Ottery St Catchpole;

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Il conato di vomito mi scosse le viscere.
Mi portai le mani all'altezza dello stomaco e mi piegai in due, il corpo prese a tremarmi per qualche minuto e poi mi calmai.
Mentre la mia testa era ancora rivolta al suolo, notai la presenza di erba e fiori immersi in un quello che pareva uno stagno. La puzza d'acqua paludosa mi arrivó alle narici e guardandomi intorno mi resi conto di non essere più a Londra.

«Millie!» chiamai, ma la gatta non pareva avermi sentita. «Millie!» esclamai a voce alta girando su me stesse. Non poteva essere andata lontano.

Piante alte qualche metro mi circondavano e non mi mostravano cosa ci fosse dopo di loro.
Come ero arrivata qui? Dov'era qui?
Dov'era quel tizio? Il mio corpo venne scosso da brividi, i miei piedi erano immersi nell'acqua che mi arrivava alle caviglie.
Aveva detto di essere un mago, che mi avesse semplicemente drogata e portata qui? Probabilmente questa era la migliore opzione, ma perché lasciarmi qui, in mezzo al nulla.
Per di più pareva mi avesse rubato il gatto, o nella migliore delle ipotesi Millie era scappata.

Udii delle voci in lontananza, se avessi seguito il rumore? Mi fermai all'istante, se quello era un traffico di esseri umani, stavo decisamente andando nella direzione sbagliata, ma almeno potevo sbirciare.
Cominciai a camminare, schiacciando e spostando le piante che mi ostruivano la visuale.
Mi faceva male la testa, probabilmente era stata la droga che mi aveva somministrato.

Ero arrabbiata. Era solo una la cosa che dovevo fare, scappare da quell'orfanotrofio e rifarmi una vita. Invece ora non sapevo nemmeno dove mi trovassi, come fossi arrivata qui e che giorno fosse. Sembrava non fosse passato tanto da quella sera, anzi, pensai che l'orario fosse anche lo stesso. Lo stomaco mi faceva ancora male per lo sforzo dopo aver rigettato, certo che usavano roba davvero forte.

Camminai per un tempo che mi sembrava indefinito. Il caldo umido entrava in contrasto con la sensazione di bagnato, mi stava facendo sudare a dismisura.
Una flebile luce giallastra comincio ad illuminare le alte piante. Le voci si erano fatte alte, ancora però non riuscivo a percepire chiaramente le loro parole. Sembravano più persone, notai una casa molto alta sputare davanti ai miei occhi. Il fumo di un fuoco si ergeva in alto, probabilmente stavano cenando.

«Ragazzi, dov'è andato Charlie?» riuscii ad udire queste semplici parole, sembrava la voce di un ragazzo, che ce ne fossero altri qui come me?

Mi avvicinai per riuscire a scorgere qualche viso o sentire qualche parola in più. Dovevo stare attenta a non farmi sentire. Scostai le piante davanti al mio viso e notai quattro figure sedute davanti al fuoco, sembravano fotocopie gli uni degli altri. Riconobbi una ragazza con una folta chioma riccia raggiungere il fuoco, portava con sé una teiera e in un'altra teneva stretta quello che mi sembrò essere un ramoscello.

Fu talmente veloce che non me ne accorsi.
Il mio piede entrò in un apertura tra una radice e il terreno, in pochi secondi mi ritrovai fuori dal mio nascondiglio. Poggiai pesantemente le mani al suolo e sentii le mie ginocchia sbattere sul terreno duro. Tutte le voci che prima riecheggiavano, tacquero.

Alzai lo sguardo e vidi che tutti mi stavano osservando con la bocca spalancata, nessuno emise un singolo suono. L'istinto di sopravvivenza è il primo ad intervenire in questi casi, probabilmente il meccanismo di attacco o fuga, decise che quello era il momento perfetto per mettere in atto il secondo punto.
Con uno scatto che non definirei felino presi a darmela a gambe, ritornando nella piccola foresta di piante acquatiche.

