FALL 8 - Somewhere Only We Know

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Raven rimase a guardare le decorazioni sulle pareti, dimenticandosi del tempo e della stanchezza. Le osservava con ammirazione e preoccupazione insieme. Cercava di abbinare le figure dei disegni alle immagini dei libri che si era scolpito in testa. La sua mente vagava in cerca di connessioni. Le stesse connessioni che aveva, allo stesso tempo, desiderio e terrore di trovare.

Phoenix, nel frattempo, parlava a ruota libera della loro ultima esplorazione, tra un sorso di birra e l'altro. D'altra parte, Raven sembrava sempre astrarsi dal mondo quando era immerso nelle sue riflessioni, come se si rifugiasse altrove, e la conversazione animata degli altri tre non sembrava toccarlo.

"Abbiamo visto una stanza", argomentava Phoenix, muovendo le braccia, le mani, l'intero corpo per dare enfasi al suo discorso, o forse semplicemente perché aveva bisogno di rimettere in funzione tutti i muscoli dopo l'ultima discesa. "È pazzesco, pensare che qualcuno abbia costruito qualcosa là sotto!".

"Che tipo di stanza è?", chiese Eagle perplesso.

L'irlandese scosse il capo e ingollò l'ultimo sorso di birra.

"È quello che dobbiamo scoprire. Se ci sono risposte, è là che le troveremo, anche perché non c'è davvero nessun altro posto dove andare, oltre quel punto. Deve essere tutto in quella camera".

"E in questa", aggiunse Swan, indicando le pareti che li circondavano con il gesto della mano.

Phoenix annuì in risposta e per qualche minuto si udirono solo, leggerissimi, i passi di Raven che si spostava lungo i lati della stanza.

"Dobbiamo andare giù", concluse Phoenix, "e stavolta restarci per un po'. Ci prepareremo bene, scenderemo con tutto il necessario. Dobbiamo avere il tempo per studiare cosa contiene e capire a cosa ci serve".

⸩ↂ⸨

Si presero un paio di giorni per riposare e per organizzarsi. Quanto era loro concesso, almeno, dal momento che dicembre era già iniziato. In quel tempo senza tempo in cui li stava tenendo prigionieri quell'impresa sembrava che il tempo non passasse mai. Ed era, quello, un ulteriore inganno al quale dovevano sottrarsi, perché le ore scorrevano veloci a dispetto della loro personale percezione.

Quando giunse la mattina stabilita per la discesa che li avrebbe dovuti portare a esplorare la misteriosa camera sotterranea, Eagle ricontrollò uno a uno gli oggetti che dovevano essere inseriti negli zaini. Saggiò due volte il cavo d'acciaio e i moschettoni, passò in rassegna l'intero equipaggiamento. C'era un pesante silenzio mentre tutte queste operazioni venivano eseguite. Phoenix e Raven sembravano timorosi di poterlo disturbare o distrarre, e Swan gli andava dietro come un chierichetto che assiste l'officiante, svelta ma impercettibile. Una strana ansia serpeggiava tra loro, di quelle ingombranti che è più prudente non interrompere con discorsi inopportuni. Portava con sé l'ombra di una lacrima, di un pianto, e nessuno aveva la minima voglia di avere a che fare con quel sentimento.

"Ecco, è fatto", disse Eagle solamente, lasciando andare la cinghia che aveva assicurato attorno alla vita di Phoenix e indietreggiando di un passo.

"Ci vediamo a nessun'ora", sentenziò Raven con voce inespressiva.

"Sì", gli diede stranamente man forte Phoenix. "Non occorre che vi accampiate qui senza sosta, stavolta non sappiamo quando potremo tornare".

"E rinunciare a un posto in prima fila per assistere alla fine del mondo?", scherzò Eagle, con un sorriso che, nonostante i suoi sforzi, risultò triste. "Col cavolo!".

Swan, invece, lì per lì non disse nulla. Aveva lo sguardo teso, il viso tirato, come se stesse cercando di tenersi dentro parole ed emozioni. Fece solo un passo verso Phoenix, gli diede un'ultima occhiata per assicurarsi che fosse tutto al posto giusto, poi gli gettò le braccia al collo e lo strinse forte.

"Non fare troppo l'eroe, irlandese", gli sussurrò all'orecchio con voce spezzata. "Torna tutto intero".

