Capitolo 6 - Regulus

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Capitolo 6 – Regulus
(principe, piccolo re)

Dopo aver lasciato al vento il tempo di asciugarmi le lacrime, rincuorata dalla vista della bellissima città che si estende sotto i miei occhi, ho preso un respiro profondo. Pisa è più bella che mai, colorata di bianco come lo sembra l'Italia stessa, un paese caldo che può sorriderti da lontano quando lo stai raggiungendo. Nulla a che vedere con la mia Inghilterra: tetra, grigia e forse un po' malinconica; quando ci abitavo, ricordo che detestavo il clima altisonante e le giornate di pioggia continua, che mi impedivano di fare quello che volessi. Ma ora, qui, nonostante mi trovi nella città che ha cambiato la vita di mia madre, mi sento un po' fuori luogo. Scuoto il capo con convinzione, cercando di farmi coraggio, e decido di rientrare: ormai manca davvero poco alla conferenza di Mat.

Salgo velocemente in camera per cambiarmi, optando per la solita gonna nera con camicetta bianca; ma questa volta decido di truccarmi leggermente e trasformare i capelli liscissimi in morbidi boccoli. Spaventata dalla velocità del mio cuore, non mi soffermo sul perché abbia deciso di cambiare il mio aspetto. Mi dirigo in fretta nella Hall, dove trovo il professor Flick che sorseggia del caffè.

-Buongiorno, professore.- lo saluto, accostandomi a lui con un sorriso.

-Buongiorno a te, Ellison.- mi sorride di rimando: sono poche le volte in cui mi chiama per nome –Hai dormito bene?

Quella domanda mi mette per un attimo in difficoltà, ma di certo la strada più facile è non essere del tutto sincera. Mi sento leggermente in colpa per tutte le cose che sto nascondendo al professor Flick da quando siamo arrivati a Pisa.

-Certo, sì.- rispondo –La camera dove sono alloggiata è meravigliosa, c'è ogni tipo di comodità!

Perfetto, almeno la seconda metà di ciò che ho detto è più che vera!

Flick ridacchia.

-Mi fa piacere.- dice –Sembri di buon umore.

-Lo sono.- rispondo allegramente.

Restiamo in silenzio per qualche minuto, mentre Flick finisce di sorseggiare il suo caffè ed io mi guardo intorno incuriosita: la Hall è più piena del solito.

-Sono tutti qui in attesa della conferenza.- spiega il professore, come se mi avesse letto nel pensiero –Ormai manca davvero poco.

Mi stringo nelle spalle, a disagio.

-Professore.- chiedo, cercando di mascherare la curiosità –Mi chiedevo come... che impressione le avesse fatto il ragazzo di ieri sera.

Il professor Flick, ho scoperto in questi anni, riesce sempre ad inquadrare le persone. Non gli piace giudicare ed è un tacito osservatore, medita molto, ma alla fine ha spesso ragione e riesce a prevedere i fatti prima che accadano.

-Il signor Rivers?- mi chiede, senza attendere la conferma –Non ne sono sicuro. Un ragazzo della sua età che arriva tanto in alto... mi aspettavo di avere a che fare con un borioso, seppure geniale, ragazzino viziato.

Mi lancia un'occhiata, di sbieco.

-E invece vengo a sapere che non si è neanche diplomato.- riflette –Qualcosa o qualcuno, a sentire Beverly, deve averglielo impedito, ma non ha voluto dirmi molto. Comunque, mi è sembrato fin troppo modesto per le sue capacità.

Annuisco, nascondendo un sorriso.

Mat è davvero in gamba, tanto geniale da riuscire a dimostrare un paradosso così difficile a soli ventitré anni, ma è tutt'altro che viziato o borioso. Probabilmente in questo momento sarà nervoso, magari si sentirà in ansia. Ma io sono certa che andrà tutto bene, e che ce la farà.

-E tu, Ellison?- mi chiede Flick, con un sorriso che mi fa tentennare –Non sono riuscito a chiederti cosa pensi di lui.

Mi mordo le labbra, esitando.

-Io credo che...- mi interrompo, a disagio –Credo che dovremmo aspettare di vederlo all'opera... tra qualche minuto.

