Capitolo 12 - Tabit

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Capitolo 12 - Tabit
(colui che sostiene o resiste)

Ieri ha nevicato. Per quanto il clima inglese possa essere freddo, è raro vedere la neve nel paesino dove vivo. Il primo anno che nevicò fu quello in cui scoprimmo della malattia di mia madre, evento che mi spinse e che mi spinge tuttora a detestare questo fenomeno atmosferico. Come detesto la pioggia. Non capisco come questi avvenimenti possano piacere a così tante persone, me lo sono sempre chiesta. Assomigliano alle lacrime, le gocce di pioggia, e mi mettono tristezza. Perché ti spingono a riflettere, a fermarti un attimo, e tutto ti crolla addosso. Non riesci mai veramente a distrarti, il tuo umore viene turbato e tu vieni trascinato in un vortice di ricordi e foto in bianco e nero.

Mi sono lasciata trascinare.

Ho sfogliato alcuni vecchi album insieme a mio padre, con una bella tazza di latte caldo per uno. È stato un pomeriggio malinconico, ma non triste. Finalmente sono riuscita a trascorrere un po' di tempo con mio padre. A volte sembra che non mi sia rimasto neanche lui, che io sia destinata a restare sola per sempre.

E poi tra poco più di un mese sarà Natale. Quest'anno mi toccherà trascorrerlo da sola, poiché lui terrà aperto il ristorante e dovrà andare lì a fare le veci non solo di proprietario, ma anche di chef per la grande occasione. Abbiamo fatto insieme l'albero di Natale e mio padre ci ha già messo sotto diversi regali, dicendomi che gli farebbe molto piacere se io festeggiassi con i miei amici. Ma loro staranno con le proprie famiglie e non me la sono sentita di chiedere niente a nessuno, soprattutto a Mat. Non abbiamo più parlato di quanto accaduto, ma ci siamo allontanati.

Questa sera, appena finito di sfogliare gli album, mio padre mi ha posato un bacio sulla fronte e mi ha detto che mi avrebbe preparato qualcosa di buono per cena. Quando è qui, cucina sempre come se la regina Elisabetta in persona dovesse venire a mangiare da noi. Qualche volta lo aiuto anche io, lasciandomi prendere dall'entusiasmo e dimenticando che saremo solo noi due. Che siamo sempre solo noi da due anni ormai. I miei sogni soffocano la realtà ed io mi sento incredibilmente potente in quei momenti. Come se potessi scrivere una storia ed entrarci dentro, lasciando fuori tutto quello che non mi piace. Come se potessi ritrovare tutto quello che ho perso e stringerlo per qualche, interminabile secondo.

Sono salita di sopra e, presa da una strana determinazione, ho afferrato carta e penna. A volte, credo, ci lasciamo sconfiggere troppo facilmente. Ci pieghiamo quando invece avremmo la forza di resistere, semplicemente perché manchiamo di speranza. La speranza è il motore della vita. Ed essere coraggiosi, affrontare i rischi, può essere la nostra unica possibilità di ritornare a galla quando andiamo a fondo. Il tempo passa e niente lo può fermare. Dobbiamo accettare questa cosa. E vivere intensamente, perché questa è l'unica arma che abbiamo per sconfiggerlo.

Comincio a scrivere la fine del racconto che Mat ha portato alla Dumont, stracciando diverse pagine prima di essere soddisfatta del mio lavoro. Tutti i personaggi sono come tasselli di puzzle che, nella mia mente, trovano il loro posto. Cerco di immedesimarmi in tutti loro, uno alla volta, e di imprimere in essi la forza del racconto. Una forza che li ha resi deboli, vulnerabili. Quando vai a fondo devi avere abbastanza area nei polmoni per risalire. Devi desiderare di risalire ed impiegare in quel gesto tutte le tue forze. E, quando sarai riemerso, avrai il tuo lieto fine.

Credevo di essermi arresa, non avrei mai immaginato di riprovarci.
Ma decido che ne vale la pena.

