FALL 2 - Solo gli Amanti sopravvivranno

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Passerebbe in mezzo al fuoco per me.

Quelle ultime parole restarono sospese nel silenzio della stanza, come un'incisione rovente nell'aria. Phoenix aggirò con sicurezza la poltrona di pelle e si diresse al centro della sala, nello stesso punto in cui aveva atteso in piedi, per ore, che qualcuno decidesse che cosa farne della sua esistenza. Raven lo seguì con lo sguardo, con circospezione, e mosse appena un paio di cauti passi verso di lui. Eagle e Swan, a distanza, osservavano quello strano duello senza osare interromperlo. 

Eagle sembrava tranquillo, quasi incuriosito da ciò che stava per accadere. Swan, invece, era sgomenta, come se stesse già immaginando qualcosa di terribile dalla quale avrebbe preferito scappare. C'era una speciale ansia nei movimenti lenti di Phoenix e Raven, come in un'antica danza tribale, in un ricordo perduto di scontri titanici illustrati in grotte ancestrali.

"Che significa tutta questa storia, Phoenix?", chiese Raven infine, con voce torva.

L'irlandese piegò appena il capo e sorrise.

"Te lo mostro subito".

Prese un profondo respiro, poi fece un semplice gesto con la mano, un colpo secco che tagliò lo spazio vuoto di fronte a lui come una sciabolata.

"Conflăgra!".

L'aria si incendiò e una cresta di fiamme crepitò sul pavimento, sollevandosi a formare una parete tra lui e gli altri tre ragazzi. Le lingue guizzarono sul metallo liquido degli occhi di Raven, spalancati come la sua bocca di fronte a quello spettacolo inatteso. Rimase a fissare la linea di fuoco e Phoenix che l'attraversava senza che le fiamme lo lambissero in alcun modo, come se non riuscisse a credere allo spettacolo cui stava assistendo. Phoenix gli indicò la parete che bruciava alle sue spalle con un movimento che assomigliava a un invito.

"Entra nel fuoco", disse asciutto.

L'altro non rispose, non si mosse. Tratteneva il respiro e continuava a seguirlo con lo sguardo di un animale in agguato. Dietro di lui, Swan era immobile come una statua di marmo e, come quel materiale, il suo viso era bianchissimo. Eagle, invece, si fece avanti, fin quasi a sfiorare Raven, con un'espressione che mescolava sorpresa e paura.

"Phoenix, ma cosa...", biascicò sbigottito.

"Fatti da parte, Eagle", lo interruppe quello senza troppo garbo. "Questa è una faccenda tra me e Lord Pigeon. Tu e Swan potete guardare".

Tornò a fissare quegli occhi d'acciaio che sembravano sul punto di arroventarsi.

"Allora, Pigeon? Coraggio!", lo incitò una volta ancora.

"Tu sei pazzo!", sputò Raven con disprezzo e rabbia.

Phoenix, per tutta risposta, sfoderò un sorriso sicuro, da canaglia.

"Di cosa hai paura?", lo provocò. "C'è scritto che gli Amanti celesti sopravvivranno al Fuoco, quindi...".

"È solo una stupida profezia, quei versi potrebbero non significare nulla!".

"Ah, è stupida solo quando lo dici tu, giusto?", ironizzò l'irlandese, godendosi l'agitazione che cresceva nel suo contendente. "La verità è che tu non puoi nulla contro di me, vero Raven? Come vedi le ho imparate bene, le tue lezioni: tu sei il più debole tra noi, anche se non lo ammetteresti nemmeno sotto tortura. Swan potrebbe anche tentare di fermarmi, se lo volesse, e Eagle può accrescere il mio potere. Ma tu, contro di me, non puoi nulla".

Raven si lasciò scivolare addosso tutto quel discorso senza riuscire a opporre alcuna resistenza. Il respiro gli si era fatto pesante e la vista delle fiamme sembrava aver gettato su di lui un incantesimo di immobilità. Guardava le lingue guizzare davanti ai suoi occhi e un rivolo di sudore freddo gli scivolò sulla pelle. Un oscuro terrore sembrava aver preso possesso del suo corpo. Phoenix gli agguantò un braccio e lo spinse prepotentemente contro la parete ardente.

"E adesso entra nel Fuoco", ordinò perentorio, mentre Raven cercava di divincolarsi dalla sua stretta.

