Millie;

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Millie era un gatto estremamente aggressivo.
Viveva nello scantinato del convento, era entrato quasi quattro anni fa, la notte di Natale.
Miagolava all'inizio, infastidiva le ragazze del piano terra e quindi le suore avevano deciso di farla fuori con del veleno.

Dicono che la misericordia sia uno dei tanti pregi dei cattolici, ma probabilmente nei confronti del gatto rosso in cantina non era un opzione.
Suor Clara le portó il cibo avvelenato, ma io ero già nascosta. Millie miagolava nella mia direzione, quando la suora si era avvicinata, aveva agguantato il dorso della sua mano e le aveva lasciato un paio di graffi che l'avevano fatta sussultare e scappare via.

Prima che il muso peloso potesse annusare il cibo gliel'avevo tolto, beccandomi allo stesso modo la zampata sulla mano.
Soffiai sulla ferita e afferrai il piccolo piattino con l'arrosto avanzato da capodanno, inizialmente non si avvicinò, ma appena mi fui allontanata, terminò il contenuto in pochi secondi.

Andavo a trovarla spesso.
Era aggressiva, non permetteva a tutti di avvicinarsi e portandole in cibo ogni giorno aveva smesso di miagolare. Per qualche mese potevo stare a distanza senza che mi soffiasse, poi man mano aveva permesso che l'accarezzassi.

«Sai Millie, sono quasi tre anni che sei qui con me.» le dissi dandole qualche buffo sulla testa.

Lei miagolò di rimando. Osservai il suo pelo rossiccio sparire tra le mie dita.

«Parli con il gatto svitata?» la voce di Sara interruppe quel momento. Sara era un essere mitologico, metà umana e metà stronza. Passava le sue giornate a tentare di tormentarmi, mi rendeva felice farglielo credere, tranne quando riportava ogni mio passo a Suor Agostine, lei sì che mi tormentava.

«Parlo con animali come te ogni giorno.» arrivai alla sua altezza, si trovava ad un gradino di differenza, ma continuava ad arrivarmi sul mento.

«Suor Agostine vuole vederti, stregaccia.» amavo quel nomignolo, in quella parola c'era tutto il disprezzo e la paura che Sara nutriva dentro di sé.

«Mi stavo appunto chiedendo quando mi avrebbe convocata.» la sorpassai, salii le scale sopra di lei e mi diressi al piano terra.

L'ufficio della direttrice si trovava dopo le cucine, impossibile fare uno spuntino di mezzanotte.
Lo raggiunsi e la porta era aperta, mi stava aspettando, il suo sguardo infatti scattó su di me non appena mi trovai sull'uscio.

Suor Agostine era una donna sulla settantina, aveva il viso rugoso e inespressivo, un neo le spuntava dal mento e gli occhiali con la montatura trasparente si poggiavano sul suo naso dritto. Era severa, origini polacche, suo padre aveva combattuto nella seconda guerra mondiale e lei era stata cresciuta dalle suore.

Non avevo mai creduto che fosse davvero devota a Dio, ma più che usasse la sua parola come mezzo per disseminare paura. Nemmeno Dio, se esistesse, vorrebbe essere qui, in particolar modo sull'uscio di questa porta.
«Entra Erisea.» disse.

Mi sedetti su una delle due sedie scomode. «Non ho fatto niente.» dissi immediatamente, ma sapevo che si sarebbe inventata qualsiasi cosa pur di sbattermi in punizione.

«Erisea.» si schiarì la gola. «ormai hai diciassette anni.»

«Sedici.» la corressi.

«Non interrompermi.» picchió forte la mano sulla scrivania. Non sussultai, almeno non all'esterno, non le avrei dato la soddisfazione di vedermi spaventata. «Come dicevo, ormai hai quasi diciassette anni, quindi il limite per la tua adozione sta per scadere e nessuno vorrebbe una come te da bambina, figuriamoci da adolescente.» nessuna delle due rise, non mi interessava l'adozione, avevo già una madre e un padre, non erano qui, ma ce li avevo.

«Il punto è.» afferrò dei fogli sulla scrivania. «Che lo stato mi obbliga a darti qualcosa, non posso abbandonarti come un cane randagio. Non posso permettermi che le ragazze sotto la mia tutela facciano una brutta fine e dato che le probabilità affermano che probabilmente tu la farai, ho altro in serbo per te.»