Si ritrasse subito, come se si fosse vergognata, e si tirò indietro nascondendosi dietro Eagle.

Raven osservò la scena senza mostrare alcuna alterazione. Sapeva che, quali che fossero i sentimenti che provava, nessuno li avrebbe accolti o ascoltati, e lui aveva perso ogni diritto di manifestarli. Sentì un buco nel cuore, pungente, devastante, ma era tardi, troppo tardi per tutto. Si ripeté che quello era il prezzo da pagare e proibì alla sua mente di indagare ancora, di spingersi verso quel limite oltre il quale si sarebbe fatto male. Lui, il dolore, lo aveva sempre rifuggito, anche se sapeva che un giorno quel maledetto si sarebbe ripresentato a esigere un conto che Raven non era disposto a pagare.

Senza aggiungere altro, si sedette sul bordo del pozzo e cominciò ad ancorare i moschettoni con una cura quasi maniacale, come se stesse infondendo in quel gesto tutta l'attenzione che non voleva rivolgere altrove, a quello che stava accadendo alle sue spalle, oltre lui. Un attimo prima di finire, avvertì un calore improvviso sulla spalla. Una stretta lo costrinse a girarsi di scatto, sorpreso. Era la mano di Eagle quella che l'aveva fermato. Incrociò i suoi occhi e l'espressione gli si fece perplessa, interrogativa.

"Fai attenzione, là sotto. Mi serve ancora un fratello maggiore".

Raven si affrettò ad annuire e a distogliere immediatamente lo sguardo. Si diede lo slancio per iniziare la discesa, portandosi dietro la voce di Eagle come un portafortuna.

⸩ↂ⸨

Nonostante le raccomandazioni, Eagle stabilì che non avrebbe lasciato la stanza, se non per brevi periodi o ragioni veramente importanti.

Swan, invece, cercò ogni scusa per uscirne. A differenza dei giorni precedenti, quella volta aveva l'impressione di soffocare e iniziò a domandarsi come facesse Eagle a sopportare quella gabbia, proprio lui che tra tutti amava maggiormente l'aria aperta. Quanta forza gli ci voleva per resistere a quell'attesa, dove apparentemente non avevano nessun ruolo, nessun compito da portare a termine?

Scese le scale per la ventesima volta in quel giorno. Era andata in cucina a preparare qualcosa da mangiare. Rendersi utile in un modo qualsiasi e impegnarsi in un'attività manuale la faceva sentire meglio.

Eagle aveva sistemato per terra una coperta e l'aveva resa quanto più confortevole possibile, razziando i cuscini della biblioteca. Mangiarono lì, seduti uno accanto all'altra, come in una scampagnata improvvisata senza cielo azzurro e senza luna. E anche senza parole, sebbene il rumore dei loro pensieri fosse quasi assordante.

"Pensi che siano già arrivati alla sala?", chiese Swan d'un tratto.

"Non lo so".

"E pensi che ne avranno davvero per molto, come hanno detto?".

Il ragazzo la scrutò con sospetto.

"Lo chiedi perché credi che io abbia delle risposte o hai solo sviluppato una forte allergia al silenzio, Swan?".

Lei tacque e per qualche istante assunse un'espressione quasi imbronciata.

"Te la ricordi, Eagle, quella sera quando mi hai detto che ti sarebbe piaciuto fare qualcosa insieme, solo io e te?".

Lui trasalì. Il ricordo di quel momento e di quello che aveva provato gli ritornò prepotentemente in testa, restituendogli una fitta di inspiegabile fastidio.

"È stato una vita fa", commentò laconico.

Swan sorrise del suo tono e si tirò indietro, affondando i gomiti sui cuscini con aria rilassata. La sua espressione sembrò illuminare la stanza, conferendole un aspetto meno cupo di quello che in realtà possedeva.

"Be', possiamo fare finta che questo sia un picnic. Una di quelle cose che ti andava di fare insieme, senza tutti gli altri. Di certo vista così è molto più divertente che pensare di stare con le mani in mano ad aspettare quei due".

Eagle, però, non sembrò accogliere favorevolmente quella proposta. Si irrigidì, si scostò da lei e la studiò dall'alto con uno sguardo contrariato.

"Tu non riesci proprio a non trasformare ogni cosa in un gioco, vero Swan? Come quella faccenda del Tè di Matti".