L'irlandese lo serrò ancora di più, trascinandolo con il peso del suo stesso corpo contro le fiamme. Erano avvinghiati come due lottatori nell'arena. Phoenix sollevò appena il viso oltre la spalla di Raven e, attraverso la rete dei suoi capelli neri, inquadrò la sagoma pallida di Swan, che li fissava sempre più spaventata.

"Non ami Swan sopra ogni altra cosa?", cantilenò ironico e crudele all'orecchio di Raven, prima di mutare radicalmente di tono. "Allora entra nel Fuoco, ho detto!".

A quell'ultima esclamazione, urlata senza posa, fece eco il grido di Raven, scomposto, disperato.

"No!".

A quella sola parola, Phoenix si fermò, mollò la presa e indietreggiò di un passo, per squadrare il viso di Raven che sembrava essere andato in pezzi.

"No cosa?", lo incalzò sibillino.

"Non la amo!", urlò Raven, un attimo prima che la voce gli si abbassasse, incrinandosi. "Io... non la amo".

La potenza devastante di quella frase avrebbe potuto sbriciolare l'intera sala, riducendo in polvere ogni quadro, ogni suppellettile, ogni antica vestigia. Quello che franò, nel silenzio di piombo che seguì, fu il cuore di Swan.

Phoenix si staccò da Raven con un movimento lento, paradossalmente delicato, dopo la furia che gli aveva riversato addosso.

"Extinguite", sussurrò, cancellando la parete di fiamme che ancora ardeva vivace alle sue spalle.

Assieme al fuoco, scomparve anche l'unico segno di vita in quella stanza, che precipitò in una staticità innaturale, che nessuno aveva il coraggio di infrangere. Phoenix, con uno sguardo impietoso, fissava Raven, che aveva abbassato il capo e si tormentava il collo con le mani. Anche gli occhi di Eagle e Swan puntavano su di lui, increduli quelli dorati, totalmente vitrei quelli azzurri.

"Perché?".

La voce sottile di Swan, come un fragilissimo filo d'argento, recise l'improbabile calma di quel momento.

"Perché mi hai fatto questo?", sillabò a stento, mentre le lacrime le toglievano il fiato.

Raven sollevò il capo ma non si girò a guardarla.

"Perché non voglio morire".

Il suo tono era freddo e duro come l'acciaio, come un rancore antico che torna a galla a turbare la pace di un ricordo. Phoenix sussultò all'udirlo.

"Che diavolo stai dicendo adesso?", sbottò, sinceramente confuso.

"Che non voglio morire", ribadì Raven con insolita calma. "Posso accettare tutto: questa vita assurda, e non avere ricordi, e trascorrere un'intera esistenza senza senso, e l'arrivo della fine del mondo, ma... io non voglio morire. Tutto, tranne affrontare la morte!".

Phoenix inarcò le sopracciglia. Le argomentazioni di Raven erano oscure, ma recavano in sé una sorta di plumbea gravità, l'ombra di un presagio che sembrava terrorizzarlo dal profondo. Terrorizzarlo talmente tanto da averlo reso pronto a tutto.

"Di che accidenti stai parlando?".

Raven lo squadrò quasi con curiosità e finalmente si girò a passare lo sguardo anche su Eagle e Swan.

"Davvero non l'avete capito?", domandò allargando le braccia. "Davvero non ve lo siete mai chiesti? Eppure l'avete avuto sotto gli occhi in ogni istante! Ma... Dio, no! Non ve lo siete mai chiesti, quale fosse il vero significato della Profezia".

Si mosse dalla posizione che aveva occupato fino a quel momento, spostandosi in un punto in cui riusciva a osservarli tutti, e studiò con triste sorpresa e ironica consapevolezza i loro sguardi muti, che lo fissavano senza capire, domandandosi se non fosse pazzo.

"Uno di noi morirà!", esclamò Raven con trasporto. "Continuate a comportarvi come se foste liberi, ma non lo siete, non lo siamo! L'Opera è già cominciata e noi ci siamo dentro fino al collo. Se proprio volete saperlo, è cominciata la notte stessa in cui è morto il vecchio Phoenix, quindi adesso, comunque vada a finire questo schifo, uno di noi mo-ri-rà! E sapete che c'è? Non voglio essere io, quello! Non so a chi di noi toccherà, ma l'unica cosa chiara di quei dannati versi è che gli Amanti sopravvivranno. E allora perché no? Perché non avrei dovuto scegliere per me quella parte in questa assurda messinscena?".

