Capitolo 13 - Atlas A (Pleiadi)

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

*PLEIADI*
Capitolo 13 - Atlas A
(titano che soffre)

Stava tornando a casa.
Era tardi, come ogni venerdì sera.

Denny aveva una specie di fissa per un locale, una sorta di inferno terribile, dove aveva preso a trascinarlo. Non ne era particolarmente entusiasta, ma comunque non aveva nulla da fare. Così, quella sera, rientrò a mezzanotte passata. Alina lo stava aspettando: non lo aspettava mai, ma quella notte era seduta sul divano e piangeva.
Mat si accorse di lei solo dopo aver appeso la giacca.

-Lina...- sobbalzò spaventato.

-Sei... tornato tardi.- piagnucolò lei, allora uno scricciolo di soli sette anni.

-Però sono tornato, no?- le scompigliò i capelli, ancora perplesso –Torno sempre da te, lo sai.

-È tardi adesso.- scoppiò a piangere, abbracciandolo stretto.

"Mamma e papà avranno di nuovo litigato" si disse Mat, con una smorfia. Strinse Alina e le accarezzò i capelli, cercando di tranquillizzarla.

-Ehi...- mormorò –Va tutto bene... vuoi dirmi che succede adesso? Mi stai facendo preoccupare, Lina.

Ma Alina non gli disse altro, quella notte.

***

Non m'importa della neve che mi entra negli stivali, o del vento che mi fa rabbrividire. Non mi importa degli sguardi sorpresi che tutti mi lanciano, o della ragazza che ho urtato per sbaglio. Non mi importa dei piccoli passi del tempo, del modo in cui le nostre vite precipitano, di quanto sia lunga la scalata per risalire.

Riesco soltanto a correre.

Come se potessi arrivare tardi, come se Mat potesse semplicemente svanire. Come se potessi perdere per sempre qualcosa che, effettivamente, non è mai stata mia. Sono terrorizzata perché non so che dire, ma sono certa di non voler più rimanere in silenzio. Di non volermi trattenere, sembrando il personaggio secondario di una stupida storia. Sono stanca di stare a guardare, di sorridere ed elargire consigli. Quello che sento questa volta è troppo forte per starmene in disparte. Perché io credo in lui. Me ne accorgo soltanto adesso, ma ho sempre creduto in lui.

Sto ancora correndo, quando qualcosa mi fa bloccare. In effetti, l'unica cosa che in questo momento avrebbe potuto fermarmi.

-Signorina Moore.- la voce della professoressa Dumont è altezzosa come al solito, ma il tono è giocherellone.

Mi blocco. La figura alta della donna si alza dalla panchina dove era seduta e mi raggiunge; sobbalzo, notando che tiene tra le mani proprio il mio fascicolo. Arrossisco di botto, chiedendomi quando finirà questa giornata terribile.

-Professoressa Dumont.- la mia voce è quella di un pulcino intimorito.

-Vuole sedersi con me?

Indica la panchina con un cenno ed io mi guardo intorno, chiedendomi se stia davvero parlando con me.

Pare di sì.

Gli occhi delusi di Mat mi si stampano nella mente ed io mi rendo conto che, al momento, tutto quello che desidero è correre a parlargli.

-Veramente...- comincio, decisa ad evitare l'ennesima umiliazione della giornata.

-Ci vorranno pochi minuti, signorina Moore.- mi precede la donna, per poi voltarsi e tornare a sedersi.

Mi chiedo distrattamente come faccia a portare i tacchi sulla neve. Ma, non avendo altra scelta, la raggiungo. Mi siedo accanto a lei, posandomi le mani in grembo e tentando di mantenere la schiena dritta. La Dumont tiene particolarmente al portamento ed alla classe, credo che abbia letto il Galateo almeno una ventina di volte.

-Credo di doverti domandare, prima di tutto, se sei stata tu ad infilare queste carte sotto la porta della mia classe...- è passata a darmi del tu -...o se è stato ancora quel ragazzo.

Cerco di ignorare la fitta al petto che mi colpisce quando sento nominare Mat. Chiudo gli occhi per un istante, pronta già a subire la strigliata che mi aspetta.

-Sono stata io.

-Bene.

Restiamo in silenzio, mentre lei fissa assorta la cartellina arancione, contenente il finale del mio racconto. In questo momento sono un grumo di ansia e stress. Mi sento di porcellana.

-Un coraggio notevole.- dice la professoressa Dumont –Abbinato ad un discreto talento e ad un colpo di fortuna, poiché oggi sono particolarmente di buon umore.