***

Il giorno dopo arrivo a scuola con un piccolo anticipo. Mi siedo sulle gradinate, rapita dallo strano silenzio che mi circonda. Vengo qui ogni mattina da anni, ma soltanto adesso mi rendo conto che ci sono alcune cose che non avevo mai notato. Gli alberi sono ricoperti da un sottile strato di neve ed il prato è ancora coperto dalla brina della sera. Il parcheggio della Sparrow è quasi vuoto e per la prima volta mi rendo conto che alle due estremità ci sono delle aiuole piene di fiori. È raro vederne in pieno inverno, ma i bucaneve crescono proprio in questo periodo e, come anche il terreno, sono ricoperti di neve. Chiudo per un attimo gli occhi, mentre una folata di vento mi travolge, portandomi alle narici il profumo soffice di terra bagnata.

Mi avvicino all'ingresso, sentendo qualcuno trafficare con le chiavi. Il collaboratore mi saluta, un tantino confuso, ed io gli sorrido emozionata come se fosse il giorno più bello della mia vita. Mi fiondo dentro non appena apre la porta, già udendo in lontananza i motori delle auto e delle moto degli altri studenti in arrivo. Cammino velocemente, salendo le scale a due a due fino al terzo piano. Percorro dei corridoi deserti ed estremamente silenziosi, con il cuore che mi batte all'impazzata. Per un attimo mi fermo, mi volto e torno indietro. Poi cambio di nuovo idea: mi volto e riprendo a camminare. Non sono assolutamente sicura di quello che sto facendo, ma qualcosa dentro di me mi suggerisce di farlo. Sento di dover dimostrare a me stessa che, per quanto questa possa essere una pazzia, ho abbastanza coraggio per commetterla.
E devo commetterla da sola questa volta.

Arrivata davanti l'ufficio della Dumont, sembro risvegliarmi dal mio torpore e per poco non sussulto. Non posso credere di star davvero per farlo. Prima di cambiare nuovamente idea, mi chino e poso il fascicolo a terra accanto alla porta chiusa. Lo stringo forte tra le mani, quasi timorosa di lasciarlo. Alla fine, però, trovo la forza di dargli una piccola spinta, per farlo passare sotto la porta.

Ecco fatto. Ora non posso più tornare indietro.

Sorprendentemente, questa consapevolezza non mi spaventa. Mi sento invincibile e, per un attimo, un sorriso sincero mi si dipinge sul viso.

Quando il vociare degli altri studenti mi raggiunge capisco che il momento di scendere e prepararsi ad affrontare una nuova giornata. Mi avvio direttamente in classe, poiché ormai manca poco all'inizio delle lezioni.

***

In mensa si gela. Il tavolo dove siedo di solito con gli altri è situato vicino ad una finestra, in fondo alla sala, quindi fa ancora più freddo. Stringendomi nelle spalle, afferro il mio vassoio e mi siedo accanto a Ros. Lei mi rivolge un sorriso allegro, che ormai ho imparato a decifrare: significa "non ho ancora ucciso Denny perché abbiamo fatto pace". E, il più delle volte, dura fino all'entrata di Scott, che come al solito passa per il nostro tavolo e saluta Rosie con un bacio sulla guancia.

Non ho idea di chi sia Scott. Io e gli altri non gli abbiamo neanche mai rivolto la parola, Denny addirittura non lo ha mai guardato in faccia. È un tipo a cui piace passare inosservato, che se ne va sempre in giro con il cappuccio della felpa ed ascolta musica vecchia. Al contrario di quanto credessi, è abbastanza ambito come ragazzo. Pare che gli occhi castani abbinati ai capelli biondi siano in grado di affascinare, senza contare la sua fama di ragazzo misterioso. Be', di certo non gli hanno donato anche la simpatia. Neanche a dirlo, Scott e Denny arrivano nel medesimo istante. Denny si limita a guardare male Rosie, come se lei gli avesse fatto un qualche torto. Poi si siede e punta lo sguardo nel vuoto, cercando di apparire impassibile. Nel frangente in cui incrocia il mio sguardo, gli faccio un occhiolino e gli sorriso. L'occhiolino è diventato il miglior mezzo di comunicazione tra me e Denny, il modo più bello che conosca per dire ad un amico "andrà tutto bene". Scott si avvicina a Ros e le sussurra, forse eccessivamente vicino al suo orecchio, le solite parole.

-Bon appétit...

Pare che gli piaccia il francese.