«Prendetela.» gridarono due voci che sembrarono provenire dalla stessa bocca.

Molte di quelle foglie spinate mi stavano graffiando il volto, correvo a per di fiato, non importava quanto i miei piedi si impantanassero nel fango o quanto i miei polmoni stessero richiedendo aria. Cercai di seguire una linea dritta, per arrivare chissà dove, dovevo allontanarmi da quei tizi.

Ad un certo punto che mi parve un lampo, una luce biancastra, mi sfiorò il braccio, ma avvertii solo una sensazione di calore.
Mi stavano sparando?
Cominciai a correre ancora più veloce, sentivo i loro passi farsi vicini.
«Fermati dannazione!» gridó una voce alle mie spalle. Mi afferró allacciando il suo braccio enorme attorno alla mia vita.

«Lasciami andare.» gridai in preda al panico.

«Calmati ragazzina.» cominciò a trascinarmi verso la casa, mi aggrappai a tutto quello a cui potevo, scalciai e cercai di colpirlo il più violentemente possibile.

Mi ritrovai tra le mani un legnetto appuntito, avrei dovuto ficcarglielo negli occhi. Appena lo alzai in alto, davanti a me si paró un ragazzo con i capelli rossi e un caschetto tagliato decisamente male. «Attento Charlie. Expelliarmus.» il legnetto che stava fermo nelle mie mani improvvisamente venne lanciato via, come se una folata di vento l'avesse trasportato.

Fissai le mie dita per un tempo illimitato.
Quel tale, era sicuramente un illusionista, ma questo ragazzo, cosa sei tu?
Caddi improvvisamente con il sedere sul suolo erboso. Erano tutti in piedi di fronte a me.

«Ha schivato l'incantesimo.» disse il mio accompagnatore togliendosi la giacca di dosso e lasciandola cadere su una sedia poco lontana.

«Impossibile.» rispose un altro. «L'ho toccata.»

«Di cosa parlate?» intervenni facendo scorrere il mio sguardo su tutti i presenti.

«Ti dico che l'ha schivato.» ribattè senza prestarmi attenzione. «E tu chi diavolo sei?» finalmente si è accorto di me.

«Madre Teresa di Calcutta.» risposi inclinando il capo e alzandomi. Mi ripulii i vestiti e sistemai lo zaino sulla spalla.
Notai che tra le mani di uno di loro c'era una piccola scatolina blu elettrico con inserto verde smeraldo. Il mio walkman.

«Quello è mio, ridammelo.» dissi innervosendomi, quando aveva rovistato nella mia borsa?

«In realtà è caduto nel nostro giardino, come regola sarebbe mio ora.» si alzò, era molto più alto di me, ma questo non mi limitava dal tirargli un calcio nelle palle.

«Quanti anni hai? Tredici? Avanti ridammelo.» tesi la mano nella sua direzione.

«Come sei arrivata qui?» chiese una ragazza avvicinandosi.

Aveva una foltissima chioma riccia che le incorniciava il viso e teneva ancora stretto quel ramoscello tra le mani. «Vuoi cecarmi un occhio con quello?» la derisi.

«In realtà no.» mi puntó il legnetto verso la faccia. «Epismendo.» recitó.

Sentii la pelle del mio volto rimarginarsi e quando mi toccai la faccia il graffio di Millie non c'era più. Guardai la ragazza esterrefatta. «Voi che diavolo siete?» indietreggiai.

«Cosa? Vuoi dire chi?» ribattè un ragazzo dai capelli rossi, come se poi gli altri avessero un colore diverso.

La riccia si acciglió. «Non credo sia una strega.» mormoró.

Scoppiai in una fragorosa risata. «Ancora con questa storia? Strega? Dico vi siete bevuti il cervello?» dalle loro facce sembrava si fossero offesi. «Non esiste la magia.»

«In realtà si, noi siamo mag-...»