Il cuore mi esplode nel petto. Mi chiedo se non sia tutta una presa in giro, se ho capito bene il sottinteso di quelle parole. Qualche giorno fa ho reagito malissimo quando Mat mi ha portata a tradimento nella classe della Dumont, mentre adesso scopro di desiderare che mi accetti.

-Mi scusi...?- chiedo, confusa.

Si alza in piedi, si spazzola la gonna nera e mi rivolge uno sguardo divertito.

-È ammessa alle mie lezioni, se lo vuole.- il tono è formale, lo si capisce anche dal fatto che sia tornata alla seconda persona plurale –Mi aspetto costanza da lei.

Mi congelo sul posto ed il freddo non c'entra nulla. Sono assolutamente felice, e colpita, e terrorizzata, e preoccupata, e orgogliosa e non riesco a non sorridere. Ho deciso di provarci e, nonostante non lo avrei mai immaginato, ce l'ho fatta.

La professoressa Dumont registra divertita la mia espressione contenta, prima di porgermi il fascicolo. Faccio per afferrarlo, ma all'ultimo momento lei ritira la mano.

-Credo che lo terrò.- dice.

-Oh.- mi affretto a dire –Certo, non si preoccupi! La ringrazio.

Mi rivolge un sorriso complice, che mi induce a credere si aver sottovalutato questa donna. Si volta, pronunciando un'unica frase.

-Mi dimostri che è davvero la persona che trapela da quelle parole.

***

Alina chiuse gli occhi.

-Non sbirciare!- le disse scherzosamente Mat, prendendola per mano.

Poi, lentamente, la condusse. Fecero appena pochi metri, fratello e sorella, in una calda sera estiva; Alina aggrappata al suo braccio, fidandosi totalmente di un ragazzo di appena sedici anni, lei che ne aveva otto. Si fermarono accanto ad un aiula fiorita, in quel parchetto dove lui aveva trascorso l'infanzia.

-Posso aprire gli occhi adesso?!

Mat sorrise, prendendo tra le mani il viso di Alina ed alzandolo leggermente, in direzione delle stelle.

-Ora puoi aprirli.

Alina scoppiò a ridere.

-Ma allora sei proprio fissato!- sbottò, facendolo ridere.

Poi si guardò intorno, spaesata.

-Ma... questo posto...

-Il parco.- Mat annuì -Quello dove giocavo con papà.

-Ma...

Mat si chinò per stare alla sua stessa altezza, poi sorrise e le indicò il cielo.

-La vedi quella stella?- Alina annuì -Il suo nome è Regulus. Significa "principe" o "piccolo re", e fa parte della costellazione del leone.

-Il tuo segno zodiacale!- disse di getto Alina, facendolo ridere.

-Sì, il mio segno zodiacale.- acconsentì -Si dice, per la sua posizione, che Regulus sia il cuore del leone, il punto in cui risiede tutta la sua forza. Il suo calore. Sai, è una stella molto luminosa, ma la sua luce viene attutita dalla distanza che ci separa da lei. A volte le cose vanno guardate per bene, scavando a fondo, per essere realmente riconosciute. Come questo posto.

-Quindi le cose non sono sempre come appaiono?- Alina sbatté le lunghe ciglia.

Mat si limitò a sorridere.

-Perdona papà.- le disse.

-Perché papà è come Regulus?

-Vuoi sapere cosa penso, Lina?

Sorrise.

-Le stelle sono lì per ricordarci che non importa quanto le cose precipitino, quanto tutto vada male.- le scompigliò i capelli -Le cose stanno in piedi proprio in attesa del momento in cui precipiteranno. Ma, forse, la bellezza sta proprio in questo: nel modo in cui noi scegliamo di cadere.

***

Quando la professoressa Dumont se n'è andata, sono rimasta a fissare il vuoto per qualche minuto. Ho cercato di realizzare e catalogare tutte le cose successe fino ad adesso, finendo per confondermi ulteriormente le idee. È tutto troppo intrecciato. Devo sciogliere questa matassa, ma non so da che nodo cominciare.

Poi, con calma, mi sono alzata ed ho continuato a camminare. Non correre. Camminare.

Ho cercato Mat ovunque, poi mi sono ricordata che per oggi le sue lezioni sono finite. Maledicendomi da sola per la mia sbadataggine, sono uscita da scuola e mi sono detta che, ovunque fosse, lo avrei trovato entro stasera. Non perché avesse bisogno di me, né perché dovessi dirgli qualcosa di particolarmente importante. La mia è più una ricerca fragile, le cui scuse non reggono. Voglio trovarlo per accertarmi che sia tutto a posto, anche se so che lo è. E voglio che mi cacci via, purché mi guardi negli occhi e mi parli.

