciarsi scappare una risatina.

<<Una lingua a te sconosciuta: l'italiano.>> ribatté lei, ridendo. I due si guardarono: sguardi divertiti, sguardi di sfida ma, al tempo stesso, sguardi complici.

<<E comunque devi ancora rispondere alla mia domanda.>> gli ricordò Camilla.

<<Ecco, siamo arrivati.>> deviò lui. Parcheggiò in una via e allungò la mano dietro il sedile di Camilla, sporgendosi verso di lei che, allarmata dal gesto inaspettato, compresse il busto verso lo schienale. Il collo di Cesare era fin troppo vicino al suo volto, così tanto da inebriare le sue narici con quel profumo che lei stessa trovò di suo gusto e questo la mise in estremo disagio: <<C-cosa vuoi fare?>> balbettò la ragazza. Cesare si voltò per guardarla e, di nuovo, i due erano a una distanza minima, così minima che Camilla andò a fuoco e Cesare si godé la vista di quelle labbra rosee e carnose: 'Gliele staccherei' pensò il ragazzo.

<<Tranquilla, sto a prende le birre.>> disse il ragazzo, ampliando la distanza minima creatasi poco prima. Camilla riprese a respirare, tirando fuori tutta l'aria che aveva trattenuto senza neanche rendersene conto.

<<Io non bevo la birra e non dovresti berne neanche tu visto che devi guidare.>> asserì lei, con fare da maestrina. Lui la guardò e, senza ribattere, scese dalla macchina e le fece cenno di seguirlo. Lei acconsentì: prese il copri spalle bianco dal borsone, lo indossò e scese dall'auto.

<<Dove andiamo?>> gli chiese la ragazza. Cesare alzò il gomito, come invito per la mano della ragazza: <<Vieni, te porto a vedé la vista più bella di Roma!>> rispose il ragazzo. La ragazza, imbarazzata, mise la mano sul braccio del ragazzo e, guardando a terra, seguì i suoi passi: Camilla si sentiva confusa, strana, ma non in modo negativo. Alzò lo sguardo verso Cesare e si domandò perché quel ragazzo così tanto diverso da lei, riusciva a metterla in imbarazzo. Camilla era sempre stata una ragazza sicura di sé, sicura della sua intelligenza e della sua velata bellezza. Non era mai stata timida e, tantomeno, si faceva sottomettere da qualcuno: aveva sempre tenuto testa a chiunque provasse a calpestarla; a tutti meno che a due persone: i suoi genitori. Loro erano più che dominatori, più che tiranni: loro erano le uniche due persone che riuscivano a intimorirla. Loro che, fin dalla tenera età, avevano messo pressione alla loro unica figlia, caricandola di responsabilità troppo grandi per qualsiasi essere umano. 'Camilla, devi eccellere a scuola. Non vogliamo una media al di sotto del dieci. Camilla, devi essere la migliore nel tennis, per questo ti allenerai tutti i giorni. Camilla, devi diplomarti col massimo dei voti oppure finirai sul lastrico.' Questo era ciò che quelle due persone che l'avevano messa al mondo, le ripetevano ogni giorno. La ragazza, per tutta la vita, non aveva fatto altro che accontentarli, dando sempre il massimo di sé e, nel momento in cui ci riusciva, non riceveva mai una lode, un complimento. Ma, in quelle rare volte in cui falliva, non mancava occasione in cui le dicevano che era solo una fallita, come sua zia, una zia che Camilla non aveva mai conosciuto. Quel nome, quell'argomento, in famiglia, era tabù.

<<Cami' ce stai?>> la richiamò Cesare, agitando la mano dinanzi i suoi occhi, persi nel vuoto.

<<Sì, scusa.>> disse lei, accigliandosi.

<<Che t'è successo?>> chiese lui.

<<No niente, pensavo.>>

<<A cosa?>> domandò Cesare.

