FALL 6 - L'Alpha e l'Omega

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Portarle qualcosa da mangiare era una buona idea. Non ce la faceva ad aspettare di incontrarla per caso, aveva bisogno di una scusa per parlarle subito. Doveva condividere con lei la tensione e l'eccitazione per quello che aveva appena visto, raccontarle quello che Raven...

Accidenti!

Eagle si fermò al centro del corridoio, a pochi metri dalla stanza di Swan.

Devo davvero entrare tutto pieno di entusiasmo per raccontarle quello che ha fatto Raven, neanche fosse il nostro salvatore?

Rimase a fissare il Club Sandwich che troneggiava sul piatto come se vi avesse potuto leggere un qualsiasi suggerimento utile, poi decise: sarebbe andato comunque e avrebbe trovato un modo per non nominarlo. Non poteva fare a meno di vederla.

Swan era in piedi, davanti alla finestra. Guardava la notte e le luci che illuminavano debolmente il giardino oscuro, e a Eagle sembrò già un gran progresso, dal momento che fino a una settimana prima stava esclusivamente raggomitolata sul letto.

Si era pettinata i capelli, che rilucevano sciolti sulle spalle. Quando si girò a guardarlo, si accorse che il suo viso era meno segnato. Gli sorrise appena comprese che era lui, e quella manifestazione di gioia addolcì l'algida atmosfera che albergava in quella stanza.

"No", esclamò interrompendo il suo gesto. "Non accendere la luce. C'è la luna".

Eagle tirò indietro la mano, chiuse la porta alle proprie spalle e avanzò piano fino a incontrare il letto, dove si sedette appoggiando il vassoio sulle lenzuola.

Il profumo del pane tostato e del suo succulento ripieno fece arricciare il naso di Swan, disegnandole un'espressione felice sul viso.

"Uhm, bacon!", esclamò scivolando sul letto dalla parte opposta e agguantando il piatto. "Il mio preferito".

Lo so.

"Resti un po' a farmi compagnia o hai da fare?", domandò Swan tra un boccone e l'altro, distogliendolo dai suoi pensieri.

"Sono venuto per farti compagnia".

Swan annuì, senza nascondere una punta di contentezza, e addentò di nuovo il pane mentre studiava Eagle e il suo silenzio di sottecchi.

"Daisy dov'è?", chiese infine, quando ebbe concluso lo spuntino. "Non l'ho vista in giro ultimamente".

Lui sollevò le ciglia di scatto, come se non si fosse aspettato quella domanda. Avrebbe potuto obiettare che era lei a non farsi vedere da nessuno, ultimamente, ma decise di limitarsi alla spiegazione più semplice.

"Le ho detto di andare a casa, dalla sua famiglia, per il momento. Se dovesse accadere qualcosa, non voglio che si trovi in pericolo".

La ragazza sembrò approvare quella decisione, ma non la commentò. Cambiò argomento, chiedendogli se ci fossero novità, e Eagle approfittò subito dell'occasione che lei gli forniva di parlare delle supposizioni di Phoenix, della biblioteca nascosta e dello strano pozzo che avevano trovato.

Swan lo ascoltò attenta, senza perdere neppure un dettaglio. Aveva messo da parte il piatto vuoto e si era posizionata sul letto di fronte a lui, con le gambe incrociate e i capelli raccolti disordinatamente con una matita. Quando lui ebbe finito, gli rivolse un'occhiata enigmatica e singolare.

"È stato Raven a portarvi là sotto, non è vero?".

Il ragazzo sussultò e sentì il fiato che gli moriva in gola. Eppure era stato attentissimo a non nominarlo mai, né ad accennare alla sua presenza. Suo malgrado annuì e nessuno disse più nulla per alcuni interminabili minuti. Eagle cercava qualcosa su cui indirizzare la propria attenzione e i propri discorsi. Swan, invece, lo stava osservando con tutta la cura che le consentiva la penombra in cui aveva lasciato affogare la stanza.

"Senti, Eagle", riprese con tono sicuro, "non occorre che tu o Phoenix continuiate a trattarmi come se fossi una bambola di porcellana".

L'espressione che attraversò il viso di lui a quelle parole le confermò che quella era proprio l'immagine di lei che loro vedevano: una bambola di porcellana. Fragile. Bella e fragile. E inutile, assolutamente inutile.