Mi passó il foglio, più che passarmelo, pensó bene di lanciarmelo addosso. Non volevo guardarlo, sapevo perfettamente cosa succedeva alle ragazze che non venivano adottate.
Lessi le prime quattro righe.

"Tirocini di Formazione per divenire Una Figlia della Chiesa.
Le convocazioni inizieranno il 1 Settembre e sono ammesse le donne di età superiore a 17 anni."

Le convocazioni sarebbero iniziate tra due giorni.
«Preferisco altro per la mia vita grazie.» piegai il foglio, evitai di stropicciarlo solo per non farla incazzare.

Rise con la sua voce gelida. «La tua vita?» mi chiese scuotendo la testa. «È grazie a me se sei viva e vegeta.»

«Non vi ho mai chiesto di accogliermi.» sibilai a denti stretti.

Piegó la testa verso di me. «Hai ragione.» sospirò. «Avrei dovuto lasciarti a marcire e piangere sui i corpi carbonizzati di quei disgraziati dei tuoi genitori.»

Ed eccolo lì.
Quel tremore.
Era così che l'avevo chiamato, si era manifestato per la prima volta molti anni prima.
Era come un conato di vomito. Lo sentivo risalirmi per la gola e poi ritornare al suo posto, rituffarsi nel mio stomaco. Il cuoio capelluto iniziava a prudermi e i capelli si elettrizzavano.
Le unghie e i denti cominciavano a fremere e l'odore dell'incenso che usava per spaventarmi mi entrava nelle narici.
La rabbia era qualcosa che avrei dovuto imparare a controllare anziché sopprimere, ma non c'era davvero qualcuno che avesse intenzione di aiutarmi.

Respirai, sapevo che quello era solo un modo per provocarmi, voleva che facessi un passo falso per spedirmi in punizione, per chiudermi in camera per ore senza cibo e acqua. «Non diventerò una suora.» dissi con voce ferma intrecciando le dita e sperando che quel tremore si sarebbe calmato.

Sollevó un sopracciglio. «Non te lo stavo chiedendo.» finalmente mi decisi a guardarla. «Prepara la tua roba.» strabuzzai gli occhi.

«Io non vado da nessuna parte.» scattai in piedi facendo stridire la sedia. «Non può costringermi, non diventerò come lei.» sentii immediatamente i passi dei sorveglianti alle mie spalle. Mi voltai e mi aspettavano sulla porta.

«Te lo ripeto Erisea, non te lo stavo chiedendo.» sentii gli occhi riempirsi di lacrime.

«Non può farmi questo, non le ho chiesto di aiutarmi.» mi afferrarono dalle spalle.

La terra riprese a tremare e così il suo schifoso ufficio. Guardó le pareti osservando come i suoi quadri avessero cominciato a vibrare, i due scimmioni mi tenevano per le spalle mentre sentivo i miei occhi uscirmi dalle orbite.
«Non mi manderai in quel posto di merda.» gridai e il quadro di San Michele alle pareti cadde al suolo rompendosi in tanti pezzi.

La mia rabbia stava raggiungendo il suo apice e la familiare debolezza mi colpii nelle gambe. Uno dei due mi aveva piantato qualcosa tra il collo e la scapola. Guardai l'ago penetrarmi nella pelle e sentii il medicinale bruciarmi. «Cureranno il tuo male, mi ringrazierai.»

Buio.



Aprii gli occhi ritrovandomi a guardare il soffitto della mia camera, se così potremmo chiamarla.
Era spoglia, priva di simboli, tranne per il crocifisso appeso al capezzale del mio letto.
Era buio pesto, di sicuro notte fonda, mi avevano già somministrato qualche volta quella sostanza, Suor Agostine la usava per calmarmi quando cominciavo a dare di matto.

Mi alzai con un tremendo mal di testa e mi avvicinai subito alla porta, che come mi aspettavo era chiusa a chiave.
Sfortunatamente i bastardi avevano dimenticato della finestra, avrei preferito slogarmi una caviglia che diventare una testa pezzata.

Avrei dovuto aprirla lentamente e fare un volo dal secondo piano al piano terra. «Avanti Eris pensa.» mi guardai in torno.

Un comodino.
Un armadio.
Uno specchio.
Una scrivania.
Un letto.

