Il rapimento

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Alcuni raggi di sole delle dodici svegliarono Cesare che scattò in piedi, carico di energie, pronto per mettere in atto il suo malefico piano. Prese in mano il cellulare e digitò il numero di Mirko:

<<A Ce', buongiorno! Allora? L'hai trovata quella ieri sera?>> chiese l'amico, mentre masticava qualcosa.

<<Ma stai sempre a magnà? No, comunque era già andata via. Ma sai che quando me metto in testa una cosa, non me la toje nessuno?>> chiese lui, dirigendosi in cucina per fare una sorta di colazione/pranzo. Aprì il frigo e ne estrasse dell'insalata di pollo, prese un cucchiaio, andò in sala e si buttò sul divano.

<<Perché te che fai? Se non avessi il metabolismo che funziona, a quest'ora saresti la controfigura de Platinette.>> ribattè Mirko, dando un altro morso alla ciambella. Cesare, nel frattempo, accese la televisione e mise il canale trentuno, dove stavano trasmettendo un programma riguardante persone rapite.

<<A Mi', stasera te che c'hai da fa?>> chiese il ragazzo, mentre per la testa gli passavano idee strane, illegali.

<<Niente, perché?>> rispose il ragazzo dall'altra parte.

<<Me la presti la macchina tua?>> domandò Cesare a bruciapelo.

<<A Ce', che ce devi fa? E poi tu manco c'hai la patente.>>

<<Devo fa una cosa importante Mi', fidate de me. Non me faccio beccà.>> disse lui, in tono quasi supplichevole. Dall'altra parte della cornetta, il silenzio regnò per qualche secondo ma, conoscendo l'amico e sapendo che non si sarebbe tirato indietro dinanzi al primo no, decise di accontentarlo e arrendersi:

<<Io te la presto, ma se poco poco te la fai toglie, io t'ammazzo.>>

<<Grazie, sei il migliore. Alle sette sotto casa mia.>> quasi gridò Cesare, balzando su dal divano.

<<Va bene, ma me devi promette che poi mi racconti cosa c'hai fatto.>> lo raccomandò l'amico.

<<Promesso. A dopo!>> chiuse così la telefonata. Finì l'insalata di pollo, posò il contenitore vuoto sul tavolo e corse in bagno per farsi una doccia.

'Stasera quella Pariolina del cazzo capirà di aver sbagliato persona. Certo, potrei finire anche in galera, ma poco importa.' pensò il ragazzo. Quel programma aveva innescato in lui una bomba a orologeria, pronta a esplodere quella stessa sera.

'-E se lei questa sera non si allenasse?
-Questo è un rischio, ma se non vado non lo saprò mai.
-E se il Freddy Mercury dei poveri provasse a difenderla, sferrando un gancio destro?
-Gliene restituirò uno ancora più forte.
-E se lei iniziasse a urlare?
-Le direi di non farlo.
-E se lei... E basta! Basta.' si ammonì da solo.

Uscito da lì, corse in camera a scegliere l'outfit giusto per quella sera: maglietta nera a maniche corte, giubbotto nero in pelle, pantaloni aderenti con due tagli sulle ginocchia e all star in pelle nera.

<<Mo posso pure andà a fa il becchino.>> disse, guardandosi allo specchio mentre si aggiustava i capelli con la cera. Si spruzzò due gocce di One Million e uscì, per preparare il tutto.

Andò prima dal suo amico di fiducia: l'arabbetto, così lo chiamavano lui e i suoi amici. Era un uomo, dalle chiari origini Arabe, che vendeva prodotti alimentari a un prezzo decisamente inferiore rispetto gli altri. Prese una Tennent's e una Corona, tornò a casa e le mise in frigo.

<<Così pe stasera sto a posto.>> disse. Uscì nuovamente di casa e, questa volta, andò al negozio di caccia e pesca dove comprò un passamontagna.

<<A Ce', ma che hai deciso di andare a fare una rapina?>> gli chiese Giuseppina, la proprietaria del negozio.