-Hai ragione.- il professor Flick si alza, stiracchiandosi leggermente –Mi sa che è ora di andare a prendere due bei posti!

Ci avviamo in direzione della sala dove si terrà la conferenza, ma quando siamo quasi arrivati sono di nuovo io a parlare.

-Secondo lei qual è questa scoperta straordinaria?

John Flick si fa pensieroso, rallentando leggermente il passo.

-Ci rifletto da quando ho letto la mail di Beverly, a dire il vero.- si gratta la testa, concentrato –Ma proprio non riesco a venirne a capo, non esistono paradossi che potrebbero essere svelati con le nostre conoscenze.

Decido di dar voce all'idea che mi tormenta da quando ho rivisto Mat, ieri sera.

-Forse uno c'è.- dico, con gli occhi luminosi –Potrebbe trattarsi del paradosso di Olbers.

Quando ho parlato con Mat, sulla terrazza, non sono riuscita a chiederlo. Ero troppo presa dalla sua presenza, dal mio cuore impazzito e dallo scenario che ci circondava. Ma credo davvero che Mat sia riuscito a coronare il suo sogno: trovare una dimostrazione matematica che spieghi il paradosso di Olbers.

Lo sguardo di Flick si assottiglia, lui sembra rifletterci e ricordare di cose si tratta.

-Il paradosso sulla luce delle stelle, intendi?- mi chiede, curioso –Cosa te lo fa pensare?

Abbasso lo sguardo, nascondendogli il mio sorriso ed i miei occhi lucidi.

Il cuore, vorrei rispondergli, me lo sta urlando il mio cuore.

-Istinto.- mi limito a dire, invece.

***

Mat si alza in piedi, reggendo dei fogli di carta tra le mani. Sembra nervoso, lo desumo dalla postura rigida e dallo sguardo basso. Non credo ci siano persone come lui, tanto complicate e semplici al tempo stesso. È così enigmatico, ogni cosa in lui è da decifrare, ma l'unica difficoltà sta nell'imparare l'alfabeto. Una volta fatto, la crittografia diventa semplice. Soffoco un sorriso, osservando che ha cercato di sistemare – naturalmente senza risultato — i capelli. Quando comincia a parlare sembra incerto, la sua voce si spezza su alcune parole e tenta di alzare il tono nonostante l'insicurezza. Ma basta il solo pensiero di ciò che sta dicendo, di dove si trova, per dargli forza. Alza lo sguardo, puntandolo tra la folla dei presenti.

-Paul Davies disse che nell'universo sono emersi molti fenomeni affascinanti: mostruosi buchi neri del peso di un miliardo di Soli che mangiano le stelle e vomitano getti di gas; stelle di neutroni che ruotano su se stesse mille volte al secondo, la cui materia è compressa a un miliardo di tonnellate per centimetro cubo; particelle subatomiche così inafferrabili che potrebbero penetrare anni luce di piombo solido; onde gravitazionali il cui flebile passaggio non lascia alcuna impronta percettibile. Eppure, per quanto stupefacente possa sembrare tutto ciò, il fenomeno della vita è più straordinario di tutti gli altri messi insieme.- i suoi occhi incontrano anche i miei, per un istante che sembra durare in eterno –Una vita che passiamo cercando di svelare i misteri che ci circondano. Vogliamo saperne di più, conoscere quello che ci circonda a tutti costi. Ma a volte non ci accorgiamo che la soluzione è proprio sotto il nostro naso.

Sembra interrompersi, dubbioso. Nessuno si è accorto che sta guardando me, o che io sono arrossita. Gli sorrido. Nonostante la distanza, leggo comunque una leggera sorpresa sul suo viso; fa un respiro profondo prima di continuare.

-Nel lontano 1826, l'astronomo tedesco Heinrich Wilhelm Olbers volle proporre il suo paradosso. Un problema banale, su cui si sono scervellate diverse menti brillanti. Ogni ragionamento logico era accettabile, ma discordava dalla concretezza matematica.

Il suo sguardo cambia, divenendo più sicuro. Nelle sue successive parole l'insicurezza è svanita, sostituita dall'orgoglio e da un pizzico dell'arroganza che ho imparato a riconoscere in lui.