<<Nulla. Nulla...>> l'ultima parola risuonò triste, amara, e Cesare se ne accorse. Per qualche strano motivo, si dispiacque che la lucentezza di quegli occhi si fosse spenta in quell'istante. Il ragazzo le si parò di fronte e, prendendole il mento tra l'indice e il pollice, le sollevò il viso e, con un tono tanto dolce da meravigliarsene lui stesso, disse: <<Occhi bè, girate, guarda e torna a sorride.>> Camilla, incredula, euforica, silenziosa, lo fissò per qualche istante e, successivamente si voltò e, dinanzi a lei, si ritrovò lo spettacolo più bello che avesse mai visto: il Colosseo illuminato, gli alberi che lo incorniciavano, la luna sullo sfondo accompagnata da stelle lucenti. Lo sguardo di Camilla riprese vita, le labbra s'inarcarono in un sorriso sincero e lo stupore in volto, illuminato dal chiarore della signora della notte, la fecero brillare agli occhi di quel ragazzo che, confuso, pensò: 'Sei proprio bella Cami''.

<<È uno spettacolo. Non avevo mai visto nulla di simile in vita mia.>> asserì lei. Lui le prese la mano senza neanche accorgersene: entrambi guardarono in basso, verso le mani intrecciate in una naturalezza disarmante, poi alzarono lo sguardo, si fissarono e arrossirono.

'A Ce' ma che cazzo te sta a prende? Questa è una scommessa, non te lo scordà!'  pensò lui.

'Perché mi ha presa per mano? Neanche lo conosco e, il fatto che il contatto con la sua pelle mi piace, mi spiazza'  pensò lei. Entrambi a disagio, ma nessuno pronto a mollare la presa. Senza parlare, Cesare la condusse a un muretto poco più in là, posò la busta con le birre e invitò Camilla a sedersi di fianco a lui. Mentre la ragazza fissava il panorama, Cesare stappò la Tennent's e ne mandò giù un grande sorso.

<<Perché sei vestita di bianco e celeste?>> chiese lui. Odiava quei colori ma, in fondo, trovava che a Camilla stessero bene.

<<Oh beh, non so. Mi piace l'abbinamento.>> rispose lei, quasi a disagio.

<<Staresti meglio col giallo e col rosso.>> asserì il ragazzo, guardandola dall'alto, mentre mandava giù un altro sorso di birra. Gli occhi azzurri di Cesare, alla luce lunare, brillavano in una maniera particolare: sembravano due pietre di acqua marina, pronte a trapassarti e a scovare ogni segreto nascosto. E questo Camilla lo aveva notato: Si strinse in quel copri spalle, come se volesse nascondersi da lui, come se lui potesse farle una radiografia dei sentimenti e scoprire che, in fondo, la presenza di quello sconosciuto non la turbava affatto anzi, le piaceva.

<<Sei un tifoso della Roma?>> chiese lei, spostandosi una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

<<Non sono un semplice tifoso. I tifosi guardano le partite, io le partite le vivo.>> rispose Cesare, per la prima volta, completando una frase senza usare il dialetto. 

<<Allora l'italiano lo sai.>> lo canzonò Camilla, facendosi scappare una risatina. Lui la guardò: 'Questa mo me prende pure in giro!' pensò Cesare.

<<Certo che lo so! Però me piace il dialetto mio.>> rispose lui, ridendo assieme a lei. I due continuarono a punzecchiarsi per un po' finchè, Cesare, dopo una battuta da parte di Camilla, non gli si avvicinò e, nel modo più naturale possibile, l'abbracciò, circondandola con le gambe, attirandola al petto e baciandole la testa.

<<Sei proprio simpatica Cami'.>> disse lui. Lei rimase fredda a quel gesto così spontaneo e inaspettato: nessuno mai si era permesso di avvicinarsi così tanto con così tanta disinvoltura. Nessuno l'aveva mai circondata in quel modo e nessuno mai le aveva dimostrato tutta quella dolcezza. Forse, perché, a nessuno mai lo aveva permesso. Camilla non aveva mai avuto tempo per i ragazzi, per le amiche, per le feste. Camilla viveva per realizzarsi e accontentare i genitori. Allora, tra il Colosseo sulla sfondo, la luna che torreggiava su loro, il profumo che tanto le piaceva e le braccia di Cesare che la riscaldavano, chiuse gli occhi e si godé quel momento di pace e serenità. Cinse le esili braccia attorno alla vita del ragazzo, inspirò e poi fece una domanda che spiazzò sia lei che Cesare: <<Avevi detto tutta la sera?>> 




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