<<Sì Giuseppì, così se il colpo me riesce, te do una parte pure a te e finalmente te ne puoi sta a casa con i tuoi nipoti.>> rispose il ragazzo, con tono scherzoso.

<<E allora ti vengo a dare una mano.>> disse la donna, ridendo anch'essa. Cesare uscì dal negozio, si fermò al solito bar dove si radunava con i suoi amici e rimase lì fino alle sei e quaranta, tra una birra, una chiacchiera, una partita al biliardino, una sigaretta e qualche fischio alle ragazze che passavano di lì. Guardandole, il ragazzo pensò che oramai erano tutte uguali, tutte fatte con lo stampino: capelli lunghi, unghie rifatte, tanto trucco sul volto, pantaloni troppo stretti e magliette troppo corte e scollate. Lui, che mai era stato fidanzato, era disgustato da tutte quelle femmine che non si distinguevano dalla massa.

<<Fratè, guarda quella che mappamondo che c'ha!>> gli disse Guido, uno della comitiva.

<<Sai come suoneranno bene?>> gli rispose Cesare, guardando la ragazza come un oggetto. Perché questo erano le ragazze per lui: oggetti vuoti da usare e buttar via. Quelle che erano passate nel suo letto non erano poche, ma nemmeno molte: non amava concedersi a chiunque avesse un bel corpo e un bel viso. Amava quelle che si facevano desiderare, che non crollavano immediatamente per un complimento o un sorriso. A lui piaceva giocare e voleva ciò che, almeno apparentemente, non poteva avere. Forse era proprio quello il motivo per cui, quella sera, la ragazza bionda lo spinse a intestardirsi e a catturare la sua attenzione. Lui aveva già capito che quel gioco gli sarebbe piaciuto.

<<Io vado belli, se vedemo domani!>> urlò Cesare, alzandosi in piedi e salutando tutti con un gesto della mano. Salì in sella allo Scarabeo e si diresse sotto casa. Mirko era già lì che lo aspettava con la sua cinquecento bianca che, da quando aveva preso la patente quattro mesi prima, aveva utilizzato solo cinque volte.

Cesare si avvicinò all'amico e, sorridente, gli disse:

<<Grazie fratè, stasera è la sera giusta.>>

<<Pe fa che?>> chiese Mirko, confuso.

<<Vado a prende la biondina, le farò passà una serata magica così perderà la testa per me come tutte le altre e, come sempre, vincerò io.>>

<<Oddio Ce' ma te sei fissato con quella?>> domandò l'amico, con tono esasperato.

<<Non è una fissa, è una guerra.>>

<<Senti Jackie Chan, vedi di non far cazzate. Se vedemo dopo.>> si raccomandò Mirko, per poi lasciare le chiavi in mano a quel ragazzo scapestrato. Cesare salì a casa, posò il casco e prese le birre fresche dal frigo.

<<Dove vai?>> gli chiese la madre, spuntando dalla camera da letto. Cesare sobbalzò per lo spavento e, portandosi una mano sul petto, rispose:

<<Ma sei matta? Per poco non me prende un infarto. Comunque esco, ci vediamo più tardi.>>

<<E il casco?>> le domandò la donna.

<<Ciao ma'!>> la congedò lui, correndo fuori e scendendo velocemente le scale: sapeva che se avesse aspettato l'ascensore, sua madre sarebbe corsa fuori per rimproverarlo.

Una volta in macchina, mise in moto e non fu una delle partenze migliori della storia: la macchina gli si spense per ben cinque volte di fila. Una volta capito il gioco di frizione da fare, finalmente partì e si diresse verso il campo da tennis del Foro Italico. Si dannò nel trovare parcheggio lì e iniziò a preoccuparsi di aver fatto un viaggio a vuoto. Finalmente, dopo venti minuti di ricerca, trovò parcheggio. Scese velocemente dalla macchina, la chiuse e corse verso il campo: da lontano vide che era illuminato e si sentivano delle voci provenire proprio da lì. 'C'è.' pensò.

Di soppiatto si avvicinò e, trovando la conferma che lei fosse lì, un sorriso gli scappò. La guardava mentre, con quella maglietta azzurra e la gonnellina bianca, rispondeva agli attacchi di quel ragazzo vestito di giallo.

