FALL 3 - Imperfetta

Màu nền
Font chữ
Font size
Chiều cao dòng

Che anno di merda!

Era iniziato con la morte di Phoenix, e già quel solo evento sarebbe stato sufficiente per farla a pezzi e precipitarla in un baratro dal quale non risollevarsi più. Ma no, aveva dovuto stringere i denti e andare avanti, ché non le era concesso di annientarsi nel dolore. 

E poi c'era stato Raven.

Raven e tutta quella immensa, schifosa faccenda.

Sembrava l'angelo che le avrebbe curato le ferite, che l'avrebbe portata sul palmo della sua mano, e invece... invece era di nuovo spezzata, e a quel punto non avrebbe saputo da che parte ricominciare, come riuscire a incollare di nuovo il suo cuore infranto e già riparato a stento. 

Felicità... questo aveva provato con lui, questo era lui. E amore, passione, bellezza, sentimento. E non restava più nulla. Non le restava più nulla. Nemmeno le lacrime. Le aveva piante rimproverando se stessa aspramente, ripetendosi che lui non ne meritava nemmeno una, ma non era riuscita a fermarle. Aveva smarrito ogni controllo su di sé, smarrito ogni voglia. Il mondo aveva perso la sua luce e Swan vagava in un crepuscolo indistinto che non aveva fine.

Con le palpebre serrate, si abbracciava da sola sul letto, cercando di consolarsi con quella carezza, ma ogni tocco delle sue dita si confondeva con il ricordo di lui. Si sfiorava, ed era Raven a farlo, con dolcezza e tormento. La sua presenza si ricreava incessantemente al suo fianco. Era lui che la stringeva, suo il calore, la pressione, la mano che richiedeva il possesso del suo corpo. Non riusciva a staccarsi da quel pensiero. Si sentiva ancora così disperatamente sua da farsi schifo. Si odiava almeno quanto odiava Raven. Perché continuava ad amarlo. Amava tutto di lui, perfino il suo essere falso. Perché una parte di lei lo voleva ancora accanto, a ogni costo, e sarebbe stata disposta a vendersi alle sue bugie, pur di riavere tutto indietro. Quei pensieri non facevano che aumentare la nausea di fronte alla propria inutile debolezza. Ormai non sapeva più che farne di sé.

⸩ↂ⸨

Qualcuno bussò lievemente e aprì la porta senza attendere una risposta che non sarebbe comunque arrivata. Seppe all'istante che era lui, perché le viscere le si contrassero, i muscoli si tesero e una rabbia sorda le salì alla testa, cancellando qualsiasi altro pensiero. Con che coraggio si presentava lì? Come poteva avere una simile faccia di bronzo? Fino a che punto pensava di poterla tormentare?

"Vattene, Raven", sibilò senza nemmeno voltarsi, restando rannicchiata sulla coperta nel tentativo estremo di difendersi da lui. "Non voglio vederti, non voglio sentire la tua voce, non voglio nemmeno percepire l'ombra della tua presenza".

Intuì un momento di esitazione. Si era fermato sulla soglia, non era entrato. I suoi occhi, che sentiva addosso pur non vedendoli, la stavano bruciando e torturando.

"Me ne vado, Swan", gli sentì pronunciare con voce arrendevole, rassegnata, senza pretese. "Me ne vado subito".

Una pausa. Un sospiro impercettibile. Ma non si sarebbe girata, no, o non avrebbe saputo prevedere la piega che avrebbe potuto prendere quella conversazione.

"Volevo solo che sapessi che c'è stato un momento in cui ho creduto davvero che avrebbe funzionato", proseguì lui con lo stesso tono piano, "e tu sai esattamente qual è stato. Almeno concedimi questo, per quel che può valere: io non ti avrei mai lasciata. Mi sarei preso cura di te fino alla fine".

Perché ferirla ancora? Non le aveva preso abbastanza? Di cosa aveva bisogno? Che lei lo assolvesse? Per non doversi sentire davvero la merda che aveva dimostrato di essere? Strinse ancor più il suo corpo, per impedirsi di tremare.

"Sei riuscito a essere come il più stupido e banale dei sogni, Raven", ribatté con voce dura, fredda, distante. "Magnifico nel sonno e del tutto insignificante al risveglio".

Sentì ancora un altro sospiro, poi più nulla. Era andato via. Era andato via da lei, per sempre.

Era sola. Era morta.

⸩ↂ⸨

Eagle si tormentò per giorni. Inutile nascondersi che era in pensiero per Swan. Era irrequieto, non riusciva a concentrarsi su nulla. Non faceva che chiedersi come si sentisse, ma non aveva la forza di rivolgere quella domanda alla diretta interessata. Un tempo si sarebbe precipitato a farlo, ma il ricordo di un altro momento, nel passato, gli fermava il cuore. Gli sembrava di dover rivivere una scena che conosceva a memoria: lui che la stringeva e Swan che lo mandava via, con una freddezza che ancora gli gelava il sangue. Non aveva alcuna voglia di sentirsi rifiutato a quel modo, di nuovo. Si sentiva stupido a voler riprovare, e allo stesso tempo si sentiva stupido a non farlo.