Lei gli scoccò un'occhiata ironica, a fargli pesare che non aveva gradito la sua reazione.

"Potrei risponderti come hai fatto tu l'altro giorno: forse non so fare altro, o forse è esattamente quello che voglio", lo imitò.

"Che cosa c'entra questo, adesso?", domandò brusco.

Swan sorrise, enigmatica e ambigua.

"Voglio sapere che cosa significa", dichiarò con la fermezza di chi non è intenzionato a ricevere un rifiuto senza prima combattere.

Eagle, al contrario, si accorse con sgomento che tutto il coraggio che lo aveva attraversato qualche giorno prima era andato in vacanza senza nemmeno lasciargli un biglietto di commiato.

"Senti, Swan", sbuffò, lasciandosi andare sui cuscini accanto a lei con aria stanca, "è stata una cosa detta senza pensare, non mi va di parlarne".

"Cos'è, mi stai ancora proteggendo?".

Il tono era quasi di rimprovero. Eagle pensò di averne abbastanza di quella tensione tra loro, che lo stava torturando. Si sollevò su un braccio per poter fronteggiare i suoi occhi che non lo lasciavano in pace.

"E tu non vuoi più essere protetta, giusto?".

La ragazza scosse il capo con un gesto di diniego lento e sicuro. Definitivo.

"Ok", rispose lui pianissimo.

Senza darle nemmeno un istante per replicare, le avvolse la guancia con la mano, si tese verso di lei e le catturò le labbra con le proprie.

Nonostante l'irruenza di quel movimento, il suo non fu un bacio violento. Sembrò atterrare su di lei quasi con grazia e, a contatto con il suo calore, il suo gesto si addolcì, rallentò, si trasformò in una carezza.

Poteva sentirla trattenere il fiato, esitare, provare quel contatto e poi ritrarsi appena e cercarlo di nuovo. Poteva sentire tutto di lei e quell'emozione gli trasmise una profonda vertigine. Fece scivolare la mano sulla sua pelle, poi la lasciò andare quando sentì che non poteva spingersi oltre.

Si allontanò per studiarle il viso. Swan aveva chinato le ciglia e si era portata una mano alla bocca. Tremava, e le ciocche d'argento le erano ricadute sulla guancia, nascondendogli la sua espressione. Eagle cercò di carpirla senza fare domande, ma l'ansia che lo guidava in quel momento era troppo forte.

"Swan", mormorò con il tono più delicato e preoccupato di cui era capace, "ti ho... ferita?".

Lei scosse il capo energicamente, senza sollevare lo sguardo, senza allontanare le dita dalle labbra.

"No, è solo che stavo pensando...".

Non finì la frase, che rimase sospesa nell'aria rovente che li separava.

"Stavi pensando a Raven", completò lui con una punta di amarezza.

Swan annuì.

"E a Daisy", aggiunse con un filo di voce.

Sentendole pronunciare quel nome, Eagle si tirò indietro, come se avesse dovuto ristabilire una giusta distanza tra loro.

"Non ho mai amato Daisy e lei lo sa".

Swan, finalmente, lasciò ricadere la mano al suo fianco e lo guardò. I suoi occhi erano di fuoco.

"È solo questo che ti rende migliore di Raven? Che lei lo sa?", sbottò alterata.

"Io sono sempre stato sincero riguardo i miei sentimenti", si difese Eagle con fare energico. "E quando tutto questo sarà finito andrò da lei e le spiegherò ogni cosa".

"Quando tutto questo sarà finito...", ripeté la ragazza.

La sua espressione, che sembrava esasperata fino a un attimo prima, divenne improvvisamente triste, rassegnata.

"Continuiamo a parlare come se fossimo in un film di supereroi", proseguì, "con la certezza che ogni cosa si sistemerà, in un modo o nell'altro. Sono stanca".

A dispetto della sua proverbiale pazienza, Eagle si lasciò sfuggire un gesto nervoso e allontanò lo sguardo, amplificando il distacco tra loro.

"Insomma, cos'è che vuoi, Swan?".

Lei si mise in piedi di scatto, fece qualche passo verso il centro della stanza. Si fermò a guardare l'oscurità che esalava dalla voragine silenziosa, poi si girò a fissare gli occhi di Eagle, che non la lasciavano.