Chinò le ciglia per sfuggire all'impietosa verità che aveva letto sul suo sguardo e, per la prima volta, ammise a se stessa che era colpa sua. Perché aveva amato quello stato di cose almeno quanto aveva amato le bugie di Raven. Faceva tutto parte di quella costruzione perfetta, di quella favola nella quale le era piaciuto affogare. Ma Raven, senza nemmeno sospettarlo e sicuramente senza volerlo, aveva risvegliato in lei una forza guerriera che forse aveva sempre avuto dentro, ma che di certo aveva trascurato per anni.

Il cupo risentimento dei primi giorni era diventato rabbia contro se stessa, contro il torto che si era inflitta nel voler sempre interpretare quel ruolo infantile e vanesio, che le garantiva di essere vezzeggiata e coccolata da tutti. Era la parte di lei che Raven aveva potuto lusingare e raggirare senza alcuna difficoltà fino a prendersi tutto, anche la sua metà migliore, quella che avrebbe dovuto difendere e salvare.

"Questi giorni non sono stati inutili, sai?", proseguì calma, cercando di nuovo lo sguardo del ragazzo. "Ho capito tante cose di me. Soprattutto, ho capito che non voglio più essere la piccola Swan".

Gli occhi dorati di Eagle scintillavano nella penombra mentre l'ascoltava senza osare interromperla. Swan fece scivolare una mano sulle lenzuola e intrecciò le dita a quelle di lui, appoggiate sulla stoffa.

"Sono molto grata a Phoenix per quello che ha fatto. Mi è stato di enorme aiuto", proseguì esitando appena, come se avesse dovuto dosare il fiato o le parole. "Quello che Raven mi ha fatto... non credo che lo cancellerò mai, ma posso ancora scegliere e lasciarmi tutto alle spalle. Fa parte di un passato dove lui ha molto sbagliato, ma dove ho molto sbagliato anch'io. Un passato che non rivoglio indietro, perché so che io posso essere migliore di così e se Raven non sarà capace di esserlo a sua volta... be', mi dispiace, ma sarà esclusivamente un suo problema".

Nella penombra, Swan fu certa che Eagle stesse sorridendo, mentre le stringeva la mano con la quale lei lo aveva cercato.

"Mi stai dicendo che è ufficialmente finito l'esilio e che verrai a darci una mano?".

Lei annuì ricambiandogli la stessa espressione.

"Sì", esclamò con decisione. "Quindi adesso piantala di stare lì imbalsamato e parliamo come facevamo una volta".

Si lasciò cadere sulla schiena e gli agguantò una manica, tirandolo verso il materasso, mentre Eagle esplodeva in una sincera risata.

"Ma non hai appena detto che non vuoi più indietro il tuo passato da piccola Swan?".

La ragazza curvò le labbra in una smorfia furba e sollevò gli occhi al cielo.

"Il vero segreto del cambiamento", disse, "è imparare a distinguere i momenti da conservare da quelli da buttare".

"Che evidentemente non comprendono tutte le volte in cui vuoi averla vinta tu", la canzonò Eagle, arrendendosi alla sua richiesta e distendendosi accanto a lei, con un braccio piegato dietro la nuca.

Restarono a respirare la calma di quella notte per ore. Swan, con una naturalezza che pensava di aver smarrito, cominciò a raccontarsi. Gli parlò della morte di Phoenix e di quello che aveva provato. Gli parlò di come aveva deciso stupidamente di non dare alcuna possibilità al nuovo Phoenix, pur non riuscendo a negare ciò che avvertiva in sua presenza. E di Raven. Gli parlò anche di Raven e di tutto quello che aveva provato il suo cuore. Alla fine sembrava svuotata ma leggera, in qualche modo felice. Si sforzò di tenere gli occhi aperti, biascicò qualcosa che sembrava una richiesta di restare ancora un po', poi si lasciò vincere dal sonno, reclinando il capo contro il suo braccio. 

Eagle la guardò senza nemmeno cercare di sfuggire a quel laccio che, suo malgrado, lo ancorava lì. Sarebbe rimasto, non l'avrebbe lasciata sola. Mentre l'ascoltava, non era riuscito a non sentirsi profondamente in colpa. Dentro di sé sapeva di aver sbagliato anche lui. Al pari di Raven, non era mai stato davvero sincero con Swan. In modo diametralmente opposto le avevano mentito entrambi, e forse lui per molto più tempo. Tutta quell'assurda montagna di parole non dette aveva quasi rischiato di distruggerli. Se non ci fosse stato Phoenix, forse sarebbero rimasti ancora impantanati in quell'intrico di bugie.

Perché ti amo ancora, Swan. No, non è nemmeno esatto... ti amo sempre.

⸩ↂ⸨

"Vi ha visti nessuno?".