La riccia lo afferró per il braccio stritolandolo. «Smettila!» poi si rivolse a me porgendomi la mano. «Io sono Hermione, tu come ti chiami?»

Guardai la sua mano. «Io sono Eris. Sai dirmi come sono arrivata qui?»

Hermione sorrise. «Forse è meglio che vieni a sederti, hai corso un bel po'.» fece segno agli altri si sedersi, nonostante il fatto che mi guardassero straniti. Quello che mi aveva afferrata invece sembrava incazzato nero, forse per tutti i calci che gli avevo sferrato.

Tutti gli altri si accomodarono vicino al fuoco, ma io me ne restai in disparte per qualche secondo.
Non sarei potuta scappare da nessuna parte e questo mi sembrava tutto meno che un traffico di esseri umani, ma perché quello strambo avrebbe dovuto portarmi qui?

«Siediti, non vogliamo farti del male.» sospirai pesantemente e mi accomodai su un tronco abbastanza lontana da loro.

Misi la borsa tra le mie gambe e alzai lo sguardo verso di loro. «Come sei arrivata qui?» mi chiese uno di due che sembravano essere gemelli.

«Non lo so. Sono stata portata con l'inganno, non so nemmeno che giorno sia.»

Un ragazzo occhialuto mi guardò. «È il 31 Agosto, da qualche ora almeno.»

Strabuzzai gli occhi. «Questo è impossibile, non puó essere oggi, fino a qualche ora fa ero in un bar al centro di Londra, come ho fatto ad arrivare qui?» risposi confusa.

«Ti sei smaterializzata?»

Risi. «È un modo carino per dirmi che quel vecchio mi ha drogata.»

«Quale vecchio?»

«Un tizio che è entrato in un bar.»

Il tipo che mi aveva afferrata si accigliò. «Ci prendi per il culo?»

Lo guardai male. «Non devo dirti proprio un cazzo.» risposi e lui si alzò.

«Avanti Charlie.» disse uno dei gemelli mettendogli una mano sul braccio.

Charlie. Avevo fatto arrabbiare Charlie.

«Calmati grand'uomo.» mi alzai anche io. «Quello che si faceva chiamare mago, mi ha trascinata qui, non ti prendo per il culo. Vorrei sapere cosa mi è successo più di quanto voglia saperlo tu.» dissi con voce calma.

Si sedette e alle sue spalle apparve un uomo adulto. Indossava una giacca trascurata, i capelli erano sparati in tutte le direzioni e una profonda cicatrice gli segnava la faccia, dietro di lui, una donna con i capelli sgargianti sbirciava dalla sua spalla.
Vidi che si aggiustava gli occhiali e afferrava una lettera tra le mani. «Eris?» mi chiese voltando la testa.

Annuii indietreggiando. «Non avere paura, Silente mi ha detto che saresti arrivata, ma il gufo ha tardato ad arrivare. Se vuoi seguirmi, abbiamo qualcosa di cui parlare.»

Restai ferma dov'ero. «Non vado da nessuna parte con nessuno.»

Lui sorrise. «Capisco. Posso riportarti all'orfanotrofio se è quello che desideri.» inclinò leggermente il capo verso di me, sapeva che l'avrei seguito.

Mi guardai intorno, tutti mi stavano osservando, probabilmente la parola orfanotrofio li aveva scioccati. Feci un passo in avanti, non mi andava di stare sotto i loro occhi. Seguii l'uomo e la donna verso la casa strampalata, l'abitazione era immersa nel verde, alberi circondavano la casa che aveva un modello architettonico molto bizzarro.

Entrammo in quella che era probabilmente la cucina più strana che avessi mai visto. Un tavolo enorme riempiva il piccolo spazio, sedie di colori diversi e stoviglie addobbavano il tutto, la cucina aveva dei colori sgargianti e mi dava un senso di estrema confusione. Poi un momento dopo i miei occhi caddero su quella che potrei definire una stranezza.
Il lavello era colmo d'acqua e, i miei occhi non volevano crederci, i piatti si stavano lavando da soli. Chiusi le mani in due pugni e mi strofinai gli occhi, sperando che quella visione sparisse, ma quando li riaprii erano ancora lì.