Per mettere a tacere la sua ansia, decise che avrebbe aspettato che lei mettesse il naso fuori dalla stanza. Doveva farlo, prima o poi. Per mangiare, per rubacchiare in biblioteca qualcosa da leggere, per andare a parlare con i Maestri. Insomma, aveva mentalmente stilato un accurato elenco di tutte le possibili occasioni. In un modo o nell'altro l'avrebbe incrociata e, a quel punto, avrebbe provato a parlarle. 

Alla fine, Eagle ottenne esattamente quello che aveva desiderato, quando se la trovò di fronte mentre vagava nottetempo lungo il corridoio che portava in cucina. Solo che a volte ciò che si sogna è ben diverso da ciò che si ottiene in realtà, e Eagle si scoprì a corto di idee e ancor più a corto di parole di fronte al viso cereo e alle occhiaie di Swan. Come poteva entrare in quel dispiacere? Lui ne era estraneo, che diritto aveva di piombare dentro al suo dolore?

"Ehi, Swan!", esclamò un attimo prima di zittirsi.

Che razza di saluto era mai quello? Come se l'avesse incontrata per strada casualmente e non abitasse insieme a lei da anni. Come se stesse per chiederle come andava e cosa aveva fatto negli ultimi tempi. Eagle si diede dell'idiota da solo, ma Swan si fermò ugualmente a pochi passi da lui. Lo guardò muta e diffidente come una bambina che non sa cosa aspettarsi dal grande mostro che è improvvisamente balzato fuori dall'angolo più buio della sua cameretta. Il ragazzo si impose di avere coraggio. Qualsiasi cosa avesse detto, sarebbe suonata comunque stupida o inutile, quindi il coraggio era l'unica risorsa che poteva tenersi stretta.

"Scusami se ti ho fatto paura. Volevo solo sapere come ti senti".

Lei lo scrutò come se stesse calcolando tutte le molteplici ricadute di quella domanda e di ogni sua possibile risposta. Come ti senti? Adesso mi manda a quel paese, pensò Eagle di fronte a quel silenzio, e fa pure bene!

Swan, invece, fece un paio di piccoli passi nella sua direzione e sollevò il viso per guardargli gli occhi.

"Mi sento così... imperfetta", mormorò.

Poi, come se avesse parlato nel sonno e si fosse risvegliata d'improvviso, distolse lo sguardo e sembrò voler recuperare il controllo su di sé.

"Ed evidentemente dico cose senza senso", si corresse.

Eagle sentì che tutta la tenerezza del mondo gli saliva alla testa e gli dava la vertigine, senza alcun preavviso, mentre osservava la fragilità di Swan. Perché era sempre la sua Swan, e lui non avrebbe mai potuto farci nulla. Le sorrise con dolcezza mentre lei si tormentava le labbra con un dito e non lo guardava.

"Il vero amore, Swan, non avrà di queste imperfezioni", disse con tono affettuoso, senza nemmeno rivedere o censurare il suo pensiero. "Sono sicuro che saprai riconoscerlo".

Lei interruppe il movimento nervoso della mano, lo fissò e non rispose. Eagle pensò che avrebbe desiderato sparire. Che cosa gli era saltato in mente? Parlarle dell'amore proprio in quel momento? Sputare sentenze mentre lei aveva il cuore a pezzi? Pensò di abbracciarla e di chiederle scusa per essere stato così inopportuno, e al diavolo se Swan lo avrebbe scacciato e picchiato. Glielo avrebbe lasciato fare, perché quella volta forse un po' se lo sarebbe meritato. Sì, l'avrebbe abbracciata e l'avrebbe stretta, anche se lei non era d'accordo, e...

Il profumo di Swan, quello che conosceva. L'onda argentea dei suoi capelli. Il suo calore. Swan si era stretta a lui senza una parola. Aveva affondato la guancia sul suo petto e gli aveva serrato la schiena con le braccia. Eagle trattenne il respiro di fronte a quell'assalto inaspettato e per un attimo pensò che quella sensazione era così bella e preziosa, tanto più bella perfino del ricordo che ne conservava, che sarebbe riuscito a piangere.

Chinò il capo, appoggiò il viso alla testa di lei e la strinse a sé di rimando, proteggendola tra le sue mani, mentre il tempo passava loro accanto senza sfiorarli.

"Sai, Eagle...".

La voce di Swan risuonò leggera, come un motivo canticchiato a mezza voce.

"Cosa, Swan?".

"Ti voglio bene. Ed è tanto tempo che dovevo dirtelo".

"Ti voglio bene anch'io".

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen2U.Pro