Pensandoci bene, con una caviglia slogata non sarei andata da nessuna parte.
Mi sedetti sul letto portandomi le mani tra i capelli. Dove sarei andata?
Non avevo nessun posto oltre questo, non conoscevo nulla al di fuori di queste mura, nessuno mi avrebbe aiutata.
Battei i pugni sul materasso afferrando il cuscino e lasciandomi andare in un urlo di disperazione.

Cuscino.
Materasso.

Aprii la finestra, sapevo che avrei potuto fare poco rumore e che la caduta del materasso avrebbe svegliato sicuramente qualcuno.
Constatai l'altezza. Mi stavo letteralmente cagando addosso.
Presi un vecchio zaino, lo stesso con cui ero arrivata in quel posto di merda. Afferrai qualche maglietta che avevo comprato con i soldi rubati dalle offerte, ero davvero una pessima cattolica.

I miei documenti si trovavano nell'ufficio di Suor Clarissa, però molto meglio senza, se un ufficiale mi avesse fermata avrei detto di avere diciotto anni, meglio in galera. Presi due merendine nascoste in un cassetto e ovviamente il mio walkman, mi ero frequentata per qualche settimana con un ragazzo che abitava a qualche casa di distanza dal convento e me l'aveva regalato.

Frequentavo era una grande parola, dato che sapevo solo il suo nome e la sua faccia, l'avevo incontrato in chiesa, ero costretta ad andarci.
Aveva una piccola cassetta con pochi brani, era l'unica musica oltre quelle sacre che avessi mai ascoltato.
Misi lo zaino in spalla e mi sedetti sul bordo della finestra.
Tenevo il materasso al mio lato, sapevo che una volta lanciato avrei dovuto seguirlo a ruota.

«Ora o mai più Eris.» mi dissi afferrando con le mani l'infisso.

Presi un bel respiro, come per tuffarmi da una scogliera, come se poi avessi mai provato la sensazione, però avevo letto che era così che si faceva. Presi il materasso e lo spinsi di sotto, il tonfo non fu così forte e quando si fu stabilizzato, spinsi la mia schiena verso il vuoto serrando gli occhi.
Quando li riaprii non c'era più il soffitto della mia lurida stanza, ma il cielo stellato di fine Agosto.
Dovevo correre.

Mi alzai e costatando che fossi viva cominciai a correre verso i cancelli, avrei dovuto scavalcarli, ma conoscevo un luogo migliore per uscire, il giardino di Suor Amelia. C'era un passaggio che utilizzava per vedersi con il giardiniere, chi dice che le suore sono sante?
Prima che i miei piedi iniziassero a muoversi nella direzione designata, un pensiero mi attraversò la mente.

Millie.

Non potevo lasciarla in questo covo di matti.
Mi maledissi mentalmente e poi mi diressi verso lo scantinato. La finestra era rotta da anni ormai, ma non era abbastanza grande da farmi passare.
Appena arrivata mi accovacciai.
Millie era in fondo alla stanza rannicchiata su se stessa. «Pssst.» la chiamai schioccando le dita. «Avanti Millie non ho tempo da perdere.»

Pronunciata quella frase, una luce in fondo si accese. Mi avevano sicuramente sentita.
Millie si era svegliata e mi stava osservando con un occhio aperto e uno chiuso. «Non voglio lasciarti qui.» si avvicinò alla finestra.

«Sta provando a scappare.» sentii da lontano.
Senza aspettare che Millie si affacciasse definitivamente mi sporsi e la afferrai violentemente beccandomi una zampata dritta in faccia. La tenni stretta al mio petto mentre correvo verso il giardino. Si dimenava tra le mie braccia ed era incazzata nera con me, le sarebbe passato.

Corsi tra i cespugli, mentre i passi dietro di me si affievolivano, probabilmente non sapevano dove fossi, ma ho continuavo a scappare, talmente veloce che sentivo le gambe cedermi sotto il peso del mio corpo. Quando vidi l'uscita sentii l'ultima volta le urla delle suore, i miei piedi calpestavano tutte le piante che trovavano nei paraggi e il fiato mi stava diventando corto.

Sorpassai il cancello con ancora Millie stretta tra le braccia. Anche quando mi trovai in strada continuai la mia fuga, avevo il cuore in gola e la paura di essere presa mi faceva tremare le viscere. Solo Dio sapeva cosa avrebbe potuto farmi Suor Agostine.
Mentre correvo tra le strade deserte di Londra decisi che non ci sarei più tornata, a costo di dormire sotto i ponti.