Eagle scosse il capo in risposta e Phoenix si fece da parte, lasciando loro lo spazio necessario per sgusciare all'interno della biblioteca. Appena anche Swan fu entrata, si affrettò a chiudere la porta a chiave. Per un istante si ritrovarono tutti in cerchio, a fronteggiarsi nello spazio antistante l'ingresso. Quando Swan sollevò le ciglia e incrociò gli occhi di Raven distolse lo sguardo, come se avesse accidentalmente sfiorato un oggetto di nessuna rilevanza. Lui tradì il suo nervosismo con un impercettibile scarto. Serrò la mascella e perse un respiro, che subito cercò di recuperare.

"Bene, andiamo", disse sbrigativo, muovendosi verso la porta che conduceva alla stanza nascosta.

Accesero le torce dei cellulari e varcarono la soglia. Attraversarono la seconda biblioteca senza soffermarvisi e si diressero dritti alla botola. Swan rimase indietro di qualche passo, a girarsi attorno ammirata e a osservare la mole di libri antichi che sembravano occhieggiarla dagli scaffali. Raven, come aveva fatto la prima volta, scese per primo, seguito da Phoenix. Eagle tese la mano alla ragazza e la serrò per tutto il tempo in cui la guidò giù per la stretta rampa di scale. 

Quando stavano ormai per giungere nella strana camera quadrata, Raven sobbalzò e rallentò la discesa: dal fondo proveniva un quieto lucore dorato, che non aveva nessuna valida ragione per essere lì.

Si girò di scatto.

"Phoenix, hai acceso le torce?".

"No".

I due si scambiarono un'occhiata preoccupata, ma a quel punto tornare indietro sarebbe stato sciocco. Raven si fece coraggio e completò gli ultimi gradini. Quando entrò nella stanza, gli mancò il fiato e riuscì solamente a farsi di lato, per permettere agli altri tre di accedere e vedere con i loro stessi occhi: il Secondo Maestro era in piedi al centro della camera, accanto al bordo sferico che delimitava la voragine. Sembrava osservare il pozzo senza troppo interesse e senza troppa sorpresa, e allo stesso modo guardò i ragazzi appena se li trovò davanti, come se aspettasse il loro arrivo. I Custodi, da parte loro, sembravano aver perso colore e insieme l'uso della parola. Provare a inventare una scusa, lì su due piedi, non era un'impresa facile e, d'altra parte, l'uomo che avevano di fronte non sembrava intenzionato ad accusarli o a rimproverarli. Non sembrava adirato, anzi sorrise quando indirizzò il suo sguardo a Raven.

"Sei sempre stato un allievo brillante", disse con tono pacato. "Ero sicuro che prima o poi ci saresti arrivato".

Passò sopra lo sguardo interdetto del ragazzo e degli altri compagni, e si diresse con tutta naturalezza verso una cassa di legno che era stata sistemata accanto al pozzo e che, Raven era pronto a giurarlo sulla sua anima, non era mai stata lì prima di allora. Era piena di oggetti che, da quella distanza e con la scarsa luce, non riuscirono a identificare. L'uomo ne trasse fuori quattro orologi neri dalla linea essenziale e moderna e ne tese uno a ciascuno di loro.

Ancora in preda allo spavento e alla sorpresa, i quattro ragazzi si limitarono a prenderli e a studiarli in silenzio. Già a una prima occhiata era evidente che il display non riportava l'ora, ma una sorta di count-down.

"I Maestri hanno finalmente individuato un cielo astrale significativo", iniziò il Maestro, come se il tema di quella loro conversazione fosse del tutto prevedibile e scontato, "dove la posizione dell'anello dello Zodiaco è perfetta. È il 20 dicembre, la notte che precede il Solstizio d'Inverno. Per quella data abbiamo calcolato che il Polo Nord Magnetico avrà superato il punto critico di non ritorno. Ciò significa che, se non invertirete il processo entro quel giorno, sarà impossibile ristabilire l'equilibrio e i Poli Magnetici si invertiranno, con le conseguenze che voi conoscete bene".

Prese una breve pausa e accennò ai dispositivi con un gesto della mano.

"Indossateli e non dimenticatevi mai di guardarli", disse il Maestro. "Vi indicheranno quanto manca al Punto Zero. Allo scadere del tempo, se non avrete invertito il processo, avrete consegnato la Terra alla prossima glaciazione".

"Sempre incoraggianti, da queste parti", borbottò l'irlandese, allacciando il cinturino attorno al polso e sbirciando i numeri che scalavano inesorabili.