<<Quello è proprio frocio.>> disse Cesare a bassa voce. Tornò subito a guardare la ragazza, la quale aveva il viso illuminato dalla luce dei lampioni: guardando attentamente notò come le gocce di sudore ricadevano lungo quel naso sottile, per poi proseguire sulla guancia e, alcune, morire nell'angolo di quelle labbra rosee e carnose.

La pelle eburnea quasi brillava sotto quelle luci e i capelli, raccolti in una coda alta, svolazzavano a destra e sinistra, secondo lo spostamento di quel corpo minuto, esile. Cesare non staccò gli occhi dalla sua preda nemmeno per un secondo: assorbì ogni informazione che potè, ogni espressione che quel viso emanava durante l'incontro.

<<Set, gioco, partita, Camilla Alfieri.>> annunciò l'arbitro.

'Bingo!' pensò Cesare, mentre le sue labbra s'inarcarono lateralmente in un sorriso.

Vide i due avversari avvicinarsi e stringersi la mano, per poi raccogliere le loro cose.

<<A domani.>> salutò lui.

<<A domani.>> rispose lei. Cesare la vide avvicinarsi all'uscita e lui fece lo stesso; estrasse il passamontagna dalla tasca del giubbotto, se lo infilò e attese che Camilla uscisse. Appena fu fuori, le mise una mano sulla spalla, lei si voltò e, in un attimo, Cesare la prese per la vita e se la caricò in spalla, lasciando cadere a terra il borsone.

<<Lasciami! Lasciami!>> urlava la ragazza, sferrando una serie di pugni sulla schiena del ragazzo.

<<Ao se me ne dai un altro te butto nel Tevere!>> urlò Cesare.

<<E io dovrei farmi rapire così facilmente?>> chiese lei, continuando a dimenarsi. Lui la mise giù, si tolse il passamontagna e, tenendola ben salda per il polso, le chiese:

<<Perché, ce usciresti con uno come me di tua volontà?>>

La ragazza si ritrovò spiazzata: mai avrebbe pensato di trovarsi in una situazione simile.

<<Ovviamente no.>> rispose, stizzita. Lui chiuse gli occhi, sospirò e mise il passamontagna in tasca.

<<E allora vedi che te devo rapì.>> disse, per poi riprenderla in braccio, bloccandogli però le mani.

<<Mettimi giù! Prometto di concederti cinque minuti ma mettimi giù! Devo recuperare anche il borsone!>> urlò Camilla, questa volta impotente. Cesare tornò indietro, raccolse il borsone da terra e, senza posare la ragazza, andò verso la sua macchina.

<<Ti ho detto di farmi scendere! Io ti denuncio!>> urlava lei.

<<Oh no, tu non lo farai. Fidate, non te voglio fa del male.>> ribattè lui. Gli occhi delle persone divertite li seguirono per tutto il tragitto e, una volta arrivati, Cesare fece scendere Camilla che ne approfittò per dargli un sonoro schiaffo in pieno volto.

<<Sei un cafone! Non si trattano così le donne! Bastava chiedere, gentilmente, un appuntamento!>> urlò lei, visibilmente arrabbiata e scossa.

<<Ma se m'hai detto che con uno come me non ci saresti mai uscita.>> rispose Cesare, arrabbiato per quel gesto che mai nessuno si era permesso di fare, nemmeno sua madre.
Lei lo guardava sbigottita, sapendo che, in fondo, quel pazzo aveva ragione: non gli avrebbe mai dato una possibilità.

<<Beh, questo non ti da comunque il diritto di portarmi via contro la mia volontà.>> disse lei, incrociando le braccia. I due si guardarono a lungo e, appena lui sorrise, lei fece altrettanto: nonostante lui l'avesse costretta a seguirlo, la situazione la divertiva, divertiva entrambi.

<<Allora Cami', me li concedi questi cinque minuti?>> chiese Cesare.

<<Solo a un patto.>>

<<Quale?>> domandò lui, curioso.

<<Che poi tu mi lasci in pace.>>

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