Phoenix strabuzzò gli occhi e lo guardò come se, a quel punto, avesse stabilito definitivamente che aveva perso il senno.

"E tu pensi davvero che sia così facile prendere in giro la sorte?", sbottò. "Che ti sarebbe bastato solamente inscenare una farsa?".

"Non era una farsa", si schermì Raven, recuperando la sua ostentata sicurezza. "Swan mi ama, mi ama veramente, e io... io le voglio bene, davvero, e con il tempo l'affetto può tramutarsi in amore, e...".

"Ma Swan non ti ama", lo interruppe brutalmente Eagle, ritrovando solo in quel momento la forza per parlare.

La sua voce era così scura, così piena di collera che Raven si zittì senza cercare di protestare.

"Swan ama l'immagine di te che tu hai costruito a bella posta per lei in tutti questi anni", proseguì l'altro con accento amaro. "E come potrebbe, d'altronde, se nemmeno sa chi sei realmente? E tu, tu ami solo l'ancora di salvezza che lei rappresenta per te. Non c'è nessun amore in tutto questo".

Appena il suono delle parole di Eagle si spense, nella stanza risuonò un colpo secco che fece tremare le pareti. Una porta era stata sbattuta con violenza, generando quel rumore improvviso. Swan aveva voltato loro le spalle ed era uscita.

Raven fissò l'uscio per qualche istante, poi tornò a cercare gli occhi dorati dell'altro ragazzo.

"Eagle, ascolta...".

"Sparisci, Raven", fu la replica perentoria che lo colpì come uno schiaffo. "Non voglio ascoltarti".

Raven si massaggiò nervosamente il mento con la punta delle dita. Sembrava rimuginare tra sé qualcosa che non riusciva a dire. Scosse il capo come se avesse avuto bisogno di liberarsi di un fastidio che gli serrava la testa, poi si diresse anche lui verso la porta e uscì senza una parola, senza voltarsi.

A quel punto Phoenix cercò con lo sguardo l'unico possibile interlocutore che gli era rimasto, e lo fece in modo cauto, quasi chiedendogli il permesso per farlo, temendo di leggervi dentro qualcosa che non desiderava vedere. 

Gli occhi di Eagle erano intensi e diretti, mentre lo squadrava severo e triste al contempo. Sembrava corrucciato, perplesso, sul punto di esprimere un pensiero che gli pesava rivelare ma che non riusciva più a tacere.

"Comprendo le tue motivazioni, Phoenix", iniziò sforzandosi di apparire pacato, "ma lasciami dire che hai sbagliato. Per quanto fosse giusta la causa, non era il momento adatto per farlo. Stiamo andando incontro a qualcosa che richiede coesione, affiatamento, unità. Non certo astio e discordia".

L'irlandese ascoltò con calma e attese che l'altro ebbe finito prima di replicare con voce schietta.

"Unità? Ma di quale unità stai parlando? Non può esistere nessuna unità nella menzogna. Solo la sincerità può portare alla vera coesione. Avete vissuto tutti questi anni basando i vostri rapporti su una serie di bugie. Non eravate pronti, sareste crollati alla prima difficoltà, e mi sorprende vedere che nessuno di voi ci abbia pensato prima. Che tu non ci abbia pensato prima".

Eagle abbassò le ciglia un istante, valutò quell'ultima frase e prese un profondo respiro prima di rivolgersi nuovamente a Phoenix.

"Non fai che accusarmi, più o meno velatamente, di non aver mai voluto essere un leader", iniziò. "Ma se comandare significa alzare la voce, spezzare le altre persone e forzare gli eventi fino alla loro crisi... be', allora grazie, ma no, non fa per me. Non sarei io, Phoenix. Sarei falso, come lo sarei se ti dicessi che approvo quello che hai appena fatto".

Phoenix annuì lievemente. Non sembrava agitato e non sembrava pressato dal desiderio di giustificarsi o di convincere Eagle a tutti i costi. Entrambi si guardavano consapevoli delle proprie idee, delle proprie posizioni. Consapevoli di essere davvero fedeli a se stessi.

"Non ho agito pensando che tu fossi d'accordo", concluse l'irlandese, concedendosi un mezzo sorriso. "È proprio per questo che ti rispetto, perché non sei d'accordo. Ma il Fuoco serve a cancellare il vecchio e a far nascere qualcosa di nuovo, Eagle. Quindi lascia pure a me questa parte, quella del distruttore. A te lascio quella del costruttore, adesso".

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