Comunque, se ne va prima che Denny o Olivia possano vomitare. Mat arriva pochi minuti più tardi ed io sono felicissima di vederlo. Oggi è giovedì ed andremo a lezione di astrofisica, il professor Castor ultimamente è emozionato, pare che gli storici sette studenti della sua classe diventeranno... otto. Un piccolo traguardo, ma che lo ha reso ancor più pimpante di prima.

È stato Mat a darmi la notizia, anche se non abbiamo idea di chi si possa trattare. Poco più tardi, siamo in classe, attendendo il suono della campanella. Castor ha sviluppato una particolare simpatia per Mat, gli ha addirittura prestato alcuni dei suoi libri. Mat, con tutti gli impegni che ha, ha a stento trovato il tempo di leggerli e mi ha chiesto di aiutarlo. Lo ho fatto con piacere.

-Signorina Moore!- Castor ci corre incontro –Mat!

-Buon pomeriggio, professore.- Mat sottolinea volutamente l'ultima parola, per ricordare all'uomo qual è il suo ruolo. Quando si rivolge a Mat, Castor sembra più parlare ad un figlio che ad un alunno.

-Oh, giusto, signor... Mat?- borbotta fra sé l'ometto che ci sta di fronte –Rivers! Signor Rivers! Allora? Ha letto il libro che le ho imprestato? Me lo aveva chiesto con particolare insistenza.

Aggrotto le sopracciglia, non sapevo che Mat potesse addirittura scegliere quali libri prendere in prestito.

-Ci sto ancora lavorando, signore.- percepisco incertezza nella sua voce, come se si vergognasse del tempo che ci sta mettendo.

Anche Castor sembra deluso, ma riacquista presto il suo sorrisone e saltella sul posto.

-Oh, non fa niente, Mat.- sbatte le palpebre –Emh... signor Rivers. Spero comunque che fosse quello che cercavi.

-Certo.- Mat si apre in un sorriso luminoso, felice –C'è tutto sul paradosso di Olbers.

Spalanco gli occhi, rammentando benissimo quel nome. È il paradosso che occupa praticamente metà del suo quadernetto tascabile, quello di cui mi ha parlato al parco. Anche allora gli brillavano gli occhi dall'emozione, ed io lo trovo bello in questo momento più che mai. La campanella suona ed i pochi studenti di questa classe fanno il loro ingresso, mentre Castor si prepara a segnare le presenze. Mat si volta a guardarmi ed io gli rivolgo un sorriso sincero, allegro.

-Oggi parliamo della distanza.- dice il professor Castor –Di un'interminabile, terribile e grandissima distanza. Quella tra noi e le stelle.

Comincia a girare tra i banchi, saltellando sulle sue gambe cortissime. Ormai ci siamo tutti abituati e non ci sembra più una cosa strana, ma all'inizio era davvero difficile non distrarsi dalla lezione.

-Vedete, si dice che in matematica la distanza sia qualcosa di oggettivo. Che si possa calcolare, ma mai coprire con pochi passi di cuore. Si tende a distruggere i sogni di chiunque sia stato separato dai chilometri della vita. Ma, nella fisica celeste, la distanza è di quanto più straordinario esista.

Sorride, facendo un piccolo salto per sedersi sulla cattedra. Il suo sguardo si incatena al mio e mi pare che le sue successive parole, quelle che scandisce lettera per lettera, siano le più poetiche che abbia mai sentito.

-Perché, la distanza tra le stelle, è davvero un numero enorme. Non si potrà mai calcolare la distanza tra i punti estremi dell'infinito, poiché tali punti non esistono. E la luce è ingannevole, inaffidabile: mentre ci apprestiamo a raggiungerla, essa potrebbe essersi già trasformata in oscurità... E le stelle muoiono.

Sorride e, per un attimo, il mio sguardo incrocia il suo. Il professor Castor mima un inchino appena accennato, come per concedermi qualcosa. Come dedicandomi delle parole:

-Ma l'esplosione di una supernova non deve necessariamente essere il momento in cui tutto finisce. Può anche essere il momento in cui tutto ha inizio.

Accanto a me, anche Mat mi rivolge uno sguardo e sorride appena.