"A volte vorrei soltanto che tutto questo passasse", esclamò con amarezza e con passione. "Vorrei aprire gli occhi e scoprire di essere dall'altra parte del ponte che è bruciato, che questa vita è stata solo un gioco un po' più crudele e complicato del solito, ma che gli errori e i dolori possono essere dimenticati. In fondo, la gente dimentica sempre, no? La gente dimentica continuamente un sacco di cose. Alcuni giorni penso che essere dimenticata possa essere consolante. Un modo un po' bizzarro, ma di certo efficace per non essere feriti, e forse per essere davvero liberi".

Eagle scosse il capo con un sorriso triste.

"Non dirlo neanche per scherzo", mormorò.

"E perché mai?", ribatté lei, come se avesse voluto ribellarsi al mondo intero.

"Be', in primo luogo perché il tuo piano non funzionerebbe", rispose con voce limpida, come lo erano i suoi occhi. "Io non ti dimentico".

Swan respirò profondamente quel momento e quelle parole. Rimase a guardarlo in silenzio dalla sua posizione, e forse stava cercando di imprimersi nella memoria il suo sguardo, il suo viso, la sua espressione sincera.

"Tu cos'è che vuoi, Eagle?", domandò infine.

A quelle parole, anche lui si mise in piedi, a fronteggiarla.

"Voglio che neanche tu mi dimentichi, qualunque cosa ci accada. Perché sei in tutti i miei pensieri, Swan. In tutto quello che è casa, piccole emozioni e ricordi felici. E, scusami se suona presuntuoso, ma mi aspetto di avere lo stesso posto nei tuoi. Anzi, lo pretendo. È proprio quello che voglio. Voglio il calore dei tuoi abbracci, delle tue mani, delle tue parole con me sempre, o non mi interessa nemmeno superare quest'inverno".

Swan sentì che il fiato le mancava. Quelle frasi l'avevano colpita con la brutalità di uno schiaffo. Per un istante si sentì vacillare, come se qualcosa di violento le avesse tagliato le gambe. Chinò il capo e si massaggiò la fronte, a occhi chiusi, cercando di raccogliere le forze per opporsi a quella profonda emozione che la stava spingendo alle lacrime.

"Non puoi farmi un discorso del genere, Eagle", bisbigliò con voce spezzata. "È già tanto che io abbia avuto la forza di rimettermi in piedi dopo tutto quello che è successo. È già tanto che io sia qui, che abbia deciso di lasciarmi tutto alle spalle, che sia in grado di parlarne con te liberamente, che riesca a farmi abbracciare di nuovo senza provare l'istinto di fuggire...".

"Non mi basta".

L'aveva interrotta senza troppo garbo, e non era da lui. Swan sollevò il capo di scatto e lo fissò sconvolta, oltre la distanza che li separava.

"Cosa?".

"Non mi basta", ribadì lui determinato, con la stessa disperata ostinazione di chi non ha più nulla da perdere. "Ho pensato sul serio di averti persa, e persa per sempre, senza un ritorno. Ho provato a convivere con questo stato di cose e non ci sono riuscito. Quindi so per certo che non mi basta. Io voglio tutto di te".

Nell'immobilità tremenda e incredibile che aveva seguito quell'affermazione, non c'era nulla che vibrava quanto i loro sguardi, nulla di paragonabile al tumultuoso silenzio che si era stabilito tra le loro anime. Eagle fece un passo verso Swan e lei continuò a studiarlo con curiosità, senza indietreggiare. Poi, come se il muro invisibile che li aveva tenuti separati fino a quel momento fosse crollato di colpo, si ritrovarono stretti, senza un vero perché, senza nessun , senza un pensiero di troppo. Ché anche un solo pensiero avrebbe guastato la perfezione di quell'abbraccio.

Le labbra di Swan, quella volta, si abbandonarono al suo tocco, si lasciarono andare alla trepidazione che lui riversò loro addosso, a quel desiderio antico e profondo di fermarle, di trattenerle, di fondersi insieme con trasporto e con pazienza.

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SOUNDTRACK:

Somewhere Only We Know, dei Keane:

"And if you have a minute, why don't we go
Talk about it somewhere only we know?
This could be the end of everything
So why don't we go? So why don't we go?

Oh, this could be the end of everything
So why don't we go somewhere only we know?"

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