-Fino ad oggi.

Flick, accanto a me, accavalla le gambe e si sistema meglio sulla sedia. Lo conosco abbastanza bene da capire che è interessato, quasi curioso di ascoltare quello che Mat ha da dire.

-Ecco, è stato già dimostrato che l'universo è in continua espansione, dunque...- Mat fa un respiro profondo, avvicinandosi alla lavagna e cominciando a scrivere delle formule.

Naturalmente riconosco ogni passaggio, ricordando ancora alcune delle cose di cui mi parlava in Inghilterra. Parlava del suo sogno, quello di trovare una soluzione a tutto, di spiegare ogni cosa. Forse voleva farlo per tirarsi su, per convincersi che tutto quello che gli stava accadendo lo avrebbe aiutato. E, in effetti, è stato così. Non si è lasciato sconfiggere, ha lottato e ce l'ha fatta. A differenza mia, che sono fuggita lontano.

Faccio attenzione ai passaggi, ma quello che più mi rapisce è la sua espressione concentrata. La mano trema leggermente, per l'emozione forse, ma il suo sguardo è completamente catturato dai numeri, dalle lettere e dalle costanti segnate sulla lavagna. È il ragazzo che ho conosciuto quella sera di san Lorenzo, sotto le stelle, ma allo stesso tempo non è più lui.

Sono passati anni dall'ultima volta in cui ho visto il suo sorriso, dall'ultima volta in cui l'ho sentito parlare. L'ho evitato almeno quanto lui ha evitato me, ma il karma mi ha punita facendomelo ritrovare proprio qui, a Pisa, dove è riuscito ad arrivare un gradino sopra di me con la sola forza della passione. La cosa non mi infastidisce, ma mi confonde. So così poco di lui, della sua vita di adesso; riconosco ogni formula scritta sulla lavagna, rifletto su alcuni collegamenti, ma non potrò mai capire cosa lo abbia spinto a quei calcoli. Se la sua dimostrazione è esatta, diventerà piuttosto famoso in ambiente scientifico. Probabilmente questa è solo una parentesi che ci ha accostati per un periodo di tempo incredibilmente breve. Temo di non rivederlo, sono divisa tra il sollievo e il terrore di non parlargli mai più. Mi distraggo per un attimo, persa nel passato.

Accade, a volte, di trovarsi ad un punto cui non si credeva di poter arrivare. Noi viviamo le nostre vite giorno per giorno, provando le emozioni che ci danno gli eventi, senza accorgerci della direzione che stiamo prendendo. E anche se pianifichiamo ogni cosa, se vediamo la realtà che ci circonda attraverso una lente di cause e conseguenze, alla fine siamo egualmente inconsapevoli di quanto ci accadrà in futuro. Non possiamo decidere, non siamo invincibili. Ci lasciamo trasportare attraverso gli anni come pesi morti, opponendo deboli ed infinitesimali resistenze. E, anche se conserviamo l'illusione di essere artefici della nostra sorte, saremo sempre condizionati da qualcosa. Una nave non può orientarsi se ha il vento contrario. Ma può sfruttare quel vento per prendere una strada diversa, per invertire la rotta senza cambiare la destinazione, per scoprire una nuova terra e piantare la propria bandiera. Accettare la propria inconsapevolezza ci rende i veri padroni del nostro destino. E forse è proprio questo che devo fare io adesso, accettare di trovarmi qui, tormentata dalle emozioni e dalle paure, e affrontarle. Guardare Mat, che è lì da una buona mezz'ora, scrivere su una lavagna simboli che cambieranno per sempre la sua vita. Ed essere felice, per lui e per quello che ha realizzato.

Sono felice, adesso.

***

Una luna luminosa, rotonda, su un bellissimo mare cobalto. Un riflesso dorato posto lì per ricordare a tutti noi che, per quanto oscura possa essere la notte, per quanta nebbia occulti le stelle, la luce riuscirà sempre a raggiungerci. È il segreto delle parti, questo loro contrastarsi perenne senza che, mai, nessuna di esse abbia la meglio.