Il primo posto dove l'ho cercato è stato l'Osservatorio, ma ovviamente Mat non era lì. Per un attimo ho preso in considerazione l'idea che fosse tornato direttamente a casa sua; la cosa mi ha intristita. Non avendo il suo indirizzo, non avrei mai potuto andare da lui. O, comunque, sarei morta dalla vergogna a presentarmi così a casa sua. Ho optato per una via di mezzo: il parco dove mi ha portato una volta. Quello dove andava a giocare con suo padre, e che prima dell'Osservatorio è stato il suo rifugio. Ho preso un bus e mi sono fatta fermare proprio davanti l'entrata. Ma la panchina dove ci siamo seduti l'ultima volta è occupata da due innamorati che, ben stretti nelle loro pellicce, osservano la neve come incantati; e questo posto è talmente piccolo che in pochi minuti ho fatto ben due giri e non sono riuscita a trovare Mat.

Alla fine mi lascio cadere su una panchina, sfinita. Non so come fare. Forse dovrei semplicemente accettare l'idea di avere un pessimo tempismo e tornarmene a casa, ma qualcosa mi spinge a rimanere qui. Qualcosa a cui non riesco a dare un nome.

Improvvisamente, proprio davanti ai miei occhi, una bambina in bicicletta cade. Sobbalzo, alzandomi ed avvicinandomi a lei per aiutarla.

-Oh, accidenti!- borbotto, notando che si tiene un ginocchio con entrambe le mani.

Rimettiamo la bici in piedi e, senza neanche guardarla in viso, cerco dei fazzolettini ed una bottiglietta d'acqua nel mio zaino per disinfettarle il ginocchio sbucciato. Almeno potrò dire di aver fatto qualcosa di buono oggi. La bambina continua a brontolare che sta benissimo, che non ha bisogno di me, ed io penso che ha proprio un bel caratterino. La sua voce mi sembra famigliare, ma ho troppe cose per la testa per prestarvi attenzione.

-Ti ho detto che sto benissimo! E quell'acqua è troppo fredda!- brontola ad un certo punto lei.

In effetti, con questo freddo scoprirle il ginocchio non è stata un'ottima idea. Alzo lo sguardo, per scusarmi e chiedere alla ragazzina dove siano i suoi genitori, ma rimango paralizzata: lunghi capelli castani e due vispissimi occhi marroni che mi fissano indispettiti. Non so proprio dove abbia messo la testa, oggi.

La sorellina di Mat.

Sono paralizzata dalla sorpresa. La ragazzina aggrotta le sopracciglia, trovando a sua volta famigliare il mio viso. Prendo un respiro profondo e le rivolgo un sorriso incerto.

-Ti chiami Alina, giusto?

Lei annuisce, rimettendosi in piedi e lanciandomi uno sguardo sospettoso. Rimetto l'acqua nello zaino e mi alzo a mia volta dalla panchina, spostandomi a disagio una ciocca di capelli dietro l'orecchio.

-Io mi chiamo Ellison.- le porgo la mano, che stringe dubbiosa –Sono un'amica di Mat.

Alina mi fissa con i suoi occhi scuri, cercando qualcosa da dirmi in risposta. Ha uno sguardo risoluto, che non abbandona il mio neanche per un istante, un coraggio ed una sfrontatezza che mi ricordano la fredda determinazione di Mat. Mi viene da sorridere.

-Stavo cercando proprio lui.- azzardo –Non è che tu potresti dirmi dov'è?

-Ho sentito che le tue amiche ti chiamano Ellie.- mi risponde lei, incrociando le braccia al petto. Non ha niente a che fare con quello che le ho chiesto, ma alzo le spalle.

-Sì, è vero.

-Posso chiamarti così anche io da oggi in poi?

Mi si stringe il cuore e non riesco a trattenere un sorriso, mentre annuisco.

-Certo, Alina, puoi chiamarmi come vuoi.

Mi hanno sempre chiamata tutti Ellie. Non so per quale motivo, né di chi sia stata l'idea, ma mi va bene così. Soltanto mio nonno mi chiamava Ellison e, adesso, anche Mat. Chissà lui perché lo fa.

-Mat è in officina.- dice d'un tratto –Volevo stare a guardarlo, mi piace molto stare in officina con lui, ci divertiamo un sacco, ma mamma ha detto che dovevo uscire un po'.

L'officina: il luogo dove tutto è cominciato. Devo andare lì!

