FALL 1 - La stagione del Fuoco

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La sveglia suonò regolarmente come ogni lunedì, ma quella fu la prima volta, da che ne aveva memoria, che Raven desiderò farla sparire. A dispetto delle sue solite abitudini, non aveva voglia di alzarsi. Voleva il calore di Swan ancora per un po'. Voleva indugiare nella sensazione dolciastra e confusa di quel risveglio, affogare in quell'abbraccio, godersi la sua pelle addosso. Ma era pur sempre Raven, e l'attaccamento al dovere era così radicato in lui che, seppure a forza, si tirò su dal letto.

Swan, ancora avvinghiata alle lenzuola, non sembrò gradire quel cambiamento repentino che la traghettava dal sonno alla veglia senza troppa grazia. Si aggrappò al corpo di Raven senza dargli scampo, lo tirò giù e lo fece atterrare su di sé, mentre gli avvolgeva la vita con entrambe le gambe. Raven rise della sua capricciosa e dispotica presa di posizione, ma lì per lì non trovò argomenti davvero validi per sottrarsi alla morbida prigione di quell'abbraccio. Si lasciò ingabbiare e affondò tra le sue labbra, assaporando il primo bacio di quella giornata. Gongolando per quella vittoria, Swan gli affondò la mano tra le ciocche corvine e scomposte, obbligandolo a prolungare quel contatto.

"Swan...", mormorò lui, senza riuscire a staccarsi dalla sua bocca, "dobbiamo andare".

"Dieci minuti, ti prego".

"Non saranno dieci minuti, se continui così".

Lei, per tutta risposta, rise divertita dal suo tono severo e insieme rassegnato. Gli carezzò il collo e i capelli, e spinse il bacino contro di lui, intrecciando i piedi sulla sua schiena. Raven gemette e la sua ragione cedette di colpo di fronte a quella provocazione. Senza nemmeno tentare di afferrare un pensiero lucido, si strofinò contro le gambe di Swan, contro il suo sesso che sembrava attirarlo come una sirena i marinai, e la penetrò senza tanti preliminari con l'erezione che lo tormentava già dal risveglio. Swan chiuse gli occhi e mugugnò di piacere. Raven affondò un paio di volte dentro di lei, gustandosi quel movimento prima di tirarsi indietro e di sottrarsi. Swan sollevò le ciglia di scatto e lo guardò contrariata: Raven aveva il respiro affannato, come se stesse facendo violenza a se stesso, indeciso tra il proprio senso del dovere e il corpo di lei esposto davanti ai suoi occhi. Portarlo a quel limite era, per Swan, un piacere inconfessabile. 

Erano talmente poche le vittorie che Raven le concedeva all'interno del loro rapporto, che era disposta ad accontentarsi di quei piccoli soprusi, in attesa di potergli strappare qualcosa di più in futuro. Così lo stuzzicava sfacciatamente, perché non c'era nulla che valesse quanto quell'espressione che gli affiorava sul viso quando era in difficoltà, mentre lei si godeva quei passeggeri ma intensi attimi di supremazia. 

Si passò la lingua sulle labbra e si stiracchiò, sfiorandolo con finta distrazione. Raven, una volta ancora, capitolò.

"Uno di questi giorni mi farai perdere il controllo", ansimò mentre si accarezzava rapidamente e sistemava il profilattico.

In quei brevi istanti di attesa, la sua mente si soffermò su un pensiero bizzarro, su quelle ultime parole che erano rimaste impresse nel silenzio come un tremendo interrogativo.

Perdere il controllo? che sarà mai, perdere il controllo? e se non fosse poi così tremendo?

Guardò gli occhi di Swan, distesa di fronte a lui, e gli parve di cogliervi dentro la vera risposta a quelle domande. Non era soltanto amore, quello che leggeva tra le linee del suo viso. Quella continua altalena erotica tra loro nascondeva qualcosa di più intenso, che apparteneva al sentimento ma che insieme lo fondava e lo valicava.

Fiducia.

Swan si fidava di lui. Era quella la chiave del suo abbandono, il motivo più intimo per cui gli si offriva. Swan si fidava interamente, ciecamente di lui. Quel pensiero scosse le fondamenta delle sue certezze. Sarebbe stato tremendamente ingiusto, si disse, se non l'avesse ripagata con la stessa moneta. Sarebbe stato davvero indegno se non ci fosse riuscito.

Rinunciare al controllo, abbandonarsi totalmente, affidarsi a un altro come fosse te stesso... no, più di te stesso... e se non fosse poi così male?

Tese le braccia a carezzare quelle di Swan, poi la sollevò, attirandola contro il suo corpo. Prese a baciarle le labbra, il viso, il collo. La girò abilmente nella sua stretta, sfiorandole l'orecchio.