La conferenza è andata bene, ci sono stati molti apprezzamenti e scarse critiche; qualche domanda e chiarimento a cui Mat ha risposto brillantemente. Poi ci siamo alzati ed abbiamo raggiunto il retro del Centro, dal lato del cortile ampio e del bellissimo giardino, dove ci attendeva il ricevimento. La sera è scesa prima di quanto mi aspettassi, cogliendomi ad osservare il paesaggio lontano dall'alto di un balcone. Sono distante dagli altri, ho preferito isolarmi per poter riflettere meglio.

Mat tiene le braccia incrociate, come a proteggersi dal freddo. L'inverno si avvicina e la brezza serale agita leggermente il tessuto di lino della sua camicia. Si guarda distrattamente intorno, le labbra serrate ed i capelli al vento. Provo l'istinto di avvicinarmi a lui e parlargli, ma so che non sarebbe una buona idea. Probabilmente finirei per ferirmi da sola. E, per quante volte io abbia già commesso questo errore, ho deciso di smettere. Chiudo gli occhi per un istante; e mi costringo a voltarmi, fino a dargli le spalle. Flick è immerso in una conversazione tra vecchi amici e colleghi sotto il grande gazebo in fondo al cortile, ma io ho stretto abbastanza mani per oggi. Quindi torno a guardare la luna, a scrutare le stelle, sperando che mi aiutino a raggirare il tempo.

È come se il presente mi andasse stretto. Vorrei portare le lancette indietro, o avanti, per fuggire da un adesso troppo doloroso.

Non so neanche cosa mi faccia tanta paura. Tutto sembra semplice, ma complicato. È come quando sei convinto di conoscere il procedimento giusto per risolvere un calcolo, ma non ti trovi con il risultato. Sapere cosa è giusto e cosa no non serve a niente. Devi correggere un errore introvabile.

-Sei cambiata.

Sobbalzo. Mat è accanto a me, le mani strette alla ringhiera e lo sguardo puntato da qualche parte nel cielo. È stato lui ad avvicinarsi, a fare la prima mossa, questa volta.

-Sono cambiate molte cose.- mi limito a rispondere, nonostante quello che volevo dire fosse altro.

Sei cambiato anche tu, Mat.

-Sì, certo.- si volta verso di me –Ma tu sei veramente cambiata.

Che diavolo sta dicendo?!
Io sono sempre la stessa. Ho gli stessi capelli castani, gli stessi occhi troppo grandi e la stessa statura mingherlina. Non ho neanche cambiato pettinatura, o stile, o modo di parlare, o...

-Anche tu sei cambiato.- mi lascio sfuggire alla fine, piegando la testa da un lato.

-Ho dovuto.- sorride leggermente.

Riconosco quel tono, un allarme mi rimbomba in testa. Mi limito a stare in silenzio per qualche secondo, prima di avvicinarmi di un passo a lui. Quasi in tacito accordo, cominciamo a passeggiare fino a fermarci in un punto isolato del giardinetto. Ora siamo protetti dagli alberi, la musica si sente ovattata e nessuno può vederci.

-Mio padre è morto.- dice Mat ad un certo punto, dandomi le spalle.

Le parole mi si congelano sulla punta delle labbra.
I battiti del cuore.
Le ossa nelle loro intenzioni.
Le palpebre.
I passi.
Il gelo.
Il respiro.
Tutto si ferma.

Mat si volta verso di me, ancora con quel sorriso malinconico.

-Volevo correre da te.- dice –Tutto quello che desideravo era non lasciarti andare via, fermarti. Ci ho provato in tutti i modi. E forse mi raccontavo delle bugie solo per sentirmi meno egoista.

Faccio un passo indietro, lui chiude gli occhi.

-Lo stavo facendo, stavo venendo da te. Avrei persino fermato il volo, se fosse stato possibile. Avrei...- scuote il capo, come se il solo ricordo lo ferisse.

-Stavo correndo verso la porta, quando mia madre ha urlato.- stringe i denti –Cristo. È stato il giorno più terribile di tutta la mia vita e io... io ho perso tutto quello a cui tenessi di più in poche ore.

Vorrei fermarlo. Vorrei provarci, perché si sta facendo male, ma sento troppo dolore per muovermi. Sono inchiodata al terreno, sto mettendo radici, radici che assomigliano troppo a delle catene.

