«red» "charles leclerc"

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Quando tornai in pista, avevo ancora il tutore al piede. Non le stampelle. Meglio così, anche se sembravo comunque un mongolo ogni volta che camminavo (chiedo venia a tutti quelli che vengono dalla Mongolia. Sicuramente riuscite a camminare meglio e più facilmente di come sto facendo io adesso).

Quando lo incontrai di nuovo, ero seduto con il computer e la mia colazione davanti nella hospitality della sua scuderia.

Mi appoggiò una mano sulla spalla, spaventandomi.

«ciao Charlie» dissi riprendendomi dallo spavento.

Charles mi era sempre sembrato scontato e amo dare soprannomi alla gente. In Italia lo chiamano predestinato, ma credo che se il destino esista non sia così stronzo. Spero.

«ciao Aris»

Questo invece è il mio nome. Deriva dal greco "Aristoteles" e significa "il migliore". Mamma insegna greco, se ve lo steste chiedendo. E no, non credo di definirmi come migliore in qualcosa.

Anche se credo che nel cadere dalla moto io sia molto talentuoso. È così che mi sono fratturato caviglia e piede. Tutto durante il mio bellissimo Capodanno in Romagna.

Leclerc si sedette accanto a me, rubandomi una delle gocciole che mi ero portato dall'Italia. Non ci sono biscotti più buoni. Per me. Sempre un'opinione.

«dico ad Andrea che stai sgarrando, se lo fai un'altra volta» e lui lo fece. Più volte. Non lo dissi mai al suo personal trainer. Mamma non mi ha fatto stronzo. Sarcastico si, stronzo no.

Si mise più vicino a me, probabilmente per controllare cosa stessi facendo sul mio computer. Da fotografo e social media manager della Ferrari stavo modificando tutto per i vari post che avrei pubblicato quella mattinata, prima delle ultime prove libere.

Da lì in avanti, per necessità, avrei dovuto fare tutto con l'iPhone. Che poi fare le foto belle è l'unico motivo che ho per comprare ogni volta un modello nuovo di iPhone.

Si, questo mio racconto sta già prendendo la piega del diario di bordo che aveva la mia bisnonna quando nonno-bis era al fronte nella seconda guerra mondiale. Ci sono molto legato a quel diario effettivamente. Spero poi che questa storia finisca bene come quella tra nonno e nonna.

«sei narcisista a essere incantato da te stesso, Charlie» «è da un paio di giorni che mi spii e sto cercando di capire come sei riuscito a non farti beccare, Aristotele»

Lui rise vedendo la mia faccia. Gli piace deridermi, anche perché mi conosce bene tanto da sapere perfettamente che non mi piace essere chiamato così.

«un buon mago non scopre mai le sue carte, Percival» mi girai a guardarlo. Non ero stato così vicino a lui dall'ultima gara dell'anno scorso.

A causa del mio spiacevole incidente mi sono assentato abbastanza e continuavo a svolgere il mio umile lavoro dalla comodità del letto di casa mia a Maranello.

Ero così vicino e così lontano allo stesso tempo.

«e comunque, signorino, zero visite da parte tua in questi tre mesi. Mi devo sentire offeso?»

Fu lì che qualche dubbio mi era venuto.

Sapeva che, anche togliendo il piede, non stavo passando un meraviglioso periodo.

Una storia durata secoli si è frantumata nella stessa serata in cui sono caduto. Anzi, probabilmente sono stati i miei sospetti anche fin troppo sensati a farmi cadere giù dalla mia moto.

«sentiti come ti pare» lì si alzò, sfruttando l'assist dell'arrivo di Carlos per andare da lui.

Chiusi di scatto il mio PC e lo guardai. "A chi posso chiederlo?".

All'unica persona abbastanza schietta da rivelarmi tutti i pensieri che passano per la testa del monegasco.

«Max» lui mi raggiunse mentre mi stavo legando i miei capelli castani, ormai arrivati a essere quasi alle spalle.

«il sopravvissuto è ritornato» dire che la prima persona che mi abbraccia nel paddock 2024 è Verstappen fa effettivamente ridere. Anche se potrei considerarla poco più che una pacca, un po' alla Cannavacciuolo.

Ci appostammo in un angolo, presi fuori la mia sigaretta elettronica e finii per sfogarmi.