«Voi lo vedete?» chiesi indicandogli.

Il legnetto che sparisce dalle mie mani, io che appaio in un posto sconosciuto, l'uccellino tra le mie mani, la ferita e poi questo. Era una casa di illusionisti? Mi guardai intorno e vidi l'uomo che mi indicò una seduta. Le scale al mio lato tremarono e apparvero immediatamente due signori che assomigliavano spaventosamente ai ragazzi fuori.

«Molly, Arthur, credo che Silente vi abbia parlato di Eris.» loro mi guardarono annuendo.

«Noi andiamo fuori con i ragazzi.» dissero semplicemente allontanandosi in fretta.

Mi fece segno di accomodarmi e lo feci. «Io sono Remus Lupin. Questa è la casa della famiglia Weasley che ci hanno gentilmente ospitato. Ora io ti dirò delle cose Eris e tu dovrai ascoltarmi con attenzione, e soprattutto non dovrai dare di matto.»

Annuii poco convinta. «Quindi li vede anche lei i piatti che si lavano da soli?»

Rise piano e congiunse le mani sul tavolo, la situazione si faceva seria. «Devi capire che il mondo che tu conosci è abitato da più cose di quelle che tu immagini. In particolar modo, c'è un certo tipo di persone che hanno delle qualità diverse da altre.»

«Mi sta parlando dei maghi, Remus?» inclinai il capo.

«So cosa immagini, io sono un mago e per quanto io mi sforzi di crederci sembra proprio che tu sia una strega Eris.»

Pensai che in quel momento sarei scoppiata a ridere, ma quella era la cosa meno strana che mi era capitata. «Cosa ve lo fa pensare?» mi limitai a chiedere.

«Tutte le giovani streghe e maghi sono segnati all'anagrafe del ministero della magia. È da lì che vengono presi i nomi che vanno poi trascritti nei registri di Hogwarts.» trasalì. «Alla scomparsa dei tuoi genitori sei andata in orfanotrofio e saresti rimasta lì fino ai tuoi undici anni, per poi recarti alla scuola di magia. Recenti scoperte ci hanno portato a pensare che il tuo nome non sia mai stato trascritto, non ci è chiaro come o perché. Quindi la tua lettera non è mai arrivata.»

Ingoiai un groppone. «È una bella fantasia.» ma prima che potessi finire di parlare, un altro fottuto legnetto mi venne posato davanti a me. «Potrei chiamare la guardia forestale.»

Lo spinse verso di me. «Voglio solo che l'afferri.» mi disse seriamente.

Sbuffai sonoramente. «Poi mi lascerete andare?»

Annuì.
Portai gli occhi al cielo e cominciai a sentire le dita delle mani pizzicarmi.
Afferrai senza pensarci due volte il legnetto e avvertii immediatamente una sensazione di calore. Sentii i miei capelli sollevarsi e le travi del soffitto tremare sopra di me. Una luce accecante mi raggiunse le pupille costringendomi a chiudere gli occhi. La sensazione che tutto stesse ricominciando a tremare mi fece spaventare terribilmente e lasciai cadere quello che avevo tra le mani.

Remus aveva trattenuto il respiro fino a quel momento e quando posai i miei occhi rossi su di lui, accennò un sorriso. «Mi stupisce come non sbagli mai.»

«Cos'è stato?» chiesi mettendomi composta.

«Questa è una bacchetta, non è tua, non ti ha scelta, ma nonostante tutto, ti ha permesso di utilizzarla.» si alzó. «Per sta sera va bene così Eris.» mi porse la mano.

Mi alzai. «Ora cosa si fa?» chiesi mentre la paura si impossessava del mio corpo, mantenni un comportamento freddo.

«Ora andiamo a mangiare.»

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