Scontri

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La sveglia suonò e Cesare si maledisse da solo per non essere andato a dormire prima. 'Perché ho lasciato che Mirko mi convincesse ad andare al Room 26 con lui? Che poi, diciamocela tutta, fa schifo. Piena di figli di papà e ragazze che se la tirano, come se ce l' avessero solo loro. Mai e poi mai mischierei la mia vita con quella dei pariolini!' pensò, mentre affondò la faccia nel cuscino.

<<Cesare!>> urlò la madre Antonietta, sbattendo la porta e alzando le serrande che fecero filtrare la luce del sole cocente. Nonostante fosse Ottobre, il caldo non accennava a far spazio al fresco autunnale.

<<A ma', è Domenica! Famme dormì almeno oggi!>> le disse, coprendosi la testa col cuscino.

<<Bello de mamma, per te tutti i giorni sono Domenica!>> ribatté lei, sospirando.

<<Magari fossero tutti i giorni Domenica. Starei sempre allo stadio.>> rispose, saltando in piedi e dirigendosi al bagno.

<<Ah figlio mio, ma io come devo fare con te.>> 

Sapeva perfettamente quello che stava facendo passare a quella donna, ma per lui lo stadio era qualcosa a cui non poteva rinunciare. Quando arrivava la Domenica si sentiva felice, come non mai. L'essere consapevole che di lì a poco avrebbe varcato la soglia dell'Olimpico per entrare in curva sud dove, assieme agli amici di sempre, avrebbe cantato e sostenuto la loro squadra, gli riempiva il corpo di brividi, le vene di eccitazione, il cuore di gioia.

Tornò in camera dove sua madre stava cambiando le lenzuola e si avvicinò a lei, le diede un bacio in testa e disse: <<A ma', devi sta' tranquilla. Sai che a casa ce torno sempre.>>

<<Lo so bimbo mio.>> rispose. Si voltò e, con l'amore che solo una mamma ha, si mise in punta di piedi e gli baciò la fronte.

<<Sai che sei proprio bassa?>> la prese in giro.

<<E te lo sai che sei proprio stronzo?>> ribatté lei. Entrambi si misero a ridere e, dopo averle accarezzato il volto, andò in cucina dove prese la sua tazza, il latte e un bel cornetto che sua madre aveva comprato al forno sotto casa. 

<<Tieni, è Mirko.>> esordì lei, entrando in cucina col telefono del figlio in mano.

<<A ma' quante volte t'ho detto de non toccà le cose mie?>> le disse ma lei, come sempre, si voltò e se ne andò.

<<Fratè dimmi.>>

<<Ma la voi smette de trattà così quella pora donna?>> lo riproverò il migliore amico, l'unico per cui avrebbe dato la vita.

<<Ao ma che te ce metti pure te mo?>> lo rimproverò.

<<Vabbè te sei svegliato male stamattina. Senti se vedemo alle undici a Circo Massimo che dobbiamo finì de preparà la coreografia pe oggi.>> gli ricordò Mirko.

<<Tranquillo, se vedemo là!>>

<<Sai come se dice, no? Tranquillo è  morto inculato!>> disse e chiuse così la telefonata. Cesare scosse la testa, mandò giù l'ultimo pezzo di cornetto e si recò in doccia. Strofinò bene via l'odore dell'alcool, uscì e coprì l'ultimo tatuaggio fatto con uno strato sottile di Bepanthenol, andò  in camera, indossò la tuta della Roma, lo scalda collo che gli sarebbe servito per coprire il viso durante lo scontro con i laziali e il cappello. Air max nere ai piedi, borsello a tracolla e via. 

<<A ma' io vado, se vedemo domani.>> la salutò, dandole un bacio in fronte.

<<Sta attento Cesare.>> gli disse lei. Annuì e chiuse la porta dietro di sé. Scese velocemente le poche scale che vi erano, uscì dal portone, salutò la signora Anna, la vecchietta del palazzo che tutti i giorni si sedeva sulla poltrona portata dal marito oramai defunto. Passava tutto il giorno sotto al cortile del palazzo, da sola.