"Dieci minuti, signorina Swan. Non uno di più".

Lei ridacchiò mentre si faceva modellare come creta dalle sue mani.

"Dieci minuti, signore", ribadì con tono spavaldo.

Quell'idea - di non aver tempo, di dover consumare in fretta la passione, di precipitarsi fuori dal letto e da quella stanza subito dopo l'amore - trasmise a entrambi uno strano brivido di eccitazione.

Raven la strinse da dietro, facendo scivolare il petto sulla schiena di Swan. Tracciò la linea delle sue braccia con le dita, raggiunse le sue mani, le catturò e le guidò fino alla testiera del letto. Le aprì i palmi contro il legno, poi seguì quel percorso a ritroso con una carezza. Le cinse la vita, attirò i suoi fianchi verso il suo corpo teso e affondò di nuovo in lei, strappandole un rauco suono di piacere prima di stabilire il ritmo del loro amplesso.

⸩ↂ⸨

Arrivarono in ritardo ed entrarono nella grande sala quando gli altri si trovavano già lì. Quell'evidenza fece sussultare Raven, come una nota stonata suonata per sbaglio all'interno di una perfetta melodia: di solito era lui quello che aspettava gli altri, sprofondato sulla poltrona di pelle, con la gamba accavallata e l'espressione annoiata. Vedere Phoenix al suo posto fu come osservare l'immagine distorta di sé allo specchio e Raven si sentì sferzare da un'onda di fastidio. Abbozzò con la sua innata nonchalance e prese posto assieme a Swan sul divano che occupava una delle pareti.

Il Secondo Maestro glissò sulla loro mancanza di puntualità e si schiarì la voce prima di prendere la parola. Evidentemente l'argomento del giorno era di tale importanza e urgenza da farlo passare sopra alle quisquilie e agli imprevisti quotidiani. Gli occhi di tutti e quattro i ragazzi erano su di lui, attenti, mentre iniziava il suo discorso.

"Custodi, dalle osservazioni che voi stessi avete fatto e dai controlli eseguiti dai nostri strumenti di rilevazione, sembra che ormai non ci siano dubbi: il Polo Nord Magnetico si sta spostando troppo rapidamente. Con questo ritmo, c'è da aspettarsi che, tra qualche settimana, la sua inversione divenga inevitabile, e credo sappiate tutti cosa questo comporti".

"Cambiamento climatico, riduzione del campo magnetico terrestre, raggi cosmici e venti solari potenziati...", chiosò Eagle, come se stesse recitando un copione mandato a memoria.

"Tuoni, fulmini e saette, insomma", tagliò corto Phoenix, guadagnandosi un'occhiataccia di Raven.

Stranamente, il Secondo Maestro non lo redarguì come avrebbe fatto normalmente di fronte a simili battute. Si limitò a considerarlo per un istante, quindi proseguì con tono asciutto.

"Ritengo che, a questo punto, sia ragionevole aspettarsi che l'Opera sia iniziata, così come è stata descritta nella Profezia e nei commentari successivi. L'inversione dei Poli Magnetici non genererà una catastrofe improvvisa, ma il processo, una volta avviato, sarà comunque ineluttabile. Ciò che voi siete chiamati a compiere, quindi, è uno sforzo affinché tale processo sia arrestato e l'equilibrio ristabilito. Dovrete collaborare, fondere insieme il vostro potere e il vostro sapere per raggiungere questo obiettivo. Il fallimento, come potete immaginare, non è contemplato".

Per qualche istante nessuno fiatò. La sala era pesante di pensieri inespressi e nessuno osava incrociare lo sguardo del Maestro, né degli altri compagni.

Eagle, come sempre, fu il primo a parlare, a osare dar voce ai dubbi che, di sicuro, aleggiavano nella mente di tutti.

"Il fallimento non è contemplato", ripeté con voce bassa, "però come evitarlo non ci è stato spiegato".

Il Maestro gli rivolse uno sguardo che, in una circostanza migliore, si sarebbe potuto definire affettuoso.

"Stiamo lavorando per voi. Stiamo studiando le proiezioni dei cieli astrali. I Dodici devono benedire il momento, suggerisce la Profezia, quindi ci aspettiamo di trovare un allineamento favorevole delle dodici costellazioni dello Zodiaco. Questo dovrebbe fornirvi almeno un'indicazione utile sui tempi".

I ragazzi annuirono. Ognuno di loro attribuì un peso differente alle parole del Maestro, ma almeno sembravano tutti concordi nel pensare che qualsiasi forma d'aiuto era meglio che niente.

"A tal proposito...", riprese l'uomo squadrando rapidamente Phoenix e passando quindi lo sguardo sugli altri. "Il 22 settembre è stato l'equinozio d'autunno. Questa data segna l'inizio della stagione del Phoenix e, a quanto pare, le stelle sono state propizie".