-Rimettere insieme i pezzi è stato difficile. Non è mai facile, ma quella volta fu davvero complicato.

Il mondo cessa di esistere, le sue parole mi tengono ancorata solo a me stessa e ad un cuore spezzato.

-Non avevamo molti soldi, mia madre non era lucida.- continua –Ho lasciato la scuola e cercato di guadagnare qualcosa. Ero... non ricordo molto di quel periodo. Ma mia madre ha tentato di buttarsi dal tetto e da quel momento è stato sempre peggio.

Smetto di respirare e neanche me ne accorgo.
Mi sembra di morire, mentre pendo dalle sue labbra.

-Lavoravo tutto il giorno, cercavo di non pensare e di rendermi utile.- abbassa lo sguardo –È andata uno schifo per due anni, studiavo di notte dai libri che Castor insisteva per prestarmi.

Chiude gli occhi per un attimo, sorridendo fra sé, poi li riapre e fissa il suo sguardo scuro nel mio.

-Poi Alina è diventata maggiorenne.- continua –E mia madre non ha potuto più impedirle di venire in officina ad aiutarmi. Ha lasciato anche lei la scuola, non ha voluto sentire ragioni.

Alina... la sorellina di Mat, ho pensato anche a lei in questi anni. Aveva una vera passione per l'officina ed era molto schietta ed espansiva, l'esatto contrario del fratello. Trattengo il respiro al pensiero di quanto anche lei debba aver sofferto.

-Le sono bastati pochi mesi per cambiare le cose.- Mat sorride, malinconico –Lavorare lì era il suo sogno ed è riuscita a far ripartire gli affari, facendo in pochi mesi quello che io provavo a fare da anni. Le cose hanno cominciato ad andare meglio e stabilizzarsi, con il tempo.

Mi sembrano anni luce quelli che ci separano. Sono così lontana, ferita e sola. Ma, d'un tratto, mi ritrovo tra le sue braccia. Gli sono corsa incontro così velocemente da farlo tentennare, quasi spaventato dal mio scatto. Restiamo così per un attimo, prima che Mat ricambi l'abbraccio. Vorrei piangere, ma sono troppo debole per farlo. Mi limito ad aggrapparmi a lui, lasciando che mi sorregga. Lo sento respirare piano, sorridermi contro i capelli.

-Non devi preoccuparti per me.- mi sussurra a un orecchio –Le cose vanno bene adesso.

Una rabbia cieca mi pervade e mi stacco da lui con forza.

-Come... come hai potuto...- la mia voce è spezzata –Mat, io sarei tornata indietro! Per te! Se lo avessi saputo, se me lo avessi detto...

-Non volevo che lasciassi ogni cosa per me. Non così.- mi guarda negli occhi con sicurezza –Dovevi farlo solo per te stessa.

-Mat...

-E poi... era tutto un casino assurdo.- la sua voce si riduce ad un sussurro –Se ti avessi chiesto di tornare, se ti avessi anche solo parlato, avrei distrutto ogni possibilità per te e non-

Soffoco le sue parole con un bacio. Non rifletto, non posso riuscirci, non adesso. È passato troppo tempo e gli anni non sono riusciti a cancellarlo, né a sbiadirlo. Il suo profumo è sempre lo stesso, brezza marina in pieno inverno, ma ora con un leggero accenno di dopobarda. E le sue mani, sempre così fredde, si posano sulle mie guance letteralmente bollenti. Se all'inizio pare opporre resistenza, facendomi tremare da capo a piedi per la vergogna, un attimo dopo mi stringe a sé. Ed io rimango irrimediabilmente sorpresa dall'intensità del nostro contatto, dei nostri cuori che si sfiorano appena e, sotto strati e strati di abiti da cerimonia, tornano ad intrecciarsi. E sincronizzano i battiti come solo loro sanno fare, come hanno sempre saputo fare. Siamo due orologi finiti agli antipodi del mondo, dove il tempo scorre al contrario. E le lancette continuano a rincorrersi, a tendersi la mano, senza mai segnare la stessa ora.

In questo momento ho paura di lui.

