Capitolo 4 - Gemma

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Capitolo 4 - Gemma
(gemma, interruzione dell'anello)

Il portellino dell'areo si apre, lasciando intravedere un cielo azzurro acceso, trafitto da qualche edificio svettante. Mi alzo, il più lentamente possibile, avvicinandomi all'uscita e cercando di non farmi schiacciare dagli altri passeggeri. Il professor Flick, in religioso silenzio, è al mio fianco. Tiene sotto braccio la sua inseparabile cartellina e guarda di frequente l'orologio. Ma il cuore mi scoppia in gola quando finalmente metto piede a terra, gli occhi impazziti che saettano da una parte all'altra. Voglio memorizzare il più possibile di questo posto, scattare una fotografia con il cuore e conservarla per sempre.

Sono a Pisa.

Sono veramente qui, nella città madre degli studi in Italia. Ci sono arrivata per davvero, alla fine. E tra poche ore entrerò e siederò esattamente dove, anni e anni fa, è stata mia madre. Lei, con il suo sorriso risoluto ed i capelli ancor più sottili dei miei, che è riuscita a cambiare così tante vite. Che ha cambiato la mia vita. In lontananza, una Torre svettante quanto inclinata si confonde con il colore ocra dei capelli del professor Flick.

-Bella, vero?- dice questo ultimo, ma sappiamo entrambi che è una domanda retorica.

-È... meravigliosa...- rispondo rapita, con lo sguardo fisso sulla Torre di Pisa.

So che è stata costruita da degli ingegneri professionisti, che l'hanno resa una meraviglia soprannaturale. Così inclinata, così in bilico, eppure resistente e ferma come non mai. Più volte ha rischiato di cadere, ma gli architetti di qui sono preparati ed hanno inserito diversi sostegni, che la aiutino a reggersi in piedi.

-Ellison?- la voce del professore vuole riportarmi alla realtà, evidentemente il nostro autista è già qui ed è l'uomo vestito in nero che ci fa segno in lontananza.

Chiudo gli occhi, risvegliandomi dall'intorpidimento che mi ha colta e dicendomi che, in fondo, sono veramente qui. E che questo non può –non deve- essere un sogno, perché sono ad un passo da tutto quello che ho sempre desiderato.

Entro in auto a malincuore, sedendomi dal lato opposto a quello del professor Flick. Lui tira fuori una rivista, immergendosi presto nella lettura; nel suo linguaggio contorto, quel gesto deve servire a comunicarmi che ci vorrà del tempo per arrivare. Mio malgrado, non cerco passatempi. Lascio perdere le chiamate perse sul mio cellulare, il libro a riposo nella mia borsa e le ore di sonno che mi mancano. Lascio che tutto venga dopo, in secondo piano rispetto a quello che ho davanti agli occhi. Apro il finestrino, sporgendomi fuori e sorridendo come una bambina alla vista della città che più di ogni altra ho sempre desiderato visitare.

I minuti paiono volare, le ore non sono che respiri lenti, sorrisi allegri e del tutto involontari, che scivolano via attutiti dal traffico giornaliero. E, ancora prima di stancarmi di guardare fuori, siamo arrivati. Scendiamo dall'auto e mi viene finalmente riconsegnata la mia valigia, di cui fino a questo momento Flick aveva insistito per occuparsi. Lo ringrazio, con un sorriso che riesce addirittura a contagiarlo. Il Centro in cui entriamo è molto simile al German Science Foundation, ma allo stesso tempo molto diverso. Un po' più piccolo, arredato per l'occasione e molto affollato. Ci sono ovunque tavolini pieni di stuzzichini e porte che si aprono e chiudono di continuo, camerieri vestiti impeccabilmente che ti si avvicinano, offrendoti ogni sorta di aperitivo.

Il professor Flick si avvicina al banco, comunicando il suo cognome e chiedendo notizie riguardo qualche collega che vuole evidentemente salutare. Lascia la valigia all'ingresso e, prima di andare, mi si avvicina. Mi porge una chiave laccata in argento, con sopra inciso il numero della mia stanza: 211.

-Fino a domani pomeriggio sei libera, Ellison.- mi dice in tono confidenziale –La conferenza è alle dieci in punto, ti aspetto fuori dalla Sala Quattro di questo piano alle ventuno e trenta.

Si volta, fa per andarsene, ma poi cambia idea e torna indietro.

-Ah, Ellison?- mi strizza l'occhio, con un sorriso –Alle sei trovi gli stuzzichini migliori.

Mi trattengo dallo scoppiare a ridere, limitandomi ad annuire con un sorriso. Aspetto che Flick si disperda tra la folla, prima di guardarmi di nuovo intorno. Nessuno sembra badare alla mia presenza, qui sono tutti pezzi grossi del settore che si conoscono tra loro. Ci sono anche degli allievi, un po' più giovani e dallo sguardo smarrito quanto il mio, che evidentemente hanno accompagnato i loro iniziatori per introdursi meglio nel campo. Per un attimo mi torna in mente Olivia, che in questo momento starà preparando il suo bagaglio, e mi sento molto triste. Non sono riuscita a farle promettere di scrivermi, né a convincerla a rifiutare quella promozione; sosteneva che fosse tardi per tornare indietro, che non le restasse che proseguire lungo quella strada tanto odiata. Non sono riuscita a farla desistere, ma le ho detto che le auguro di trovare la felicità, un giorno.

Mi rigiro tra le mani la chiave della stanza, decidendo di salire. Mi volto per recuperare la valigia, ma questa è già tra le mani di un ragazzo, camicia bianca e targhetta nera con su scritto "staff".

-Stanza?- mi chiede, pratico.

-211.- rispondo –Ma posso anche-

"Portarla da sola" avrei detto, se il ragazzo non si fosse già fiondato per le scale. Noto un ascensore proprio di fianco, ma quando si apre è così pieno di persone che opto anch'io per le scale. Seguo il ragazzo fino a quello che deve essere l'ultimo piano, respirando a pieni polmoni e maledicendo i miei tacchi. Non li ho mai sopportati, ma non potevo di certo sfigurare in un ambiente del genere. Il ragazzo posa la valigia fuori la porta.

-La ringrazio.- dico gentilmente.

-Per qualsiasi cosa si rivolga pure allo staff, signorina...?- il suo inglese è persino più impeccabile della sua tenuta.

-Moore.- rispondo, lievemente a disagio.

-Buona permanenza, signorina Moore.

Si volta, andandosene prima che possa ringraziarlo per l'ennesima volta. Ancora emozionata infilo la chiave nella toppa, dando due mandate in senso antiorario ed aprendo la porta.

Non ho mai visto una camera così bella.

C'è un piccolo corridoio, con a destra una porta che identifico come il bagno ed a sinistra un guardaroba, che introduce ad uno spazio quadrangolare molto ampio. Un intero muro è occupato da delle porte-finestra, che affacciano direttamente sul centro della città. Sulla destra è posizionato un letto matrimoniale, coperto da lenzuola di lino fresco e circondato da due comodini dall'aria molto elegante. Seguono una scrivania, delle poltroncine ed un televisore di almeno cinquanta pollici. Il tutto è quasi esclusivamente in bianco, vivacizzato dai numerosi quadri appesi alle pareti. Sono a bocca aperta. Non ho mai dormito su un letto tanto soffice, o visto delle lampade più belle. Chiudo gli occhi, come movimento inverso per risvegliarmi da un sogno, concedendomi un sorriso.

Mi avvicino alle finestre, aprendole per far arieggiare la stanza e lasciando che il vento primaverile mi solletichi il viso. È una sensazione meravigliosa, che mi tiene incantata per più di qualche minuto. Poi, finalmente, mi decido a portare dentro la valigia ed a sistemare le cose fondamentali, che mi serviranno in questi tre giorni. Mi concedo anche un bagno veloce, beneficiando delle saponette profumate e delle spugne morbide che trovo adagiate sulla vasca.

Prendo dal guardaroba una semplice gonna blu scuro, abbinandovi una camicetta azzurra e delle scarpe, rigorosamente con tacco, sempre blu. Afferro anche un bolero, per proteggermi dalla brezza serale nel caso di una passeggiata negli ambienti esterni del Centro. Vestirmi così ormai non mi mette più a disagio, poiché ho imparato che è da copione in un ambiente scientifico, quasi quanto la giacca per gli uomini. Mi assicuro che sia tutto in ordine, prima di recuperare la chiave e scendere di sotto. Percorro le scale con titubanza, preferendole ancora una volta all'ascensore, cercando tra la folla qualcuno intenzionato a fare conversazione. Ma tutto quello che ottengo sono degli sguardi curiosi, talvolta lascivi, da parte delle persone che incrocio. Comincio a sentirmi a disagio, ma mi faccio forza. Arrivo al piano principale, quello dove sono serviti gli stuzzichini. Esploro l'aria del salottino, dalla tappezzeria calda ed i divanetti comodi. Sto per uscire anche di lì, poiché non ho nessuno con cui sedermi a chiacchierare, quando vedo il professor Flick farmi segno in lontananza. Mi avvicino titubante, augurando la buonasera ai signori che sono seduti con lui. Mi stupisco nel vedere, in quella cerchia professionale, anche una donna. Tiene i capelli raccolti in una crocchia mora e mi rivolge il sorriso più luminoso di tutti, alzandosi per stringermi la mano.

-Tu devi essere la signorina Moore.- dice, invitandomi a sedere –Il professor Flick, qui, non fa che parlare di te!

Mi volto verso il professore, che borbotta qualcosa e si gira dall'altra parte.

-Mi chiamo Beverly, molto piacere.

Stringo la sua mano non diversamente da come ne ho strette altre in questi due anni, sorridendo e cercando di risultare simpatica, evitando domande invadenti ed apparendo interessata al tempo stesso. Presto, però, mi lascio completamente andare. Non riesco a non essere me stessa con questa donna, poiché ogni secondo che passa sembra risultarmi più simpatica. Non fa che sorridere, lanciandomi sguardi complici e cercando di includermi nel discorso senza alcun imbarazzo. Persino il professor Flick rimane sorpreso dalla nostra empatia.

-Suvvia Hash, Beverly è la star della festa, qui.- dice all'improvviso l'uomo seduto alla mia sinistra, sorseggiando del buon vino bianco –La grande scoperta è a suo carico!

A sentire quelle parole, la curiosità e l'emozione della vera e propria notizia si risvegliano in me. Flick non sa niente, è una cosa estremamente riservata, ma pare proprio, viste tutte queste cerimonie, che si tratti di una dimostrazione importante. Mi mordo le labbra per arginare il fiume di domande che mi è salito alla gola.

-Già, a proposito Beverly, dov'è il ragazzo?- chiede Flick.

Il ragazzo? Ma allora è giovane! Non posso crederci, io che mi godo la mia piccola vittoria, quando invece alla mia età questo ragazzo ha già fatto una grande scoperta. Comunque, accantono la gelosia e mi scopro contenta per lui, chiunque sia: deve avere un cervello niente male.

-In giro.- svicola la donna seduta proprio di fronte a me –Sparisce di continuo anche quando siamo a Londra, in realtà. Ma non me ne preoccupo più di tanto, torna sempre dopo qualche giorno.

Inutile dire che rimangono tutti pietrificati. Essere pagati per studiare, soprattutto sotto la diretta supervisione di famosi professori e studiosi, è considerata una condizione privilegiata da tenersi molto stretta. Io stessa sono spesso in ansia, quando in pubblico o con lo stesso professor Flick. Mi sento una bambola di porcellana, o la parte più piccola di una matriosca, per la maggior parte del tempo. Ed ora sento dire che questo ragazzo, in tutta tranquillità, va e viene a suo piacimento!

-Dopo qualche giorno?- chiede scettico l'uomo di prima.

-Sì, il più delle volte.

Sembrano tutti seriamente perplessi, presi nel lanciare a Beverly occhiate diffidenti. Soltanto Flick ride, sinceramente divertito.

-Deve essere un tipo singolare, allora.- dice, sorseggiando il suo brandy –Se ti conosco abbastanza bene, non perderesti tempo con lui altrimenti.

-Puoi constatarlo da solo, mio caro John.- ribatte la donna, fissando un punto lontano oltre le teste dei nostri compagni di conversazione.

Vorrei voltarmi, per vedere quanto meno di cosa si tratta, ma per buona educazione devo ancora una volta trattenermi. Per fortuna, Beverly fa segno al soggetto della nostra conversazione di avvicinarsi. Ho l'adrenalina a mille, mentre ascolto il suono distinto di passi che si avvicinano. Mi concentro, cercando di percepire qualcosa di indistinto oltre il vociare insidioso della sala. Tutti si voltano, tranne me ed il professor Flick. Non mi spiego tutta questa tensione, la curiosità che per poco non mi manda in pippa il cervello ed il cuore impazzito. O, almeno, non me lo spiego immediatamente.

-Salve.

Quando quella voce mi raggiunge, spaccandomi i timpani nonostante il tono basso e roco del proprietario, non riesco più a trattenermi. Mi volto di scatto, trovandomi davanti l'ultima persona che mi sarei aspettata di vedere.

Spazio Autrice:
Ehilà, c'è davvero ancora qualcuno che segue questa storia? *-*
Chiedo venia per il ritardo, è stata una settimana densa di eventi ): , anche se piacevoli *-* . Voi come state, tutto bene? Spero di sì!

Ci avviciniamo sempre più alla fine di On fire, ed io non potrei sentirmi più emozionata e al tempo stesso malinconica... <3
Che dire... questo capitolo si commenta da solo, ma io attendo trepidante le vostre opinioni! *-* I commenti stanno diminuendo e la cosa mi rattrista un po', ma vi ringrazio ugualmente per essere qui a seguirmi e sopportarmi. ❤️
Siete fantastici *-*
A martedì prossimo!

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