Mi fermai dopo un tempo indefinito, la gatta si era calmata e ora stava tranquillamente in braccio. Mi trovai davanti ad una scritta luminosa. "Caffè da Joe." diceva l'insegna, entrai senza pensarci due volte. Mi sedetti su uno dei divanetti appoggiando Millie al mio fianco.
Non ero mai entrata in un bar prima d'ora, era proibito, probabilmente i demoni erano li che si riunivano.

«Vuole qualcosa signorina?» mi chiese una ragazza sulla trentina.

La osservai e dopo aver capito la domanda mi toccai le tasche. «Io non ho soldi.» le dissi e realizzai che fuori dal convento quelli mi sarebbero serviti.

Lei mi sorrise e si guardò in torno. «Sembra ti sia successo qualcosa di orribile.» disse osservando la mia faccia ferita.

No, mi sono solo lanciata dal secondo piano, rapito un gatto e corso per quasi due chilometri. «Si.» pensa Eris. «Mi hanno rapinata.» indicai il taglio sulla faccia.

Lei si portò le mani a coprirsi la bocca, non doveva essere molto sveglia. «Tranquilla, ti porto un caffè.»

La guardai scioccata, ci aveva creduto? Misi su l'espressione più sconvolta che avevo.  «Grazie mille.» mi coprii gli occhi con le mani. «È stata una nottata terribile.»

Mi accarezzó la testa e dopo qualche minuto il caffè fumante si trovava sul tavolo. Bevvi qualche sorso sperando che quel poco di caffeina mi avrebbe tenuta in forze. Millie mi guardava ancora male e mentre cercai di afferrarla per infilarmela nella borsa, lei scappò sotto il tavolo.

«Mi dispiace di averti afferrata in quel modo.» le accarezzai la testa. «Sarò gentile.» soffiò nella mia direzione e decisi di lasciarla perdere per qualche istante.
Mentre avevo ancora la testa sotto il tavolo, sentii la campanella della porta suonare, chi diavolo entrava in una caffetteria alle tre del mattino, a parte chi scappa dai conventi.

Mi alzai, il terrore aveva cominciato ad assalirmi, se avessero trovata? Fissai la tazza di caffè e sentii l'estraneo avvicinarsi a me per poi vedere con la coda dell'occhio il suo profilo passarmi di lato e sedersi sul divanetto difronte al mio.

Scollai gli occhi dalla tazza e guardai chi avevo difronte, quella non era di sicuro Suor Agostine.
«Tardi per una tazza di caffè, non credi

Strabuzzai gli occhi.
Non avevo mai visto quell'uomo in tutta la mia vita. Una lunga barba bianca gli adornava il volto scarno, indossava quello che sembrava un completo argentato ed era vecchio.
Ingoiai un groppone e decisi che era meglio affrontare quella situazione con maturità.

«E tu chi cazzo sei?» chiesi facendogli spuntare un sorrisetto sul volto.

«Chi pensi che io sia?» mi chiese cercando i confondermi.

«Senti, sono una ragazzina, dovresti vergognarti a farmi certe avance. Penso che se non te ne vai comincio a strillare e a strapparmi i capelli finché non ti arrestano.»

Rise di gusto. «Calmati, non sono quello che pensi?»

«Un pervertito, secondo me si.» afferrai il caffè e decisi che gliel'avrei lanciato in faccia se avesse provato a toccarmi.

«Non credo che lanciarmi il caffè sia una buona idea.» rimasi interdetta, mi aveva letto nel pensiero?

«Imparerai, che questo non si chiama leggere nel pensiero, ma Legilimanzia.»

Risi, non so per quale motivo ma cominciai a ridere istericamente. «Ho capito chi sei.» bevvi un sorso del mio caffè. «Sei la copia sottopagata di Houdini.» lui mi guardò con disappunto.

All'improvviso, dopo un suo piccolo gesto della mano, la mia tazza di caffè sparì e al suo posto comparve un uccellino. Rimasi a fissare la mia mano per qualche secondo prima che quest'ultimo si volatizzasse.
«Mi stai prendendo per il culo?» guardai il punto dov'era sparito. «Fai tornare il mio caffè, non mi piacciono i maghi.»