Paura che possa svanire, anche se mi tiene stretta, anche se lo tengo stretto. È svanito così tante volte che la sua presenza mi appare surreale. Forse questo non è che un sogno. Ma il cuore può battere tanto forte in un sogno?

Mi viene da sorridere quando ci stacchiamo per prendere aria, così apro gli occhi per guardarlo. Lui invece li tiene chiusi, gli occhi, ed ha il respiro pesante. Poggia la fronte contro la mia ed inspira forte.

-Non sei cambiata.- mi soffia sulle labbra, un suono appena più flebile della brezza serale –Sei tu.

Sono io.
E mi scoppia il cuore.
Perché questa è, molto probabilmente, la cosa migliore che potesse dirmi in questo momento.

Sono io.
E vado bene così, perché forse gli sono davvero mancata.

Sono io.
E sono qui, esattamente dove vorrei essere.

Sono qui.
E lui è qui.
Noi siamo qui.
Ed il troppo tardi può anche andarsene al diavolo.

-Se lo avessi saputo... io...- mormoro con voce spezzata, chiudendo gli occhi –Sarei tornata indietro.

-E se te lo chiedessi adesso?- chiede impulsivamente –Torna per me.

Torna per me.
Perché ti ho aspettato tanto.

Ed io vorrei dirgli che sì, certo, assolutamente, io tornerò. Vorrei urlargli che non me ne sono mai andata, che ho pensato a lui ogni secondo di ogni giorno della mia vita. Perché sono innamorata, troppo innamorata di lui.

Ti amo.

Chiudo gli occhi, cercando di ignorare il pesante groppo che mi si è formato in gola. Prendo un respiro profondo e mi avvicino a Mat, facendo sfiorare le nostre guance. Lo sento trattenere il respiro, mentre mi prende il viso tra le mani.

E sto davvero per dirglielo, che lo amo. Questa volta mi sembra quasi che riuscirò a dirglielo... quando una voce fastidiosamente famigliare mi fa trasalire.

-Mat!

E lui sobbalza, lasciandomi immediatamente ed incespicando all'indietro. Il suo sguardo è fisso su qualcosa, qualcuno alle mie spalle. E quella voce, insistente quanto stridula, continua a rimbombarmi nella testa. Vorrei solo ricordare a chi appartiene, senza provare questa specie di terrore, come una stretta all'altezza del petto.

Spalanco gli occhi, voltandomi.

-Monica?!

-Ma... ELLISON?!

Monica McGregory. Davanti a me c'è davvero Monica McGregory. In tutta la sua bellezza e perfezione. Il lungo tubino nero, i capelli di seta bionda raccolti e gli occhi color dello smeraldo puntati nei miei.

-Che ci fai tu qui?!- chiediamo in contemporanea.

Lei ha sempre odiato la fisica, per non parlare dell'astronomia. Mi chiedo come sia finita qui e soprattutto perché io non l'abbia vista fino ad ora. I suoi occhi mandano lampi, mentre si avvicina. Mi ignora completamente, andando verso Mat. Quando gli arriva di fronte punta lo sguardo in quello di lui e gli sorride con dolcezza, mettendogli le braccia attorno al collo ed alzandosi sulle punte per coinvolgerlo in un bacio profondo. Un bacio possessivo.

Un bacio che mi spezza il cuore.

Quando si stacca da lui, Monica gli accarezza i capelli con confidenza e mette su un broncio.

-Mi sono persa il tuo bel discorso.- dice, apparendo rammaricata –Mi dispiace, Mat, so che te lo avevo promesso...

Si morde le labbra, dandogli un veloce bacio a stampo.

-Ma ora sono qui!- dice allegramente –Giusto in tempo per il ricevimento!

Mat ha gli occhi vuoti. Sembra persino più turbato di me, che ho la gola secca e gli occhi spalancati.

Monica sembra ricordarsi di me solo in questo momento, voltandosi a guardarmi.

-Oh, Ellie!- dice, riscuotendosi –Mi stavo dimenticando che fossi qui, sei sempre così silenziosa...