"Phoenix, vieni qui", lo invitò l'uomo in risposta, indicandogli il bordo del pozzo. "E anche tu, Raven".

I due ragazzi avanzarono di qualche passo e si fermarono uno accanto all'altro. Non si guardarono. D'istinto avevano cercato di concentrarsi subito sul Maestro perché, appena si erano avvicinati alla voragine, entrambi ne avevano avvertito l'irresistibile forza di attrazione. L'uomo, nel frattempo, si era girato verso la cassa che era rimasta aperta ai suoi piedi con tutto il suo oscuro contenuto.

"Qui troverete tutto quello che potrebbe esservi utile nella ricerca...".

Raven, a quelle parole, serrò le palpebre un istante e le dita gli si contrassero in un pugno, come se stesso combattendo una guerra impari contro una forza sovrannaturale che urlava per venir fuori.

"Perché?", lo interruppe con la voce fremente per quell'ira che non era riuscito a contenere.

Il Maestro non poté fare a meno di fermarsi e interrogare con lo sguardo quella reazione: era la prima volta che Raven osava parlare nel bel mezzo di un suo discorso. La prima volta in tutta un'intera vita trascorsa a Fulham. 

"Perché organizzare questa sceneggiata?", continuò sempre più risentito. "E perché solo adesso? Se conoscevate già le risposte, perché non mostrarcele fin dal principio? Avreste potuto spiegarci in qualsiasi momento cosa andava fatto e come, e avete preferito tenerci all'oscuro di tutto?".

Gli occhi chiari dell'uomo si socchiusero in un'espressione quasi affettuosa, che contrastava nettamente con il tono duro del ragazzo. In qualche modo, Raven era sempre stato il suo preferito, anche se il loro rapporto non si era mai basato sull'affetto, ma alla fine quel bambino cresciuto nelle regole e nell'obbedienza aveva ugualmente deciso di sputargli contro tutti i suoi perché pieni di collera repressa per anni.

"Non abbiamo tutte le risposte, Raven, se è questo che stai insinuando. Abbiamo delle valide teorie, questo sì, che ci hanno aiutati a selezionare ciò che potrebbe esservi più utile. Tu per primo, però, potresti obiettare che le teorie non sono nulla senza la loro ricaduta pratica".

Di fronte a quella risposta, il ragazzo parve almeno calmarsi e recuperare in parte la sua abituale compostezza, anche se i suoi occhi erano ancora accesi da un sentimento oscuro.

"Per accedere ad alcuni gradi della conoscenza non basta studiare i libri", proseguì l'uomo, sostenendo il suo sguardo. "Ci sono cose che vanno cercate e conosciute direttamente, spingendosi talvolta in territori che la sola ragione non riesce a conquistare. Voi più di tutti dovete esperire da soli, perché siete parte della Profezia. È l'unica possibilità che avete per comprendere quale sia il vostro vero posto nell'Opera. La Magna Opera, Raven. Mi crederesti se dicessi che sei stato proprio tu a darvi inizio? E se io o chiunque altro ti avesse detto cosa fare, pensi davvero che avresti agito allo stesso modo?".

Senza nemmeno attendere la sua replica, gli mise una mano sulla spalla e nello stesso momento guardò Phoenix.

"Voi siete l'Alpha e l'Omega", scandì, "il Principio e la Fine. A voi soltanto tocca l'onore di scoprire come l'Opera giungerà a compimento, ma dovrete essere pronti a tutto e fidarvi del vostro istinto, quando scenderete là sotto. Siete Custodi dalla nascita, il vostro Elemento è il vostro unico soccorso. Ricordatevelo quando calerà il buio".

"E noi che faremo?".

La voce di Eagle si levò così chiara e diretta da costringere il Maestro a incrociare il suo sguardo, oltre Phoenix e Raven.

"Se loro sono il Principio e la Fine di tutta la storia, che parte abbiamo io e Swan, in tutto questo?".

"Voi? Voi siete gli strumenti", rispose il Maestro con fare oscuro.

"Che strumenti?", insistette il ragazzo.

L'uomo gli rivolse uno strano sorriso e non rispose. Gli rivolse un cenno del capo che somigliava a un commiato, poi si diresse tranquillamente verso l'uscita, come se il suo compito si fosse ormai esaurito.

"Buona fortuna, Custodi".

L'eco dei suoi passi si perse sulle scale. A loro, che erano rimasti nella stanza, non restava altro da fare che studiare la cassa di legno e il suo inquietante materiale.

Il tempo, che scivolava via inesorabile scandito dai cronometri, sembrava non essere abbastanza per cercare le risposte a troppe domande.

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