-Grazie.- dico con un sorriso, ma poi mi ricordo che non ho idea di dove si trovi questo luogo.

-Non è che... potresti portarmi lì?- le rivolgo una smorfia complice, ricordando le sue parole di poco prima: la sorellina di Mat, a differenze del fratello, ha una vera passione per quell'officina.

-Certo!- non mi lascia neanche finire, montando sulla bici ed intimandomi di seguirla.

Lo strato di neve sul cemento è molto sottile, quasi impalpabile, ma mi chiedo comunque come questa ragazzina riesca a pedalare. Va molto veloce e ben presto devo accelerare il passo fin quasi a correre per starle dietro. Usciamo dal parco e ci troviamo a percorrere la stradina dove mi ha fermato il bus, e dove sono stata con Mat. Non posso non notare che Alina si dirige proprio nella stessa direzione di Mat quel giorno, che però ha poi bruscamente cambiato rotta per avviarsi al parco.

Mi stava portando lì.
Voleva farlo, ma non ci è riuscito.

Non camminiamo molto, solo qualche minuto a piedi e sempre diritto. Alina si ferma e scende dalla bici, io mi sto ancora affrettando per raggiungerla. La saracinesca è abbassata, ma sopra c'è una scritta a caratteri cubitali che recita: R. Workshop. Accanto è disegnata una chiave inglese.

Alina si avvicina ad una porticina di metallo, incastonata nel muro, e la apre senza problemi: doveva essere accostata. Sorride ed entra, ma io resto immobile. Improvvisamente non sono più tanto sicura che venire qui sia stata una buona idea, non so cosa mi aspetti oltre questa porta e non so cosa Mat pensi di me adesso. Mi trasferirei volentieri dall'altra parte del mondo; o magari su Plutone, che è addirittura fuori dal sistema solare, ma Alina mi afferra la mano e mi trascina dentro.

Attendo che i miei occhi si abituino all'oscurità.

E, quando lo fanno, mi sembra di trovarmi effettivamente su Plutone. Sono in una stanza grandissima, di forma rettangolare e molto profonda, dove in lontananza sono parcheggiate diverse auto, motociclette, o altri strani mezzi di trasporto. Tutto intorno a me ci sono degli scaffali, di colore grigio scuro, dove sono appoggiati più utensili meccanici di quanti io ne abbia visti in tutta la mia vita. Il pavimento è di marmo e le pareti sono bianche, mentre la luce entra dallo spiraglio lasciato dalla saracinesca e raggiunge solo una piccola parte della stanza. La parte dove si trova Mat.

Ci da' le spalle, è piegato e sta trafficando con qualcosa, probabilmente qualche attrezzo di cui non riuscirò mai ad imparare il nome. Non si è cambiato da questa mattina, qualcosa mi dice che sia venuto direttamente qui. Il mio cuore accelera notevolmente i suoi battiti, come ha ormai imparato a fare in sua presenza. Tutto svanisce. Pensieri, ricordi, sogni e speranze. Non ricordo neanche più perché lo abbia cercato con tanta foga. Trovare qualcosa che si è cercata così a lungo e tanto disperatamente è sempre strano. Alina mi tiene ancora la mano, tirandomi avanti.

-Mat!- lo chiama, seccata.

Il suo tono squillante ci fa sobbalzare entrambi, per motivi diversi.

-Lina, la mamma ha detto- comincia a dire lui, voltandosi, ma si blocca quasi immediatamente.

Si blocca quando i suoi occhi incontrano i miei, fondendo due sguardi che non sono mai stati tanto simili. C'è dolcezza, nel modo in cui ci guardiamo. Una dolcezza che cura le ferite e risana le crepe, che fa arrossire me e tremare lui. Un sentimento forte che, seppure senza nome, è vivido fra noi.

E gli occhi di Mat sono come i tizzoni ardenti di un fuoco appena spento, la tristezza di un fumo grigio e denso che vuole persuadermi a desistere. Che vuole suggerirmi di essere arrivata troppo tardi. Ma c'è anche il fuoco, piccolo, quasi spento, che richiama il marrone scuro dei suoi occhi. Un calore che mi spinge a restare, che tra le righe quasi mi chiede di farlo.

-Ciao.- dico, ma la mia voce mi sembra lontana.

-Ciao.- risponde piano.

-Ah, bene, quindi la conosci per davvero.- Alina mi lascia la mano e si avvicina ad una moto, saltando in sella–È una strana, trovi?