-C'è poesia nell'universo. I pitagorici credevano che tutto, dalle cose più insignificanti a quelle davvero maestose, si identificasse nell'armonia. Una melodia, un suono perfetto che abbiamo nelle orecchie da così tanto tempo, da averlo definito silenzio. La distanza è lo strumento con cui componiamo tale melodia. È il regista dello spettacolo. La distanza ci fa vedere le stelle come piccoli puntini luminosi, ma ci permette anche di godere della loro luce. Conserva e rende immortali momenti già terminati. Momenti, come la luce di una stella cadente, che viaggia per anni luce fino a noi. E che, a dispetto delle apparenze, non si spegnerà mai. Perché, chiunque sia succube di un'esplosione tanto grande, intraprende un viaggio infinito.

Mentre ascolto le parole emozionate del professor Castor, cerco di memorizzare il significato più profondo della sua frase. Quando comincia una lezione, prima di entrare nella parte scientifica, organizza sempre un discorsetto che vuole apparire improvvisato. Ma che in realtà deve affascinarci ed interessarci all'argomento che tratteremo in seguito.

Non ci avevo mai pensato.

Non avevo mai riflettuto sul fatto che, se l'universo è realmente infinito, niente potrà mai spegnersi. La luce di qualcosa che è stato viaggerà per sempre, anche se ad altissima velocità. Vorrei che fosse così anche per le persone. Vorrei che, quando se ne vanno, lascino una scia che non si spegnerà mai. Ma noi siamo di quanto più lontano dalle stelle ci possa essere, perché non siamo in grado di brillare.

-Potrei dirvi che lì fuori è tutto perfetto, innocuo e chiaro.- sorride –Ma vi mentirei. Perché là fuori non c'è nulla di buono, o di ordinato. Il 98% dell'universo, ciò che noi vediamo, è materia oscura. Le stelle sono come briciole di pane su un pavimento nero.

Quando usciamo dalla classe, Castor pare scontento. A lui sembra sempre che la lezione duri pochi minuti, preso com'è dalla sua passione, e non si rende conto delle ore che passano. Al contrario, noi siamo esausti. Mat rivolge un cenno allegro al professore, promettendogli che gli restituirà il libro il più presto possibile, poi mi raggiunge all'uscita. È bello stare con lui, passare i pomeriggi, le serate e persino le lezioni avendolo accanto. Mi mette di buon umore e rende tutto più... leggero.

Uscendo dalla classe, ci troviamo davanti il bel visino di Adam. A stento mi trattengo dall'alzare gli occhi al cielo, mentre sia io che Mat fingiamo di ignorarlo. Mi gratifica non dover più fare la simpatica con lui. E, questa volta, Pamela non c'è.

Crediamo quasi di averla scampata, ma quando arriviamo agli armadietti ci rendiamo conto che non è così. Adam ci è tranquillamente venuto dietro, come un cagnolino. Si poggia contro il mio armadietto, rivolgendomi un sorrisetto divertito.

Mat raggiunge il suo, in fondo al corridoio, ma non mi stacca gli occhi di dosso. Non so che fare.

-La dolce Ellie ha un minuto per me?- chiede divertito.

Questa volta alzo per davvero gli occhi al cielo.

-Adam.- sospiro stancamente –Ti serve qualcosa?

-A dire il vero sì.- assume un tono curioso.

Rimango perplessa dalla sua risposta, mi aspettavo che fosse qui solo per dare fastidio a Mat.

-Oh.- paleso la mia sorpresa senza neanche rendermene conto –Dimmi pure allora.

Stringo i libri tra le braccia, mentre sento lo sguardo di Mat perforarmi. Tutta questa situazione mi mette enormemente a disagio; ed ho un brutto presentimento.

-Pamela mi ha fatto sapere di una tua... richiesta.

Le ginocchia cominciano a tremarmi, mentre nella mia mente si delinea più o meno quello che potrebbe succedere di qui a poco. Adam registra il modo in cui mi sono irrigidita con un sorrisetto, continuando a scrutarmi con quelle sue iridi verde brillante. Un colore tanto bello, il colore della speranza, che in lui appare tetro e spento. Mi chiedo cosa ci sia in Pamela, perché è l'unica che riesce ad accenderlo.