«Dovrai abituartici.» commentò solamente.

Capii che c'era qualcosa di molto strano in quel tizio barbuto. Afferrai il mio zaino e presi Millie da sotto il tavolo. «Sai una cosa? Tienitela, io me ne vado.» mi alzai e mi diressi a passo svelto verso l'uscita.

«Le pareti tremano quando sei arrabbiata, vero Eris?»

Come conosceva il mio nome?
Mi voltai di nuovo verso di lui. «Ti manda lei non è così?»

«Lei chi?»

«La suora, quella sadica del cazzo che vuole farmi diventare come lei.»

Scosse la testa. «Non c'entro niente.» disse.

Mi sedetti di nuovo. «Come sai il mio nome?»

«Conosco tanti nomi.» si giustificò.

«Nessuno si chiama come me, io mi chiamo Eris-...»

«Come la Dea della discordia.» terminò la mia frase e questo mi fece sussultare. «Ti chiami come la Dea dei dipinti di tua madre, Marisa.
Tuo padre, Dennis, non era d'accordo a darti questo nome, ma tua madre lo amava.»

Sentii il sangue raggiungermi il cervello. «Come sai i nomi dei miei genitori?» sibilai a denti stretti.

«Sono stati miei alunni.»

«Mia madre era Olandese e mio padre Inglese, non sono andati nella stessa scuola.»

«Invece si, entrambi erano studenti di Hogwarts.»

Quella parola, quelle otto lettere, quell'ordine.
Io conoscevo quel posto, conoscevo quel nome, perché lo conoscevo?
«Te ne avranno parlato.» il suo sguardo si addolcì. «Ti avranno detto che sei una strega.»

Strega.

Mi avevano chiamato così le suore appena ero entrata nel convento.
Lo dicevano perché pensavano che fossi maledetta, l'unica sopravvissuta all'incendio che aveva ucciso i miei, indenne, illesa.
Non piangevo al pensiero della loro morte, non pregavo per le loro anime, non portavo i crocifissi, non mi facevo benedire il pranzo.
I gatti mi volevano bene.
Quando mi arrabbiavo i muri tremavano.
Quando volevo aprire una porta chiusa, le chiedevo di farlo e lei si apriva. Quando mi tagliavano i capelli troppo corti, ricrescevano in una notte. Quando faceva freddo, il fuoco dell'oratorio diventava il doppio e raggiungeva l'esterno del camino.

Ero una strega.

«Non ho tempo per queste stronzate.» dissi alzandomi di nuovo, non mi interessavano le sue baggianate, volevo solo andarmene, trovare un posticino dove restare fino a mattina e poi cercarmi un lavoro.

Raggiunsi la porta senza aspettare che lui mi rispondesse e mentre mi affacciavo sulla strada, lo sentii al mio fianco.
«Aiuteresti almeno un vecchio ad attraversare la strada?» disse porgendomi il braccetto.

Portai gli occhi al cielo. «Se dopo questo sparisci si.» fece un cenno di approvazione e afferrai il suo braccio.

«Comunque.» disse fissando in alto la luce del lampione. «Io sono Albus Silente.»

E ancor prima di poter fare un passo, avvertii una sensazione strana a livello dell'ombelico, come se un filo invisibile mi stesse tirando, dopo qualche instante i miei piedi abbandonarono i marciapiedi londinesi.





Salve salve salve
grazie a tutti per aver votato il prologo della storia, sono molto contenta che sia piaciuto.
Questo è il primo di una serie di molti capitoli.
La storia sarà diversa da quella scritta in precedenza e come al solito vorrei fare qualche precisazione.

Gli anni in cui è ambientata la storia non sono gli stessi del mondo di J.k Rowling.
Gli eventi saranno differenti e ve ne accorgerete durante la lettura della storia.
Il personaggio di Eris è stato interamente ideato e creato da me, è una creatura molto particolare come vi ho già accennato, vi avverto che vi piacerà un sacco.

Vi lascio immaginare l'aspetto di Eris come volete, ma vi consiglio di immaginarla sempre con il volto imbronciato, almeno è così che lo faccio io hahahahha

Non posso stabilire ogni qual volta uscirà un capitolo, mi impegnerò a farlo una volta a settimana aggiornandovi con avvisi sul mio profilo.

Grazie come sempre per la lettura

Baci Baci

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