Un "ehi!" mi sale alle labbra, ma mi trattengo. Il mio sguardo è ancora incatenato a quello di Mat; e sembra che lui non sappia cosa fare, come agire o cosa dire. È sempre così sicuro di sé, sfrontato, che vederlo così mi mette in difficoltà.

-Ellison mi ha detto che posso chiamarla Ellie.- continua Alina, con un sopracciglio inarcato.

È ovvio che stia cercando di riempire il silenzio che si è creato tra di noi, come è ovvio che non ci riuscirà. Solo noi possiamo riattaccare i pezzi, perché soltanto io e lui conosciamo il loro posto. O almeno, io lo conosco.

Dopo quelle che mi paiono ore, Mat si volta verso la sorella e le rivolge un debole sorriso.

-Grazie, Lina.- dice, avvicinandosi a lei e scompigliandole scherzosamente i capelli –Ti dispiace se ti passo il comando della nave per un po'?

Gli occhi della ragazzina si illuminano, lei scatta dalla sella del motorino e si rimbocca le maniche.

-Certo!- sbotta, cominciando a girare per la stanza.

È incredibile quanto adori questo posto.

Mat si avvicina alla saracinesca, abbassandola del tutto. Tira alcune leve e delle luci ad intermittenza si accendono lungo tutto il perimetro della stanza rettangolare, lasciandomi sbalordita per la grandezza ed insieme l'ordine di questo posto. Adesso si vede tutto benissimo. Su un tavolino, accanto ad una bottiglietta di acqua, sono poggiati i libri del professor Castor. Come ultima cosa, Mat afferra la giacca e mi raggiunge con un debole sorriso sulle labbra.

-Fate con comodo, eh!- sento la voce emozionata di Alina, prima che Mat si chiuda la porta alle spalle.

Quando torna a guardarmi, ho una lista enorme di scuse ed altre cose importantissime da dirgli, ma mi si congelano tutte sulle labbra. Dimentico persino che si muore di freddo qui fuori, che lui ha tante cose da dirmi ed io troppe domande da fargli. Mat sembra arrabbiato.

-Che ci fai qui?- mi chiede, cominciando ad allontanarsi a grandi passi dall'officina, come se quel posto lo irritasse profondamente.

-Ero.. ti cercavo.- mormoro, aggrottando le sopracciglia.

-Potevi aspettare domani.

-No, non potevo.- dico con fermezza, facendogli sgranare gli occhi.

-E per quale motivo?

Alzo gli occhi al cielo, chiedendomi se questo non sia un modo per difendersi da me o da qualunque cosa abbia paura di rivelarmi. Gli afferro il polso e lo trascino con me, attraversando la strada e cominciando a camminare. Entriamo di nuovo nel parco, praticamente deserto per il freddo e per l'orario. C'è una panchina ed io lo invito a sedersi. Lui non si siede, ma mi rivolge uno sguardo stanco.

-Che hai?- gli chiedo.

-Se sei qui per parlare di quello che ha detto Adam,- chiude gli occhi, facendo un respiro profondo –non c'è niente da dire. È andata così, accontentati della sua sintesi.

Si volta, fa per andarsene. Ma non glielo permetto, non dopo tutto quello che ho passato per trovarlo, gli afferro un polso e lo tiro indietro.

-Non mi interessa di quello che ha detto Adam.- dico con sincerità –Io voglio sapere cosa hai da dire tu, cosa ti è successo.

Mi guarda come se fossi un alieno arrivato da chissà quale pianeta.

-Voglio conoscerti, Mat.

-Mi conosci.

-Per davvero.

Chiude gli occhi, passandosi distrattamente le mani tra i capelli. Si siede, ma rimane rigido.

Poi si arrende.
Ma ha un modo coraggioso di arrendersi.

Spazio Autrice:
Perdono. Perdono. Perdono.
Perdono?
Vi chiedo infinitamente scusa se il capitolo è più lungo del solito, ma prima lo era ancor di più... poiché non potevo eliminare proprio nulla, ho pensato di dividerlo. Questo è il capitolo Altas A, mentre il prossimo si intitolerà Atlas B: ho sfruttato il fatto che, nelle Pleiadi, ci sono in realtà ben tre stelle (estremamente vicine) che vengono chiamate Atlas. Atlas è anche la stella che rappresenta il personaggio di Mat, per il suo significato (sia quello riportato in questo capitolo che, soprattutto, nel prossimo).

Poiché anche lo spazio autrice è diviso in due parti, io vi do' appuntamento al prossimo capitolo! Soprattutto, consiglio ai lettori di Moon di dare un'occhiata al prossimo spazio autrice.
Sono in arrivo sorpresine? Chissà... <3

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro