Capitolo 5 - Hatysa

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Capitolo 5 - Hatysa
(punta luminosa della spada)

-La luce delle stelle è infinita. Di conseguenza, per forza delle cose, i nostri desideri non potranno mai avverarsi.- la voce gracchiante del professor Castor ci tiene svegli, mentre egli saltella intorno a ai banchi, gesticolando eccitato - Pensateci, non ha senso esprimere un desiderio nell'istante stesso in cui una stella cade: perché ciò che vediamo non è che un pezzo di qualcosa di molto grande, più di quanto ognuno di voi possa immaginare...

Il professore sorride, avvicinandosi al banco dove siamo seduti io e Mat, guarda questo ultimo con un guizzo negli occhi.

-A volte ci lasciamo trasportare da noi stessi, poniamo i nostri desideri al di sopra della realtà. Sarebbe molto bello affidare la propria vita alle stelle, comodo, più che altro.- ad un certo punto fa un buffo saltello sul posto, attirando l'attenzione dei due ragazzi all'ultimo banco, intenti a lanciarsi palline di carta -La scienza ci permette di capire che c'è una logica dietro tutto questo, che c'è una logica dietro le meteore. L'astrofisica afferma qualcosa secondo cui i nostri desideri non si avvereranno mai, ed è per questo motivo che in questa classe ci sono solo sette persone!

Io e Mat ci scambiamo uno sguardo dubbioso, come se ci stessimo interrogando l'uno sui pensieri dell'altra in proposito. È già il secondo giovedì del mese, nonché la nostra quarta lezione con Castor dall'inizio dell'anno. Abbiamo preso l'abitudine di salire insieme, dopo pranzo, per seguire i corsi in comune e di aspettarci all'uscita. Qualche volta a noi si accodano Rosie e Denny, che paiono aver raggiunto una specie di tregua silenziosa e trasudante imbarazzo da tutti i pori.

-Saremmo dei folli egoisti a credere che le stelle cadano solo per farci esprimere i nostri stupidi desideri.- conclude il professor Castor, facendo scorrere il suo sguardo allegro su tutta la classe.

Quelle parole fanno scattare qualcosa in me, un fiammifero difettoso che si accende. Parlo senza chiedere il permesso, cosa assurda e mai fatta prima, maniaca del controllo come sono.

-A volte però fa bene pensarlo, frugare nel cielo per cercare una stella che possa aiutarci a realizzare tutti i nostri sogni.

Tutti si voltano a guardarmi, sorpresi. Nessuno interviene mai alle lezioni di astrofisica, è risaputo, nonostante pochi privilegiati siano a conoscenza del perché di questo strambo fenomeno.

Il professore sembra stupito, ma poi il suo sguardo si illumina e pare felice del fatto che finalmente qualcuno abbia deciso di partecipare alle sue lezioni.

-Forse è così, signorina...?

-Moore.- rispondo prontamente.

-Signorina Moore.- mi sorride -C'è un osservatorio in questa città, sbaglio?- chiede con calma, facendomi impallidire.

Mi dico che deve essere una coincidenza, ma poi uno strano sesto senso mi suggerisce che, probabilmente, quest'uomo ne era un frequentatore. Alla chiusura, tutti i dipendenti e gli studiosi sono stati mandati a casa e le chiavi sono rimaste a mio nonno; con la promessa che presto qualcuno sarebbe venuto a prelevare tutti i macchinari, promessa poi non più mantenuta.

-Sì.- evidentemente devo essermi pietrificata, perché Mat risponde al mio posto. La sua voce è curiosa, ma anche attenta, come se non volesse perdere una parola del discorso appena cominciato.

-Tutto l'anno nessuno guarda le stelle, signor Rivers.- prosegue Castor, sorridendo ora rivolto al ragazzo -Ma ecco che improvvisamente durante la settimana di San Lorenzo sono tutti con il loro naso brufoloso puntato all'insù! Bisognerebbe sostenere sempre ciò in cui si crede, se non ci si vuole trovare un giorno come una stella cadente che nessuno vedrà mai.

Il suono della campanella interrompe il professore, ma lui non se ne cura, continua a fissare corrucciato i suoi sette studenti: tutti stanno rimettendo i libri e le mappe del cielo nelle borse, tranne due.

Il suo sguardo si sofferma su me e Mat, ancora intenti ad attendere una sua risposta, quasi emozionati di averla. Vedo le pupille del piccolo uomo dilatarsi, e le guance velarsi appena di un imbarazzo roseo. Ed io mi chiedo se abbia qualcuno con cui parlare di stelle, di fenomeni fisici e desideri gettati, secondo le sue stesse parole, al vento fresco della notte. Mi chiedo se qualcuno lo abbia mai ascoltato. Castor sorride, e ci guarda come se fossimo noi stessi due stelle cadenti. Due stelle che prendono fuoco assieme e cadono tenendosi per mano, forse all'apparenza poco brillanti, ma dentro luminosissime.

Poi scuote il capo, distraendosi, e recupera i suoi libri sulla cattedra. Richiama appena la nostra attenzione, rammentandoci la relazione per la prossima volta, ma con tono annoiato, perfettamente consapevole che quasi nessuno la svolgerà.

-Il prossimo lunedì faremo un compito in classe.- dice soltanto, prima di sparire oltre la porta.

Mat si alza e raccoglie il suo zaino grigio, tutto rattrappito e che sì e no conterrà cinque libri, mentre io mi carico sulle spalle la mia borsa, stracolma e pesantissima.

-Non porti mai i libri?- chiedo a Mat, risentita, mentre usciamo dall'aula.

-Non quelli che non servono.- risponde schiettamente lui, lanciandomi un'occhiata significativa.

-Ehi!- sbotto, offesa –Guarda che questi mi servono tutti!

-Ellison, quelli saranno otto libri e noi oggi abbiamo soltanto tre corsi teorici.

Risentita, gli strappo lo zaino tra le mani e lo apro a tradimento.

-Vediamo...- dico divertita, esaminando il contenuto della tasca principale -Cartacce... una bottiglietta d'acqua... circa un milione di quaderni dalle dimensioni di un granello di polvere...

Lo sento ridere, ma cerco di restare seria e continuare con il mio elenco.

-Fazzoletti inutilissimi... chiavi... roba non identificabile...- faccio una pausa ad effetto -Oh, guarda! Non ci posso credere, hai portato anche due libri! Ma... sulla matematica?

Lo guardo stralunata, soprattutto perché lui oggi non ha matematica. Mat mi risponde con un'alzata di spalle, sembra che non riesca a smettere di ridacchiare. Ad interromperci è un colpetto di tosse, che mi fa alzare gli occhi al cielo. Completa di passo cadenzato e sguardo furbo, Monica McGregory avanza verso di noi. La osservo, scettica. Di solito se ne va sempre in giro con qualche amica, o qualche ragazzo della squadra, forse per difendersi da eventuali ed inopportune seccature. Ma questa volta è completamente sola e viene proprio verso di noi. Mat non le presta particolare attenzione, si limita a prendermi lo zaino dalle mani e a richiuderlo. Monica ci supera, apparentemente indifferente, ma non mi sfugge lo sguardo che si lascia dietro. In effetti, per quanto possa apparire un'esagerazione, nessun ragazzo si distrarrebbe mai al passaggio di Monica.

Aspetto che si sia allontanata abbastanza, prima di riprendere a camminare al fianco di Mat.

-Questa potrebbe bruciarle.- dico divertita.

-E comunque,- ribatte lui, ignorandomi deliberatamente -Il mio zaino non pesa come una roccia, a differenza del tuo.

Astrofisica era la nostra ultima ora pomeridiana, così adesso la nostra estenuante giornata è giunta al termine. Raggiungiamo i nostri armadietti e vi depositiamo i libri che non ci serviranno a casa (in realtà solo Mat vi deposita i libri che non gli serviranno a casa); e prendiamo quello che invece ci servirà per domani, prima di avviarci all'uscita dell'istituto. Il giovedì sia Rosie che Pamela non hanno corsi pomeridiani, Adam ed Alex hanno gli allenamenti e con gli altri non ho molta confidenza. Così, apparentemente in modo ordinario, faccio un cenno a Mat e mi allontano, ma lui mi richiama. Mi dice che Denny uscirà tra poco, è sempre l'ultimo ad entrare in classe e, per pareggiare i conti, gli piace uscire per ultimo. Mi viene da ridere a sentire una cosa tanto assurda, ma mi limito ad alzare divertita gli occhi al cielo. Ho scoperto che Mat e Denny si conoscono da quando erano bambini, e sono sempre stati migliori amici. Paradossale, visto quanto siano diversi. Altrettanto strano, poi, è il modo che hanno di dimostrarsi affetto. Si fanno continuamente degli scherzi stupidi e, al proposito, io ne ho consigliati a Mat un paio niente male.

Denny, come da copione, è l'ultimo a uscire. Come al solito i capelli neri sono ordinati in un ciuffo perfetto, ha un guizzo negli occhi nerissimi ed un sorriso di scherno. Mat gli fa un segno e lui ci raggiunge direttamente.

-Rosie?- è la prima cosa che chiede; Mat sbuffa.

-È uscita due ore fa, Denny.- ribatte.

-Ah, Ellison!- Denny si rivolge direttamente a me, con un sorriso d'intesa -Dovresti consigliarle astrofisica!

Alzo gli occhi al cielo e, avviandomi in strada, getto ai due ragazzi un'occhiata truce.

-Tanto è ancora arrabbiata con te.- dico, mentre Denny si blocca in mezzo alla strada e Mat soffoca un risolino.

Continuiamo a chiacchierare scherzosamente per tutto il tempo, fino a quando non giungiamo ad un incrocio. Qui Denny ci saluta, non mancando di fare una battutina maliziosa di cui temo mi sia sfuggito il significato. Mat, invece, gli lancia un'occhiataccia. Poi, non appena il suo migliore amico ha girato la curva, si rivolge a me.

-Devi tornare subito a casa?

, dovrei tornare subito a casa. Ho una lezione stasera e mio padre tornerà solo di sfuggita, quindi si aspetta di trovarmi puntuale per la cena.

-No, perché?

Mi sorprendo immediatamente per quello che ho detto. Forse ho aspettato che mi facesse questa domanda troppo a lungo, per due settimane, senza neanche rendermene conto. Neanche per Pamela, o per una febbre, ho mai mancato una lezione.

-Perché c'è qualcosa che vorrei mostrarti.- lo dice così, semplice e schietto.

C'è una punta di incertezza nella sua voce, come se avesse paura di vedermi scappare da un momento all'altro. Ma, quando mi vede annuire, a mia volta titubante, si apre in un sorriso sollevato e mi scocca uno sguardo altezzoso. Credo che sia lunatico.

In rigoroso silenzio, lo seguo. È sconcertante la fiducia che già ripongo in lui, come se non temessi destinazione per un viaggio tanto intenso. Rimango sorpresa di trovarmi in una strada piuttosto larga, che ricordo solo vagamente di vista e di cui non conosco il nome. Mi chiedo distrattamente per quale motivo abbiamo preso un bus per arrivare fin qui, un luogo comune (almeno apparentemente), ma Mat è stranamente silenzioso. Mi cammina davanti, le mani in tasca e gli occhi bassi. Lo vedo tirare fuori qualcosa dalla tasca un piccolo mazzo di chiavi e prendere a giocherellarci. Mi sembra di vederlo irrigidirsi.

-Va tutto bene?- gli chiedo con gentilezza, raggiungendolo in due falcate.

Lui sussulta e si volta a guardarmi, per poi ammorbidire lo sguardo e sorridermi.

-Sì, mormora, si schiarisce la voce –sì, va tutto bene.

Lo dice, ma non si muove. Soltanto dopo quelli che mi paiono minuti, torna a sorridermi e mi prende il polso, cambiando bruscamente strada. Infatti, non mi sfugge il movimento secco con cui si è ricacciato le chiavi in tasca, o come abbia cambiato bruscamente idea. Ma decido di non essere invadente, mi dico che quando si fiderà meglio di me, qualunque cosa sia, me ne parlerà. E lo seguo, ancora.

Ci rifuggiamo in un parchetto che ha tutta l'aria di essere privato, lasciandoci cadere su una panchina. Mat sembra riprendersi, indirizzandomi uno sguardo di sbieco. Temo che si aspetti di vedermi delusa dalla banalità di una destinazione sbagliata, ma mi impegno per apparire soddisfatta.

-Venivo qui con mio padre.- dice improvvisamente –Da bambino, dico. Venivo qui con mio padre e lui voleva sempre che giocassimo a calcio, voleva che imparassi.

Fa una piccola pausa, ma sto cominciando a conoscerlo e so che devo rimanere in silenzio, prima che finisca, per non spaventarlo e farlo chiudere a riccio.

-Ci avrò giocato sì e no tre volte.- sospira –Non mi è mai piaciuto il calcio, ma lui ci è rimasto molto male. Ogni giorno, anche se era stanco mi portava qui, ed io non avevo neanche qualche minuto da dedicargli. Poi non ha potuto più portarmici.

Pausa. Ancora.

-Probabilmente giocherei con lui, se potessi tornare indietro. Lo farei all'infinito, se solo-

-Mat...- non posso impedirmi di interromperlo, in un sussurro appena percepibile.

Lui non mi guarda, lo sguardo perso nel vuoto, si interrompe. Resta immobile per qualche secondo. Poi, come se niente fosse, si volta verso di me e mi pone una domanda che, almeno apparentemente, non ha nulla a che vedere con il discorso precedente. Ma delle volte le cose sono legate da fili invisibili, leggeri, che i nostri cuori e le nostre menti non sono ancora in grado di percepire.

-Ti piace la matematica?- mi chiede, di punto in bianco.

Aggrotto le sopracciglia, piuttosto confusa. La matematica è sempre stata tra le mie materie preferite e, da quando seguo quei corsi serali, i miei voti si sono orgogliosamente avvicinati all'eccellenza. Ma non lo dico ad alta voce, mi limito ad annuire.

-Voglio farti vedere una cosa.- soggiunge Mat, alimentando la mia curiosità. Si china e tira fuori dallo zaino un quadernino blu. Lo apre. Dentro ci sono scritti numeri, lettere e formule; disegni di triangoli e rombi e nomi di teoremi, ovunque. Saranno una cinquantina di pagine tutte scritte a mano, da una grafia disordinatissima e decisamente la peggiore che io abbia mai visto.

-Cos'è?- gli chiedo.

-Il mio sogno.

In risposta, gli sfilo il quadernino di mano ed inizio a sfogliarlo con attenzione.

-Sono teoremi, ho appuntato tutti quelli che conosco.- prosegue lui -Può sembrare che ne scaturisca disordine, ma sono certo che, se tutto è relativo, lo sono anche le incognite. Ci sono anche teorie sulle stelle, sulla traiettoria della loro luce.- si morde il labbro inferiore, incerto.

È una delle cose più strambe ed insieme fantastiche che abbia mai sentito.

-Sembra interessante...- dico soltanto, la mia voce suona convinta.

Poi il mio sguardo viene catturato da un disegno molto dettagliato, un cono di luce. La perfetta rappresentazione di un universo luminoso. Le mie dita lo sfiorano.

-Quello è un paradosso.- la voce di Mat è intrisa di dolcezza –Sulla luce delle stelle e sul tempo, uno dei miei preferiti.

Si volta a guardarmi, un po' spaesato.

-Continua.- annuisco.

-Si chiama paradosso di Olbers. Questo scienziato tedesco teorizza che con la quantità di stelle che esistono nell'universo la notte dovrebbe essere illuminata da queste, in quanto la luce prodotta dalle stelle anche lontane prima o poi dovrebbe arrivare alla Terra. Perciò, il buio non dovrebbe esistere. Ma il buio esiste.

Le sue parole mi catturano immediatamente, mentre continuo ad osservare il disegno e decifrare le parole che vi sono scritte accanto.

-Basterebbe provare che l'universo è infinito.- dico, sperando di non risultare stupida –Se lo è, si può considerare infinita anche ogni sua particella... e la luce viaggia-

-La soluzione è molto più semplice.- sorride.

-Cioè?

-Vedi, un giorno uno squattrinato di provincia ha proposto una soluzione.- ride, divertito –Nessuno è riuscito a dimostrarla.

-E allora?- chiedo, ma lui mi rivolge un'occhiata significativa.

-Nessuno è riuscito neanche a confutarla.- spiega.

Lo esorto con lo sguardo a continuare.

-Vedi,- continua Mat. -Noi sappiamo che dopo l'orbita di Nettuno esiste una fascia ricca di detriti di varie dimensioni, probabilmente frammenti di vecchi pianeti del nostro sistema solare che si sono disintegrati: si chiama fascia di Kuiper. Questi frammenti sono ricoperti di ghiaccio ed il ghiaccio riflette la luce del Sole.

-...Quindi secondo te questi detriti fanno da specchio, impedendo alla luce delle stelle, come un riflesso che viene contrastato, di arrivare a noi...

-Esatto!- mi rivolge un sorriso a trentadue denti, emozionato -Mi piacerebbe provare a dimostrarlo, un giorno.

La domanda mi scivola dalle labbra in modo naturale.

-Ti piacciono i paradossi?

-Mi piace trovare una soluzione a qualcosa che, apparentemente, non ne ha una.- chiude gli occhi, fa un respiro profondo –Ci sono così tanti problemi... io credo che tutti abbiamo una soluzione. Lo so, voglio trovarla per dimostrare a me stesso che esiste.

Mi chiedo se stiamo ancora parlando di matematica, ma, come mi sono ripromessa prima, non faccio domande. Non voglio sembrargli invadente, ma gli starò vicino e farò di tutto per saperne di più su di lui. Sento il bisogno di saperne di più. Non mi è mai importato così tanto di qualcuno, nessuno è mai riuscito da incuriosirmi a tal punto. Eppure, adesso, il suo alone misterioso mi avvolge e mi affascina. Resto in silenzio, sentendomi speciale per il segreto che ha appena condiviso con me. Devo sdebitarmi. Così mi volto a guardarlo, sorprendendolo mentre mi fissa a sua volta.

-Ti piace leggere?- gli chiedo.

Lui assottiglia lo sguardo, evidentemente chiedendosi il perché della mia domanda.

-Sì.- risponde alla fine, cauto –A te?

-E ti piace scrivere?- gli chiedo, senza rispondergli.

Lo sento ridere forte, come se gli avessi detto qualcosa di assurdo.

-Sono una frana a scrivere.- ammette –Ho una pessima grafia, e comunque faccio fatica a trovare le parole. Ho sempre visto lo scrivere come qualcosa di... pericoloso. Un lettore discreto potrebbe arrivare a sapere di te cose che volevi nascondere.

Io resto in silenzio, assorta. Così prosegue, porgendomi una domanda cauta. Perspicace.

-Tu scrivi?

-A volte.- annuisco –Quando ho tempo, è chiaro.

-Già.- ride di nuovo –Con tutte quelle cose extra che studi ogni giorno, stento a credere che tu abbia il tempo di dormire!

-Ehi!- sbotto, mettendogli il broncio –Guarda che quei corsi sono fondamentali, io penso al mio futuro!

-È di cosa scrivi?- il suo sguardo è di nuovo perso nel vuoto, leggero.

-Racconti.- mi stringo nelle spalle –Che occasionalmente si trasformano in storie. E libri. Stipati in un cassetto nascosto.

-Perché non provi a pubblicarli? Ti piacerebbe?

Questa volta sono io a ridere.

-Non è quello che ho intenzione di fare.- dico, guardandolo come se mi avesse appena detto di aver visto un asino volante –Io sto studiando la fisica, con i teoremi, sono il mio obiettivo. La scrittura è solo un hobby. Nessun altro lo sapeva, fino ad adesso.

Mat mi guarda, sorpreso. Apre la bocca, come a voler dire qualcosa, ma la richiude subito dopo. Lo ho messo in difficoltà senza effettivamente volerlo, ma mi accorgo che mi piace. È divertente. Quando è a disagio perde tutta la sua sicurezza e, per quanto si impegni a fingere, nello sguardo gli aleggia un'incertezza densa, palpabile.
Il pensiero mi vola alla lezione con Castor di questa mattina, alle stesse parole di Mat nell'eventualità di una nuova scoperta e delle conseguenze che avrebbe portato. A volte mi viene da pensare che le stelle stiano bene lì, circondate dalla loro aura di mistero e fascino, luminose. È bello esprimere un desidero guardando una stella, anche se non si crede che esso possa avverarsi. È bello sognare, credere in qualcosa di illogico ed impossibile. Ma una scienziata non dovrebbe pensarla così.

-Perché vuoi sempre dimostrare tutto?- chiedo a bruciapelo a Mat, togliendolo dall'impiccio di trovare qualcosa da dire.

-Perché invece sembra che tu non voglia mai trovare una spiegazione a nulla?- mi chiede lui, perplesso.

-Perché più cose dimostri, meno te ne rimangono da immaginare.

Mi lancia un'occhiata strana, a metà fra lo stupito ed il meravigliato. Poi, inaspettatamente, sorride.

-Un giorno mi farai leggere quello che scrivi?

-Ti stai allargando troppo adesso!

Ridiamo entrambi.

-Perché non vieni più all'osservatorio?

-Ti dispiace?

-Mi piacerebbe che ci tornassi.- gli sorrido -È bello non essere completamente soli.

-Ci tornerò.- promette -Se mi farai leggere qualcosa.- torna alla carica.

Sospiro. Non ne ho idea. Non so per quale motivo mi chiuda a riccio, come a volermi proteggere, non so perché nonostante detesti scrivere, alla fine le parole sono il mio più grande rifugio. E preferisco che le stelle siano magia piuttosto che scienza, e l'immaginazione invece della logica.

-Prima o poi.- concedo –Ma adesso devo andare.

Ci rimettiamo in piedi. Si sta facendo tardi, i colori del cielo all'orizzonte già si avviano al tramonto, il Sole si abbassa sempre di più, pronto a lasciare la scena: la Luna fa già capolino attraverso i rami degli alberi più lontani.

Mi volto a guardare Mat, sta cercando di disincagliare una delle bretelle del suo zaino, rimasta incastrata in un rametto. I miei stessi pensieri mi sorprendono. Non ha nulla a che fare con gli altri ragazzi della scuola, o almeno quelli che conosco io: loro sono sempre preparati, eleganti, rigidi ed impeccabili. Lui invece, mi rendo conto adesso, è meravigliosamente imprevedibile. Trasparente, sbadato, sincero. E parlare con lui mi tranquillizza, fidarmi è stato incredibilmente naturale.

Quando mi sorprende a fissarlo, arrossisco dall'imbarazzo. I miei capelli saranno sicuramente un cespuglio arruffato, con tutta questa umidità, e gli occhi arrossati dalla stanchezza. Per una volta, mi sento quasi inadatta.

Mat si offre di accompagnarmi a casa, ma rifiuto gentilmente. E, sulla strada del ritorno, passeggiando su un marciapiede semi deserto, rifletto su cose vaghe ed apparentemente scollegate. Penso alle emozione sopite, ai desideri messi a tacere. Penso a quanto siano bravi i cuori, quando giocano a nascondino. Ma arriva il momento in cui non ci si può più tenere tutto dentro, siamo contenitori nati già mezzi pieni: le emozioni vanno manifestate.

Spazio Autrice:
Allora? Che ne dite?
Un capitolo chiaramente di passaggio, con la sola funzione di introdurre il prossimo. Infatti il capitolo 6 sarà uno dei più importanti della storia, poiché si saprà tutto su Ellison e, magari, qualcosina in più anche sugli altri personaggi!

Io vi ringrazio come sempre per tutte le stelline ed i commenti, che pian piano cominciano a crescere e mi rendono davvero felice. *-* Spero che la storia non stia risultando troppo lenta, o noiosa, o altro... per questo vi faccio una domanda a cui vorrei davvero che rispondeste tutti, se potete: vorreste che facessi i capitoli più corti?
Fatemi sapere se la storia vi sta piacendo, cosa pensate dei personaggi, se avete teorie su eventuali sviluppi... sono curiosissima! *-*
Un bacio, a presto!

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