«gli piaci Aris» non so se lo volessi veramente sentire. È una piacevole conferma, si, perché i sentimenti sono decisamente ricambiati. Non so però se sono all'altezza di affrontare una situazione di coming out pubblico.

Non so se lui riuscirebbe a sopportarlo.

«quindi il suo essere perennemente schivo ogni volta che provo anche solo a circumnavigare l'argomento è per dire che è pazzo di me?» «io lo farei» «da te me lo aspetterei, tesoro. Da Charles, no. Non è da lui essere passive-aggressive»

Verstappen annuì alla mia affermazione, mentre tutti e due tenevamo d'occhio gli orologi.

«cosa vorresti fare?»

«mi piace, Max, e lo sai probabilmente solo tu da quanto» sospirai, facendo uscire tutto il fumo. Lo osservai prima che si dissolvesse.

«da quando provavi a starci dietro con il kart che aveva costruito tuo padre» «non insultare il kart di Gianandrea, che si offende parecchio. Lo usa la figlia di Azzurra adesso. Un po' modificato, ma va ancora»

Azzurra è la mia gemella. Decisamente quella uscita peggio dei due. Molto modestamente.

«si vede quanto ci tieni, Aris.» «lo so anche io che si vede. Mi rendo conto di quanto arrossisco a stargli vicino. Solo parlando di lui mi brillano gli occhi»

Mi trascinai giù per terra strisciando contro il muro alle mie spalle. Mi sedetti con le braccia appoggiate alle ginocchia e con le speranze che andavano scemando ogni secondo più di quello prima.

Max mi scompigliò i capelli e io non avevo neanche la forza di dirgli qualcosa. Semplicemente mi sciolsi la coda, mettendo l'elastico al polso con gli altri braccialetti.

«perché dovrebbe amare uno come me? Cos'ho di così tanto interessante?» Verstappen ormai si stava divertendo a vedermi in quel modo.

Si sedette accanto a me. «se dici così sembri disperato» «sono disperato. Rispondi»

«Aris sei uno dei ragazzo dal cuore più grande che c'è qua dentro. Fai ridere, hai un'infinita vena artistica. Tu non lo vedi, ma molte ragazze ti notano quando passi»

«quindi se fossi gay ci proveresti con me?» «si, lo posso anche ammettere»

Si alzò e mi aiutò a tirarmi su. Sentii ancora il piede farmi un po' male, ma era una cosa sopportabile.

«buona fortuna, Maxie» «la fortuna deve essere tutta con te, mate»

Ritornai all'hospitality con un peso in meno e qualche speranza in più. Non così tante da dichiararmi in diretta mondiale, ma abbastanza da provare a dichiararmi veramente.

Era come se mi stesse aspettando. Infatti, scoperto a posteriori, stava proprio aspettando me.

Era nel suo stanzino che guardava il telefono in modo piuttosto calmo.

«cosa ti hanno scritto le tue fan oggi?» «guarda, lascia stare»

mi sedetti accanto a lui ridendo. «tesoro, sono il social media manager tuo e di Carlos ora che siete in Ferrari. Tranquillo che vedo cosa ti arriva» «anche questo è vero» rise lui.

«dov'eri andato prima?» «ero con Max a scambiare due chiacchiere. Ho provato a persuaderlo nell'andare più piano, ma non credo mi abbia ascoltato» «apprezzo lo sforzo»

Più passavano i minuti, più l'atmosfera si faceva più tesa. A un certo punto si poteva tagliare con il coltello.

Avevo paura che potesse prendere e andarsene. Avrei sprecato l'occasione più ghiotta che ho dopo secoli.

L'assist però se lo giocò lui.

«come hai capito che ti piacessero i ragazzi?» mi chiese. Io risi. «non te lo ricordi?» «no dai, sono serio»

Charles è stata la prima persona a cui l'ho detto, sperando anche in un suo coming out. Da piccolo ero veramente cotto, forse più di ora.

Fossimo rimasti quei ragazzini: lui correva in Formula 4, io lo seguivo come un'ombra con la mia prima macchina fotografica semi professionale. Ci divertivamo con poco: due patatine, una lattina di coca cola e una PlayStation. Fino a quando qualcuno non ci intimava di smetterla, noi continuavamo.

