Ricordi.

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Eccolo lì, davanti il campo da tennis, che oramai era deserto.
'A Ce', ma che t'aspettavi? Questa è la vita, mica un film dove lei c'ha avuto un colpo di fulmine e t'aspetta a te, magari sotto la pioggia.'
E anche la sua coscienza aveva ragione. Cosa gli era saltato in mente, come poteva essere stato così stupido da pensare che lei fosse ancora lì, ad allenarsi col fratello di Malgioglio? 'Meglio tornare a casa.' pensò.

Si diresse al motorino, indossò il casco e, con tutti i romanisti che invadevano le strade suonando i clacson e festeggiando, tornò alla sua dimora. Una volta arrivato nel cortile, spense il motore, si tolse il caso, si girò verso la signora Anna e le disse: <<Abbiamo vinto.>>

<<Lo so, lo so. Hai la felicità stampata in volto.>> rispose l'anziana. Cesare la salutò con un cenno del capo, afferrò le chiavi e aprí il portone.

<<Sto ascensore è sempre rotto!>> imprecò, vedendo il solito cartello affisso fuori dalla porta di quella scatola metallica. Guardò le scale dinanzi a sé, sospirò e, rassegnato, iniziò a salire quei sette piani a piedi. A metà tragitto, sentì il telefono squillare. Prese in mano il Samsung S7 Edge e vide che era sua madre:

<<A ma' sto per le scale che l'ascensore è rotto.>> disse, dopo aver fatto scorrere la cornetta verde.

<<Corri che la lasagna se fredda!>> disse lei per poi riagganciare.

'Quanto la amo 'sta donna!' pensò e, di colpo, iniziò a correre per raggiungere casa il più velocemente possibile. Quando Cesare arrivò sul pianerottolo di casa, le narici si riempiono di quel profumo che tanto amava. La porta era aperta, come a dire "sbrigati che devi andare a mangiare".

Cesare, con le ultime forze che aveva, scattò come Semola, trasformato in scoiattolo, inseguito dal lupo nel cartone animato 'La spada nella roccia'.

<<Madonna mia che fame che c'ho! Questa è la giornata perfetta.>> disse Cesare, trovando dinanzi a sé un piatto di lasagne fumanti.

<<La Roma ha vinto?>> chiese la madre, mentre lavava le pentole e il piatto da lei usato.

<<Sì ma'.>> rispose, infilandosi poi un enorme pezzo di lasagna in bocca. La madre chiuse l'acqua e si asciugò le mani segnate dai tanti lavori sul canavaccio umido.

<<Ti sei divertito?>> gli chiese. Lui, con la bocca piena, si limitò ad annuire.

<<Sono contenta per te a mamma.>> disse lei, prima di dirigersi al bagni. Si lavò, mise il pigiama e si appoggiò sul divano, per guardare la televisione. Quando Cesare finì di mangiare, lavò il suo piatto e si diresse verso la sua camera. Passando dinanzi la sala, vide la madre che si era addormentata: si avvicinò a lei e notò come quel viso fosse troppo stanco per una donna di soli trentaquattro anni. Già, lei aveva avuto Cesare a soli diciassette anni e lo aveva tirato su con le sue sole forze; era stata cacciata di casa dai genitori Cristiani: secondo loro era vergognoso che la loro figlia avesse perso la verginità al di fuori del matrimonio e, per di più, con un ragazzo di basso rango. Sì perché Antonietta non era di Tor Bella Monaca, non era cresciuta per strada, non aveva mai sofferto la fame prima di allora. Antonietta, alle spalle, aveva due genitori benestanti, viveva in un attico in zona Prati. E quella ragazzina ribelle era andata contro le regole imposte dai genitori, solo ed esclusivamente per l'amore della sua vita: Carlo, il padre di Cesare. 

Carlo era proprio come Cesare: uno scapestrato, un po' delinquente, divertente e cresciuto per strada. I due si erano incontrati per caso in chiesa: la sorella di Carlo si sposò nella chiesa che i genitori di Antonietta e lei frequentavano. Lui, appena la vide, ne restò folgorato: i grandi occhi azzurri, i lunghi capelli neri sciolti e quel vestito color turchese, lungo fino al ginocchio e le spalle coperte da un giacchettino bianco.

<<Ma che sei laziale?>> le chiese Carlo. Antonietta lo guardò perplessa e poi si mise a ridere. Lui le sorrise e, da quel giorno, furono inseparabili.

Quando lei venne cacciata di casa, Carlo la portò da lui, dove venne accolta come una figlia dai genitori di quel ragazzo. Tra Antonietta e Carlo, le cose andarono sempre a gonfie vele finchè, un giorno, arrivò quella maledetta chiamata: lui era morto.

Carlo, per mantenere la famiglia e la casa appena presa, lavorava come muratore. La stanza in cui stava lavorando era stata assicurata con dei sostegni, in quanto il tetto era malmesso. E, proprio questo, gli fu fatale: un sostegno fissato male cadde sotto la pressione del tetto che, crollando, schiacciò Carlo e fece rompere il pavimento, così da far fare allo sfortunato padre di famiglia, un volo di tre metri.

Antonietta ebbe uno shock pazzesco e Cesare... Cesare non si concesse mai di piangere per quel lutto così doloroso. A soli otto anni, era lui l'uomo di casa, era lui a dover essere forte, era lui a doversi prendere cura di quella donna tanto forte quanto fragile.

Guardandola, sorrise, prese il plaid accuratamente piegato sulla sedia e glielo mise sopra, per coprirla dal freddo. Abbassò la serranda, così da interrompere il picchiettio della pioggia sul vetro, tornò verso la donna, si chinò su di lei e le diede un bacio sulla fronte per poi dire:

<<Buona notte regina mia.>>

Cesare si sentiva davvero fortunato ad avere una madre così. Era paziente, amorevole, ogni tanto rompeva le scatole ma lui si sentiva amato da quella donna. E capì che, anche se non erano ricchi e agiati come quei due al campo da tennis, loro avevano molto di più: l'amore. Andò in camera sua, si spogliò, buttando i vestiti a destra e a manca. Si tuffò nel letto e, abbracciando il cuscino, chiuse gli occhi: l'immagine di quei due diamanti nella notte gli penetrò nella mente. 'Io devo assolutamente rivederla.' pensò, con in testa l'immagine di lei che lo sfida, che non abbassa lo sguardo, che non sa in che guaio si era messa. Lei, una ragazza così piccola che, in quei pochi istanti, aveva messo in subbuglio una testa matta come quella di lui. Lei, quella che, sicuramente, ci avrebbe rimesso di più tra i due. Perché ormai Cesare si era intestardito, oramai aveva deciso che lei, in un modo o nell'altro, avrebbe perso quel gioco, a sua insaputa, iniziato solo poche ore prima.

Soddisfatto della grinta e del ritrovamento del suo essere cinico e stronzo, Cesare chiuse gli occhi e si abbandonò tra le braccia di Morfeo.

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