-Le hai chiesto delucidazioni su una certa faccenda.- continua Adam –Ed io ci sono rimasto seriamente molto male: non dovevi disturbarla, saresti potuta venire direttamente da me.

Percepisco il suo respiro alle mie spalle.

-No.

Mat.

-Non gliene hai parlato, Mat?- nel modo in cui pronuncia il suo nome c'è solo rancore –Hai preferito continuare a fare la parte della povera vittima innocente che-

-Non credevo che anche i ragazzi avessero il loro periodo.- la voce squillante di Denny precede il suo proprietario, che ci raggiunge in pochi passi.

Si piazza esattamente tra noi ed Adam, con un finto sorriso stampato in faccia.

-Non c'è bisogno che tu mi difenda, Denny.- lo redargiusce Mat.

-Spostati, poppante.

-Credimi, amico, penso che ce ne sia bisogno.

-Adesso basta.

Incredibile a dirsi, l'ultima battuta è stata la mia. I tre ragazzi si voltano di scatto verso di me, come se fino a questo momento non avessero minimamente fatto caso alla mia presenza. Devo essere arrossita per la rabbia, oltre ad avere uno sguardo praticamente in fiamme, perché mi guardano spaventati. Incrocio le braccia al petto, facendo un passo verso Adam. Faccio gentilmente da parte Denny, regalandogli il solito occhiolino. Lui mi restituisce uno sguardo teso.

-Sono stanca di questa storia.- dico, a nessuno in particolare –Spero mi perdonerete se non sono informata sugli ultimi pettegolezzi.

Mi volto verso Adam.

-Prego.

-Cosa?- mi chiede bruscamente.

-C'è qualcosa che vorresti dirmi, no?- spalanco le braccia –Prego. Ti ascolto. Così finalmente non sembrerò la sciocca di turno, e visto che sembri l'unico con un briciolo di coraggio qui in mezzo!

Per un attimo sposto lo sguardo su Mat, che ora tiene la bocca letteralmente aperta. Denny gli si è avvicinato e lo tiene per un braccio, ma anche se lo lasciasse non credo che lui riuscirebbe a muoversi. Mi guarda ed io leggo chiaramente nei suoi occhi il desiderio di scomparire all'istante.

Adam non mi guarda, ma mi porge un giornale.

-Ero venuto a darti questo.- dice semplicemente.

Rimango spiazzata: 1992.
Titubante prendo il giornale dalle mani di Adam e, senza neanche cercarla, trovo stampata in prima pagina la sua foto.
La foto di lui e sua madre.
Che entrano in  casa.
Che si fanno scudo dalle domande insistenti dei giornalisti.
Ed il titolo...

-Ti ho solo restituito il favore.- Adam si rivolge a Mat e gli regala addirittura un sorriso -Quando ti viene strappato via qualcuno a cui tieni... non è una bella sensazione, non trovi?

Non riesco a staccare gli occhi dalle parole, da quello che sto leggendo.
Credevo che fosse una questione da niente, qualcosa tra loro due, ma soltanto adesso capisco di essermi sbagliata. E che forse sto per sentire qualcosa che non avrei mai voluto sapere.

-È solo un inetto.- Adam continua  a parlare, ma non lo ascolto realmente.

-Non parlare così di mio padre!

Mat scatta avanti, ma, ancora una volta, Denny lo tira indietro.

-Ci vediamo, Ellison.

Adam ha gli occhi lucidi.
Adam ha davvero gli occhi lucidi.
Non sto sognando.

Tutto comincia a girare, devo appoggiarmi ad un armadietto per restare in piedi.

Adam ride freddamente, rivolgendoci uno sguardo divertito prima di voltarci le spalle ed allontanarsi. Quando si volta, le sue spalle hanno un leggero tremito.

Tutto quello che ho capito è che deve essere successo qualcosa con le loro famiglie.

-Adam...- c'è della dolcezza nella mia voce, anche se non mi sarei mai aspettata di parlare in questo modo ad Adam.