«quando Zuzu e io siamo andati a vedere al cinema Dragon Trainer, il primo, assieme a mia cugina piccola. Mi ricordo Azzurra dire "quanto è bello Hiccup" e io ho pensato "c'ha ragione, cazzo". Avevo tredici anni»

Ci guardammo e scoppiammo a ridere. «davvero?» «si, non scherzo. Poi ci sono state alcune conferme in carne e ossa»

Sembrava interessato soprattutto a quest'ultima parte. «chi sono state?» «mio compagno di scuola di prima liceo, americano, un figo da paura. Tornato in America l'anno dopo. Ehm, ultimamente Timothee Chalamet» «ultimamente? È da cinque anni che rompi i coglioni su di lui» «ehy, tu stai insultando una divinità»

Rise anche a questo. Mi piace farlo ridere, mi fa sentire bene, anche perché sono sicuro che non stia ridendo di me. So che lui non lo farebbe mai.

«nessun altro?» iniziai a guardarlo. Ormai era palese.

«pilota, monegasco...» volevo che lo capisse da subito. Posso dire che, guardandolo dritto negli occhi, l'obiettivo l'ho centrato.

«ci conosciamo da quando abbiamo tre anni...» «quattro» «quattro anni, mi scusi. Sicuramente molto più bravo di me nel guidare in pista. In strada però lo supero di gran lunga» «te lo posso concedere» «anche in altezza lo supero» «sei un palo della luce Aris» «due metri» «appunto»

Mi accarezzò una guancia e io chiusi gli occhi. Mi volevo godere il più possibile il momento. Non lo avrei mai dimenticato.

«da quanto?» li riaprii, guardandolo negli occhi. Lui era arrossito. Io non voglio neanche sapere che gradazione di rosso ho raggiunto.

«sempre è una data ragionevole?» «dai, sono serio» «ti piace questa frase oggi» mi guardò male, ma in un modo talmente tenero che non riuscii a trattenere le risate.

«okay okay, Baku 2017. Ho capito tante cose nei tuoi confronti in quei giorni lì. Soprattutto quanto era grande il mio amore per te» «sette anni che ti piaccio quasi. I segreti li sai mantenere, tu» «no, Charlie. Sono sette anni che ti amo, non che mi piaci. Quelli sono leggermente di più»

I segreti basta saperli dire solo alle persone di cui ti fidi di più. A me è bastato Max.

«però mi ha fatto male mantenerlo, non lo nego» Giada, Charlotte e Alexandra, quest'ultima meno delle altre, ma hanno fatto tutte il loro male. Molte delle loro foto insieme le ho scattate io.

A non resistere più lì fu decisamente lui. Con il bacio che mi diede in quel momento sono decisamente tornato quel quattordicenne che baciava per scherzo le foto sue che aveva in camera non accorgendosi che ci potrebbe essere altro oltre che una leggera infatuazione adolescenziale.

Gli cinsi le braccia dietro al collo per tenerlo vicino a me. Sarei stato lì tutto il giorno, senza muovermi. Alcune lacrime, sfuggite al mio controllo, bagnavano le mie labbra e molto probabilmente anche le sue.

«hai resistito sette anni e più e io non so resistere dieci minuti» ridacchiò. Una sua mano mi accarezzava il viso, asciugando le ultime lacrime che cadevano dai miei occhi.

Non riuscivo più a proferire una parola di senso compiuto. Era una cosa talmente tanto irrealistica che la mia mente era sfuggita al mio controllo e stava ruotando da sola.

Charles aveva capito il momento. Si sdraiò sul divanetto e mi trascinò giù con sé con una mano diretta sulla mia schiena, sotto la maglietta.

Incastrai la testa nell'incavo del suo collo, mentre mi godevo quel piccolo momento di calma che avevamo.

Avevo solo bisogno di una rassicurazione. «non scapperai da me domani?» «domani, dopodomani o altro giorno che sia, non scapperò da te. Mai più. Ti amo, Aris»

"Ti amo, Aris"

Charles Marc Herve Percival Leclerc è il mio ragazzo. Non posso ancora gridarlo ai quattro venti, ma non mi importa.

Non mi interessa urlarlo a chiunque si avvicini a lui. Lo capiranno da soli che c'è qualcun altro al centro dell'universo.

E anche se non so per quale coincidenza astrale sia capitato, lì, in mezzo a ogni sua galassia, ci sono io. E vaffanculo a tutti gli altri.

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