<<A Cesare, ma dove vai sempre di corsa?>> gli domandò.

<<Signora, oggi ce sta il derby!>> rispose, salendo in sella al suo Scarabeo.

<<Ah allora corri, corri e canta anche per chi non può!>> rispose. Lui le sorrise e annuì: sapeva perfettamente che stava parlando di suo nipote Thomas, a cui avevano dato il daspo per uno striscione contro il Napoli. Questo gli creava tanta rabbia perché, anche tante altre persone che conosceva, erano state esonerate a vita dallo stadio solo perché avevano detto la loro. 

Mise in moto e, col vento sul viso, si diresse verso Circo Massimo.

Il traffico di Roma era stressante ma, al tempo stesso, gli permetteva di catturare tanti particolari che questa città offre. Roma è bella, bella in ogni forma, colore, odore, modo. Roma è Roma, Roma è la città eterna e per questo la amava.

Finalmente intravide la meta, parcheggiò e si affrettò a scendere gli scalini che lo portarono all'interno di quell'ovale dove, ogni anno, preparavano le coreografie per i derby.

<<Strano che sei arrivato puntuale.>> disse Mirko, prendendolo in giro.

<<Sai che pe la Roma arrivo sempre puntuale.>> ribatté ridendo. Lui gli sorrise a sua volta e si salutarono con una stretta di mano: erano migliori amici fin dai tempi dell'asilo, ma tra loro non c'era mai stata una dimostrazione d'affetto, nonostante contassero molto l'uno per l'altro.

<<A bello!>> urlò Alessandro, il cugino di Mirko.

<<Ciao Ale.>> salutò, dando la mano anche a lui.

<<Allora, mo che ce stamo tutti, mettemose a lavoro va'!>> disse Lorenzo, soprannominato Lollo. Lui era il capo gruppo, il più anziano. Aveva quarantatre anni ed erano trenta che era abbonato in sud. 

Il resto del gruppo annuì e iniziarono a colorare la coreografia che, nei giorni dietro, avevano disegnato. 

Dopo ore passate inginocchiato a terra, Cesare si alzò assieme agli altri e ammirarono il capolavoro che avevano creato: una grossa lupa nera contornata da un cerchio color oro e uno rosso porpora.

La scritta "Roma siamo noi" era completa e non restava che recarsi allo stadio.

<<Regà, gli altri ci aspettano fuori con i fogli arancioni, gialli e rossi da dare dentro. Andiamo!>> disse Lollo. Tutti quanti annuirono e, aiutando a mettere i vari pezzi di tela in macchina di Lollo e Gabriele, suo fratello, si prepararono allo scontro.

Erano già le sei e, dopo anni, due ore e quarantacinque minuti più tardi, l'arbitro avrebbe lanciato il fischio d'inizio. Le strade di Roma erano ancora più piene ma, quella volta, erano colorate di oro e di porpora: bandiere, sciarpe e cappelli uscivano dai finestrini,  i clacson suonavano e qualcuno cantava qualche coro. 

Cesare era fermo al semaforo quando sentì un bambino intonare 'In curva sud noi staremo ad aspettar...'

Lo guardò e pensò a quanto gli somigliasse: era lui qualche anno prima. Sorrise, scattò il verde, diede gas e raggiunse piazzale Clodio, dove parcheggiò e si raccomandò a Mustafà, il parcheggiatore abusivo, di tenergli d'occhio il suo gioiellino. Lo salutò e si diresse verso il Foro Italico, dove lo aspettavano gli altri. Un'orda di gente occupò la strada, alcuni automobilisti erano irritati per il tanto caos ma, loro, non sapevano, non capivano quanto contava per quei tifosi quel giorno. 'O noi o loro: o i lupi o le aquile.' pensò Cesare.

Stranamente vide Lollo e Mirko fermi vicino al camper del paninaro: 'Che succede?' si chiese. Non si fermavano mai lì, a meno che...