Le parole mi si sono incastrate in gola e, anche se vorrei risponderle per le rime, mi limito ad aggrottare le sopracciglia. La mia attenzione ancora ferma al bacio che si sono scambiati. A lei qui per lui.

-Non sapevo che voi due foste rimasti in contatto.- continua Monica, rivolgendo a Mat un'occhiata curiosa.

Lui è sul punto di parlare, quando mi riscuoto e faccio un passo avanti.

-Non è così, infatti.- mi sorprendo di quanto sia ferma la mia voce.

Monica appare confusa.

-Non siamo rimasti in contatto.- spiego –Sono qui in veste lavorativa. Lavoro come ricercatrice a Bonn, in Germania.

I miei occhi, sorprendendo il mio cuore a pezzi, sembrano bruciare e sono puntati nei suoi con forza e determinazione.

-Ma è fantastico!- esulta Monica –Ce l'hai fatta allora!

Annuisco appena, sorpresa dal silenzio di Mat. Dovrei essere io ad evitare il suo sguardo, a non dire una parola, a desiderare di sprofondare nel pavimento. Il mio cuore sta colando come vernice fresca. Temo di aver capito, nonostante tutto in me si rifiuti di accettarlo. Così rimango immobile, permettendo alle loro parole di spezzarmi il cuore.

Alle parole di Monica.
E a gli occhi di Mat.

-Certo...- la ragazza che mi sta di fronte riprende a parlare, con un sorriso malizioso –Sembra assurdo... tu, che ti sei impegnata tanto, vieni qui e scopri che Mat ti ha decisamente battuta sul tempo...

-Monica...- la voce di Mat suona tesa mentre lui fa un passo avanti.

-Si è già guadagnato a pieno il titolo di ricercatore.- continua lei, ridacchiando felice –Questa cosa ha fruttato parecchio, se uniamo i nostri conti in banca possiamo definirci quasi milionari!

-Adesso basta, Monica.- dice Mat, con voce ferma.

-È fantastico.- dico, sovrastandolo –Davvero, io... wow.

Cerco di respirare lentamente e di mantenere la calma.

-Sono molto felice per voi.

Talmente felice che vorrei essere risucchiata nelle viscere più profonde della Terra.

Monica sorride, Mat stringe gli occhi e non smette di fissarmi. Non posso credere di essere stata impulsiva, di averlo baciato, solo pochi minuti fa. Lui è... sta con... Monica McGregory. La testa comincia a girarmi e le lacrime a premere, così mi riscuoto e rivolgo ad entrambi un sorriso.

-Io... ora devo proprio andare.- mi mordo le labbra –Mi staranno... non lo so, insomma, si sta facendo tardi...

Chiudo gli occhi, la voce mi trema.

-Domani devo partire molto presto.

-Ellison.- mormora Mat, ma lo interrompo.

-Sarà meglio ritirarsi.- dico -È stato un piacere rivedervi entrambi!

Sorrido ancora, voltandogli le spalle ed imponendomi di non correre mentre mi allontano. La voce irritante di Monica mi raggiunge anche a passi di distanza, più acuta che mai.

-Buonanotte!

Spazio Autrice:
C'è ancora qualcuno a seguire la storia? Io prego di sì e, se ci siete, vi chiedo scusa per l'assenza ): ...ho avuto un brutto blocco e settimane parecchio impegnative.
Questo capitolo ho dovuto letteralmente tirarlo fuori con le pinze, non ne voleva proprio sapere! È più lungo degli altri e l'ho riletto parecchie volte, quindi spero che non ci siano errori e che vi piaccia  <3 .
Ormai ci avviciniamo inesorabilmente alla fine della storia, cosa che mi mette un'ansia incredibile! Cosa succederà adesso?
Se ci siete, me lo battete un colpo? Anche solo un piccolo commento, se ne avete consigli o critiche; va bene qualsiasi cosa, a me basta leggere la vostra presenza.

Vi ringrazio per essere ancora qui a seguirmi e sopportarmi, non so davvero come facciate ma lo apprezzo molto. Nonostante la mia assenza in queste settimane mi avete riempita di messaggi e la cosa mi ha fatta sorridere di cuore *-* .
Un fortissimo abbraccio, ci vediamo questo venerdì con il prossimo capitolo!

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