Lui rimane voltato, non ci guarda ed ha le spalle irrigidite. Ora che ho letto cosa è successo, la mia mente ha riportato a galla un ricordo lontano. Pamela ha sempre avuto una cotta per Adam, fin da quando erano bambini. Ma è stato proprio due anni fa che la loro storia è cominciata. Ci fu un periodo in cui si parlò di questo incidente e della famiglia Jackson, mio padre lo lesse su un giornale. L'azienda produttrice passò nelle mani della signora Jackson, e tutta la loro ricchezza li aiutò a mettere su diversi processi. Pamela cercò Adam ovunque, ma lui non si presentò a scuola per parecchio tempo. Quando tornò, se ne stava sempre in disparte ed aveva smesso di essere il solito arrogante. Pamela mi avrà raccontato quella storia una decina di volte: quando, al suo ritorno, in quel campetto da basket lui le crollò tra le braccia.

Non ci avevo pensato. Credevo che non fosse una cosa importante, non troppo, ma mi sbagliavo. A volte in noi si formano delle crepe così profonde, confuse, da divenire irreparabili ed Adam è già lontano, diretto chissà dove, ma tutto intorno a me continua ad essere confuso.

Devo chiudere gli occhi e, quando li riapro, Mat si sta allontanando.

Il mio cuore perde un battito e, senza neanche rendermene conto, gli vado dietro e gli afferro un polso.

-Mat...- pronuncio il suo nome e voglio apparire confusa.

Ma appaio distrutta. Non c'è la dolcezza che ho usato con Adam, un tono di circostanza per qualcosa che, sì, mi ha intristita, ma che ho sentito lontano. Con Mat la mia voce si spezza, mostra le crepe che sono riemerse dentro di me, buchi di trama che mi hanno lasciata sprofondare.

-Mi dispiace.- stringe i denti mentre pronuncia quelle parole, come se volesse trattenersi.

I suoi occhi fuggono i miei, tutto il suo corpo trema e lui si libera dalla mia stretta così facilmente, che per un attimo sento ancora il contatto della sua pelle calda contro la mia. Sbattendo le palpebre, mi accorgo invece che si sta allontanando. Infila l'uscita e si avvia nel parco, camminando molto velocemente. Non appena passato lo shock, quando Mat è ormai fuori dalla mia visuale, mi accorgo di tutto quello che prima mi era sfuggito. Di tutte le persone che, accalcate attorno a noi, hanno assistito alla scena. Di Denny, che le allontana malamente. E di me, che mi sento come se qualcuno mi avesse strappato il cuore e lo avesse bollito in una pentola per mangiarselo.

Impiego davvero poco a decidere cosa fare. Prendo un respiro profondo, pronta ad avviarmi nella direzione in cui è scomparso Mat. Dopo i primi due passi, sento una mano sulla spalla.

Mi volto e Denny è dietro di me. Ha ancora quell'espressione preoccupata e triste, così insolita per lui.

-Lascia che si riprenda.- mi dice –Per lui è stato difficile quanto per Adam, con la differenza che si è ritrovato tutti contro.

Il cuore mi si spezza. Un numero infinito di schegge che mi tagliano il petto, facendomi impazzire il respiro. Ed è proprio il dolore che provo, vivido e vicino, a donarmi la sicurezza di cui ho bisogno. Sposto la mano di Denny dalla mia spalla e lo guardo negli occhi, quelle due pozze nere a cui mi sono ormai affezionata, cercando di sorridergli.
Non voglio lasciar perdere, sono stanca di farlo.

-Io vado da lui.

Spazio Autrice:
Perdonate il leggero ritardo! ):
Questo capitolo non mi piace per nulla e temo di starmi dilungando troppo... Di questo passo, per tutto quello che deve ancora accadere, non finiremo mai. ):

Ma passiamo al punto cruciale... Non ho lasciato Ellison parlare di cosa è accaduto, perché il racconto arriverà nel prossimo capitolo dallo stesso Mat. In questo capitolo la questione è solo accennata, ma nel prossimo avremo un racconto dettagliato di come sono andate le cose... voi che ne pensate? Mat è davvero colpevole come dice Adam?

Io vi ringrazio di cuore per tutte le stelline e le visualizzazioni ai capitoli precedenti e vi mando un fortissimo abbraccio; anticipandovi che il prossimo capitolo sarà uno dei più importanti di tutta la storia. Dunque... siete pronti per la prossima Pleiade? La stella che rappresenta Mat intitolerà il prossimo capitolo! Avete qualche idea?
Un bacio, a venerdì!

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