Appena riuscì a vedere dietro l'angolo dell'edificio, capì il motivo che li aveva trattenuti lì: una schiera di poliziotti faceva da barriera tra loro due e una massa di tifosi laziali. Alzò lo scalda collo per coprirsi il viso e iniziò a correre in loro aiuto perché sapeva che, anche se loro erano due e gli altri duemila, non si sarebbero spostati, avrebbero aspettato che la barriera crollasse e avrebbero combattuto, perché erano lupi. Corse più in fretta che poté e notò che, assieme a lui, il resto dei romanisti che prima ingorgavano le strade, correva per aiutare due fratelli in difficoltà.

Neanche il tempo di arrivare che la barriera cadde sotto la pressione del nemico. Caricarono e, in un lampo, le nocche di Cesare finirono contro il naso di qualcuno che cadde a terra. Il ragazzo prese un altro per le spalle e lo scaraventò al suolo, dandogli un calcio in pieno stomaco. L'adrenalina scorreva nel suo corpo e questo lo faceva sentire vivo come non mai. Si voltò e sentì un dolore lancinante allo zigomo: un tirapugni si era scontrato col suo osso, creando un'apertura da dove scorreva del sangue che finiva tra le sue labbra. 

Quel sapore metallico che inebria la papille gustative, fece scatenare in lui una reazione animalesca: 'Attacca e uccidi'. Sferrò un gancio destro dritto sul sopracciglio. Le sue nocche erano rosse e il suo occhio ricoperto del suo stesso sangue. Non poteva perder tempo, quindi, afferrò i capelli e portò il volto nemico a scontrarsi contro il suo ginocchio. Era a terra, inerme.

<<Ce'! Annamo!>> urlò Mirko, afferrandolo per un braccio. Cesare si guardò intorno e sentí le sirene della polizia in lontananza. Iniziarono a correre come se un leone li stesse inseguendo e, nel buio della notte, si nascosero dietro le siepi, vicine al Foro Italico. 

<<Sono le sette e trenta. Dobbiamo entrare cazzo!>> imprecò Mirko. 

<<Lo so Mì, ma aspettamo cinque minuti così semo sicuri che non ce beccano.>> cercò di farlo ragionare.

<<C'hai ragione. Ma qua c'è proprio puzza de merda!>> disse. Scoppiarono a ridere entrambi. Poi, un suono, catturò la loro attenzione: di lì a poco, dal campo da tennis, sentirono provenire dei versi. 

<<Andiamo a vedè.>> disse il suo migliore amico.

<<Ma che te voi vedè? Il tennis?>> chiese Cesare.

<<Almeno non me devo sentì sta puzza terribile.>> ribatté lui, alzandosi e dirigendosi verso il campo illuminato. Cesare sbuffò e lo seguì: in fondo aveva ragione.

Si avvicinarono e notarono subito un ragazzo alto, dalla folta chioma bionda e muscoloso, vestire una polo fin troppo aderente e dei micro pantaloncini che nemmeno uno dei Village People indosserebbe.

<<Hai capito chi allena il biondino.>> disse Mirko. Cesare lo guardò e poi, incuriosito, tornò a guardare il campo. Notò una ragazza bionda al centro di esso, che lo guardava: i suoi occhi sembravano di un azzurro cielo. Aveva una pelle candida, un viso pulito, quasi senza trucco. Poi però notò la sua espressione: le sopracciglia erano inarcate, le mani posate sui fianchi e una faccia davvero arrabbiata.

<<Che c'è?>> le chiese.

<<Cosa ci fate voi lì?>> domandò in risposta.

<<Te stamo a guardà.>> ribatté Cesare onestamente.

<<Siete pregati di non spiare chi non conoscete. Non è buona educazione e, per favore, vi prego di andarvene. Questa è una lezione privata!>> urlò con la sua vocina, dal fondo del campo.

<<Ma questa è scema. Andamosene Ce'.>> gli disse Mirko ma, per qualche strano motivo, Cesare non voleva staccare il suo sguardo da quella piccola e arrogante ragazzina. Nessuno mai si era rivolto a lui con quel tono, nessuno mai lo aveva sfidato così apertamente. Perché tutti sapevano che con Cesare Pastorelli nessuno ne sarebbe mai uscito illeso.

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