A quell'annuncio, Raven sbatté le palpebre e corse a interrogare l'espressione dei suoi compagni. Phoenix sembrava il ragazzo più tranquillo del mondo, e anche Eagle non mostrava segni di stupore, mentre Swan fissava l'irlandese con uno sguardo denso, intenso, di chi è sorpreso ma in fondo sa che non dovrebbe esserlo affatto. Di chi conosceva quella verità prima di chiunque altro, anche se l'aveva nascosta persino a se stessa.

"Il potere del Phoenix si è manifestato", chiarì il Maestro, spazzando via ogni possibile dubbio. "E questo, sono certo, riempie ciascuno di noi di gioia e di grande speranza".

I suoi occhi si indirizzarono a quel punto verso quelli di Raven, che scintillavano di metallo fuso.

"È la stagione del Fuoco, il momento definitivo in cui convoglieremo tutte le nostre ricerche e tutti i nostri sforzi. Mi aspetto che collaboriate, che vi fidiate l'uno dell'istinto dell'altro e che vi lasciate guidare dalla Fiamma della Fenice, che contiene il segreto della Vita e della Morte, della Fine e della Rinascita".

Raven non reagì in alcun modo evidente a quella frase, che sembrava diretta a lui, indubbiamente proprio a lui. Si limitò ad assentire, come fece Swan, come fece Eagle.

Il Maestro li scrutò tutti e quattro per qualche istante, fino a quando non parve soddisfatto di ciò che aveva letto nei loro occhi.

"Bene, signori", esclamò a quel punto, levandosi in piedi, subito imitato dai presenti. "Vi lascio ai vostri impegni".

Si avviò verso l'uscita della grande sala, che era la stessa in cui Swan aveva indicato Phoenix, la stessa in cui i loro destini e quelli di tanti altri prima di loro erano cambiati per sempre. Quando la porta si richiuse con un rumore secco, i ragazzi tornarono a guardarsi tra loro. Phoenix si girò a cercare il contatto visivo con Raven, ma quello alzò lievemente le spalle e fece per andare. Gli passò vicino con noncuranza e l'irlandese lo bloccò prendendolo da un braccio.

"Qualcosa non va, Pigeon?", domandò con voce scura.

L'altro sollevò appena le ciglia, gli lanciò la sua solita occhiata sarcastica e increspò un angolo della bocca, con quell'espressione che lo faceva somigliare a un gatto.

"E perché mai?", replicò serafico, mentre la linea delle sue labbra si allargava in una risatina crudele. "Buona fine del mondo, Phoenix".

Cercò di allontanarsi, ma il ragazzo si ostinò a trattenerlo.

"Sai qual è il nostro problema, Coso?".

"Oh, sentiamo...", sbuffò.

Phoenix rispose alla sua aria annoiata con un sorrisetto pungente.

"Io ti sono grato, davvero, per l'impegno che ci hai messo con me, per lo scrupolo con cui mi hai istruito e perché alla fine non ti sei tirato indietro, anche se morivi dalla voglia di farlo". 

Prese una pausa e il suo sguardo si fece di colpo serio, come se volesse inchiodare Raven a quelle parole, senza dargli la possibilità di sfuggire. 

"Ma quanto a fiducia, alla fiducia di cui parlava il Maestro poco fa, è bene che tu sappia che non mi fido di te. Preferirei affidare la mia vita a un serpente, piuttosto".

Con un gesto stizzito, Raven scrollò la mano che si era ormai serrata sulla sua spalla e indietreggiò di un passo, come se avesse voluto indirizzare meglio, e integralmente, il suo disprezzo.

"Come ti pare", sbottò con sufficienza. "Ma un serpente non si comporta come ho fatto io con Swan e con Eagle in tutti questi anni".

Forse pensava che la discussione sarebbe finita lì, che avrebbe avuto l'ultima parola, come accadeva ogni volta. Ma Phoenix, quella mattina, non era intenzionato a lasciar cadere quell'argomento, e tutto il suo fastidio non sembrava sufficiente a farlo tacere.

"Ah, davvero?", lo incalzò infatti. "Ne sei proprio sicuro?".

Raven rise lievemente, come se avesse voluto ammantare di naturalezza la sua verità già tanto evidente.

"Swan è la mia ragazza e Eagle è praticamente mio fratello. Devo spiegarti altro?".

Phoenix scosse il capo.

"Senti, io ce l'ho un fratello, ed è uno stronzo esattamente come te. Ma una cosa di lui la so con certezza: non mi lascerebbe mai andare a fondo. Se mi vedesse nei guai, farebbe di tutto per non farmi soffrire. Passerebbe in mezzo al fuoco per me".

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